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:: Visioni di cinema: “M. Butterfly” di David Cronenberg

16 ottobre 2024

“M. Butterfly”, diretto nel 1993 dal regista canadese David Cronenberg, suo primo film internazionale girato in parte a Pechino, e in parte a Budapest e Toronto (per gli interni) con alcune scene a Parigi, si presenta come un’opera singolare nella filmografia di questo geniale cineasta e si colloca tra la spystory e il dramma, esplorando e ridefinendo il concetto di identità come proiezione e materializzazione di illusioni. Questo film offre inoltre una riflessione profonda e seria sul colonialismo e sulla dialettica tra Occidente e Oriente, evidenziando le dinamiche di potere e sfruttamento insite in queste relazioni sempre imperialiste, anche se a volte reciproche, come dice un personaggio. Basato sull’omonima pièce teatrale di David Henry Hwang, liberamente ispirata alla vera storia di Bernard Boursicot e Shi Pei Pu, “M. Butterfly” di Cronenberg si discosta dalle radici politiche del materiale originale per focalizzarsi sulla complessa relazione tra il diplomatico René Gallimard, interpretato da Jeremy Irons, che riesce a trasmettere magistralmente la vulnerabilità e la curiosità per una cultura altra del suo personaggio e la cantante d’opera cinese Song Liling, interpretata da un convincente e affascinante John Lone. La narrazione si snoda attorno a un legame che si sviluppa per oltre vent’anni, rivelando le fragilità e le illusioni di un uomo che, immerso nella sua visione del mondo, ignora totalmente o decide razionalmente di ignorare, nel senso etimologico del termine, le verità più evidenti su sè stesso, la sua sessualità, la sua identità. La figura di Gallimard infatti rappresenta l’archetipo del burocrate occidentale, la cui ignoranza e incompetenza geopolitica lo portano a non riconoscere le reali dinamiche di potere in gioco, emblematica la scena in cui fa le sue scorrette valutazioni e previsioni (influenzate da Song Liling) sulla presenza statunitense nel sud est asiatico a uno sconcertato ambasciatore Tuolon, interpretato in modo impeccabile da un elegantissimo Ian Richardson, perdendo così ogni credibilità all’interno dell’ambasciata che successivamente lo reimpatrierà in Francia. Se avesse anche solo compreso che nel teatro classico cinese le parti femminili erano recitate da attori maschi,- perchè solo gli uomini decidono come una donna debba comportarsi spiega Song Liling alla compagna Chin-, avrebbe potuto intuire la vera identità di Song Liling, – identità sessuale a tutti nota nel suo entourage (come a noi spettatori, data la grande fama dell’attore che lo interpreta), tranne che a lui,- una spia che sfrutta la loro relazione per raccogliere informazioni per il governo comunista cinese. Se anche aveva sospettato, perlomeno inconsciamente, che Song Liling fosse un uomo, la forza del sogno e dell’illusione, e la proiezione del suo desiderio sono troppo forti, come l’deale di bellezza che Song Liling incarna troppo perfetto, per permettergli di accettare che ama un uomo sotto l’involucro puramente esteriore di una donna, per quanto idealizzata. La rivelazione della verità avviene per lui in modo drammatico durante il processo, quando Gallimard si trova di fronte alla realtà della sua illusione, circondato dagli sghignazzi e dal ludibrio della corte, che non riesce a credere alla sua ingenuità e soprattutto al fatto che non abbia mai capito che Song Liling fosse un uomo dopo anni di convivenza. Quando il giudice chiede a Song se sapesse che lui era un uomo, accrescendo così la gravita delle accuse che gli vengono mosse, Song risponde che non lo sa, non gliel’ha mai chiesto, non tradendo infine l’architettura di fili di seta tra illusione e realtà che li ha legati.

Gallimard rappresenta un esempio emblematico della figura borghese, un contabile abile nel maneggiare cifre e numeri, ma intrappolato in una visione del mondo che riflette le contraddizioni del capitalismo. La sua capacità di individuare le incongruenze nelle spese di agenti diplomatici corrotti è solo un aspetto della sua professione, mentre la sua arroganza e ignoranza rivelano una supposta superiorità culturale radicata, tipica dell’uomo occidentale nei confronti dell’Oriente e delle sue tradizioni, seppur subisca il fascino di una cultura altra che affonda le sue ferme radici in millenni di civiltà, come afferma Song Liling quando gli spiega che i cinesi non sono certo diventati occidentali perchè vivono in case con la luce elettrica. La sua incapacità di riconoscere l’assurdità di far interpretare il ruolo di una ragazza giapponese a una donna cinese durante una rappresentazione di alcune arie della “Madama Butterfly” di Puccini, durante una soirée all’ambasciata svedese, dove Gallimard e Song Liling si incontrano per la prima volta, mette in luce la sua mancanza di consapevolezza storica e culturale. Ignora, ad esempio, il tragico passato in cui i giapponesi utilizzarono prigionieri cinesi per esperimenti di guerra batteriologica. Questo episodio non è solo un errore di interpretazione, ma un sintomo della sua preparazione inadeguata e della superficialità con cui affronta questioni complesse. La sua conversazione con Frau Baden, la moglie dell’ambasciatore tedesco, rivela ulteriormente la sua fragilità intellettuale. Gallimard, consapevole della sua ignoranza riguardo all’opera, teme che la verità possa compromettere l’immagine di un uomo dotato di una profonda cultura, un’illusione che il sistema capitalistico e le sue dinamiche sociali alimentano. In questo modo, la sua figura diventa un simbolo delle contraddizioni e delle ingiustizie insite in una società che privilegia l’apparenza rispetto alla sostanza.

Tra le riflessioni di genere, interessante lo scambio di battute, alle spalle della Grande Muraglia cinese, quando Song Liling narra un antichissimo proverbio cinese: “Dare insegnamenti a una ragazza è utile come gettare riso al vento“, riportando che sia la società antica cinese che quella contemporanea alla narrazione (siamo negli anni ’60 del Novecento poco prima dell’avvento delle Guardie Rosse), opprimono le donne e le tengono nell’ignoranza, cosa che teoricamente non dovrebbe avvenire nell’evoluto Occidente, per spiegare come sia possibile l’attrazione di una donna cinese verso un occidentale, e lusingando l’ego di Gallimard in un gioco di seduzione e attrattiva reciproca sia intellettuale che fisico.

La relazione tra Gallimard e Song Liling, pur basata su dinamiche di potere e reinterpretazione della realtà, evolve in un sentimento che, sebbene inizialmente costruito su menzogne in un contesto di seduzione e manipolazione, dove Song Liling, incarnando un ideale di donna costruito da Gallimard, diventa un oggetto di desiderio e di controllo, si trasforma in qualcosa di autentico. Questo processo di oggettivazione riflette le disuguaglianze di classe e di genere, in cui l’identità e la soggettività di Song Liling vengono sacrificate per soddisfare le fantasie coloniali e patriarcali di Gallimard. Quando Gallimard si confronta con la realtà della sua illusione e decide di porre fine alla sua vita attraverso il seppuku, si manifesta una crisi profonda non solo del suo individuo, ma anche delle strutture sociali che hanno alimentato la sua visione distorta dell’amore. La tragica conclusione segna un punto di non ritorno, mentre Song Liling, in un momento di vulnerabilità, piange sull’aereo che lo riporta in patria, rivelando la complessità e l’ambiguità dei sentimenti umani.

David Cronenberg esplorando i temi di identità e genere, inganno e disillusione si distingue per la sua visione del reale complessa e provocatoria. Gallimard è attratto dall’immagine romantica e idealizzata della Cina e della femminilità, della sottomessa donna orientale, schiava del diavolo straniero, ma la sua relazione con Song si rivela essere un intricato gioco di inganni, in cui le identità di genere e le aspettative culturali vengono sovvertite. L’atmosfera di tensione e ambiguità accresce questo divario culturale ed esistenziale in cui questioni come il colonialismo, la sessualità, le costruzioni sociali di genere, si fanno materia viva della narrazione. Le performance di Irons e Lone sono straordinarie nel creare l’illusione e l’ambiguità che fino all’ultimo accelera stemperandosi nel drammatico e catartico finale quando è l’Occidente a soccombere rispetto all’Oriente, sovvertendo la dinamica pucciniana dove è la ragazza giapponese a suicidarsi per amore di un occidentale. Gallimard metabolizza in un’opera di metamorfosi (già la libellula donata dal pescatore preludeva simbolicamente a questo) questa dinamica diventando lui stesso la proiezione dell’Oriente che ha sempre avuto e con il disvelamento, nel cellulare che li porta in prigione, del corpo nudo di Song Liling ha perso per sempre. Resta un’opera magistrale nell’esplorazione delle complessità dell’amore e dell’identità, temi da sempre al centro delle riflessioni del regista canadese.

Cronenberg, pur affrontando un flop commerciale, ha considerato questo film un successo personale, poiché sintetizza molte delle sue riflessioni estetiche e poetiche, rivelando le contraddizioni e le tensioni insite nelle relazioni tra culture e identità. In questo contesto, lo spettatore è invitato a riflettere non solo sull’incredibile ingenuità di Gallimard riguardo all’identità sessuale di Song Liling, ma anche, e soprattutto, sul mistero stesso dell’amore, un sentimento che sfida le categorizzazioni e le interpretazioni, fondendo reale e ideale. Cronenberg, con la sua visione unica, ci offre un’opera che trascende il tempo, ponendo interrogativi che risuonano ancora oggi. Una curiosità: gli hutong, i tradizionali vicoli di Pechino, dove furono girate alcune scene, ora non ci sono più buttati giù per i piani di ristrutturazione e sostituiti con palazzi e grattacieli.

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:: Note di lettura di Patrizia Baglione: “Parole del tempo” di Lorenzo Calogero

15 ottobre 2024

Lorenzo Calogero, nato nel 1910 e scomparso nel 1961, è una figura importante nella poesia italiana del XX secolo. La sua opera è caratterizzata da una profonda introspezione e da un linguaggio incisivo, che riflette le sue preoccupazioni esistenziali e il suo impegno civile. Nel 2010, per l’editore Donzelli, è stato ristampato una parte del terzo volume previsto. ‘Parole del tempo’. In questo contesto, Calogero esplora il concetto di tempo non solo come misura cronologica, ma come un’entità che plasma le esperienze umane. Leggendo i suoi testi, si può riconoscere tutto il suo sentimento per la poesia, una Weltanschauung. Difatti, egli non divide mai la vita dal sogno, la parola dal mondo. 

Nella notte ardua, nel suo mistero 

m’involo silente tra nuvoli, 

nella polvere deserta delle acacie, 

all’ombra oscura del mio sogno vero. 

La sua poesia è spesso considerata un dialogo, un’invocazione a riflettere, una preghiera. Calogero si interroga, acquisisce un’intuizione filosofica, misura i versi con dolcezza e ritmo.

Dimenticato per decenni, sorprendono le parole che i grandi poeti del Novecento gli hanno dedicato: “Lorenzo Calogero, con la sua poesia, ci ha diminuiti tutti”, scrisse Giuseppe Ungaretti; o anche “il più grande poeta italiano del ‘900”, come lo aveva invece definito Carmelo Bene. 

Oggi, fortunatamente, si è ripreso a scrivere di questo poeta solitario, che non ha trovato mai il sostegno di alcun esponente del mondo letterario, a eccezione di Leonardo Sinisgalli: unico a dimostrare la sua amicizia e interesse per Calogero e le sue poesie.

:: Grazie ai lettori di Liberi di Scrivere!

14 ottobre 2024

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:: Elogio del quotidiano di Francesco Affatato

14 ottobre 2024
Hic et nunc -Immagine a cura di Vittorio, dall’Agenzia di comunicazione Imperfect. Tutti i diritti riservati.

Molto spesso, nella frenesia odierna, siamo portati a non calcolare i piccoli piaceri che le sensazioni ci offrono nel quotidiano procedere nella nostra vita, ad esempio, quando siamo sotto le coperte per riposare o dormire la nostra mente, non essendosi abituata al rilassamento, ci ricorda occasioni mancate, episodi sfortunati della giornata o, peggio, a sfortune che assillano il globo terrestre (fame, povertà, negligenza dei capi di governo, negligenza di capi vari) o piacéri che ormai abbiamo perso con l’accellerare dei tempi, lasciandoci il giusto tempo di capire se abbiamo completato la toeletta serale o abbiamo svolto le nostre mansioni.

Invece il letto può offrirci, nella sua spigolosa vetustà (3500 a.C. in poi) tra le sue coperte leggere estive o tra i caldi coltroni invernali nei quali ci avvolgiamo, piaceri che ormai, con la cella reale dei tempi, abbiamo ormai perso. Come abbiamo perso il piacere di viaggiare, il quale è diventato ormai impossibile per i costi, viste le disastrose condizioni dei mezzi pubblici e l’appena eccessivo costo di quelli privati e quasi nessun aiuto statale, e lo stato di alcune strade. 

Il paesaggio naturale (fatta qualche eccezione) è capace di lasciarci ancora a bocca aperta, se lo vediamo con occhi tranquilli e sereni e non con la fretta che caratterizza ogni spostamento che compiamo per lavoro o vacanza che sia.

Il quotidiano sta proprio laddove l’azione si ripete: lo svitare una penna, il passarsi la mano tra i capelli, l’allacciarsi le scarpe, mangiarsi un panino, lo svegliarsi la mattina e sentire l’odore di te aromatizzato alla vaniglia, lambire con i polpastrelli questo foglio (il testo è scritto in origine su cartaceo). Ed avvertire l’inchiostro nero che ha impresso la stampante sopra, solo una piccola parte di tutte quelle cose che facciamo senza pensare, avvertire, percepire, sentire la loro importanza; il cervello per mantenersi vivo e attivo ha bisogno di molti stimoli, di cui noi siamo da sempre alla ricerca (nelle emozioni forti o, peggio, nelle sostanze stimolanti (come caffè alcol fumo droghe pesanti e pesantissime, che molto spesso portano a conseguenze disastrose) che qualora abusate, ci distolgono  dal coltivare i valori che riteniamo essenziali per la nostra realizzazione.

Per raggiungere il piacere duraturo dovremmo essere ingenuamente sensibili, in pratica avvertire a mente serena l’ambiente che ci circonda ignorando dolore, sofferenza e tutto ciò che veniva considerato “male dell’anima” in modo tale da percepire ogni sfumatura delle modalità di approccio verso gli oggetti e provare piacere e soddisfazione da ciò. 

Questo, purtroppo non è consentito dei tempi che sono diventati troppo frenetici e che, per assurdo,  ci siamo imposti con il tempo e con l’invenzione degli orologi.

Per carità, il tempo è importante, ma siamo troppo spesso concentrati dal prima o dal dopo dei singoli momenti, attimi di rispetto al durante di questi, che costituisce la inverita la vera quotidianità del nostro placido vivere giornaliero.

Un “haiku (componimento giapponese di breve lunghezza:

Sua dolce linfa,

tu assapori foglia.

Sembra lumaca.

Epicureo wannabe, Frankliano in divenire, Francesco Affatato ha già pubblicato su LiberiDi Scrivere.com un altro testo, Scorrere,  ed una sorta di poesia (?), Fuori dagli schemi. Ha sensazione di essere multipotenziale, multiplo  di 12, e multiproteico alla ricerca di situazioni che lo assaporino per bene. Musicista, factotum,  casalingo e babysitter, laureato in Giurisprudenza e basta (!?). Si serve del congiuntivo, dell’ottativo e di tempi e modi di dire, fare, baciare, lettera e testamentocrea e produce idee since 1998 (lui è degli anni ‘90). Gianni Rodari, Nazìm Hîkmet, Roal Dahl, 

:: Nel modo in cui cadono le foglie di Simonetta Calosi (A Car Edizioni, 2024) a cura di Federica Belleri

13 ottobre 2024

Ho ricevuto dall’autrice il romanzo in omaggio e per me è stata una piacevole riscoperta, dopo i precedenti.

Riscoperta perché la mia città, Brescia, viene raccontata in maniera particolare.

Riscoperta, di nuovo, perché il protagonista dei libri di Simonetta è il commissario di polizia Pietro Orlandi, ritrovato con piacere dopo l’indagine precedente raccontata ne “Il mare all’incontrario”.

 Orlandi non è solo un commissario di stanza a Desenzano del Garda, è anche un uomo complicato, soggiogato dalla logica e dalle concretezza della vita. E  molto a disagio nel gestire le emozioni del presente e del suo sofferto passato. 

Ha un figlio adolescente che ha ritrovato da poco e una compagna restauratrice, Siria, dal quotidiano molto simile al suo. Lavoro, figlia liceale, le giornate da fare scorrere tra una corsa e un’altra ai piedi del Colle Cidneo di Brescia. La loro è una relazione da montagne russe …

Cosa ho trovato in questa storia? Una trama ben costruita, un paio di sotto trame da non sottovalutare, tanta ricchezza legata all’arte e alla complessità dei sentimenti. Ho trovato le vittime (sì , più di una)che hanno bisogno di giustizia, di una fine decorosa e di pace per riposare. E ancora le emozioni sprigionate dall’amore universale, che in alcuni casi divide e arriva all’odio.

Ho trovato la poesia, la musica e la bellezza di una Brescia autunnale, colorata ma umida, pulsante ma sonnacchiosa. Che bello ripercorrere le strade solcate dai personaggi, che bello rivedere il lago di Garda, che bello lasciarsi trasportare in Val di Ledro!

Insomma, una storia tutta da vivere, al di là del tono giallo.

Ve lo consiglio vivamente.

Buona lettura.

Simonetta Calosi: ha un’esperienza trentennale nel campo del restauro e dei beni culturali. L’amore per la scrittura l’ha portata a pubblicare due romanzi che da anni promuovo in librerie, biblioteche e fiere del libro, tra quest’ultime il Salone del libro di Torino.

:: Aurora di Marina Visentin (Laurana Editore 2024) a cura di Giulietta Iannone

12 ottobre 2024

Ma le ombre poi tornano. Tornano sempre. E diventa sempre più difficile far finta di non vederle.
Roberto continuava a dirle che l’amava, Gemma continuava a pensare che erano una coppia, nonostante tutto. Cercavano di passare del tempo insieme, ogni tanto a Milano, qualche volta in Val Cannobina, a turno, perché entrambi non volevano essere giudicati ingiusti.
Da un po’ avevano cominciato a essere infelici. Ma non avevano voglia di dirselo. Non ancora.

Sogni, incubi, ossessioni, fobie, di questo magma caotico e composito è fatto il noir Aurora di Marina Visentin edito da Laurana Editore nella collana Calibro 9, dedicata al giallo e al noir. Gemma ha un legame con Ofelia, il tragico personaggio shakespeariano morto annegato, a cui è dedicata una mostra nell’elegante galleria d’arte dove la protagonista lavora. Gemma ha un segreto, su cui ha costruito una vita perfetta, casa elegante nel cuore di Milano, lavoro prestigioso, fidanzato artista, ma di notte quando le difese si abbassano e il mondo onirico fa emergere il passato, ritornano ricordi, traumi insoluti.

Che cosa succede? Che diavolo sta succedendo? Qualcuno mi segue? Chi? Perché?
Qualcuno sa? Ha visto? Mi ha scoperto?
Davvero qualcuno può aver scoperto tutto?
No.
Non ha senso. Non ha alcun senso.

Tutto è in bilico, tutto scorre apparentemente in modo placido finchè un uomo entra nella vita di Gemma, prima chiede informazioni su di lei ai vicini e conoscenti, la pedina, la spia, la terrorizza, un uomo che si rivela essere un ex poliziotto, vittima anch’egli delle sue ossessioni. Gemma e Vittorio così si incontrano, per uno scambio di persona, si conoscono forse non così casualmente, e iniziano una relazione in un crescendo di angoscia e segreti taciuti che vogliono emergere.

La notte è una culla abitata dal vento, un incubo fatto di acqua scura. È la vita che si spegne, coscienza che sprofonda nell’incoscienza. Oblio e paura. Una bambina che affonda nell’oscurità. Piangendo.
Apro gli occhi. Vedo buio. Chiudo gli occhi. Non cambia nulla, vedo solo nero. Riapro gli occhi. C’è luce ora, un chiarore indistinto che avvolge ogni cosa come un bianco sudario.
È il bianco il colore della morte.

Riuscirà a salvarsi Gemma dalla spirale che sembra avvolgerla e trascinarla dove non vuole andare? Cosa nasconde il passato e soprattutto il minaccioso presente? Chi è Aurora, la piccola dolce Aurora che si chiamava come la principessa della Bella Addormentata? Queste sono le domande che scorrono nella mente del lettore mentre legge questo libro oscuro e inquietante, sorretto da una scrittura evocativa e onirica. Sarebbe piaciuto a Hitchcock per l’importanza dell’inconscio nella vita di una donna apparentemente forte e realizzata che nasconde le sue mille fragilità sotto una spessa scorza di razionalità e durezza e gravata da una minaccia esterna e interna. Una donna in pericolo che ci ricorda le tante donne in pericolo nella vita reale, dominate da meccanismi psicologici sempre uguali, la paura, il senso di colpa, l’incapacità di conquistarsi una reale autonomia, l’incapacità di costruirsi relazioni sentimentali sane, meccanismi che l’autrice indaga con sensibilità e acutezza.

Marina Visentin è nata a Novara, da oltre trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista e traduttrice, una laurea in filosofia e un passato da copy-writer, ha collaborato con varie testate scrivendo di cinema. Ha pubblicato saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia (Filosofia – Finalmente ho capito!, Vallardi, 2007), romanzi gialli e noir (Biancaneve, Todaro Editore, 2010; La donna nella pioggia, Piemme, 2017; Cuore di rabbia, Sem, 2021, Gli occhi della notte, Sem, 2023), il divertissement filosofico Raffasofia (Libreria Pienogiorno, 2021).

:: Profili d’autore: Pierre Lemaitre

11 ottobre 2024

Forse uno dei più interessanti, e amati dai lettori, scrittori d’oltralpe, Pierre Lemaitre si inserisce nella corrente degli autori di polar di qualità capaci di dare anche un’occhiata alla società francese contemporanea sia da un punto di vista sociologico che introspettivo. Nato a Parigi nel 1951, Pierre Lemaitre è un autore fortunato, vincitore di diversi premi e tradotto all’estero. Uno dei pochi scrittori francesi che viva della sua scrittura. Faccio qualche titolo la trilogia letteraria dedicata al periodo tra le due guerre Ci rivediamo lassù (Au revoir là-haut, 2013), I colori dell’incendio (Couleurs de l’incendie, 2018), Lo specchio delle nostre miserie (Miroir de nos peines, 2020) e la serie polar dedicata al commissario Camille Verhœven, ma forse è L’abito da sposo (Robe de marié, 2009) il libro per cui è più conosciuto in Italia. Se non li avete letti recuperateli, meritano sicuramente. Per capirci nel 2013 vinse il Goncourt proprio per Ci rivediamo lassù, e fu il primo autore di romanzi polar a ottenere il prestigioso riconoscimento. Lemaitre conosce alla perfezione i meccanismi del poliziesco e li applica con una certa disinvoltura ispirandosi forse anche a molta letteratura statunitense di thriller e di noir, ma alla francese, con come sfondo la società francese, molto diversa da quella statunitense, che indaga anche nelle sue pieghe più sinistre. E poi non scrive solo polar, anzi Il Serpente Maiscolo ha annunciato è il suo ultimo polar, ma anche romanzi picareschi e saggistica, oltre a scrivere sceneggiature per il cinema. Insomma se non lo conoscete ancora ognuno dei suoi libri è un ottimo consiglio di lettura.

:: Un’intervista con Cristina Pasqua e Alessandro Pera autori di “Forbici”

11 ottobre 2024

QM sono le risposte a quattromani.

Benvenuti Cristina e Alessandro su Liberi di scrivere. Grazie di avere accettato questa intervista. Inizierei con le presentazioni. Ognuno si presenti.

Cristina Pasqua: sono un’editor freelance, una redattrice, una correttrice di bozze. Non mi viene facile dire che sono una autrice, visto che ho pubblicato solo due raccolte di racconti, Diciassette (Odradek Edizioni, 2001) e, a distanza di oltre vent’anni, Fughe (pièdimosca, 2023). Oltre all’uscita di forasacchi (pièdimosca | glossa, 2024), una raccolta di microtesti, ho partecipato alle antologie multiperso (pièdimosca | glossa, 2022) e L’ordine sostituito (déclic, 2024). Credo che per definirsi scrittrice sia necessario essere letta e io penso di essere arrivata solo a uno sparuto gruppo di persone, agli amici. Sono un’appassionata di arte contemporanea e di fotografia, un’amante di cani abbandonati, una lettrice onnivora, mi piace camminare e lavorare a maglia, non ho la patente, detesto stendere lavatrici e ancora di più ritirare e piegare i panni.

Alessandro Pera: lavoro come operatore impegnato in percorsi educativi rivolti ai minori delle periferie romane. Sono attivo con la cooperativa Diversamente nelle scuole e nel territorio, proponendo soprattutto interventi di didattica innovativa e narrazioni didattiche. Nel 1999 ho pubblicato con Odradek Edizioni la raccolta di racconti Afa, tra i finalisti del premio Strega 2000, e nel 2014 In tempo di guerra e altri racconti con Lorusso Editore.

Siete gli autori a quattro mani di un romanzo Forbici edito da Lorusso editore. Descrivetemi il libro in modo personale e originale.

Come è stata l’esperienza di scrivere a quattro mani? Come avete proceduto?

Forbici lo possiamo definire un poliziesco, c’è un commissario, ma l’indagine procede in modo molto particolare. Come avete intrecciato i vari avvenimenti del presente e del passato?

Chi ha avuto l’idea di base, il soggetto iniziale?

Cristina Pasqua: Due teste, quattro mani. Forbici è nato da una nostra conversazione, nel lontano febbraio 2014, in coda alla presentazione di In tempo di guerra (Lorusso editore, 2014), raccolta di racconti di Alessandro. Era da un po’ che non ci vedevamo, è stata l’occasione per ritrovarci e l’iniziodi una sfida: riuscire a scrivere un romanzo. Ai tempi, praticavamo solo la forma breve, – a parte il mio avventato tentativo di trasformare in romanzo Carlotta dei miracoli, racconto cinematografico segnalato al Premio Solinas 2002. Ci siamo detti che provare a scrivere un romanzo di genere a quattro mani sarebbe stato divertente. Io, proprio in quel periodo stavo leggendo autori di romanzi di genere ‘seriali’, che seppur originali e molto diversi tra loro per personaggi e ambientazione, presentavano un curioso humus comune. Francisco Gonzalez Ledesma e il suo ispettore Méndez con le tasche delle giacche sempre sformate dai libri, il commissario Kostas Charitos di Petros Markaris, con la sua passione per i lemmi del vocabolario associati ai casi del momento; Lemaitre con il suo minuscolo commissario Camille Veroheven, praticamente un nano, figlio di una pittrice assassinata, che fa schizzi degli indagati durante gli interrogatori, ma anche, seppure di sguincio; il giornalista d’inchiesta Mikael Blomkvist creato dalla penna di Stieg Larsson. La cosa che ritrovavo in autori così diversi era l’ottica larga, non solo un giallo, non solo il genere, ma anche un’ analisi del contesto, un’ambientazione molto caratterizzata – le vie, le strade, i locali –, un protagonista con una passione particolare, una vena di critica sociale, a volte un taglio di sapore politico – penso alla Grecia dei Colonnelli dove Kostas era un questurino, al personaggio di Zisis per Markaris; all’interdizione e all’alienazione dei suoi beni di Lisbeth Salander di Blomkvist, all’interessante respiro politico di Ledesma.

Roma si può dire, o meglio il quartiere di Montesacro, è un “personaggio” importante del romanzo. È tutto nato da un luogo? Siete entrambi di Roma?

Quali sono i vostri autori preferiti? Chi vi ha principalmente ispirato?

Cristina Pasqua: Shirley Jackson, Irvine Welsh, Borges, Cortázar e Italo Calvino per formazione, Dino Buzzati. Anche Philip Roth e Vladimir Nabokov. Toni Morrison. E fra gli italiani Calvino e Buzzati.

Alessandro Pera: Per il libro Forbici Ledesma, Markaris, Lemaitre che abbiamo citato prima.

Ci sono derivazioni cinematografiche? Film o telefilm che vi hanno dato ispirazione?

Avevate già scritto testi a quattro mani?

Immaginatevi che una casa di produzione cinematografica ne compri i diritti. Avete carta bianca. Chi immaginate potrebbe essere il regista e quali attori vedreste nelle parti principali?

Grazie della disponibilità, nel salutarvi mi piacerebbe sapere quali sono i vostri progetti futuri.

Alessandro Pera: Anche io ho un libro nel cassetto, chissà…

:: Note di lettura di Patrizia Baglione: “L’altra verità: Diario di una diversa” di Alda Merini

10 ottobre 2024

L’altra verità: Diario di una diversa” è una delle opere più significative di Alda Merini, pubblicata per la prima volta nel 1986. In questa raccolta, la poetessa affronta il tema della diversità e della marginalità, condividendo la sua personale esperienza all’interno di un manicomio. 

La raccolta è composta da poesie che riflettono la sua vita interiore e le sue lotte, ma anche momenti di bellezza e speranza. Merini utilizza un linguaggio evocativo e immagini potenti per descrivere la sua esperienza di isolamento, ma anche la sua ricerca di amore e connessione.

Avevo fame di cose vere, 

naturali, primordiali; 

avevo fame di amore. 

L’avrebbero mai capito 

gli altri? 

Uno dei temi centrali è il confronto tra la normalità e la follia, con Merini che esplora le sfumature di queste esperienze. La poetessa si fa portavoce di chi vive ai margini della società, invitando il lettore a riflettere sulla condizione umana e sulla necessità di accettare tutto ciò che è diverso. Quest’opera, non è solo un resoconto della sua vita, ma anche un manifesto di libertà e autenticità. 

:: Forbici di Cristina Pasqua e Alessandro Pera (Lorusso Editore 2024) a cura di Giulietta Iannone

8 ottobre 2024

Quattro casi diversi, con quattro assassini diversi, che non hanno nessun legame tra loro, tranne di essere in qualche modo collegati a Montesacro. E poi c’è il tempo che, insieme allo spazio, forma le nostre categorie trascendentali, dove iscriviamo la realtà. Sì, ha ragione Kant, il tempo è importante, molto importante, è una forma a priori della nostra sensibilità, e qui ne passa troppo.

Roma, quartiere Montesacro, due gocce di pioggia e la città si blocca, come se ci fosse colla sull’asfalto. Il commissario Marcello De Falchi viene chiamato a indagare sulla morte di Flavio Zani, noto commercialista, con il vizio del gioco, indebitato fino agli occhi, inizia così Forbici, romanzo a quattro mani scritto da Cristina Pasqua e Alessandro Pera, edito da Lorusso Editore. Schegge di storie che si compongono in un puzzle variegato, che nelle intenzioni vorrebbero essere un affresco di una città, vitale, pulsante, fatta di vite complicate e interconnesse, in cui molte vicende si svolgono in un quartiere, simbolo di Roma, la città eterna, labirintica, famelica, gorgone che mangia se stessa. Scorrono le pagine e ci chiediamo quale è il filo conduttore della vicenda, cosa collega la morte di Zani ad altre morti e avvenimenti sepolti nel passato. C’è uno schema? Ci sono legami o tutto è in balia del caso, e il tempo assorbe le vite di vittime e assassini. Ma Marcello De Falchi è un commissario è il suo lavoro seguire piste, intrecciare indizi, interrogare testimoni, cercare di capire, anche carpendo suggerimenti investigativi dai colleghi. Quando il caso Zani sembra a un punto morto ecco una connessione con un vecchio caso, di una decina di anni prima, una donna venne uccisa durante una rapina e Zani era il commercialista di un piccolo impero di famiglia, cinque supermercati tra Roma, Aprilia, Casalotti. E poi un nuovo delitto in entrambi i casi, né pistole o armi da taglio, solo il ricorso alla forza fisica: a mani nude strangolano Zani, la potenza di un bastone per sferrare il colpo e sfasciare il cranio a Collina. C’è qualcosa che stona… E seguiamo le indagini, le coincidenze, gli indizi, i depistaggi in questo labirintico poliziesco denso e pieno di suspense come nella migliore scuola del giallo, con Roma sullo sfondo, le vie, i locali, i bistrot, il cielo che grava su un’umanità dolente con i propri problemi, i propri amori, la propria vita. Scrittura compatta, scorrevole, pur nella complessità della trama, suspense ben dosata per spingerti a chiederti che succede, c’è un unica mente sotto queste morti, un piano, dei complici tutto sotto gli occhi delle telecamere di sorveglianza, dei casamenti di uffici di una livida Roma postindustriale. Da leggere.

Cristina Pasqua ha pubblicato Diciassette (Odradek Edizioni, 2001), Fughe (pièdimosca, 2023) e forasacchi (pièdimosca, 2024). È presente nelle antologie multiperso (pièdimosca edizioni, glossa, 2022) e L’ordine sostituito (déclic edizioni, 2024). cinque è primo classificato nella sezione romanzi inediti del Premio Zeno 2022. Editor freelance, vive e lavora a Roma.

Alessandro Pera ha pubblicato Afa (Odradek Edizioni, 1999), finalista al premio Strega 2000, e In tempo di guerra e altri racconti (Lorusso, 2014). I suoi racconti sono presenti nelle antologie In ordine pubblico (Fahrenheit 451, 2005), Fragole e sangue e La rossa primavera (Edizioni Clandestine, 2007), Per sempre ragazzo (Marco Tropea editore, 2011) e Fuoco! (Red Star Press, 2018). Operatore socioculturale in percorsi educativi rivolti ai minori delle periferie romane.

:: La maestra del vetro di Tracy Chevalier (Neri Pozza 2024) a cura di Patrizia Debicke

7 ottobre 2024

Venezia e le isole che la circondano sembrano vivere fuori dal tempo. Attraversata dai suoi canali, la città sull’acqua, saldamente ancorata su pali di legno piantati nella laguna, presenta la sua splendida immagine in virtù di una statica ed eccezionale statica che pare immutabile dai secoli. Pur se solcato oggi anche da barche a motore, il tempo che scorre Venezia si direbbe diverso, come aduso a un ritmo più lento di quello che scorre nel resto del mondo, quasi fosse imprigionato dalla sua bellezza e unicità.
Caratteristica e celebrata ricchezza di Venezia è l’intrinseco splendore del vetro di Murano, lavorato nell’ isola che le sta davanti, dove da secoli consumati artefici riescono a far scaturire le loro straordinarie creazioni da sabbia, aria e fuoco. Un’isola, Murano, che pare quasi sotto il dominio della magia in grado di imprigionare e assoggettare a vita intere famiglie di abili vetrai come i Rosso.
E Tracy Chevalier, travalicando le barriere del tempo, ci accompagna nel mondo che narra la loro fiabesca epopea attraverso la figura di Orsola Rosso alla quale per questo libro si è voluto regalare le quattrocentesche sembianze e volto botticelliani di Una giovane donna oggi conservato a Francoforte presso lo Städelsches Kunstinstitut.
E nel primo capitolo del romanzo infatti siamo a Murano nel 1486. Pieno Rinascimento, con Venezia la Città d’Acqua, che domina i mari e, approfittando della sua posizione, è diventata il fulcro commerciale dell’Europa e del mondo fino ad allora conosciuto.
Come non pensare che resterà sempre ricca e potente? E proprio nel 1486, di ritorno da una visita alla nonna inferma, Orsola Rosso di appena nove anni che è finita nel canale, spinta dal fratello maggiore su invito o meglio preciso ordine della madre entrerà timorosamente nel grande e famoso laboratorio di vetreria dei Barovier sia per asciugarsi approfittando del calore della grande fornace , ma anche per guardarsi intorno …
E non appena avrà superato il cancello e il cortile, il mondo davanti agli occhi della bambina che avanza camminando sulla brina di schegge di vetro sparsa per il pavimento si trasformerà in un inimmaginabile caleidoscopio di colori e forme meravigliose. I suoi occhi potranno ammirare splendidi calici, vasi e lampadari ma ciò che la colpirà di più, prima di essere scoperta e allontanata perentoriamente come spia, sarà la figura di Marietta Barovier, la figlia femmina della famiglia. Là nella fornace Maria, che non si è mai sposata ed è o almeno pare l’unica donna in grado di imporsi in un lavoro solo maschile ed è diventata una delle rarissime maestre in quell’arte, sta lavorando a una canna particolare e multicolore per fabbricare le perle di vetro Alle donne infatti non è concesso fare altro…
I Rosso pur non all’altezza dei Barovier sono una famiglia di bravi vetrai, in grado di mantenere la loro fornace sempre accesa e condurre il loro laboratorio secondo una rigida gerarchia di artigiani che rispondono al maestro e ben affermata tra i clienti stranieri. Per volere del padrone tuttavia nonostante le velleità del figlio maggiore Marco, sono concentrati solo su una produzione ridotta ma di altissimo livello.
Ma quando Orsola avrà diciassette anni, la morte incidentale e improvvisa di suo padre, anche per l’inesperienza e presunzione dell’erede e figlio maggiore, non in grado di far funzionare al meglio la bottega, ridurrà la famiglia quasi in povertà, proprio Maria Baruvier la donna che otto anni prima l’aveva cacciata dalla vetreria, deciderà di aiutarla e le proporrà di fare le perle di vetro spiegando: «Ci sono due modi per fare le perle: tagliare le canne di vetro e modellare i pezzi o lavorarle una per volta sulla fiamma. Metti il vetro in cima a un’asticella di metallo e lo fai fondere, per poi dargli la forma che vuoi. Io non sono molto brava in questo, ma ho una cugina che ti può insegnare. Si chiama Elena Barovier e abita dietro San Pietro Martire. Domani sera vai da lei e chiedile di mostrarti come si fa. Mi pare di ricordare che abbia un lume in più. Le dirò di prestartelo».
Sarebbe un lavoro che Orsola potrebbe fare in casa…
Lei, conquistata dalle squisita bellezza di quelle perle, vorrà farlo. E anche se teme che una manciata di perle non possa bastare a pagare i debiti della vetreria Rosso, accetterà il consiglio e s’impegnerà strenuamente per imparare. Innamorandosi presto di quel lavoro. Il suo colore preferito sarà quello della laguna, verde ma con i riflessi azzurri del cielo, ciò nondimeno piano piano le sue perle acquisteranno tutte le possibili forme e colori perché è brava, la porteranno a cercare di prendere in mano il destino della sua famiglia. E tuttavia, nonostante la sua capacità di trattare il vetro, non potrà fare altro che le perle, all’inizio di nascosto, al lume della cucina, e in seguito apertamente, ma sempre in lotta con le abitudini e i pregiudizi della sua epoca .
Costringendola persino a battersi per essere riconosciuta come una vera artigiana, che cerca disperatamente di sfidare le dominanti convenzioni sociali.
Attraverso i secoli, Orsola sarà testimone di Venezia costretta ad adattarsi ai cambiamenti, mentre i suoi amatori continueranno ad arrivare, pur diversi nel tempo. Nel frattempo la sua arte si perfezionerà, le sue realizzazioni diventeranno speciali, in grado di proporre gocce rosso sangue per il décolleté di Giuseppina Bonaparte e perle nere e oro per la marchesa Casati.
Le sue creazioni viaggiano in tutto il mondo mentre dal laboratorio dei Rosso escono sempre nuovi ricercati capolavori. La famiglia cresce mentre Orsola conserva il ricordo di un impossibile amore : rammentato solo dall’arrivo, anno dopo anno, dalla Boemia a Murano, addirittura per secoli di perfetti delfini di vetro.
Eh sì, perché percorre ben sette secoli, la storia de La maestra del vetro scritta da Tracy Chevalier e tradotta da Massimo Ortelio, secoli in cui il mondo attorno a loro cambia completamente.
La laguna invece è sempre là immobile dall’inizio della storia con il Canal Grande a non più di mezz’ora di gondola da Murano quando a Orsola pareva quasi un paese lontano ed esotico.
Lei, nonostante le tante difficoltà e i contrasti del mercato, è riuscita a mantenere alto il nome dei Rosso dimostrando come talento e determinazione possono far superare ogni ostacolo. Nel corso del tempo fino ai nostri giorni i Rosso vedranno trionfi creativi e drammatiche sconfitte , grandi successi e imprevedibili disastri , ma Orsola saprà sempre risollevarsi e andare avanti forte e indistruttibile come la Città d’Acqua. L’ equilibrio economico dell’arte vetraia stenta a varcare i secoli, costretto a subire le esigenze degli acquirentia esibire la vocazione di generazioni, semplificandola in piccoli gadget per i turisti. Un necessario adattarsi per andare avanti ma sempre senza rinunciare all’iniziativa e all’incanto della creatività.
Ma mentre gli anni volano, trasformandosi in secoli sulla terraferma, su Murano e nella laguna le persone invecchiano appena : vivono un’altra dimensione pare , diversa, fatata?
Può essere difficile rendersi conto del passare del tempo, magari talvolta può apparire anche a noi passare più in fretta piuttosto che ad altri ? E se in luoghi magici, speciali come Murano e Venezia gli orologi si muovessero molto più lentamente ? E se gli artigiani della Città d’Acqua e dell’Isola di Vetro invecchiassero in un altro modo rispetto al resto del mondo?

Tracy Chevalier è autrice di 11 romanzi, incluso il bestseller internazionale LA RAGAZZA CON L’ORECCHINO DI PERLA, che ha venduto oltre 5 milioni di copie ed è stato trasformato in un film candidato all’Oscar con Scarlett Johansson e Colin Firth. Americana di nascita, britannica per geografia, vive tra Londra e il Dorset. Il suo ultimo romanzo è ambientato a Venezia e segue una famiglia di maestri vetrai nel corso di 5 secoli.

:: “Maria di Magdala. Peccatrice-discepola- apostola- mistica” di Rosanna Raffaelli Ghedina (Edizioni Segno 2024) a cura di Daniela Distefano

7 ottobre 2024

Maria di Magdala, con il suo carattere forte, passionale e impavido, all’ennesimo crollo sa guardarsi dentro e questa umiltà che si fa spazio nell’abbattere il più forte dei démoni che la possiedono, l’orgoglio, le permette l’ascolto della Parola. Non rinnega né distrugge tutte le componenti che avevano costruito le sue Tenebre, ma le volge al bene con la Fiducia in Dio, tenacemente spingendo la barca della sua vita verso l’Amore che salva. Ella ha saputo risorgere per sua volontà dal sepolcro del suo vizio, ha saputo strozzare Satana che la teneva schiava, e ha sfidato il mondo per il suo Salvatore. Per questo Gesù la sceglie perché Lo veda per prima, dopo Sua Madre, e le affida l’incarico di annunziare la Sua Risurrezione e la sua Ascensione, meritandosi così d’essere riconosciuta l’apostola degli apostoli. La grande redenta del Vangelo si impone con tutto il trasporto del suo appassionato temperamento, con l’impetuosità del suo carattere, con la virilità indomita del suo eroismo, svelando le tappe del suo Cammino a chi vuole cogliere il senso del percorso del ciclo teologico della Misericordia (penitenza e riconciliazione), utile anche per poter realizzare in noi l’eterno, sacro femminino. Il libro si rivolge quindi a tutti, non solo alle donne ma anche agli uomini. Con la legge dell’Amore, Maddalena trasforma l’eros, l’amore ripiegato su se stesso e sui propri piaceri e vizi, che l’aveva travolta nel buio della colpa, in àgape fraterna e poi in carità perfetta con l’aiuto e in comunione con Lui.

La grandezza di Maria di Betania, sorella di Lazzaro e di Marta, soprannominata Maria di Magdala o Maria Maddalena si fa Esempio e Riconoscenza imperituri. Ogni innamorato del Dio-Amore vive e metabolizza il processo di trascendenza: da peccatore a discepolo, quando fa scendere fino nel profondo del proprio cuore la Parola, che agisce sull’anima privandola dell’orgoglio e promettendogli di acquisire umiltà, conoscenza di sé. Maria Madalena ha fronteggiato con coraggio e sottomissione anche le critiche degli stessi apostoli, le accuse dei farisei e dei romani. Ha veramente incarnato lo spirito eletto della comprensione e della speranza di tutti i peccatori del popolo cristiano.

Gesù Cristo, il Maestro e Verbo divino, l’Uomo-Dio che è puro Amore e Misericordia infinita, nella sua Bontà immensa ha sollevato così in alto il pentimento per la salvezza dell’umanità fino a elevarlo al grado più eccelso possibile. A questo fine Egli ha messo sotto i nostri occhi due grandi esempi, uno nell’antico Testamento e uno nel Nuovo Testamento, quali modelli perfetti della riabilitazione dal peccato causata dalla penitenza: re David e Maria di Magdala (modello dell’amore penitente, modello della “parte migliore”, la contemplazione che dona all’animo lo splendido manto della Grazia).