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:: Un’intervista con Daniela Pareschi, autrice di STRANO per Il Barbagianni Editore, a cura di Giulietta Iannone

13 dicembre 2024

Benvenuta Daniela su Liberi di scrivere, e grazie per aver accettato questa intervista.
Parlaci di te, dei tuoi studi e del tuo percorso artistico.

Grazie a voi per l’invito. Il mio percorso artistico ha avuto un inizio abbastanza tradizionale, nel senso che ho sempre disegnato sin da piccola. Ho frequentato il liceo artistico e poi mi sono iscritta alla facoltà di Architettura di Genova. Più tardi, mi sono trasferita a Roma con l’intento di intraprendere la carriera di scenografa, un lavoro che ho svolto come art-director per 25 anni, soprattutto nel cinema. È un lavoro che ho amato moltissimo e che mi ha formato. Tuttavia, a un certo punto della mia vita, intorno ai 45 anni, sentivo il bisogno di esprimere una parte più concettuale della mia creatività. Ho quindi deciso di lasciare la scenografia per dedicarmi completamente all’illustrazione. Da allora, la mia pratica artistica si è ampliata e diversificata, ma l’intensità e la componente creativa rimangono sempre il filo conduttore.

Come ti sei avvicinata alla narrativa per l’infanzia?

Ho sempre amato l’illustrazione. Quando sono diventata madre, il mio interesse per la narrativa per l’infanzia è diventato più mirato, sia per quanto riguarda gli argomenti che la scelta stilistica.
Amo il potere dell’illustrazione come strumento di espressione, capace di arricchire la narrazione e di coinvolgere emotivamente i lettori. È stato naturale, quindi, provare a cimentarmi in questo campo.

Sei l’autrice di un bellissimo albo illustrato dal titolo STRANO per Il Barbagianni Editore, un libro per bambini dai 4 anni in su, di cui sei autrice sia dei testi che delle illustrazioni.
Come è nata l’idea di crearlo? Qual è stato il punto di partenza?

Amo molto la letteratura per bambini, soprattutto quella che unisce illustrazione e divulgazione.
Strano, invece racconta una storia. Il mio obiettivo era affrontare un tema importante, ma in modo semplice: il cambiamento di punto di vista e la libertà di non giudicare in modo definitivo una situazione. Volevo raccontare questa riflessione con parole semplici ma cariche di significato, per poterla rendere accessibile sia ai bambini che agli adulti.

Protagonista del libro è un bambino di nome Antonio, che un giorno esce di casa con un buffo cappello con le orecchie da orso. Ci vuole un certo coraggio per manifestare la propria individualità, e Antonio non verrà subito compreso, vero?

Esatto, Antonio è un bambino che esce di casa con un cappello davvero speciale, che esprime la sua personalità. Come accade spesso nella vita, ci vuole coraggio per mostrare la propria individualità. Inizialmente, Antonio non viene compreso, ma la sua forza sta nell’ascoltare senza lasciarsi abbattere dalle critiche, trovando una strada alternativa per farsi accettare, senza rinunciare alla propria unicità.

La storia è semplice, accessibile anche ai più piccoli, e porta con sé una morale, giusto?

Sì, la storia è semplice e adatta anche ai bambini più piccoli. La morale non è moralistica, ma piuttosto un invito a riflettere su come affrontare le difficoltà legate all’accettazione di sé e degli altri. È una riflessione che può essere utile anche agli adulti, poiché parla di una realtà che spesso ci sfugge: il giudizio immediato e il cambiamento di prospettiva.

Affronti tematiche molto attuali, ma sempre a misura di bambino. Quali difficoltà hai incontrato nella creazione del libro?

Le tematiche trattate sono sicuramente attuali, ma il mio obiettivo era renderle comprensibili per i più piccoli. La parte più complessa per me è stata la scrittura. Non sono una scrittrice di professione, quindi il mio limite era trovare le parole giuste, poche ma precise, per esprimere quello che volevo comunicare.

Il libro è stato notato anche all’estero, vero? In quali paesi?

Sì, STRANO è già stato tradotto in russo, e ci sono altri sviluppi in corso con alcuni paesi. È un libro piuttosto semplice da tradurre, che permette di superare le barriere linguistiche senza troppa difficoltà.

In questo albo sperimenti la tecnica del collage, utilizzando carte colorate, stoffe e texture bidimensionali. Come hai progettato il libro?

Il collage è stata una scelta molto importante per me. Avevo bisogno di uscire dalla mia zona di comfort, che è l’acrilico, e confrontarmi con una tecnica che mi permettesse di esplorare nuove modalità espressive. Il collage mi ha dato l’opportunità di esprimere una parte diversa della mia creatività, mettendo in campo competenze nuove e producendo effetti visivi inaspettati. È una tecnica che libera dalla paura del foglio bianco e permette di sperimentare senza ansia. È stato un processo stimolante e arricchente.

Grazie Daniela, come ultima domanda, quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho un progetto in cantiere che spero uscirà presto, sempre con Il Barbagianni. Si tratta di un libro a cui tengo molto, che ha avuto una gestazione lunga, ma finalmente siamo arrivati a un punto in cui abbiamo trovato la giusta chiave. Il libro parla dell’osservazione, intesa in senso ampio, esplorata attraverso il disegno.

:: Dedollarizzazione. Il declino della supremazia monetaria americana di Giacomo Gabellini (Diarkos Editore 2023) a cura di Giulietta Iannone

8 dicembre 2024

Capiterà al dollaro quello che successe alla sterlina un secolo fa? Sembra che il processo, seppure lento e con mille criticità, sia irreversibile e Giacomo Gabellini nel suo libro Dedollarizzazione Il declino della supremazia monetaria americana edito da ‎Diarkos Editore ce ne spiega in modo lucido e sistematico le ragioni sia storiche, che economiche, finanziarie e politiche alla base di questa “rivoluzione” che definisce uno spostamento strutturale del baricentro macroeconomico mondiale, evidenziando le ragioni geostrategiche che sussistono all’origine.

L’unipolarismo dominante degli anni ’90 che faceva degli Stati Uniti una potenza egemonica mondiale sembra definitivamente tramontato per ragioni complesse e difficilmente comprensibili senza un’analisi sistematica dei processi, ed eventualmente anche degli errori che sono stati commessi, alla base di molti cambiamenti in atto. Che gli Stati Uniti non rivestano più un ruolo egemonico è evidente essenzialmente per tre motivazioni: il consolidamento dei Brics, la creazione della New Development Bank e soprattutto l’avanzata della Cina come potenza globale al centro della geopolitica mondiale.

Ma non vorrei fare una recensione troppo specialistica, me ne riserverò di farla in altre sedi, mi limiterò a enunciare alcuni tratti salienti emersi dalla lettura di questo libro, complesso ma estremamente interessante soprattutto per chi ha anche i più elementari rudimenti di macroeconomia. Se il dollaro non scomparirà del tutto, sarebbe utopistico e irrazionale affermarlo, sicuramente subirà un ridimensionamento negli scambi commerciali, soprattutto da quando molti paesi emergenti ne hanno individuato la strumentalizzazione fatta dagli Stati Uniti a loro discapito e hanno cercato un’alternativa.

Che sia la moneta dei Brics, o il Yuan Renminbi cinese non è dato sapere, pochi economisti hanno la sfera di cristallo, ma quello che è certo questa alternativa è stata cercata e si continuerà a cercarla. Interessante il ruolo delle sanzioni esercitate dagli Stati Uniti che hanno spinto i paesi colpiti dagli effetti devastanti rilevati, (pensiamo al Venezuela, o peggio all’Iraq di Saddam Hussein), a trovare nuove soluzioni e spingendo per esempio paesi come la Russia ad allinearsi con Pechino e cambiare i criteri di valuta. Che la pressione esercitata attraverso dazi e sanzioni abbia generato la cosiddetta “geopolitica del caos” con la diffusione del disordine su scala globale per sopperire, è un altro dato enunciato, che si inserisce in una strategia non sempre capace di ripagare nei risultati non avendo certo ridato agli USA il ruolo che deteneva a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

A dare un’accelerazione al disallineamento e al processo di dedollarizzazione, prima della guerra in Ucraina, ha sicuramente influito la crisi del 2008 quando sulla scia dei fallimenti di Bear Stearns e Lehman Brothers, il sistema finanziario statunitense si trovava letteralmente sull’orlo del precipizio. Questa crisi sebbene sia stata in parte arginata, ha segnato il pericolo che possa ripetersi e questa volta con effetti ancora più devastanti minando alle basi quella sicurezza che fino allora aveva dettato le politiche monetarie.

Per quanto riguarda il disallineamento, fu per prima la Cina a manifestare i primi segnali di insofferenza, e Gabellini dà grande importanza e analizza nel dettaglio le politiche economiche intraprese da questo paese, già da tempo evidenziato dagli USA come il maggior competitor.

Molte altre sono le riflessioni che Gabellini porta avanti, alcune di grande acume pur appoggiandosi al lavoro di grandi economisti, seppur inserendo le varie tematiche in un discorso originale, indipendente e coeso. Ne invito la lettura per ampliare le vostre conoscenze, confidando che i punti di riflessione e le numerose informazioni contenute in questo testo vi aiutino a fare una vostra valutazione personale dei fatti e della storia. Introduzione di Flavio Piero Cuniberto. Prefazione di Jacques Sapir.

Giacomo Gabellini (1985) è saggista e ricercatore specializzato in questioni economiche e geopolitiche, con all’attivo collaborazioni con diverse testate sia italiane che straniere, tra cui il centro studi Osservatorio Globalizzazione e il quotidiano cinese «Global Times». È autore dei volumi Ucraina. Una guerra per procura (Arianna, 2016), Israele. Geopolitica di una piccola grande potenza (Arianna, 2017), Weltpolitik. La continuità politica, economica e strategica della Germania (goWare, 2019), Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense (Mimesis, 2021) e Dottrina Monroe. Il predominio statunitense sull’emisfero occidentale (Diarkos, 2022). Vive a Terre Roveresche (PU).

:: Green Stone. La vendetta di Alia di Fabrizio Borgio (Segretissimo Mondadori, 2024) a cura di Giulietta Iannone

28 novembre 2024

I nostri analisti temono un’escalation su due frontiere della Serbia: con il Kosovo verso sud e con la Bosnia sul lato occidentale. Una guerra nei Balcani si ritiene potrebbe essere uno sviluppo utile ai russi adesso che sono in una situazione di stallo parziale in Ucraina. Spostare la tensione nei Balcani darebbe loro modo di rinfocolare il fronte ucraino, estendendo un conflitto a bassa intensità per logorare Kiev.

Leone Nosenzo, nome in codice Greene Stone, atterra a Camp Butmir, presso Sarajevo, per una delicatissima missione vitale per gli equilibri geostrategici mondiali: raccogliere informazioni su un misterioso polo industriale e tecnologico in costruzione su iniziativa di una open joint-stock company straniera, con l’appoggio della FIPA, l’agenzia per la promozione degli investimenti stranieri di Bosnia ed Erzegovina, probabilmente per la fabbricazione di droni da impiegare per uso bellico. La questione è seria perchè AISE, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, teme un’escalation in Serbia e l’allargamento del conflitto ucraino nei Balcani è esattamente cosa i Russi vorrebbero per precipitare una situazione in stallo e distogliere l’opinione pubblica. La situazione naturalmente è più complessa e ramificata e trae origini da quello che successe a Srebrenica nel lontano luglio del 1995 e vide come testimone degli orrori perpetrati una ragazzina di tredici anni, oggi donna d’affari di successo, che ha pianificato per trent’anni una vendetta terribile e non ha scrupoli nel perseguire i suoi intenti anche a rischio di incendiare i Balcani. Ecco in breve la trama di Green Stone. La vendetta di Alia di Fabrizio Borgio, spystory militare edita con Segretissimo di novembre. Fabrizio Borgio, ex militare di professione con conoscenze specifiche di intelligence e vita militare, costruisce una storia drammaticamente credibile su dinamiche geostrategiche poco discusse, ma temute da molti analisti internazionali, su un probabile allargamento del conflitto in corso nell’Est Europa nei Balcani, i cui focolai di instabilità e tensione si trascinano dal dissolvimento dell’ex Jugoslavia, rendendolo uno dei punti caldi del pianeta. Partendo da questo Borgio costruisce una storia degna delle migliori spystory, dosando tensione, mistero e avventura senza tralasciare lo scavo psicologico dei personaggi. Borgio ha una penna felice e abilità tecniche e di costruzione di trame che l’accostano ai migliori scrittori di Segretissimo, con un’attenzione tutta italiana alla narrativa di genere e una sensibilità per l’attualità che permette di approfondire e analizzare le dinamiche in atto.

Fabrizio Borgio, classe 1968, ex militare, scrittore e sceneggiatore piemontese di narrativa di genere, con una predilezione per gialli, noir, horror e spy stories, vive a Costigliole d’Asti, a cavallo di Langhe e Monferrato, sulla cima di un bricco. Padre dell’agente speciale Stefano Drago (“Masche” e “La morte mormora” per la Frilli e “Il Settimino” per Acheron Books) e dell’investigatore privato Giorgio Martinengo le cui storie sono pubblicate dalla Fratelli Frilli Editore: “Vino rosso sangue”, “Asti cenere sepolte”, “Morte ad Asti”, “La ballata del re di Pietra”, “Panni sporchi per Martinengo” e “Il pittore di Langa”. Alcuni suoi libri hanno ricevuto riconoscimenti presso prestigiosi festival e concorsi tra i quali Giallo Garda con due menzioni speciali e il premio premio col Concorso eno-letterario Vermentino della Camera di Commercio di Sassari. Finalista al preimio Alan D. Altieri 2022.

Source: acquisto personale.

:: Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile di Nicola Vacca (Edizioni Qed, 2024) a cura di Giulietta Iannone

25 novembre 2024

Ci vuole una grande ostinazione
per essere liberi
nella prigione del mondo.
Perché libertà è amore
nonostante le catene dell’ordine costituito.

Chi ha amato la poesia dolente e sofferta di Fabrizio De Andrè troverà ristoro nella lettura della silloge Abbiamo tutti bisogno di un amico fragile di Nicola Vacca, Edizioni Qed, omaggio al poeta genovese a venticinque anni dalla scomparsa. Nicola Vacca è un poeta fuori dal coro, usa un linguaggio graffiante e incisivo per protestare contro un mondo, una società, in lento avanzato decadimento. Non ha paura di sporcarsi le mani, di usare parole forti, anarchiche, piene di rabbia e di giusto sgomento. Ci vuole coraggio a immergersi nel magma del suo “fare poesia” senza filtri, compiacimento, rassicuranti illusioni. Vacca scoperchia il calderone dell’ipocrisia con tagli netti, chirurgici, che a volte fanno male, e lo fa per guarire, per scuotere le coscienze, per risvegliare le anime di chi da troppo tempo è assonnato o inerte. Leggere le poesie di Nicola Vacca è sempre un’esperienza catartica, rivoluzionaria, che può turbare anche nel profondo. Scrivo queste righe a fatica con la morte nel cuore, è appena morto un amico, e sto cercando di reagire, di andare avanti, di superare l’angoscia che provo, Nicola Vacca mi perdonerà se questo commento sarà breve, ha sempre tanto rispetto e stima da mandarmi ogni suo nuovo libro per sapere il mio parere e non voglio deluderlo neanche questa volta. Oltre alle poesie da leggere in conclusione la postfazione vibrante dedicata a Fabrizio De André Il nostro Faber – La vibrante protesta di Faber il poeta. Da segnalare i disegni di Mauro Trotta.

Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle, nel 1963, laureato in giurisprudenza. È  scrittore, opinionista, critico letterario,  collabora alle pagine culturali  di quotidiani e riviste. Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale, organizzando presentazioni ed eventi legati al mondo della poesia contemporanea. Dirige la riviata blog Zona di disagio. Ha  pubblicato: Nel bene e nel male (Schena,1994), Frutto della passione (Manni 2000), La grazia di un pensiero (prefazione di Paolo Ruffilli, Pellicani, 2002), Serena musica segreta (Manni, 2003), Civiltà delle anime (Book editore, 2004),  Incursioni nell’apparenza (prefazione di Sergio Zavoli Manni 2006), Ti ho dato tutte le stagioni (prefazione di Antonio Debenedetti, Manni 2007Frecce e pugnali (prefazione di Giordano Bruno Guerri, Edizioni Il Foglio 2008) Esperienza  degli affanni (Edizioni il Foglio 2009), con Carlo Gambescia il pamphlet A destra per caso (Edizioni Il Foglio 2010), Serena felicità nell’istante (prefazione di Paolo Ruffilli, Edizioni Il Foglio 2010),  Almeno un grammo di salvezza (Edizioni Il Foglio, 2011), Mattanza dell’incanto  ( prefazione di Gian Ruggero Manzoni Marco Saya edizioni 2013), Sguardi dal Novecento (Galaad edizioni 2014) Luce nera (Marco Saya edizioni 2015, Premio Camaiore 2016), Vite colme di versi (Galaad edizioni 2016), Commedia Ubriaca (Marco Saya 2017), Lettere a Cioran (Galaad edizioni 2017), Tutti i nomi di un padre (L’ArgoLibro editore 2019), Non dare la corda ai giocattoli (Marco Saya edizioni 2019), Arrivano parole dal jazz (Oltre edizioni 2020).

Source: libro inviato dall’editore.

:: Charlie nella foresta di Chiara Lossani, illustrazioni di Maria Cristina Bet (Storiedichi Edizioni 2024) a cura di Giulietta Iannone

17 novembre 2024

Bell’albo illustrato dalla copertina cartonata e dal sapore ambientalista, Charlie nella foresta di Chiara Lossani ci narra le avventure di Charlie e del suo cane Milo che un giorno si avventurano nella foresta degli abeti bianchi vicino casa e il bambino vincendo le sue paure, in un percorso di crescita, per seguire un pallone, entra in contatto con la natura: gli animali, gli alberi, gli eventi atmosferici e torna a casa con un cucciolo di lupo. Le illustrazioni sono deliziose, realizzate interamente a mano con tecnica mista acquarello-pastelli dalla talentuosa disegnatrice Maria Cristina Bet, che il bambino può copiare giocando coi pastelli. Inoltre il libro, di grande formato, si presta alla lettura ad alta voce e vengono suggeriti laboratori artistici da svolgere con materiali naturali, pigne, foglie, sassi, fiori e sottofondo di rumori della foresta per una lettura interattiva e arricchente. L’età indicata di lettura è dai 5 anni in su. Della stessa illustratrice Buon volo, ape Regina, (Storiedichi Edizioni 2023).

Chiara Lossani Milanese, già direttrice di due biblioteche della provincia di Milano e fondatrice della Biblioteca delle Storie Infinite, a Trezzano sul Naviglio, pubblica da molti anni in Italia e all’estero. I suoi libri illustrati raccontano antiche fiabe, miti e la vita e le passioni di grandi artisti, come Van Gogh (pubblicato in 14 lingue), Frida Kahlo, Vermeer, Michelangelo, Dalì (Arka Edizioni). Nei suoi romanzi storia e arte vengono narrate attraverso le vicende parallele di ragazzi che incontrano donne e uomini che hanno avuto il coraggio di cambiare, primo fra tutti Gandhi (Edizioni San Paolo). Due volte White Ravens con il romanzo Stregata da un pitone (Giunti editore) e l’albo illustrato Vincent van Gogh e i colori del vento (Arka Edizioni), premi e riconoscimenti anche internazionali hanno qualificato il suo lavoro.

Maria Cristina Bet Vive a Vittorio Veneto (Treviso). Negli anni Novanta ha seguito i primi corsi estivi del maestro Štěpán Zavřel, fondatore della Scuola Internazionale di Illustrazione di Sarmede, e ha proseguito nella formazione partecipando ai corsi di Arcadio Lobato, Svjetlan Junakovic, Gabriel Pacheco, Anna Castagnoli e Giovanni Manna. Per Storiedichi Edizioni, ha realizzato le illustrazioni del suo albo di esordio, Buon volo, ape Regina, scritto da Monica Colli e Alessandro Volo.

Source: albo inviato dall’editore. Ringraziamo Francesca Tamberlani di LaChicca Ufficio Stampa Specializzato in libri per bambini e ragazzi.

:: Un’intervista con Giorgio Ballario, autore de “L’equivoco del sangue” a cura di Giulietta Iannone

10 novembre 2024

Grazie Giorgio per avere accettato questa mia nuova intervista e bentornato su Liberi di scrivere. È appena uscito il settimo episodio della serie Morosini, intitolato L’equivoco del sangue, vuoi spiegarci il titolo a cosa si riferisce?

Grazie a te per lo spazio e la disponibilità. Il titolo prende spunto dal sangue di un delitto, ovviamente, ma anche da un tema che percorre l’intero romanzo, cioè le conseguenze, spesso negative, talvolta anche drammatiche, delle relazioni fra coloni italiani e donne indigene, in Eritrea come nelle altre colonie. Relazioni dalle quali potevano nascere figli che erano per l’appunto “mezzosangue” e poiché erano frutto di unioni clandestine non avevano gli stessi diritti degli altri bambini.

Siamo nel dicembre del 1937, ad Asmara viene aggredita e uccisa per strada la domestica di un’importante famiglia di coloni italiani, di origine piemontese e valdese. Così Morosini viene richiamato dalla sua licenza a Massaua per indagare sempre in compagnia del maresciallo Barbagallo e dello scium-basci Tesfaghì. Sarà un’indagine complessa con parecchie diramazioni. Importante indizio le impronte lasciate vicino al corpo della donna, vero?

Le impronte sono un indizio importante, ma siccome le indagini scientifiche all’epoca erano poco diffuse saranno altri elementi a mettere Morosini sulla strada giusta. Ma solo alla fine del romanzo, perché prima, a lungo, lui e i suoi collaboratori brancolano nel buio.

Puoi parlarci dei fatti riguardanti Debra Libanòs, una pagina davvero molto buia della nostra presenza in Etiopia, e quasi del tutto dimenticata.

È un brutto episodio della nostra storia coloniale avvenuto nel maggio del 1937. Non fa parte di questo romanzo ma compariva meglio in uno precedente della serie: dopo l’attentato dei Giovani Etiopi contro il vicerè Graziani di pochi mesi prima, nel quale il generale rimase ferito e ci furono alcuni morti, le forze militari italiane diedero il via a una repressione molto violenta dei “ribelli” etiopi, che culminò appunto nel massacro di Debra Libanòs. Decine di guerriglieri etiopi avevano trovato rifugio nel monastero copto e l’esercito italiano, dopo averlo accerchiato e conquistato con l’ausilio degli ascari somali e libici e di collaborazionisti etiopi di etnia Galla, fucilò sia i guerriglieri, sia centinaia di monaci considerati complici.

A seguito di questi sanguinosi fatti Graziani venne richiamato in Italia e il duca d’Aosta prese il suo posto come viceré, forse anche su pressione della chiesa copta. Nel tuo libro parli anche del coinvolgimento di missionari svedesi nel sostegno ai ribelli. In che misura anche i religiosi divennero strumento politico dei rispettivi governi? Ti sei fatto un’idea in proposito.

Non so se ci furono pressioni della Chiesa copta, non credo avesse la forza di farlo. Di certo c’era la volontà di ricostruire un sistema di relazioni più amichevoli con i copti e con le etnie etiopi che erano meno ostili all’occupazione italiana. E poi lo stesso Graziani aveva parecchi nemici “interni”, credo che lo stesso Mussolini lo considerasse adatto per operazioni belliche ma meno per governare.

In cosa consisteva la pratica del “madamato”, ed era così diffusa nella struttura sociale coloniale in Eritrea?

Il madamato era la consuetudine del concubinaggio, cioè della convivenza più o meno regolare tra un colono e una donna locale, una relazione non soltanto sessuale ma anche affettiva che spesso sfociava nella nascita di vere e proprie famiglie che però non erano unite dal vincolo del matrimonio.

Che libri o film ti hanno ispirato nella stesura del libro?

Non c’è stata nessuna ispirazione particolare che ha influenzato questo romanzo, almeno in modo esplicito. Poi è ovvio che tutto ciò che ho letto e guardato riguardo l’esperienza coloniale ritorna qui, come negli altri libri.

Sembra che un nuovo personaggio femminile abbia fatto capolino nel libro, la vedova Caterina. Prevedi uno sviluppo in questo senso o resterà un evento isolato della sua vita? Magari Erika o Lucilla sono donne più adatte ad alleviare la solitudine di Morosini?

Mai dire mai, però non credo che Caterina abbia le caratteristiche giuste per rappresentare una presenza fissa nel futuro di Morosini. Quanto a Erika e Lucilla, compaiono già da parecchi episodi e prima o poi bisognerà capire che cosa sarà di loro.

Ami inserire nelle tue storie personaggi storici realmente esistiti, in questo episodio è la volta di Comisso, giornalista e scrittore, vuoi farci un breve accenno a questo personaggio?

Giovanni Comisso è uno scrittore veneto ormai un po’ dimenticato (anche se adesso La Nave di Teseo sta ripubblicando alcuni suoi romanzi) che conobbe fama e successo negli anni Cinquanta e Sessanta. Ma aveva iniziato molto prima, con buoni risultati, tant’è vero che quando incontra Morosini in “L’equivoco del sangue” è già un autore affermato e collabora con importanti quotidiani italiani. In questo caso, ed è ovviamente tutto vero, si trovava in Eritrea per conto della Gazzetta del Popolo. Dopo l’esperienza nella Grande Guerra era stato volontario a Fiume con D’Annunzio e aveva visto di buon occhio l’ascesa del fascismo, ma verso la fine degli anni Trenta era ormai deluso dall’esperienza politica e in parte censurato perché accusato di aver scritto un libro “disfattista” sulla prima Guerra Mondiale.

A parte Lucarelli, e Cellamare, ancora pochi scrittori di narrativa trattano nei loro libri di tematiche legate al colonialismo in Africa e all’avventura coloniale italiana in genere. Passano gli anni è la tua serie resta ancora quasi un unicum nel panorama letterario nazionale. Da un certo punto di vista ti permette maggiore libertà e originalità, da un altro è sempre un segno di trascuratezza culturale. Pensi ci siano alcuni segnali che le cose cambieranno?

C’è stato anche qualcun altro che si è cimentato con il fenomeno coloniale, penso a Davide Longo con “Mattino a Irgalem” (che è più un libro sulla guerra, però), a Enrico Brizzi con il suo ucronico “L’inattesa piega degli eventi” e al romanzo storico “I fantasmi dell’impero” di Dodero, Panella e Consentino. E poi il capostipite, Ennio Flaiano con il capolavoro “Tempo di uccidere”, che però è un libro del 1947 ed è quasi autobiografico, perché lui stesso combatté in Abissinia. Per il resto è vero, il fenomeno coloniale ha prodotto poca letteratura ed è un peccato.

Hai avuto modo di presentare all’estero la serie? In che paesi preferiresti che venisse tradotto e distribuito? Ci sono novità in tal senso?

Purtroppo no, lo scorso anno è stato tradotto in Spagna un romanzo della serie contemporanea del detective Hector Perazzo, ma nulla più. Forse Morosini e l’ambientazione coloniale è troppo legata alla storia italiana, anche se penso che uno straniero la potrebbe comunque leggere come un’affascinante saga poliziesca ambientata in un luogo esotico.

Sei già all’opera per l’ottavo episodio del maggiore Morosini, puoi anticiparci qualcosa?

No, non ho ancora neppure l’idea. Nei prossimi mesi voglio dedicarmi alla promozione di questo romanzo, appena uscito, e a concludere un nuovo capitolo della serie di Hector. Poi vedremo, di solito faccio passare un paio d’anni prima di tornare in libreria con Morosini, quindi ne potremo riparlare nel 2026.

:: L’equivoco del sangue di Giorgio Ballario (Edizioni del Capricorno, 2024) a cura di Giulietta Iannone

1 novembre 2024

E così la saga coloniale del maggiore Morosini in forze al PAI, del raffinato giornalista e scrittore torinese Giorgio Ballario, giunge al settimo episodio. Dopo Morire è un attimo, Una donna di troppo, Le rose di Axum, Le nebbie di Massaua, Intrigo ad Asmara e Il prezzo dell’onore, è appena uscito per Edizioni del Capricorno L’equivoco del sangue, nuova indagine nell’Africa coloniale italiana. Siamo ormai nel Dicembre del 1937, dopo una breve licenza nell’afosa Massaua, dove ha avuto modo di conoscere una giovane vedova, la signora Caterina, che potrà occupare forse un posto nel suo cuore, Aldo Morosini torna ad Asmara per indagare sulla morte di una domestica eritrea, Samya, a servizio da una potente famiglia di coloni locali italiani, i Bouchard, di ascendenza piemontese e valdese. Sul tardi mentre tornava da una chiesa copta dove era andata a pregare, la donna, in un vicolo, venne prima pugnalata e poi sgozzata (come un capretto), inscenando un goffo tentativo di stupro, con molte probabilità per sviare le indagini. Quando un’altra morte, questa volta eccellente, quella della capofamiglia Maria Elena Bouchard, viene a complicare lo scenario, Morosini, insieme ai fedeli Barbagallo e Tesfaghì, si trova a supporre che i decessi siano collegati e che per far luce sulla verità bisogna indagare più a fondo sui misteri e i complicati segreti famigliari della famiglia Bouchard. In un contesto in cui il “madamato”, una pratica che sfrutta le donne indigene in relazioni diseguali e spesso abusive, riducendole a meri strumenti di soddisfazione dei bisogni dei coloni, e riflette la mercificazione delle relazioni umane, è all’ordine del giorno, Morosini si trova costretto ad avere a che fare con le conseguenze di tali dinamiche sociali. Nonostante le proibizioni del regime fascista, più che altro per preservare la purezza della “razza” secondo i suoi dettami ideologici, le relazioni tra i coloni italiani e le donne indigene sono tollerate seppure queste famiglie alternative generando figli non sempre riconosciuti potevano determinare tensioni morali, economiche e affettive capaci di scadere nel dramma. Ballario sotto l’apparenza di una trama poliziesca ben congegnata indaga la complessità di queste relazioni coloniali segnate da profonde diseguaglianze e dinamiche di sfruttamento e sebbene non approfondisca i danni del colonialismo, riflettendo i punti di vista dei personaggi che lo vivono, offre un accurato quadro d’epoca, denso di particolari anche inediti e ben documentati. La scrittura di Ballario è classica, ariosa, molto salgariana, ricca di termini specifici, vie storiche, usanze, cibi, musiche e film d’epoca (Aldo e Caterina vanno al cinema Eritreo a vedere un film di Camerini, Il signor Max, con De Sica e Assia Noris, vincitore della Coppa del Ministero della Cultura Popolare per la migliore regia italiana). Grande il lavoro di ricerca e di ricostruzione sociale e politica di un periodo storico ancora poco conosciuto e approfondito. Ballario con tocco leggero, venato di umorismo sebbene segnato da profonda malinconia di fondo come si addice a un noir, indaga su vizi e virtù di un mondo scomparso ma ancora vitale e variegato che ha segnato, anche drammaticamente, la nostra storia recente. In conclusione, “L’equivoco del sangue” non è solo un giallo avvincente, ma anche un’opera che invita a riflettere sulle complesse relazioni coloniali e sulle loro inevitabili conseguenze. Consiglio vivamente questo libro a chiunque sia interessato a una narrazione che unisce intrigo e riflessione sociale, offrendo uno spaccato affascinante di un’epoca e di un contesto spesso trascurati dalla narrativa contemporanea italiana. Fatte le debite eccezioni, mi riferisco per esempio a Lucarelli, o a Cellamare di cui segnalo il suo “Delitto a Dogali”.

Giorgio Ballario, è nato a Torino nel 1964, è giornalista e ha lavorato a La Stampa. Ha pubblicato racconti in svariate antologie giallo-noir, tra cui, per Edizioni del Capricorno, Porta Palazzo in noir (2016) e Il Po in noir (2017), e sei romanzi:  tra cui Morire è un attimo (2008), Una donna di troppo (2009), Le rose di Axum (2010), tutti appartenenti al ciclo del maggiore Morosini; Nero Tav (2013) e, per Edizioni del Capricorno, Il destino dell’avvoltoio (2017). Nel 2010 ha vinto con Morire è un attimo il Premio Archè Anguillara Sabazia e nel 2013 il Premio GialloLatino con il racconto Dos gardenias, pubblicato da Segretissimo Mondadori. Con Vita spericolata di Albert Spaggiari, biografia di un famoso ladro francese degli anni Settanta (2016), è stato finalista al Premio Acqui Storia. Fuori dal coro (2017) è una galleria di personaggi irregolari e controcorrente del Novecento. Dal 2014 è presidente di Torinoir, sodalizio di scrittori torinesi malati di noir.

:: Giochi d’infanzia di Tanizaki Jun’ichiro, a cura di Luisa Bienati (Marsilio, 2024) a cura di Giulietta Iannone

25 ottobre 2024

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento il Giappone, aprendosi all’Occidente, iniziò un profondo processo culturale, politico e sociale teso alla modernizzazione e industrializzazione del paese. Questo rinnovamento, sempre nel rispetto delle radici culturali tradizionali, portò a una revisione dei processi educativi e della formazione di genere che di per sè avrebbe dovuto formare ed educare una nuova società di cittadini consapevoli e integrati in una struttura sociale complessa e variegata come era la società giapponese. L’importanza dei sistemi educativi, il maestro portava in classe ancora verghe di vimini e l’educazione si basava su meccanismi di premi e punizioni, è dunque ben evidenziata dalla diffusione di un genere letterario che ha per tema l’infanzia e l’adolescenza, i cosiddetti shonen momo (storie per bambini). In questo genere letterario specifico si colloca “Giochi di infanzia” di Tanizaki Jun’ichiro, edito nella collana Letteratura universale di Marsilio. Il testo comprende due racconti di Tanizaki: Shōnen (Adolescenti, 1911) e Chiisana ōkoku (Il piccolo regno, 1918) e un’interessante e corposa prefazione di Luisa Bienati, che ne ha curato anche la traduzione dal giapponse, oltre a un capitolo specifico sulla vita e le opere di Tanizaki, e un glossario finale. C’è da aggiungere che il testo è stato sottoposto a un comitato scientifico. Tanizaki è considerato uno dei più autorevoli e importanti scrittori della letteratura giapponese moderna, famoso per opere come La chiave, Diario di un vecchio pazzo, La croce buddista, tutte opere giunte in Occidente con grande clamore, data soprattutto la modernità, e la libertà con cui Tanizaki ha preservato la sua identità culturale in un contesto di rapidi cambiamenti della società giapponese del XX secolo. Il piccolo regno narra la vicenda umana ed educativa di un maestro elementare alle prese con una classe dominata da un alunno Numakura Shokichi, un ragazzo corpulento, le spalle grosse e rotonde, il viso quadrato dal colorito scuro, la nuca grossa, lo sguardo malinconico, una figura carismatica, dalla forte vocazione di leader, capace di contendere l’autorità anche al maestro coinvolto nei loro giochi infantili per l’affermazione di sè. Profondo lo scavo psicologico e lo studio della dinamica di interazione tra i personaggi a cui si alternano descrizioni della natura poetiche e affascinanti. Sempre di giochi infantili tratta Adolescenti, il secondo racconto, in cui la figura di Mitsuko sovrasta la narrazione e sovverte le regole tradizionali patriarcali in cui era la figura femminile in posizione di sudditanza e inferiorità, qui prende il sopravvento sui compagni di gioco maschi e alla fine ne fa i suoi schiavi. Non senza tracce di crudeltà i giochi infantili non riflettono un mondo di innocenza gentilezza, ma anzi di sopraffazione e lotta per ottenere l’ubbidienza e il dominio. Tanizaki spesso presenta, come in quest’opera, personaggi femminili forti che sfidano le aspettative di genere e affermano la loro identità oltre ai confini imposti dal patriarcato. Questi personaggi utilizzano il gioco e la finzione per affermare il loro potere e riscrivendo le dinamiche tradizionali che legano i rapporti tra uomini e donne mettono in discussione le strutture di potere esistenti in una sorta di protofemminismo del tutto originale e anomalo per la società del tempo. Oltre al valore letterario intrinseco questi racconti sono indubbiamente interessanti come testimonianza e forma di riscatto.

Junichiro Tanizaki, nato a Tokyo nel 1886 e morto nella città di Yugawara (prefettura di Kanagawa) nel 1965, si formò come scrittore a cavallo tra Ottocento e Novecento. Sconvolse il pubblico, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, per via della modernità dei suoi romanzi.
Tra le sue opere: L’amore di uno sciocco (1924 / Bompiani 2000), Vita segreta del signore di Bushu (1932 / Bompiani 2000), Libro d’ombra (1933 / Bompiani 2000), Neve sottile (1948 / Guanda 2009), Diario di un vecchio pazzo (1962 / Bompiani 2009), Morbose fantasie (Einaudi 2003), Nostalgia della madre (Einaudi 2004), Il demone (Einaudi 2010), Sulla maestria (Adelphi 2014).

:: Un’intervista con Marina Visentin, autrice di Aurora a cura di Giulietta Iannone

24 ottobre 2024

Benvenuta Marina su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa intervista. Giornalista, traduttrice, scrittrice, parlaci di te, dei tuoi studi, del tuo lavoro.

Non è semplice da sintetizzare la mia vita lavorativa. Ho studiato da filosofa e quello volevo fare da grande, invece mi sono ritrovata a fare la copy-writer in un’agenzia di pubblicità, non mi piaceva e mi sono messa a fare la giornalista. La cronaca mi stava stretta, ho pensato bene di lanciarmi nel mare tempestoso della critica cinematografica. Le parole mi sono sempre piaciute e quindi ogni tanto mi sono anche divertita a tradurle da una lingua all’altra. I romanzi sono venuti alla fine, dopo una lunga strada lastricata di saggistica, tra cinema e filosofia, ma mi hanno dato tra l’altro la possibilità di far rivivere il vecchio e mai dimenticato amore per le sfumature nere della cronaca e della storia.

Hai da poco pubblicato Aurora, un ottimo noir nella collana Calibro 9 di Laurana Editore. Ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

La prima idea è nata da uno spunto autobiografico: uno spavento che davvero ho provato alcuni anni fa. D’improvviso, senza alcuna ragione, avevo scoperto che qualcuno mi stava seguendo, prendeva informazioni su di me, mi sorvegliava. Per alcune settimane mi ero sentita vulnerabile, inspiegabilmente sottoposta a un controllo misterioso e inquietante. Come era iniziata, in modo altrettanto repentino, questa esperienza è finita. Non ho mai saputo a cosa fosse dovuta, probabilmente a uno scambio di persona. Da questa sensazione di minaccia, tanto inafferrabile quanto allarmante, è nato il primo nucleo di Aurora, che si è poi arricchito della mia passione per l’arte contemporanea e del mio desiderio di scrivere. Per raccontare delle storie, certo, ma anche e soprattutto per dare voce alle donne, alle loro paure, ai loro desideri, alle loro fragilità, alla loro forza, nonostante tutto.

Partiamo dall’ambientazione, una Milano invernale, grigia, fredda, con puntate al lago e a Venezia. Uno scenario malinconico, triste, come hai definito i contorni nelle cose, degli ambienti?

La vera protagonista di Aurora è l’acqua: acqua che ti avvolge, acqua che ti sommerge, acqua di cui avere paura. Acqua trasparente e al tempo stesso torbida. L’acqua di cui Gemma, la protagonista del romanzo, ha paura. Per un motivo ben preciso, che si ricollega al suo passato, a un evento traumatico che ha tentato di seppellire nel profondo della sua coscienza, ma che ogni notte ritorna sotto forma di incubo. Il lago Maggiore e Venezia sono i due scenari che ho scelto proprio per raccontare l’acqua nella sua dimensione calma – il lago, la laguna – e al tempo stesso minacciosa. E poi c’è Milano, ancora e sempre, la mia città, amata e detestata. E ho scelto di raccontarla in inverno, nelle giornate più corte dell’anno, perché proprio il buio è la dimensione che più di altre può descrivere la paura, il disagio, la vulnerabilità.

Gemma è la protagonista, una donna apparentemente forte, realizzata, anche benestante ma con un segreto che teme che tutti possano scoprire. Come hai costruito questo grumo nero di male, nel cuore di un personaggio per certi versi solare?

In qualche modo ho fatto appello all’ambivalenza che abita tante donne: forti, fortissime, capaci di affrontare a testa alta prove di ogni genere e però intimamente fragili, bisognose di sostegno, incapaci di emanciparsi davvero da una profonda sensazione di inadeguatezza. L’idea del segreto da nascondere nasce proprio da questa esperienza condivisa da tante donne: un senso di colpa che nasce prima di tutto dalla sensazione di essere deboli, dalla paura di non essere veramente all’altezza.

La protagonista è una donna forte, razionale, ma nei sogni torna al passato, alla fobia per l’acqua, a un senso di colpa che non l’abbandona. Molto freudiano non trovi? Quanto incide la psicanalisi nel tuo narrato?

Grazie di avermi fatto questa domanda! La dimensione psicologica per me è fondamentale. Più dell’intreccio mi interessano i personaggi, la verità delle relazioni che intrattengono con gli altri, con il mondo circostante. Gemma, la protagonista del mio romanzo, rivive ogni notte – negli incubi che turbano il suo sonno – un evento traumatico che ha segnato la sua vita, che ha costruito la sua personalità all’insegna della paura. Paura che si è cristallizzata in una sorta di corazza che serve a tenere a distanza il mondo, oltre che nel tentativo di rimuovere dalla coscienza tutto ciò che può infastidire e mettere in crisi. Quindi, sì, per rispondere alla tua domanda, direi che la psicoanalisi e in generale gli studi di psicologia hanno – hanno sempre avuto – un notevole influsso sulle mie riflessioni e quindi sulla mia scrittura.

Per un malinteso, non sto a spiegare cosa succede, incontra Vittorio. Ci vuoi parlare di questo personaggio?

Non vorrei parlarne troppo, perché non vorrei svelare troppo della trama a chi ci legge. Però mi sembra importante dire che Vittorio è un personaggio tridimensionale. Può sembrare semplicemente un “cattivo”, perché inizialmente è questa la sua funzione – diciamo così – all’interno dell’intreccio, ma in realtà è un personaggio pieno di sfaccettature. Il suo ruolo può rivelarsi negativo, ma forse più che altro è destabilizzante, rispetto all’iniziale equilibrio della protagonista. Forse incarna solo e semplicemente un’immagine di amore tossico, ma a me sembra importante parlarne, non smettere mai di interrogarci sui motivi che possono rendere un uomo come Vittorio tanto seducente.

Quali autori e opere d’arte ti hanno influenzato nella stesura del tuo libro?

Sicuramente una delle immagini iniziali da cui prende le mosse l’intero romanzo è Ophelia di John Everett Millais, un quadro celeberrimo, simbolo del movimento preraffaelita e perfetta rappresentazione di come bellezza e disfacimento, giovinezza e morte possono sovrapporsi in tanti modi, sotto il segno del fascino e dell’inquietudine. Se devo citare un libro, mi viene in mente Acqua nera di Joyce Carol Oates, che guarda caso, nella vecchia edizione che possiedo da tanti anni, ha in copertina proprio questo quadro che per tanti anni mi ha ossessionato.

Ci sono derivazioni cinematografiche? Film o telefilm che ti hanno dato ispirazione?

Tantissimi, naturalmente. Il mio immaginario si nutre di immagini in movimento da una vita intera. Però, per citare un solo titolo, ti direi Il segno del comando, uno sceneggiato degli anni Settanta che ho rivisto per caso proprio mentre stavo cominciando a scrivere questo romanzo, e a cui voluto in qualche modo rendere omaggio. Non tanto alla storia, quanto alla sua atmosfera – sospesa, inquieta, misteriosa.

Immaginati che una casa di produzione cinematografica ne compri i diritti. Hai carta bianca. Chi immagini potrebbe essere il regista e quali attori vedresti nelle parti principali?

Davvero difficile come domanda, soprattutto a voler tenere i piedi per terra. Allora forse meglio sognare: Roman Polanski come regista, Cate Blanchett come attrice protagonista.

Grazie della disponibilità, nel salutarti mi piacerebbe sapere quali sono i tuoi progetti futuri.

Sto lavorando al terzo romanzo della serie di Giulia Ferro, la mia poliziotta milanese, alle prese con un nuovo caso e con la voragine rappresentata dai complicatissimi rapporti con la sua famiglia. Spero di riuscire a vederlo pubblicato il prossimo anno.

E grazie a te!

:: Recensione della silloge poetica “Con Effe” di Nicola Manicardi (Edizioni QED, 2024) a cura di Giulietta Iannone

19 ottobre 2024

Effe
il tuo fermacapelli è qui
sul tavolo bianco.
Dove si è appoggiata l’estate
dove l’imbrunire è luce di prima
dove il tuo capello è un foglio
di un fermacarte.
È qui
che nel tacere del canto del grillo
il silenzio ha la sua voce.

Premettendo che la fruizione di un testo poetico è un’esperienza sensoriale intima e personale ci sono alcuni elementi oggettivi che caratterizzano la poesia autentica che “Con Effe” di Nicola Manicardi, primo volume della collana stèresis di Qed edizioni, possiede accostandolo per sensibilità, tematiche e capacità evocative a poeti classici della nostra narrativa come Montale, Ungaretti, Saba e Merini. Sebbene la grande fiducia che mi sia accordata, di cui ringrazio l’autore e l’editore, temo di non avere le competenze necessarie per giudicare un testo poetico di tale complessità e ricchezza espositiva. La poesia mi mette sempre soggezione, mi intimidisce pensare che la mia sensibilità, piuttosto grezza e ineducata, non sia sufficiente a capire i passaggi più significativi e pregnanti che ad altri lettori, più avvezzi a leggere testi poetici, sicuramente non sfuggono. Pur tuttavia proverò con i miei ridotti mezzi critici di fare un’analisi tecnica di questo testo, che a una lettura profana e puramente sensoriale ha evocato in me echi profondi per cui ritengo che Manicardi abbia la stoffa del poeta, del poeta della vita quotidiana che sporca la sua poesia con i grandi temi dell’esistenza dalla felicità, all’amore, dalla lontananza, alla morte. Il lungo preambolo non è per mettere le mani avanti, o scusare la mia inscusabile ignoranza, ma ho troppo rispetto per la poesia, e per i mezzi tecnici necessari a scriverla per non capire le difficoltà che sussistono nell’analizzare un testo poetico. Insomma una poesia non è un semplice scarabocchio estemporaneo su un foglio, a prescindere dalla musicalità, dalle emozioni profonde che evoca, dalla sensibilità e responsabilità del poeta. Inoltre la poesia è sempre un atto politico, una presa di posizione nei confronti del mondo e di coloro che leggeranno i nostri versi. Manicardi ha uno stile personale, una voce poetica fluida con cui intesse i suoi versi in una foresta di simboli, sinestesie e assonanze. La musicalità del verso è un’altra caratteristica da tenere presente, come le pause, le allitterazioni, i silenzi, e tutto ciò come in un gioco di prestigio si trasforma in versi brevi di grande semplicità e immediatezza. All’apparenza sembra una silloge che racchiude canti d’amore dedicati a una donna, che nomina con la sola iniziale del suo nome, ma a volte l’autore si rivolge direttamente alla poesia, facendomi riflettere che amore e poesia siano un tutt’uno in un cortocircuito temporale che dilata l’attimo e lo rende eterno. Ogni verso è carico di significato e di ricordi che l’autore condivide con il lettore facendolo diventare parte del suo mondo in cui quotidianità e poesia si fondono in un’unica voce capace di generare echi profondi nel fruitore ultimo dei versi, in una fratellanza di naufraghi che accomuna l’intera umanità. Toccante la sincerità e l’autenticità che traspare da questi versi che possono essere interpretati a tutti gli effetti come un invito alla vita, all’amore, alla felicità.

Nicola Manicardi è nato a Modena dove risiede e lavora in ambito sanitario. Appassionato di letteratura in particolare modo di poesia ha pubblicato nel 2015, per la casa editrice Rupe Mutevole di Parma diretta da Enrico Nascimbeni, il suo primo volume intitolato Periplo. Successivamente alcuni suoi testi sono stati inseriti in una antologia dedicata al mito di Marilyn Monroe intitolata Umana troppo umana, curata da Alessandro Fo e Fabrizio Cavallaro ed edita da Aragno nel 2016. Nel 2018 ha pubblicato il suo secondo volume di poesia intitolato Non so, per la casa editrice I Quaderni del Bardo di Stefano Donno collana Zeta diretta da Nicola Vacca. Alcune sue poesie sono state tradotte in greco, spagnolo, rumeno, russo e francese e inserite in alcune riviste nazionali e internazionali. Nel giugno 2020 esce una nuova raccolta di poesie dal titolo Umiltà degli Scarti Collana Agorà diretta da Nicola Vacca per l’Argolibro editore. Il 25 settembre del 2021 riceve una Menzione Speciale al XXXIII “Premio Letterario Camaiore Francesco Belluomini” L’ultimo lavoro è una raccolta di poesie e racconti intitolato Carne e Sangue per la casa editrice Oltre. Dal 2022 collabora con la Piccola Accademia di Poesia di Milano diretta da Elena Mearini.

:: L’età dell’oro di Wang Xiaobo (Carbonio Editore, 2024) a cura di Giulietta Iannone

19 ottobre 2024

L’età dell’oro“, (Huangjin shidai 黄金时代), è il primo volume della “Triologia dell’età”, che comprende anche L’età dell’argento (Baiyin shidai 白银时代) e L’età del rame (Qingtong shidai 青铜时代) quest’ultimi ancora disponibili unicamente in lingua cinese. Il romanzo fu scritto dallo scrittore cinese pluripremiato Wang Xiaobo, morto prematuramente nel 1997, a soli 45 anni, per arresto cardiaco. Pubblicato per la prima volta a Taiwan nel 1991, e poi in Cina solo nel 1994, e ora finalmente disponibile anche in lingua italiana grazie alla Carbonio Editore, in un’edizione filologicamente rigorosa curata da due affermate sinologhe: Alessandra Pezza per la traduzione e Patrizia Liberati per la cura editoriale, “L’età dell’oro” è un’opera innovativa rispetto alle narrazioni coeve intrise di patetismo che narrano storie perlopiù legate a esperienze autobiografiche drammatiche accadute durante la Rivoluzione Culturale.

La Rivoluzione Culturale in Cina, per chi volesse approfondire, fu un fenomeno sociale e politico avviato nel 1966, e ufficialmente considerato concluso nel 1976, con la morte di Mao Zedong, avvenuta il 9 settembre 1976. Fu un periodo della storia cinese recente importante per comprendere gli sviluppi della storia cinese attuale, e il ruolo degli studenti denominati Guardie rosse; per chi fosse interessato a ulteriori approfondimenti ci sono numerosi testi ben documentati come Mao Zedong. Il Grande Timoniere che guidò la Cina dalla rivoluzione al socialismo del professore Guido Samarani, o Stella rossa sulla Cina. Storia della rivoluzione cinese di Edgar Show.

Testo fondamentale di introspezione, auto-analisi e critica sociale nel panorama della letteratura cinese contemporanea, L’età dell’oro sancisce la consacrazione letteraria di Wang Xiaobo, autore di culto sia in Cina che all’estero, dopo una gestazione di circa vent’anni di scritture e riscritture. L’autore, con la sua prosa caratteristica incisiva e il suo sguardo acuto e disincantato, riesce a catturare l’essenza di un’epoca segnata da contraddizioni e repressioni, offrendo al lettore un viaggio privilegiato attraverso le complessità dell’animo umano in un contesto politico in cui la libertà individuale viene sacrificata sull’altare dell’interesse comune e di partito.

Utilizzando un mix esplosivo e originalissimo di umorismo, critica sociale, riflessioni sulla libertà e l’amore non solo spirituale ma anche nella sua dirompente carica erotica, l’autore ci presenta un’opera di sicuro valore non solo letterario ma anche umano. Molte sono le scene di sesso esplicito utilizzate per esplorare temi più ampi come la libertà personale, l’intimità e la ribellione contro le restrizioni sociali, in opposizione a un puritanesimo di regime che vede il sesso come un fenomeno perturbante e contrario agli interessi dello Stato. Esempio se vogliamo esplicativo la castrazione dei bufali perchè pensino solo a mangiare e lavorare. Wang Xiaobo utilizza dunque la sessualità come un mezzo per esprimere la ricerca di autenticità e comunione umana in un contesto di oppressione e divisione.

Tuttavia, è importante notare che queste descrizioni, affatto pornografiche, sono integrate nella narrazione e non sono fini a se stesse, ma piuttosto parte di un discorso più ampio sulla condizione umana e le relazioni interpersonali complesse e anche conflittuali. Il sesso, come l’umorismo anche triviale, che l’autore spesso utlizza, diventano strumenti di resistenza all’interno di una società oppressiva che tenta di piegare e omologare gli individui tramite un costante e martellante indottrinamento ideologico.

L’età dell’oro” di Wang Xiaobo può essere perciò considerato di fondamentale importanza anche da un punto di vista morale e di denuncia. In questo senso, “L’età dell’oro” non è solo un’opera letteraria seminale, ma anche un importante manifesto morale che invita alla riflessione e alla denuncia delle ingiustizie, rendendolo un testo significativo sia in Cina che nel resto del mondo. La penna di Wang Xiaobo si rivela dunque un’arma potente contro l’ingiustizia e l’oppressione, rendendo questa opera un capolavoro della letteratura cinese. La sua capacità di affrontare temi complessi con una prosa incisiva e una profonda umanità lo colloca di diritto tra i grandi autori del XX secolo, e “L’età dell’oro” rimane un’opera imprescindibile per chiunque desideri accostarsi alla letteratura cinese contemporanea e comprendere le sfide dell’individuo in un mondo apparentemente disumanizzato e statico, ma in realtà in continua e perenne evoluzione.

Wang Xiaobo (1952-1997) è stato tra i maggiori scrittori cinesi del Novecento. Nato a Pechino da una famiglia di intellettuali, come molti giovani istruiti della sua generazione a sedici anni fu costretto a trascorrere un periodo di ‘rieducazione’ nella provincia rurale dello Yunnan. Trasferitosi negli Stati Uniti, conseguì una laurea presso l’università di Pittsburgh. Tornato in Cina, insegnò all’Università del Popolo e all’Università di Pechino e nel 1992 diede le dimissioni per dedicarsi interamente alla letteratura come scrittore indipendente. Morì d’infarto a 45 anni. Due volte vincitore del prestigioso United Daily News Award for Novel, della sua vasta produzione letteraria ricordiamo la “Trilogia delle età”, di cui fa parte L’età dell’oro, e le raccolte di saggi A Maverick Pig e The Silent Majority.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Costanza dell’Ufficio Stampa Carbonio Editore.

:: Aurora di Marina Visentin (Laurana Editore 2024) a cura di Giulietta Iannone

12 ottobre 2024

Ma le ombre poi tornano. Tornano sempre. E diventa sempre più difficile far finta di non vederle.
Roberto continuava a dirle che l’amava, Gemma continuava a pensare che erano una coppia, nonostante tutto. Cercavano di passare del tempo insieme, ogni tanto a Milano, qualche volta in Val Cannobina, a turno, perché entrambi non volevano essere giudicati ingiusti.
Da un po’ avevano cominciato a essere infelici. Ma non avevano voglia di dirselo. Non ancora.

Sogni, incubi, ossessioni, fobie, di questo magma caotico e composito è fatto il noir Aurora di Marina Visentin edito da Laurana Editore nella collana Calibro 9, dedicata al giallo e al noir. Gemma ha un legame con Ofelia, il tragico personaggio shakespeariano morto annegato, a cui è dedicata una mostra nell’elegante galleria d’arte dove la protagonista lavora. Gemma ha un segreto, su cui ha costruito una vita perfetta, casa elegante nel cuore di Milano, lavoro prestigioso, fidanzato artista, ma di notte quando le difese si abbassano e il mondo onirico fa emergere il passato, ritornano ricordi, traumi insoluti.

Che cosa succede? Che diavolo sta succedendo? Qualcuno mi segue? Chi? Perché?
Qualcuno sa? Ha visto? Mi ha scoperto?
Davvero qualcuno può aver scoperto tutto?
No.
Non ha senso. Non ha alcun senso.

Tutto è in bilico, tutto scorre apparentemente in modo placido finchè un uomo entra nella vita di Gemma, prima chiede informazioni su di lei ai vicini e conoscenti, la pedina, la spia, la terrorizza, un uomo che si rivela essere un ex poliziotto, vittima anch’egli delle sue ossessioni. Gemma e Vittorio così si incontrano, per uno scambio di persona, si conoscono forse non così casualmente, e iniziano una relazione in un crescendo di angoscia e segreti taciuti che vogliono emergere.

La notte è una culla abitata dal vento, un incubo fatto di acqua scura. È la vita che si spegne, coscienza che sprofonda nell’incoscienza. Oblio e paura. Una bambina che affonda nell’oscurità. Piangendo.
Apro gli occhi. Vedo buio. Chiudo gli occhi. Non cambia nulla, vedo solo nero. Riapro gli occhi. C’è luce ora, un chiarore indistinto che avvolge ogni cosa come un bianco sudario.
È il bianco il colore della morte.

Riuscirà a salvarsi Gemma dalla spirale che sembra avvolgerla e trascinarla dove non vuole andare? Cosa nasconde il passato e soprattutto il minaccioso presente? Chi è Aurora, la piccola dolce Aurora che si chiamava come la principessa della Bella Addormentata? Queste sono le domande che scorrono nella mente del lettore mentre legge questo libro oscuro e inquietante, sorretto da una scrittura evocativa e onirica. Sarebbe piaciuto a Hitchcock per l’importanza dell’inconscio nella vita di una donna apparentemente forte e realizzata che nasconde le sue mille fragilità sotto una spessa scorza di razionalità e durezza e gravata da una minaccia esterna e interna. Una donna in pericolo che ci ricorda le tante donne in pericolo nella vita reale, dominate da meccanismi psicologici sempre uguali, la paura, il senso di colpa, l’incapacità di conquistarsi una reale autonomia, l’incapacità di costruirsi relazioni sentimentali sane, meccanismi che l’autrice indaga con sensibilità e acutezza.

Marina Visentin è nata a Novara, da oltre trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista e traduttrice, una laurea in filosofia e un passato da copy-writer, ha collaborato con varie testate scrivendo di cinema. Ha pubblicato saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia (Filosofia – Finalmente ho capito!, Vallardi, 2007), romanzi gialli e noir (Biancaneve, Todaro Editore, 2010; La donna nella pioggia, Piemme, 2017; Cuore di rabbia, Sem, 2021, Gli occhi della notte, Sem, 2023), il divertissement filosofico Raffasofia (Libreria Pienogiorno, 2021).