Posts Tagged ‘Adelphi’

:: L’Africa che dicono misteriosa di Georges Simenon (Adelphi Milano, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

6 novembre 2025

Africa coloniale francese, quasi un secolo fa. Il grandissimo Georges Simenon (Liegi, 1903 – Losanna, 1989) era di origine bretone, belga di nascita, francese d’adozione; ebbe varie mogli, quattro figli, diecimila donne (secondo i propri stessi vaghi ricordi), duecento pipe. Dopo aver scritto senza spostarsi un romanzo “artificiale” sulla regione delle Cateratte (Ottentotti e Pigmei, fiori e animali compresi), decide di andare laggiù davvero, 29enne. Compra un casco e s’imbarca con la moglie Tigy a Marsiglia, sbarca a Il Cairo, raggiunge Assuan e prosegue verso sud e poi verso ovest con aerei malandati. Dopo molti giorni riparte col piroscafo da Matadi (Congo) e fa ancora qualche scalo sul continente “nero”, talora divertito o disgustato. Vi scrive sopra gli immancabili interessanti pezzi solo una volta rientrato. Ecco qui appunto raccolti i relativi articoli: “L’Africa che dicono misteriosa”: raccoglie tre articoli usciti nel 1932 e nel 1933 su “Police et Reportage” e su “Voilà”.

:: La porta di Georges Simenon (Adelphi, 2024) a cura di Valerio Calzolaio

21 ottobre 2024

Parigi, intorno a place des Vosges. Luglio 1959. Il 42enne Bernard Foy vive da venti anni con la moglie 38enne Nelly in un appartamento al quarto piano di rue de Tourenne (III), all’angolo di rue des Minimes. Nel 1940 gli furono amputate entrambe le mani; era di pattuglia in un bosco tra la linea Maginot e la linea Siegfried; strisciava nella neve quando pare abbia toccato una mina, subito esplosa; si è risvegliato in un ospedale militare, già operato. Prima lavorava come meccanico in un garage delle Halles, durante il servizio militare a Épinal aveva conosciuto Nelly, che faceva la giovanissima maschera in un cinema; si erano sposati a inizio 1939 e stabiliti lì, a due passi dal place des Vosges (fra III e IV Arroindessement), dove lui era nato e dove sua madre, a quell’epoca, faceva ancora la portinaia (IV); Nelly aveva smesso di lavorare. Dopo il trauma è stata dura, col tempo hanno individuato le protesi artigianali adatte (da togliere ogni sera); lui si è vista riconosciuta una modesta stabile pensione da invalido di guerra; lei ha intrapreso la vita di magazziniera presso la ditta Delangle&Abouet in place des Vistoires (tra I e II), la più importante passamaneria di Francia, da poco pure promossa caporeparto. Bernard passa le giornate a osservare gli altri dalla finestra (spia ogni movimento), ad ascoltare i rumori (suo malgrado) dei vicini e della strada, a fare spesa e cucinare. Pensa di non essere più un vero uomo ed è convinto che lei possa e debba aver bisogno di altri (in certo modo giustamente). Si amano, fanno sesso volentieri e spesso, si confidano. Eppure, il tarlo ossessivo agisce sia in lui che, indirettamente, in lei, prodromo di tragedie forse, soprattutto da quando al primo piano si è trasferito il giovane fratello della collega, un illustratore poliomielitico su sedia a rotelle, ogni giorno assistito da un’infermiera. Nelly deve fargli commissioni, si ferma là per qualche minuto.

Il romanzo è molto bello. Di Simenon sappiamo quasi tutto (1903 – 1989, origine bretone, belga di nascita, francese d’adozione, non solo parigino d’elezione, quasi trecento romanzi, uno degli autori più letti al mondo) e la grande casa editrice milanese Adelphi sta ottimamente progressivamente garantendo la pubblicazione integrale dei suoi scritti. Questa lunga ansiogena novella originariamente del 1962, né noir né rosa, ma certo di ineluttabile amore, era inedita in italiano. La porta del titolo è quella brutta, con un colore spento e il pomolo di maiolica bianca, dell’allegro sereno 28enne vignettista Pierre Mazeron, il fratello dell’invadente opportunista Giséle, trasferitosi al primo piano dell’edificio in cui vivono marito e moglie. Probabilmente è noto quante volte vi è entrata attraverso Nelly, ma conta soprattutto quante volte Bernard avrebbe voluto aprirla! La narrazione è in terza fissa al passato su di lui, pur se i protagonisti sono anche la moglie, leale e semplice, sempre più bella e ormai pure un poco rotondetta, e soprattutto la dinamica di coppia che (come spesso accade) assume vita propria. Sullo sfondo i due medici (uno diabetico) che si interessano al caso clinico e umano, donne e uomini vicini e dirimpettai, negozianti e clienti delle botteghe consuete. L’ambiente è perlopiù quello dell’appartamento in cui la coppia abita e delle passeggiate che fanno insieme a braccetto (più o meno) per le strade della città; i dialoghi sono i loro, il detto e il non detto, significativo tanto quel che si esprime quanto quel che si pensa; la relazione si è adattata ed è evoluta in forme affettuose per due decenni; ora lui vive una crisi di gelosia, è contrariato e ossessionato, pensa alla morte; lei era una donna “vissuta” quando si sono conosciuti e non può che prenderne atto via via, a proprio modo. Una qualche garbata tragedia incombe, anche se l’autore è bravissimo a rendere plausibili molti finali dalle stesse premesse. Vario ordinario vino accompagna spesso i pasti. Si ballano le canzoni d’epoca, talora in giro e in piazza, difficile non entusiasmarsi.

:: Finestra sul vuoto di Raymond Chandler (Adelphi 2024) a cura di Valerio Calzolaio

8 settembre 2024

Pasadena, California.
Decenni fa. Philip Marlowe, sigaretta spenta fra le labbra e cappello calcato sulla fronte, entra nella sontuosa residenza della ricca vedova Mrs. Elizabeth Murdock, che da una chaise-longue, mentre sbevacchia un bicchiere di porto dietro l’altro, lo incarica di indagare sulla misteriosa scomparsa di una moneta molto preziosa, il doblone Brasher. Si scatenerà una serie di omicidi comprensibili solo affrontando avidità, egoismo, accidia in un dissoluto mondo industriale e meccanico. Meriteranno infine una solitaria partita a scacchi.
L’immenso scrittore statunitense Raymond Chandler (Chicago, 1888 – San Diego, 1959) può essere letto sempre e ovunque. All’inizio non fu quasi mai ben tradotto, per varie ragioni culturali che meriterebbe una lunga assestante storia (il primo Mystfest del 1980 a Cattolica gli era dedicato). Adelphi sta meritoriamente ripubblicando e ritraducendo tutto. Finestra sul vuoto è il terzo splendido romanzo della serie, alta letteratura. Traduzione di Gianni Pannofino.

Scrittore statunitense di romanzi gialli e polizieschi, Raymond Thornton Chandler nasce a Chicago (Illinois) il giorno 23 luglio 1888. Si trasferisce in Gran Bretagna nel 1895, quando i genitori divorziano. Torna negli USA nel 1912. Non ancora ventenne, nel 1917 si arruola prima nell’esercito canadese, poi nella R.A.F. (Royal Air Force), combattendo la Prima guerra mondiale in Francia. Lavora saltuariamente come giornalista e corrispondente. Inizia a scrivere per guadagnarsi da vivere e, dopo una breve parentesi in cui lavora come operaio in campo petrolifero, pubblica il suo primo racconto all’età di quarantacinque anni, nel 1933, su “Black Mask Magazine”, rivista che pubblica storie di detective. Il suo primo romanzo si intitola “Il grande sonno”, e viene dato alle stampe nel 1939. Il suo talento viene a galla e la casa di produzione cinematografica Paramount, nel 1943 gli propone un contratto come sceneggiatore.

:: La Marie del porto di Georges Simenon (Adelphi 2019) a cura di Giulietta Iannone

27 ottobre 2022

Un grappolo di case strette attorno a un piccolo porto di pescatori normanni, un molo sul quale si affaccia il Caffè della Marina, centro focale dell’intreccio, la modesta casa sulla scogliera dove abita Marie, la protagonista, e, sullo sfondo, la città di Cherbourg: sono i luoghi, quanto mai simenoniani, dove si svolge la vicenda di questo romanzo del 1938, a cui Simenon teneva particolarmente, come rivela la sua corrispondenza con Gide, al quale scrisse, a proposito della Marie: «È una buona cosa provare a se stessi che è possibile dare una personalità alle comparse incaricate di venire a dire: “La Signora è servita”». E aggiunse anche: «È il solo romanzo che sia riuscito a scrivere con un tono completamente oggettivo». La Marie del porto è una figura che non si dimentica nella vasta galleria delle donne di Simenon: una ragazzina poco appariscente, una vera «acqua cheta», che riesce a impaniare un uomo sbrigativo e spavaldo, avvezzo a vincere e comandare. Questo personaggio, Chatelard, scorge da lontano la smilza figuretta di Marie che segue compunta il feretro del padre, e se ne innamora. Per starle vicino, compra un peschereccio, che gli fornirà la scusa per tornare in paese e frequentare il Caffè della Marina dove la ragazza è stata assunta come cameriera. Chatelard crede di avere in pugno il proprio destino e quello della Marie, ma in realtà è quest’ultima a tessere con abilità consumata e ironica determinazione una sottile trama di eventi nella quale l’uomo si lascerà avvolgere.

Può un romanzo costituire una svolta nella carriera letteraria di un autore, fargli vedere, anzi intravedere, un luccichio di verità autentica, completamente oggettiva, dopo del quale nulla sarà più lo stesso? Per Simenon questo romanzo fu La Marie del porto, piccolo capolavoro, senza pretese, scritto nell’ottobre dell’1937 all’Hôtel de l’Europe, Port-en-Bessin-Huppain (nel Calvados, dipartimento francese della regione della Normandia). Un romanzo straordinario nella sua compiutezza, confermando il parere di Gide e dello stesso Simenon che se voleva essere giudicato lo voleva per questo singolo libro, o tutt’al più per due o tre altri romanzi scritti quell’anno. Ma cosa ha di così straordinario questo romanzo, nella seppur già straordinaria produzione di un autore precoce (ha iniziato a pubblicare romanzi a sedici anni) e prolifico, oltre che unico nel panorama della letteratura mondiale? Rispondere a questa domanda non è così semplice, perchè come aveva intuito l’autore stesso non è la dimostrazione platele di un qualcosa a essere importante, è all’opposto un barlume, un lampo, una sensazione a trasparire, un luccichio appunto della verità vera che trascende la realtà, e che non può essere trasmessa a parole che cercando di definire qualcosa di evanescente e imperscrutabile, delicatissimo, creativo e lieve come l’amore. In questa libro viene espressa l’essenza stessa dell’amore. Tutti noi (lettori) sappiamo che Marie e Chatelard si amano, prima di loro, prima della stessa Marie che tesse le fila di tutta la storia con il suo sorriso enigmatico di “acqua cheta”. Ma i sentimenti non sono così facili da esprimere tra fragilità e ritrosie, caparbietà e ostinazioni. Marie non ha niente di speciale, è una modesta ragazzetta senza futuro in una cittadina di pescatori sulla costa della Normadia. Ha 18 anni ma ne dimostra 15, è pallida, quasi smunta, vestita in abiti neri poco appariscenti, a differenza della sorella Odile che fa la vita a Cherbourg (ovvero è l’amante di Chatelard e questo fa di lei una donna perduta, che grande scandalo si trucca pure). E nonostante questo Chatelard, che potrebbe avere tutte le donne della zona, si innamora di lei vedendola neanche troppo nitidamente durante la processione di un funarele. Tutto infatti inizia con il funerale, appunto, di Jules Le Flem, rispettivamente padre sia di Odile che di Marie e di alcuni altri bimbetti. Marie, come i pescatori della zona gettano le reti per pescare i pesci e procurarsi il loro sostentamento, lei getta la sua rete per ottenere l’amore di un uomo di per sè molto diverso da lei, sia per condizione sociale, che per carattere. Nulla li lega, ma il sottilissimo filo invisibile del sentimento li avviluppa e e li avvolge senza che quasi se ne accorgano. Marie non è una scaltra arrampicatrice sociale, o venale opportunista, è una giovane donna che sa che nel suo mondo tutto quello vuole ottenere se lo deve conquistare duramente, con il lavoro, con il coraggio, la determinazione, e l’amore e la generosità per i fratelli prima e poi per lo stesso Chatelard, che non sarà una vittima dei suoi giochi sentimentali, ma un uomo che davvero ama, (riamata). Aveva scelta la giovane Marie nell’agire così? Nessuna, come combatte per la sua emancipazione, per avere la custodia dei fratelli, sottraendoli a un destino gramo di orfani nelle mani di parenti poco amorevoli, così combatte per Chatelard, recandosi senza difese nella trappola che lui gli tesse con la complicità inconsapevole di Odile (quando è naturalmente lei che regge le fila di tutto). Ma una giovane donna senza risorse, senza mezzi, senza istruzione, senza più i genitori che la difendano dal mondo, con solo il lavoro delle sue mani a separarla dalla vita, (strada che la più sciocca Odile ha intrapreso) può davvero permettersi il lusso di seguire i suoi sogni. Marie ha questo coraggio e dato che il destino premia gli audaci, potrà vedere coronati i suoi sforzi. Romanzo corale, di atmosfera, naturalista nella descrizione di paesaggi e ambienti, impressionista per quanto riguarda emozioni, senzazioni, palpiti del cuore.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: acquisto del recensore.

:: Pena la morte e altri racconti di Georges Simenon (Adelphi, 2022) a cura di Nicola Vacca

21 settembre 2022

Suspense e tragicomico, sono questi i registri che Georges Simenon usa nei racconti raccolti in volume con il titolo Pena la morte (traduzione di Marina Di Leo), pubblicati recentemente da Adelphi.

Anche nell’arte del racconto il grande scrittore belga eccelle.

Nel libro troviamo cinque storie e non manca mai nella narrazione l’elemento sorpresa e la scrittura è sempre un intrigo degno del migliore Simenon.

Da Il peschereccio di Émile a Pena la morte Simenon inventa storie che pescano nel torbido della creatura umana con tutte le sue fragilità e le sue pochezze, tiene conto nel caratterizzare i personaggi della loro componente miserabile e meschina.

Truffatori, avventurieri, uomini senza qualità, sono questi i protagonisti di queste cinque storie nelle quali il lettore si avventura, lasciandosi catturare dalle trame di Simenon che non concede mai un momento di tregua al suo raccontare che si conficca nella pagina per tracimare con tutta la sua grande letteratura.

Davvero unici i personaggi di questi racconti, stretti nella loro insoddisfazioni, cupi nel loro vesti nero che si portano dentro, un po’ grotteschi e un po’ malandrini, sempre in cerca di una via di scampo all’assurdo inquietante che travolge le loro esistenze.

Sono proprio i personaggi a scrivere le storie che Simenon racconta. Intorno a loro tutto il nero di esistenze infelici e l’assenza di un riscatto e di una fuga.

In Pena la morte, come nei romanzi duri, lo scrittore scende negli abissi della condizione umana e attraverso i suoi personaggi regola i conti con i suoi demoni.

Simenon ha scritto centosettantotto racconti, la maggior parte di quelli presenti in questo libro sono stati scritti in America.

Per lo scrittore il soggiorno americano coincise con un periodo proficuo per la sua attività.

I racconti di Pena la morte ne sono la prova concreta.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: libro inviato da ufficio stampa.

:: W. G. Sebald – Tessiture di sogno- Adelphi – a cura di Nicola Vacca

13 settembre 2022

W. G. Sebald morì in un incidente stradale il 14 dicembre 2001, da poche settimane aveva dato alle stampe Austerlitz, quel grande romanzo che tutti abbiamo amato.

Adelphi pubblica adesso Tessiture di sogno, un volume che raccoglie una serie di prose e di saggi.

Una lettura obbligata per tornare a apprezzare il Sebald saggista.

Pagine dense di pensiero, osservazioni pungenti sull’esistenza che si disgrega, parole alte che omaggiamo alcuni grandi maestri della letteratura mondiale.

Sebald il viaggiatore, il saggista e il critico. In questo splendido libro troviamo l’anima e la coscienza dello scrittore che divagano per lasciare una traccia nel pensiero del mondo.

La prima parte contiene quattro splendide prose che raccontano il suo essere viandante.

Pagine nelle quali lo scrittore racconta le suggestioni dell’isola, girovagando e annotando sul taccuino le impressioni di un viaggio con uno spirito vagabondo da viandante.

Sono davvero toccati le impressioni che Sebald scrive, affascinato dalla Corsica ecco un esempio: «E muovendo da un presente immemore verso un futuro che l’intelligenza di nessun individuo riuscirà a comprendere, alla fine anche noi lasceremo la vita, senza provare alcun bisogno di restarvi ancora per qualche istante almeno, o di potervi se mai fare ritorno».

La seconda parte del volume mostra il Sebald saggista e critico.

Sebald uomo e intellettuale della crisi che scrive sulle macerie del tempo, scava a fondo nell’abisso per coglierne tutte le apocalissi nel momento più significativo della distruzione.

Lo scrittore non fa altro in questi scritti che affrontare i temi fondamentali della sua opera letteraria.

In Tra storia e storia naturale. La descrizione letteraria della distruzione totale e in Costruzioni del lutto, lo scrittore affronta il cuore pulsante della sua riflessione, dando un volto letterario al ricordo, alla distruzione al senso della perdita, temi che troveremmo nella sua narrativa.

Sebald analizza il modo in cui la letteratura recepì l’esperienza collettiva della distruzione toccando gli interi ambiti dell’esistenza.

Gli scritti che Sebald dedica a Kafka, Nabokov e Chatwin sono tra le pagine più belle di questo libro.

Di Nabokov scrive che ha più volte cercato di gettare un po’ di luce nel buio, in cui sono immerse entrambe le estraneità della nostra vita, o per meglio dire di illuminare proprio da quei due punti estremi la nostra incomprensibile esistenza.

Di Kafka ci mostra la sua immagine complessa, leggendo i Diari, entrando nella sua testa senza quasi accorgersi di varcare la soglia dell’assurdo, cogliendo l’aspirazione dello scrittore e della propria persona nella sua fisicità.

Quando Sebald si mette sulle tracce di Bruce Chatwin resta completamente stregato dal fascino di un viandante inarrestabile che resterà per sempre un enigma, inclassificabile come lo sono tutti suoi libri.

A fine volume Sebald parla di sé davanti all’Accademia Tedesca per la Lingua e la Poesia e di tutte le tessiture di sogno che ha inventato nei suoi modi complessi e problematici del fare letteratura.

Che meraviglia vagare insieme a lui in «un regno luminoso, appena soffuso di un alito surreale come lo sono tutti i prodigi, e ci si ritrova, per così dire, sulla soglia di una verità assoluta».

W. G. Sebald scrittore tedesco, nato a Wertach im Allgäu (Baviera) il 18 maggio 1944 e morto a Norwich (contea di Norfolk) il 14 dicembre 2001. Sebald visse dal 1970 in Inghilterra, dove insegnò letteratura tedesca contemporanea presso la University of East Anglia a Norwich. La sua parabola narrativa iniziò nel 1988 con un libro di poesie, proseguì nel 1990 con i quattro racconti di Schwindel. Gefühle (trad. it. 2003), un libro in cui domina il tema del viaggio: protagonista e narratore si muovono fra Vienna, Venezia, Verona, il Lago di Garda e le Alpi Bavaresi in compagnia di Stendhal, G. Casanova e F. Kafka. Difficile trovare definizioni efficaci per Austerlitz (2001; trad. it. 2002): la storia è infatti in questo libro travolgente processo distruttivo. Le tragedie del Novecento, soprattutto quelle tedesche, vengono rivisitate con gli occhi di chi le ha vissute o di chi ne è scampato, come nel caso di Jacques Austerlitz, protagonista del romanzo: egli cerca di ripercorrere la propria storia, a partire dall’infanzia trascorsa nel Galles nella casa del predicatore Elias.

Source: libro del recensore.

:: Mi manca il Novecento: Lacrime e santi di E. M. Cioran a cura di Nicola Vacca

5 gennaio 2021

«Il Dio che Cioran concepisce, quindi, è un Dio maledetto, infimo, insulso. È un Dio pernicioso (un «Sadico Cosmico», citando Lewis) macchiato dall’infamia e dall’ignominia di aver generato e originato l’essere e di non essersi accontentato del vuoto – nulla».

Prendo in prestito queste parole da uno scritto di Antonio Di Gennaro per introdurre alcune considerazioni dopo la rilettura di Lacrime e santi, uno dei tanti libri dinamitardi di Emil Cioran.
Paradossalmente la sua posizione nei confronti di Dio contro nasce dalla frequentazione assidua dei mistici, che Cioran ama incondizionatamente.
In questa ermeneutica delle lacrime, come definisce egli stesso il suo libro, Emil si affida a tutti i paradossi del suo pensiero per inchiodare Dio, ovvero il funesto demiurgo, alle sue responsabilità.
Qualora un Dio esistesse, qualora vi fosse un Dio, la sua colpa è aver creato un mondo osceno, corrotto, obbrobrioso. Il peggiore dei mondi possibili.
«C’è del putrido nell’idea di Dio», scrive Cioran. Dio, non è più presente: nemmeno le nostre bestemmie riescono a rianimarlo. Si chiede Cioran: in quale ospizio si sta riposando?
Queste alcune delle considerazioni sulla divinità decrepita presenti in Lacrime e santi, piccolo e prezioso libro in cui i mistici incontrano la bestemmia.
Cioran non rinuncia mai a essere estremo pensando per paradossi. Sostiene che più i paradossi su Dio sono audaci, più esprimono l’essenza.
Dio è dovunque e in nessun luogo. Tutt’al più oggi è un Assente universale, scriva il paradossale Cioran quasi per sconfessare con pensieri che conservano un aroma di sangue e di carne un Dio apparso nella giusta luce che Emil considera un niente in più.
Cioran rivolge a Dio e al cristianesimo un attacco frontale e lo fa a viso aperto grazie anche al suo grande amore per i mistici e al rifiuto totale della cultura dogmatica e della teologia.

«La teologia è la negazione di Dio. Che idea bizzarra, mettersi in cerca di argomenti per provare la sua esistenza! Tutti quei Trattati non valgono un’ esclamazione di santa Teresa. Da quando la teologia esiste, non una sola coscienza ne ha ricavato una certezza in più, perché essa non è altro che la versione atea della fede. Il più modesto balbettio mistico è più vicino a Dio che la Summa theologica. Tutto ciò che è istituzione e teoria cessa di essere vivo. La Chiesa e la teologia hanno assicurato a Dio un’agonia duratura. Soltanto la musica, di tanto in tanto, lo ha rianimato».

Questo è uno dei passi più significativi di Lacrime e santi e ci mostra la religiosità atea di Cioran che passa per la verità scomoda dei mistici ma mette in rilievo senza filtri la questione religiosa all’interno del pensiero tragico di Cioran, un uomo e un pensatore che nei suoi scritti e nella sua vita ha ingaggiato un duello frontale con Dio.
Lacrime e santi è la preghiera di un ateo che si ribella alla cattiveria di Dio, l’idea più pratica e pericolosa che mai sia stata concepita, grazie alla quale l’umanità si salva o si perde.
Con una predisposizione alla lacrime e armato di scetticismo, che è il coraggio supremo della filosofia e della vita, Cioran abbraccia la mistica (che eli stesso definisce un’evasione dalla conoscenza) per perdersi privo di speranza nei deserti interiori di Dio, una demenza ufficiale, accettata. Ancora una volta ricorre alla figura significante del paradosso e scrive che tutto il cristianesimo è un’unica crisi di lacrime, di cui resta un sapore amaro in cui Dio è soltanto una passione fuggevole, una moda della mente e senza di lui tutto è notte e con lui la luce diventa inutile. Il paradosso ancora una volta è servito e la verità la sentiamo vicina, molto vicina.

:: La morte di Belle di Georges Simenon (Adephi 2020) a cura di Nicola Vacca

12 ottobre 2020

Una sera nella tranquilla provincia americana in casa qualunque si svolgono scene di una vita familiare ordinaria.
Il professor Ashby lavora al tornio, la moglie è uscita. I due coniugi ospitano Belle, una ragazza diciottenne.
La mattina dopo viene trovata morta nella sua stanza. Questo episodio grave sconvolge la vita della piccola città e l’unico sospettato è il padrone di casa che al momento del crimine era solo in casa.
Con La morte di Belle Georges Simenon entra come sempre nel lato nero dei suoi personaggi e scava fino all’ossa nella loro psicologia inquieta e sinistra.
Il romanzo era apparso in francese nel 1952, viene tradotto in inglese. Gli abitanti di Lakeville, in Connecticut, dove Simenon si è trasferito da quattro anni, non la prendono bene.
Benché l’autore abbia spostato l’azione nello stato di New York, non possono non riconoscersi nella piccola comunità puritana che Simenon descrive con tutte le sue ipocrisie nel romanzo.
Tra gli interrogatori dell’autoritaria giudiziaria e gli appostamenti l’indagine con il suo ritmo incalzante si fa sentire sui nervi dell’unico indiziato che subisce la pressione.
Ashby non vive bene questa situazione e questo clima di sospetto fa riaffiorare nei suoi ricordi gli incubi della sua giovinezza. Viene assalito da un turbamento feroce, entra in una spirale che lo avvolge e gli fa perdere la lucidità.
Simenon ci porta come sempre in fondo al racconto con la sua scrittura avvincente e non ci lascia tregua fino a quando non arriviamo all’ultima pagina.
Chi ha ucciso Belle Sherman? Alla fine di questo straordinario romanzo dell’ossessione tutto sarà più chiaro, o forse no. Questo è uno dei romanzi più riusciti di Simenon. Un viaggio senza ritorno nei recessi oscuri della mente dove si può sempre incontrare una persona normale che è capace di diventare un feroce assassino.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: Libro inviato al recensore dall’Editore, ringraziamo Benedetta Senin dell’Ufficio Stampa “Adelphi”.

:: Helgoland di Carlo Rovelli (Adelphi 2020) a cura di Nicola Vacca

5 ottobre 2020

La nascita della fisica quantistica e le conseguenze sul mondo di oggi, tutto raccontato come in un romanzo di formazione.
Un’ impresa degna della grande intelligenza di Carlo Rovelli che in Helgoland con la sua scrittura convincente e sobria ci conduce per mano in una avventura straordinaria che decifra le carte della realtà.
Un saggio in cui il noto fisico oltre a manifestare la sua passione per la fisica quantistica racconta la stagione irripetibile di una generazione di pensatori cresciuti nel mito di Albert Einstein.
Tutto ha inizio nel giugno 1925 quando un giovane fisico di nome Werner Heisenberg si ritira in un’isola nel Mare del Nord e in quel luogo ha trovato che ha permesso di rendere conto di tutti i fatti recalcitranti e di costruire la struttura materica della meccanica quantistica. In quei giorni nacque la più grande rivoluzione scientifica: la teoria dei quanti che permise di vedere la realtà dentro un interno di stana bellezza.
Rovelli inizia con lui il suo viaggio nel mondo della fisica quantistica, facendoci innamorare con le sue narrazioni contaminate di questo mondo affascinante che è alla base della vita, della realtà e delle nostre umane relazioni.

«Ho scritto queste pagine in primo luogo per chi non conosce la fisica quantistica ed è curioso di comprendere, cosa sia e cosa implichi».

Nel libro il fisico non si parla addosso ma viene incontro ai lettori con autentica chiarezza, essendo coinciso nella trattazione degli argomenti e con molta umiltà afferma: «Più che spiegare come capire la meccanica quantistica, forse spiego solo perché è così difficile capirla».
Carlo Rovelli accetta la sfida: tuffare lo sguardo nell’abisso della teoria dei quanti, senza temere di sprofondare nell’insondabile.
La meccanica quantistica è un’esperienza psichedelica e Rovelli con i suoi racconti ci porta nel cuore di questa vicenda dove la scienza incontra la conoscenza e dove l’esperienza va a braccetto con la filosofia.
Il compito della scienza è quello di non aver paura di ripensare il mondo. Tutto passa per il coraggio di reiventare in profondità il mondo, questo è il fascino sottile della scienza e Carlo Rovelli ritiene necessaria una conoscenza immanente sempre dedita al dubbio che sia sempre in grado di scavare nella realtà.

«La fisica mi sembrava il luogo dove l’intreccio fra la struttura della realtà e le strutture del pensiero fosse più stretto, il luogo dove questo intreccio fosse messo alla prova incandescente di un’evoluzione continua. Il viaggio intrapreso è stato più misterioso di quanto mi aspettassi».

Il viaggio di Helgoland ci conduce in un mondo ricco di relazioni che comprende la nostra mente, i nostri pensieri, tutta la nostra vita.

«Scoprire nuove mappe per pensare la realtà, che ci mostrano il mondo un poco meglio. Questa è la teoria dei quanti».

Grazie a Carlo Rovelli per questo nuovo e indimenticabile viaggio nella prospettiva stupefacente della meccanica quantistica che parla di noi.

Carlo Rovelli (1956), fisico italiano, si è laureato all’Università di Bologna ed ha poi svolto il dottorato all’Università di Padova. Ha lavorato nelle Università di Roma e di Pittsburgh, prima di rientrare in Europa presso il Centro di Fisica teorica dell’Università del Mediterraneo di Marsiglia. Insieme a Lee Smolin e Abhay Ashtekar ha introdotto la cosiddetta Teoria della gravitazione quantistica a loop. Lui e Smolin hanno successivamente perfezionato la teoria sulla base degli studi di Penrose. Attualmente la teoria della gravitazione quantistica a loop è considerata la teoria quantistica della gravità più accreditata e trova tentativi di applicazione nella cosmologia quantistica e nella fisica quantistica dei buchi neri. Rovelli ha inoltre sviluppato una formulazione della meccanica classica e quantistica che non fa riferimenti espliciti alla nozione di tempo. In collaborazione con Alain Connes, ha proposto l’ipotesi del tempo termico, nella quale il tempo emerge solo in un contesto termodinamico o statistico. Infine, ha introdotto una interpretazione relazionale della meccanica quantistica basata sull’idea che lo stato quantistico di un sistema deve sempre essere interpretato come relativo in un altro sistema fisico (ad es. la velocità di un oggetto è sempre relativa ad un altro oggetto). Rovelli si è dedicato anche alla storia e alla filosofia della scienza con un libro sul filosofo greco Anassimandro.

Source: libro inviato dall’editore al recensore.

:: I superstiti del Télémaque di Georges Simenon (Adelphi 2020) a cura di Nicola Vacca

10 luglio 2020

gsimenonGeorges Simenon è un genio che aveva in testa la grande letteratura, solo la sua mente poteva partorire il ciclo infinito dei romanzi duri.
Tra questi, I superstiti del Télémaque occupa un posto di rilievo.
Adesso Adelphi lo rimanda in libreria (traduzione di Simona Mambrini) e come sempre accade, noi tutti appassionati di Simenon, ci deliziamo con grande ammirazione.
Siamo nella provincia normanna. Pescatori, città nebbiose, caffè dove si consuma la vita.
Il capitano Pierre Canut viene accusato di un delitto, la vittima è Février, un marinaio che viene trovato sgozzato nella sua abitazione in cima a una scogliera a Fécamp.
Charles, il fratello gemello, sa che Pierre è innocente e farà di tutto per scagionare la carne della sua carne.
I Canut sono vittime del tragico passato. La loro disgrazia è legata al naufragio del Télémaque, dove il vecchio Canut perse la vita. Una nave inglese trovo il relitto con a bordo alcuni superstiti, tra questi c’era Février.
La vedova accuserà Février, che era uno dei sopravvissuti. La donna non si darà mai pace, fino alla pazzia. Accuserà Février , ritenendolo responsabile della morte del marito.
Simenon con la sua abilità conduce il lettore nel labirinto intrigato di una storia che si tinge di giallo dove i misteri da svelare sono davvero numerosi e ogni personaggio porta con sé un piccolo frammento di verità.
Un dramma psicologico con altissime tensioni narrative in cui troviamo tutta la volontà di potenza del grande scrittore che ancora una volta con un ritmo incalzante ci porta senza un attimo di respiro nella storia che fino alla fine nasconde i suoi misteri.
Les Rescapés du Télémaque venne scritto in uno chalet a Igls (Tirolo, Austria), nel dicembre 1936, apparve a puntate su “Le Petit Parisien”, dal 25 giugno al 24 luglio 1937 e in volume nel 1938.
In Italia lo pubblicherà Mondadori nel 1948 con il titolo I superstiti del Telemaco.

«Mi è bastato chiudere le persiane e, seduto accanto a una grossa stufa di maiolica, scrivere I superstiti di Télémaque. Subito mi hanno raggiunto in Tirolo l’odore delle aringhe, gli equipaggi di marinai normanni e quella città, placida o animata a seconda delle maree, costantemente annerita dalla pioggia».

Così scrive Simenon nel prologo.
Due ragazzi infelici, segnati dalla morte del padre, una madre che perde la testa dal dolore, un omicidio che dilania le coscienze di un posto tranquillo.
Simenon è duro, molto duro in uno dei suoi tanti romanzi duri, il più riuscito, nel delineare la natura umana con tutte le sue atroci contraddizioni.
Un romanzo che ha una potenza fenomenale. Una storia partorita dalla mente lucida di quel grande genio della letteratura che si chiama Georges Simenon. Un narratore immenso che non finirà mai di stupirci.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: Libro inviato al recensore dall’Editore, ringraziamo Benedetta Senin dell’Ufficio Stampa “Adelphi”.

:: Turbolenza di David Szalay (Adelphi 2019) a cura di Nicola Vacca

24 settembre 2019

cop t

Clicca sulla cover per l’acquisto

La letteratura vera è quella che sa raccontare la zona del nostro disagio e ha bisogno di scrittori capaci di rappresentare tutte le inadeguatezze di cui siamo fatti.
David Szalay è sicuramente uno di questi. Se con Tutto quello che è un uomo ci aveva sorpresi, con Turbolenza, da poco uscito sempre per Adelphi, ci ha definitivamente atterrati.
Tradotto magnificamente da Anna Rusconi, il nuovo libro dello scrittore canadese è un romanzo in forma di racconti. Caratteristica principale dell’opera è una geniale circolarità delle storie che toglie il fiato e avvince.
Dodici storie legate in cui l’aria diventa la metafora esplicita di un vuoto che assedia le esistenze con le sue turbolenze micidiali.
Dodici personaggi che passano nelle storie successive il testimone ad altri personaggi precipitati nelle loro esistenze pur puro caso, ma anche no. Insieme danno vita all’affresco di una condizione umana che fa i conti con l’inadeguatezza del tutto.
Uomini e donne con i loro problemi immanenti di solitudine, di incomprensione, che hanno a che fare con la spietata legge del quotidiano, si incontrano nei non luoghi come gli aeroporti, o in luoghi mordi e fuggi come gli alberghi o in volo dove sospesi nel vuoto dell’aria si trovano a fare i conti con le turbolenze.
Questo è il contesto in cui David Szalay con una scrittura essenziale e minimalista costruisce la struttura circolare della sua storia che dà vita a una serie infinta di storie il cui al passaggio di testimone da un personaggio all’altro assistiamo come lettori al disfacimento di vite che azzardano un tentativo di fuga in cui non credono.
In questi racconti che formano un romanzo il vero protagonista è il disagio che non concede alcuna via di scampo
Ogni personaggio di queste storie è un disadattato che vive lo sconforto del proprio tempo, ognuno con il suo bagaglio di croci personali.
La circolarità diventa il collante di questo stato di cose in cui lo scrittore attraverso i suoi personaggi racconta l’inconsistenza, l’inadeguatezza e il malessere destinato a diventare disagio cronico di questa nostra epoca.
La vera turbolenza che in queste pagine incontriamo è la vita di tutti i giorni. Come i personaggi di queste dodici storie, che ci riguardano da vicino, tutti noi viviamo sospesi in aria e incastrati in quel vuoto in cui il disagio si moltiplica fino a diventare catastrofe e poi apocalisse.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo l’ufficio stampa Adelphi.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Il Mediterraneo in barca di Georges Simenon (Adelphi 2019) a cura di Nicola Vacca

18 luglio 2019

csL’altra faccia di Simenon romanziere è il raccontatore di storie. Così si definisce nei suoi pezzi giornalistici e nei suoi reportage.
Dal 1931 al 1946 lo scrittore è stato un reporter singolare e tutto da scoprire.
Da Adelphi è appena uscito Il Mediterraneo in barca (nella traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio).
Il volume raccoglie una serie di articoli in cui il grande scrittore racconta storie, persone e fatti durante un viaggio a bordo di una goletta nel bacino del Mediterraneo.
Simenon, spinto da una curiosità morbosa, si avventura in mare e sa che il Mediterraneo è tante di quelle cose, lui con la sua penna in questi articoli si è permesso di filosofeggiare con la consapevolezza di raccontare le storie che accadono sul mare che ha dato al mondo il suo alfabeto.
Con l’inventore di Maigret viaggiamo da Genova, Nizza, passando per Tunisi e Hammamet. Simenon veste i panni del lupo di mare in cerca di storie da raccontare e di immagini da immortalare. (Nel testo sono presenti alcuni scatti che lo stesso Simenon ha fatto forse per dare un volto o una sensazione alle parole che andava scrivendo e che raccontavano la vita di bordo attraverso le persone).
Lo scrittore non è mai scontato nell’inventare le storie o nel raccontare semplicemente quello che accade durante il viaggio.
Anche nella sua attività giornalistica il grande scrittore mostra un volto convincente: quello di chi ha un desiderio di raccontare storie vere e inventate, tutte cullate dal Mediterraneo e dal suo mito.

«Resto così, con la penna a mezz’aria, in seria difficoltà, come quando da bambino, in piedi davanti alla lavagna, spostavo il peso da una gamba all’altra e intanto cercavo con la coda dell’occhio un compagno compassionevole.
Il Mediterraneo è …».

Simenon vorrebbe tanto dare una definizione di Mediterraneo, ma durante questo viaggio sulla goletta subisce tutto il fascino del suo mistero. Lui è uno scrittore.
Non gli resta altro da fare che navigare il mare, affrontarlo e contenerlo nelle parole delle sue storie, raccontarlo senza riserve, mostrargli il suo grande amore, come hanno fatto Stevenson e Conrad.
Il Mediterraneo in barca è il resoconto di un viaggio. Il grande romanziere su mare scopre la sua vocazione di «raccontatore di storie».
Ci piace molto quello che scrive, ma soprattutto ci affascina quello che racconta del Mediterraneo. Ce lo immaginiamo a bordo della sua goletta mentre osserva l’equipaggio e i suoi pensieri ondeggiano sulle onde. Simenon in queste pagine ha raccontato principalmente il Mediterraneo cha vissuto e attraversato e con la sua grande penna ce lo ha raccontato, seguendo i venti e le correnti e soprattutto la direzione che la sua barca di volta in volta ha preso inseguendo rotte tutte da esplorare.

Georges Simenon – Scrittore belga di lingua francese (Liegi 1903 – Losanna 1989). Tra i più celebri e più letti esponenti non anglosassoni del genere poliziesco, la sua produzione letteraria, soprattutto romanzi gialli, è monumentale: essa conta poco meno di duecento romanzi, fra cui emergono − per popolarità in tutto il mondo e per salda invenzione − quelli della serie di Maigret, quasi tutti tradotti in italiano. Dopo il suo primo romanzo, scritto a 17 anni (Au pont des arches, 1921), si trasferì a Parigi dove pubblicò sotto svariati pseudonimi opere di narrativa popolare. Nel 1931 con Pietr le Letton, che uscì sotto il suo nome, inaugurò la fortunatissima serie dei romanzi (circa 102) incentrati sul commissario Maigret, che rinnovarono profondamente il genere poliziesco. Negli USA dal 1944 al 1955, tornò poi in Europa, stabilendosi in Svizzera; nel 1972 smise di scrivere, limitandosi a dettare al magnetofono, e tornò alla scrittura solo per redigere i Mémoires intimes (1981). Autore straordinariamente prolifico, con stile semplice e sobrio ha narrato nei suoi romanzi, caratterizzati da suggestive analisi di ambienti, la solitudine, il disagio esistenziale, il vuoto interiore, l’ossessione, il delitto (La fenêtre des Rouet, 1946; Trois chambres à Manhattan, 1946; La neige était sale, 1948, trad. it. 1952; L’horloger d’Everton, 1954; Le fils, 1957). Gran parte di questa abbondante produzione, che ha ispirato molti film ed è stata tradotta in 55 lingue, è stata riunita nelle Oeuvres complètes (72 voll., 1967-73) e in Tout Simenon (27 voll., 1988-93). Ricordiamo inoltre i racconti e le prose autobiografiche (Je me souviens, 1945; Pedigree, 1948, trad. it. 1987; Quand j’étais vieux, 1970; Lettre à ma mère, 1974, trad. it. 1985; la serie Mes dictées, 21 voll., 1975-85), e le raccolte di articoli À la recherche de l’homme nu (1976), À la decouverte de la France (1976), À la rencontre des autres (1989). Nel 2009, in occasione del ventennale della morte, è stato pubblicato in Francia a cura di P. Assouline il monumentale Autodictionnaire Simenon, lungo le cui voci (in gran parte tratte da interviste, carteggi e appunti dello stesso S.) si snoda un’originalissima e dettagliata biografia dello scrittore.

Source: Libro inviato al recensore dall’Editore, ringraziamo Benedetta Senin dell’Ufficio Stampa “Adelphi”.