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:: Incontro di Natasha Sgarbossa

25 ottobre 2023

Se ne stava seduto a sorseggiare il suo caffè, dando di tanto in tanto un’occhiata al giornale. Una giovane mamma con un bambino piccolo al collo entrò trafelata, posò il borsone che teneva nell’altro braccio all’ingresso della piscina e chiese alla signorina della reception dove si trovasse lo spogliatoio maschile. La ragazza indicò la seconda porta sulla destra. La donna accompagnò il figlioletto maggiore all’entrata dello spogliatoio e andò a sedersi col piccolo, esausta. Era molto carina a vedersi, ma aveva l’aria visibilmente stanca. Lo si leggeva dall’espressione del volto teso, non sorridente. Se c’era qualcosa per cui si sentiva portato era carpire l’animo umano. Leggere le persone, in particolare le donne in cui si imbatteva nel suo quotidiano di padre single. La giovane mamma si legò la folta chioma in una coda di cavallo e porse dei giochini al bambino che ora scorrazzava da un capo all’altro della sala d’attesa. Il piccolino andò verso il tavolo a cui era seduto l’uomo e lui gli sorrise. Il bimbo lo osservò incuriosito, per poi correre a nascondersi fra le gambe della mamma. Lo spiava da lontano e ogni volta che l’uomo gli sorrideva lui si nascondeva, per poi ricomparire. Il gioco continuò per alcuni secondi, poi il piccolo prese nuovamente la rincorsa e tornò da lui una seconda volta e una terza, facendo la spola dal suo tavolino alla sedia della madre, finché cadde e scoppiò a piangere singhiozzando. La mamma si alzò per sollevarlo da terra quando vide l’uomo andarle incontro. “Spero che non si sia fatto male…” Le disse garbatamente. “ No, stia tranquillo, sono più le cadute in questo periodo che altro…” Gli ripose la donna, abbozzando un sorriso. Fu un attimo e si misero a parlare. Di come suo figlio maggiore non amasse il nuoto, ma gli era stato imposto dalla pediatra per la scoliosi e di come lei si sentisse affaticata per il trasferimento nella nuova città a causa del lavoro del marito. Non era facile stare dietro a loro tutto il giorno in un ambiente ostile, come Milano sapeva essere in certi contesti. Inoltre gli confidò di aver recentemente subito il lutto della madre, un dolore che le pesava nel petto. Nel dirlo, si era portata la mano chiusa all’altezza del cuore e lui l’aveva trovata così attraente in quel momento. La ascoltò attentamente, finché non giunse un ragazzino coi capelli ancora umidi dallo spogliatoio. Era bello: biondo con gli occhi azzurri, alto e snello, ma non assomigliava al padre, bruno con gli occhi scuri. Doveva aver preso i tratti materni, pensò la giovane mamma. Il ragazzino salutò educatamente la signora e disse “Andiamo papà?” Carlo si alzò e porse la mano alla donna. “E’ stato un piacere, Carlo.” “Anche per me” rispose lei ricambiando il gesto “Margherita”. Si salutarono cordialmente dandosi appuntamento per il venerdì successivo.

Era così che funzionava.

Carlo Traversi era un bell’uomo, ma non solo. Aveva il fascino di chi ha vissuto intensamente e sa come comportarsi in ogni situazione. Era stato un dirigente dell’Alitalia e aveva girato il mondo. Dopo l’ultimo incarico in Nigeria aveva chiesto il trasferimento in Italia per avvicinarsi alla madre vedova, gravemente colpita da un ictus e per questo costretta sulla sedia a rotelle. Non l’aveva fatto solo perché figlio unico, lui era profondamente legato alla mamma che lo aveva cresciuto da sola dedicandogli anima e corpo. Suo padre era stato un noto cardiologo, ma se ne era andato prematuramente nel sonno a soli quarantanove anni. Sua madre Amalia era rimasta fedele a quell’uomo che aveva tanto amato, pur avendone subito svariati tradimenti, facendo del figlio la sua unica ragione di vita. Il lascito del marito e l’eredità dei suoi genitori, proprietari terrieri pavesi, le avevano garantito un certo benessere ed era stata sua premura indirizzare il figlio, sin dalla più tenera età, all’amore per la conoscenza. Dal canto suo Carlo si era rivelato essere da subito molto intelligente e brillante a scuola, era stato l’amore di sua madre, ma anche il cocco della maestra e il preferito tra le compagne femmine. Si era presto reso conto di esercitare un certo fascino sul genere femminile e aveva immancabilmente imparato ad approfittarsene. Sapeva muoversi, era disinvolto e sicuro, ma allo stesso tempo affabile ed alla mano. Il sesso, scoperto a quattordici anni con una ragazza di diciassette, era il suo elemento. Lo faceva con vigore e trasporto, ne divenne un esperto. Sempre galante, dotato di un’innata raffinatezza, riusciva a conquistare e coinvolgere. Carlo Traversi aveva capito quali corde toccare per colpire nel segno.

A volte si innamorava, ma la sua natura libertina lo portava a posarsi di fiore in fiore lasciando cuori infranti e lacrime amare. Gli bastava virare le vele verso altri lidi per dimenticarsene in breve tempo. Nelle sere d’estate, quando si trasferivano nella casa di villeggiatura al Lago Maggiore, il suo corpo agile sfrecciava sul vespino che gli aveva regalato zio Umberto. Furono anni di grandi avventure quelli del liceo e dell’università. Subito dopo la laurea era stato assunto come Junior Manager da Alitalia spostandosi in vari continenti: due anni a Londra, nella sede di Green Park, poi Stoccolma e Amburgo e ancora San Paolo, Chicago, Sydney, Nuova Delhi e infine Lagos.

Nei suoi spostamenti aveva conosciuto moltissime donne, di ogni tipo, per carattere ed estrazione sociale, ma le sue preferite restavano quelle sposate, che fossero infelici o semplicemente annoiate. Lo intrigava sapere che quelle mogli cercavano in lui ciò che avevano momentaneamente esaurito o perduto per sempre coi loro mariti. Voleva entrare nel loro mondo e conoscerle, trovare la chiave dei loro segreti.

Era affascinato dalle donne, creature complesse e misteriose, inesorabilmente in bilico fra sogno e realtà, inaccessibili nel loro io più profondo. Cangianti come il variare delle sfumature della luce. Forti come leonesse e dolci come il miele. Sensuali ammaliatrici e anime generose. Fragili e determinate allo stesso tempo. Così sapevano essere le donne. Ma c’era molto di più, c’era quel sottile piacere che consisteva nel “soffiare” la donna a un altro uomo. Aveva a che fare con la sfida. Entrare nei loro letti significava vincere sugli altri maschi. Lui sarebbe entrato in punta di piedi nelle crepe dei loro vasi rotti riscattandole da quel torpore carnale e conducendole verso un altro livello di intimità, fisica ed emotiva. E poi le donne impegnate davano tanto, senza chiedere nulla in cambio. Non erano nelle condizioni di farlo, lasciandolo così libero da relazioni inutili.

Prima fu la volta della moglie di un collega da cui veniva spesso invitato a cena, totalmente ignaro delle mire del giovanotto. Si erano conosciuti a un rinfresco natalizio organizzato dalla compagnia di bandiera e aveva subito attaccato bottone con lei, raccontandole di sentirsi molto solo a Londra. Nathalie, questo il nome della signora, non aveva esitato a invitarlo a cena. La prima volta fu uno scambio di sguardi. Lei si era presentata molto seducente e gli aveva lasciato una forte eccitazione addosso. La tresca andò avanti per mesi, finché non fu attratto dalla fidanzata inglese del direttore generale che non fu una conquista facile, ma questo rendeva la caccia ancor più coinvolgente. Col tempo aveva affinato le sue doti: gli bastava ascoltarle, era questo, a dire il vero, ciò che volevano le donne. E lui lo sapeva fare molto bene, carpendone paure e desideri insoddisfatti. Un’abile conversazione e un’assoluta compostezza ne tradivano le reali intenzioni. Carlo Traversi sapeva stare fermo come i grandi predatori sanno fare, appostati per ore ad osservare la loro preda per poi colpire all’improvviso. Ed eccolo provare quella sensazione di potere e di pathos che costituiva la sua linfa vitale. La sua droga. Il sesso divenne la sua ossessione. Il suo potere e la sua condanna. Doveva venire, aveva un desiderio smodato di venire e voleva far godere. Scorgere all’improvviso i segni del piacere sul viso di una donna e sentirne i gemiti all’apice della passione rappresentava nutrimento per il suo ego, in quel preciso istante lui si sentiva immortale. Si sentiva un Dio. Poi però a volte veniva sopraffatto da un senso di vuoto. Si rendeva conto di questa sua inesorabile smania di consumare, ma non poteva farci nulla. Aveva bisogno di farlo. Era un gioco, un gioco di potere perverso. Forse un bisogno di conferme, un vuoto insaziabile da colmare. Ebbe tante avventure, ma venne il giorno in cui non gli bastò più andare con le donne. Una sera, in un night di San Paolo, complice un bicchiere di troppo, ebbe il suo primo rapporto con un transessuale. Poi fu la volta dello scambismo, del voyerismo, dei club privé. Non conosceva limiti di sorta la sua sete di cose proibite. Ad Amburgo, a cena da un collega italiano e sua moglie iniziarono a provocarsi e la serata finì in un ménage à trois. Il brivido dell’eccitazione lo esaltava, ma subito dopo provava un senso di disagio. Tornava a casa e si metteva sotto la doccia per levarsi di dosso quel sudiciume. Quelle porcherie, come avrebbe detto sua zia Olga, che portava la croce al collo e recitava il rosario tutte le sere. Nel profondo, Carlo Traversi era un uomo buono e intelligente, un uomo che era rimasto fedele a sé stesso. Non si era mai legato a nessuna, ma si era innamorato di una che gli aveva spezzato il cuore. Succede sempre così nella vita. Era la bellissima figlia di un diplomatico italiano in India, si chiamava Arianna e abitava in un palazzo principesco. Era una ragazza affascinante e colta, che lo aveva sedotto col potere degli irriverenti. Forse Arianna lo aveva saputo leggere per ciò che era veramente, aveva compreso la sua natura meglio di chiunque altra: lo accusò di voler piacere a tutti i costi e di essere sfacciatamente infantile ed egocentrico. Lo lasciò una sera d’estate e lui, per la prima volta, pianse per una donna e provò dolore al pensiero che potesse essere di un altro. Infine il trasferimento a Lagos, l’ultimo della sua carriera. Ci era andato quasi di malavoglia in Nigeria, ma si era innamorato dell’Africa nera, rimanendone catturato.

Poi, una notte, la telefonata inaspettata di zio Umberto per avvertirlo dell’ictus che aveva colpito sua madre e da allora il bisogno impellente di trasferirsi in Italia il prima possibile. Nel giro di pochi mesi riuscì ad ottenere un posto nella sede di Milano e così, dopo tanti anni in giro per il mondo, tornava a casa. L’appartamento di famiglia di Corso XXII Marzo fu messo in vendita per acquistare un moderno attico in Via De Amicis.

A Milano la vita era molto più frenetica di quando l’aveva lasciata vent’anni prima. Carlo aveva conservato i contatti con gli amici di gioventù, ma erano tutti accasati con prole, per cui anche qui ricominciò di nuovo. Iniziò a frequentare la casa di un dirigente prossimo alla pensione, sposato con una giovane donna dell’est. Al terzo incontro le aveva già infilato una mano nelle mutandine. E continuarono per mesi e mesi a casa di lui dove Katarina dirottava al posto della palestra, oppure sui sedili posteriori della sua Range Rover, finché un bel giorno lei non rimase incinta e l’idillio svanì. Dapprima ne fu letteralmente sconvolto, poi iniziò ad accusare la donna di volerlo raggirare, non sopportava l’idea che potesse metterlo nei pasticci, non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione e cominciò a dileguarsi. Lui che era sempre passato da un letto all’altro, senza mai davvero scegliere adesso si trovava a fare i conti con la vita che aveva scelto al posto suo. Passarono due mesi, il tempo limite per ricorrere ad un’interruzione di gravidanza, ma Katarina non rispondeva più al telefono e minacciava di raccontare tutto ad Anselmo. Non gli restò che confidarsi con l’unico vero amico di sempre, zio Umberto, che gli consigliò di prendersi le sue responsabilità e di trovarsi un buon avvocato. Carlo aveva cinquant’anni, più o meno la stessa età in cui suo padre se ne era andato nel sonno.

Alla fine Katarina decise di tenere il bambino e fu costretta a confessare il tradimento al marito che era sterile. Anselmo non lasciò la moglie, ma iniziò una dura battaglia legale per il riconoscimento del piccolo a cui adesso Carlo voleva dare il nome. La sentenza durò anni e fu causa di profonda sofferenza ed angoscia, ma quando Nicholas venne al mondo tutto cambiò. O almeno lui si scoprì essere un buon padre. Gli piaceva tenere suo figlio in braccio e fargli il solletico, portarlo al parco accompagnato dalla tata assoldata da Anselmo e Katarina che non lo lasciava un attimo, ma che gli fu confidente. Gli rivelò l’intenzione dei due di trasferirsi all’estero con il piccolo, così che lui non lo avrebbe più visto tanto spesso.

Ci fu un altro momento di scontri, ma alla fine il giudice sentenziò che Nicholas sarebbe rimasto a Milano in regime di affidamento condiviso sino alla maggiore età, così Carlo avrebbe potuto crescerlo con le stesse cure e attenzioni che mamma Amalia aveva riservato a lui.

Dieci anni dopo eccolo aspettare suo figlio nel bar della piscina cercando di indovinare la triste storia di Margherita.

Quella, aveva tutta l’aria di essere una buona caccia.

:: Final witness di Wang Hongja (Il Giallo Mondadori Big, 2023) a cura di Giulietta Iannone

24 ottobre 2023

Storia romanzata di Song Ci, personaggio storico realmente esistito nella Cina del 1200, alto funzionario pubblico precursore della Medicina Legale. Già lessi un libro su questo personaggio storico molto bello, di un autore spagnolo Antonio Garrido, Il lettore di cadaveri, del 2012, questo è narrato da un autore cinese, molto conosciuto in patria, che racconta la storia del suo popolo con piglio documentaristico e grande dovizia di particolari. E’ molto interessante per chi ama la storia antica cinese e credo avrà molto successo soprattutto tra chi ama i romanzi storici avventurosi qui con taglio poliziesco e di indagine. E’ scritto molto bene, da un valente e stimato studioso e ben tradotto dalla coppia di traduttori formata da Davide De Boni e Giulia Maria Campana. E soprattutto aiuta ad avvicinare alla storia cinese i lettori italiani. Avventura, intrighi, giustizia tradita, usanze antiche gli ingredienti ci sono tutti per appassionare e sarà interessante aspettarlo in libreria tra qualche mese. Mondadori ci punta molto su questo incontro di culture e spero verrà ben accolto dai lettori di lingua italiana. Buona lettura.

Wang Hongjia, nato in Cina nel 1953, è un autore e uno studioso della cultura di fama internazionale. A partire dal 1979 ha riportato con successo all’attenzione del pubblico la figura storica ormai dimenticata dell’investigatore Song Ci, oggetto di pubblicazioni, conferenze e produzioni televisive. Con i suoi libri ha vinto numerosi premi, tra cui il Chinese Book Prize. Il romanzo Final Witness, che racconta le imprese di Song Ci, è uscito nel 2019.

Source: libro inviato dal’ editore, che ringraziamo.

:: J-Card di Laura Scaramozzino ([2][5][6] 2023) a cura di Fabio Orrico

18 ottobre 2023

Siamo in un futuro prossimo che, secondo le regole non scritte delle migliori distopie, esaspera la realtà presente, ingigantendo ciò che, a conti fatti, è sotto i nostri occhi tutti i giorni. Il centinaio di pagine di cui si compone J-card, ultimo romanzo di Laura Scaramozzino va esattamente in questa direzione. Adele, di estrazione altoborghese, vive in un mondo nel quale i ceti sociali più abbienti hanno il privilegio di possedere la tessera H, documento che consente di accedere a un cibo sano e genuino; la donna appartiene insomma a un’élite che può contare sulla salute del corpo e della mente passando direttamente per il nutrimento. Per tutti gli altri invece, i poveri, indistinto proletariato e sottoproletariato urbano, c’è invece la tessera J e la condanna a nutrirsi esclusivamente di junk food. La vita della nostra protagonista cambia radicalmente quando si trova a far da tutrice a Francesco, un bambino rimasto orfano di quella che era la donna di servizio di Adele: un gesto che, in termini di trama, avrà una ricaduta significativa e dolorosa. Parallelamente Adele gestisce una relazione incestuosa con il fratellastro Carlo, maschio alfa di rara sgradevolezza e si impegna a recidere nel più radicale dei modi il suo legame col marito. Come si può intuire Scaramozzino racconta una storia chiusa in un mondo opprimente, concentrazionario, una realtà dove anche la quiete domestica è esclusa e anzi proprio lo spazio intimo si rivela il più insidioso dei teatri di guerra.

L’autrice aveva già espresso un punto di vista originale sulla fantascienza nel precedente Louise Brooks. Due vite parallele racconto ucronico centrato sull’attrice omonima. Quella di Scaramozzino è una fantascienza minimalista e speculativa che, tradotta in cinema, potrebbe forse somigliare al Godard di Missione Alphaville o al Fassbinder di Il mondo sul filo. Un fantastico, insomma, che non necessita di decor particolarmente caratterizzanti e che anzi trova comodamente posto nelle scenografie più banali. Non così il pensiero che sottende il plot e che anzi attinge i suoi motivi d’interesse alla riflessione contemporanea più urgente. Nella sua scansione severa (un capitolo in prima persona dedicato ad Adele alternato a un capitolo in terza persona con al centro Francesco) J-card ha il coraggio di mettere in scena personaggi con i quali diventa difficile empatizzare ma solo per il timore di riconoscere in loro il proprio egoismo. Le scelte cui via via va incontro Adele sembrano radicalizzare una concezione del mondo particolarmente oscura, in cui anche l’aprirsi a nuovi affetti (l’adozione di Francesco) rivela la volontà (e forse la necessità) di strategie disumanizzanti. In accordo a questo sottofondo morale la scrittura di Scaramozzino non si tira indietro di fronte a una rappresentazione esplicita ma non compiaciuta della violenza che viene resa con rara economia e potenza. Nonostante la sua scarna foliazione (e ciò fa parte del progetto, benemerito, dell’editore 256 che punta proprio alla valorizzazione delle novelle e dei testi brevi) J-card è un libro densissimo, capace di far risuonare in profondità i propri temi che, come già detto, toccano la nostra vita quotidiana e il non sorprendersi di ritrovarli in una storia di fantascienza dà forse la misura della nostra presunzione di specie.

:: Non si uccide il primo che passa di Christian Frascella, (Einaudi 2023) a cura di Patrizia Debicke

18 ottobre 2023

Quinto capitolo con Contrera , lo scalognato protagonista di Frascella, l’investigatore privato più insolente e sbrindellato del noir nazionale. Capelli sale e pepe, una lingua che taglia e cuce anche a sproposito, e, a conti fatti un’ innata capacità di farsi male a ogni costo e talvolta ohimè di farlo anche a chi gli vuol bene. Insomma si potrebbe dire di lui: una ne fa e una ne aspetta. Per ingenuità, debolezza, istinto di autolesionismo? Beh forse, ma da questo oceano di sovrana incoscienza spesso fanno capolino anche sconsiderata generosità e voglia di menar le mai che lo costringono a provare a ogni costo ad aggiustare le cose.
Tutto questo rappresenta la fotografia di una persona che è stato poliziotto, ma si è fatto cacciare per corruzione e al quale dopo, solo per le raccomandazioni del vecchio e caro amico carabiniere, il tenente Baseggi, hanno concesso la patente di investigatore privato.
Euro in tasca pochi, praticamente zero. Ricordiamo per amor della precisione, per chi per la prima volta voglia avvicinarsi all’eroe di Frascella che proprio i persistenti problemi economici lo hanno costretto anche a ritagliarsi una specie di ufficetto, ovverosia un tavolino e una sedia di plastica, in una lavanderia a gettoni gestita da Mohamed, un anziano magrebino, contro un trattamento di favore da riservare ai suoi connazionali.
Accanto al tavolino poi c’è anche un piccolo frigo, pieno di birre Corona, a suo uso e consumo (si sa, i musulmani non bevono alcol). Di solito, salvo le rare occasioni in cui per caso o per scalogna ha dovuto diventare una specie di supereroe, tira a campare con quanto mette assieme pedinando mariti infedeli o incastrando piccoli truffatori
Ma a Barriera alzi la mano chi non conosce Contrera. La sua faccia poi ha campeggiato ovunque, qualche mese prima, in TV e poi in un video web diventato addirittura virale, mentre affrontava un assassino, trasformandosi nell’eroe del momento. Già proprio lui Contrera. In gran forma dunque ? Bah! Non direi. Anche se una cosa tutti, volenti o nolenti devono riconoscergli: Contrera sa perfettamente come muoversi nel territorio «multietnico, multiforme, multipericoloso» del quartiere torinese di Barriera di Milano, di cui il più apprezzato investigatore privato?
Ah, scusate per chiarezza, per chi non lo sapesse esiste a Torino un quartiere che si chiama Barriera di Milano. Un variegato avamposto verso il resto del mondo. Quello che un tempo una era solida roccaforte operaia. Questo all’epoca in cui la Fiat, l’Iveco, la Pirelli, la Michelin e la Ceat assumevano coloro che avevano mollato il Sud e i suoi campi per riconvertirsi in costruttori di lamiere e pneumatici. Lo stesso quartiere trasformato oggi in una babele multietnica di magrebini, slavi, e poi africani neri, cinesi, indiani e via dicendo insomma ogni tipo di essere umano. Un quartiere però dove, muovendosi bene come un pesce nello stagno, Contrera, riesce ad arrivare dove polizia e carabinieri neanche possono immaginare . Cosa che li fa sempre arrabbiare.
Ma anche stavolta la gloria e gli allori concessi dalla pubblicità mediatica, è durata poco, perché a luglio con un caldo da morire e che arroventa l’intera città, lui, ripiombato nella sua inerzia vaga stolidamente nel bollore estivo senza altro da fare che giocare a calcio coi ragazzi magrebini, deridere gli anziani in bermuda e tentare di placare la sete con una Corona dietro l’altra. Che poi sono tante, troppe Corona!!
E già perché poi tutto il resto della sua vita niente funziona anzi tutto pare un casino. Intanto la sua esistenza è decisamente cambiata: sua figlia Valentina, sedicenne, disillusa nei suoi confronti prima di andare a vivere ad Alessandria ospite del nonno fascistoide, gli ha raccomandato di far qualcosa per la madre Anna, la sua ex moglie che a dicembre ha perso il loro bambino e sta ancora da cani. E non basta perché suo cognato Ermanno è riuscito finalmente a sbatterlo fuori di casa. Contrera allora si è comprato un vetusto e scalcagnato camper dove si è trasferito e vive parcheggiato, proprio sotto il loro palazzo . Questo per fargli dispetto ma anche per controllare le sue mosse : da tempo sospetta che tradisca Paola, anzi, ne è quasi sicuro. Gli mancano soltanto delle prove inoppugnabili . Ma quella del camper è una postazione privilegiata che gli consente oltre alla sorveglianza da vicino di essere ancora sfamato, lavato e rivestito dall’incondizionato affetto della sorella.
Intanto Paola gli troverà una cliente: la sua amica Giulia che teme che il compagno, un certo Enzo Marsala, operaio qualificato, abbia un’amante Benché si capisca subito che la donna stenterà a pagare visto che parrebbe un lavoro facile, Contrera pur non impegnandosi accetta di dare una prima occhiata e riferire . Però quando c’è Contrera di mezzo è praticamente impossibile che i lavori siano facili. E infatti la sera stessa durante il primo pedinamento in cui i timori di tradimento di Giulia verranno subito confermati Marsala verrà ammazzato con due colpi di pistola. L’uomo era in macchina con una bella prostituta nera. Rendendosi conto di rischiare di brutto a cacciare il naso in quel caso Contrera vorrebbe mollarlo, ma la sua testardaggine e il suo desiderio di giustizia finiranno con l’impedirglielo.
Ragion per cui, senza accontentarsi delle conclusioni della polizia, si caccerà in un’indagine pericolosa che dalla prostituta seduta accanto alla vittima rimanda alla spaventosa mafia nigeriana preposta al controllo della zona rimanderà a vecchie storie di ragazzi dati in affido connesse a rapine malriuscite e di debiti… La vittima era un giocatore e per di più insolvente.
Insomma, a ben guardare, un largo ventaglio di potenziali assassini . Per arrivare all’illogica ma inconcepibile verità Contrera dovrà difatti confrontarsi con un’infinità di sospetti e false piste, e avrà bisogno di tanta fortuna e persino dell’imprevedibile aiuto di un passato che fu e purtroppo non può ritornare , per districarsi tra le minacce e i pericoli celati dalle strade di Barriera. Strade che possono occultare preziosi anelli ma anche quasi fatali agguati mafiosi, paurosamente corredati da affamati cuccioli di coccodrilli africani già lunghi tre metri…
In Non si uccide il primo che passa storia ricca di suspense, humor, e colpi di scena ritroviamo il nostro Contrera ancora più frustrato e senza illusioni, costretto a barcamenarsi sempre tra chi cerca di “proteggerlo” (sua sorella Paola, Dino buon samaritano, l’amica Giorgia ) e tutti coloro che tentano di sminuirlo e contrastarlo come il cognato Ermanno il commissario De Falco, sempre pronto a scherzare persino sui suoi guai ma anche a intenerirsi di fronte a un’anatra con i suoi piccoli che affronta spavaldamente il traffico di Corso Giulio Cesare.

Christian Frascella, nato e cresciuto a Torino, dopo lavori saltuari anche in fabbrica come operaio si è dedicato alla scrittura a tempo pieno. Il suo primo romanzo, Mia sorella è una foca monaca, è stato pubblicato per Fazi nel 2009 e candidato al premio Viareggio. L’anno dopo, sempre per Fazi, torna con Sette piccoli sospetti. Nel 2011, con Einaudi, pubblica La sfuriata di Bet. Segue, ancora per Einaudi, Il panico quotidiano (2013). Il 5 giugno 2018 è uscito per Einaudi il suo primo romanzo poliziesco, Fa troppo freddo per morire, in cui compare per la prima volta quello che è annunciato come un personaggio seriale, l’investigatore privato Contrera, le cui storie sono ambientate nel quartiere torinese di Barriera di Milano. La seconda avventura di Contrera, Il delitto ha le gambe corte, è del 2019. La terza, L’assassino ci vede benissimo, è del 2020 mentre la quarta, Omicidio per principianti, è del 2022. Ora, è da pochi giorni in libreria: Non si uccide il primo che passa (ottobre, 2023)

:: Ritorno a casa di Shanmei (Le avventure del tenente Bianchi nella Cina misteriosa Vol 7)

11 ottobre 2023

Con “Ritorno a casa” la saga del tenente Bianchi giunge al termine. Con il ritorno in Italia, malato, stanco con le sue belle onoreficenze e il mal di Cina, si chiude un capitolo importante della mia vita di narratrice. So di dare un grande dolore a molti miei lettori ma è una lezione di vita. Anche le cose belle finiscono, ed è bene recidere i legami con il passato anche creativo e pensare al futuro e cercare altre strade. Che dire da questa saga ho imparato tanto, il valore dell’attesa e l’importanza del dialogo tra culture, mentalità e speranze. Il mio incontro Occidente Oriente è stato un successo, molti si sono appassionati alla storia degli italiani nella Cina del 1900 durante la rivolta dei Boxer, un avvenimento storico forse ancora poco conosciuto e degno di approfondimento. Per i miei studi fu veramente un momento cruciale della storia contemporanea. C’è una storia segreta della rivolta dei Boxer che forse nessuno mai scriverà, ipotesi, congetture, ne sono state fatte tante, la più credibile è che l’Imperatrice Madre si sia trovata una rivolta interna e abbia chiesto aiuto all’Occidente, poi la faccenda sia sfuggita di mano e si sia giunto a un lento decadimento e alla perdita del Mandato del Cielo con fine della dinastia Qing. Questa è una teoria non so quanto accreditata a livello accademico, ma insomma una delle tante. I movimenti di ribellione erano da sempre antidinastici, e questo non credo faccia eccezione. Insomma è un ribaltamento dell’antica teoria che vedeva l’Imperatrice Madre come capo occulto dei Boxer con l’obiettivo di scacciare gli Occidentali dalla Cina. Vecchia interpretazione ancora credo accettata come vera. La storia è sempre più complicata di come ce la narrano i libri e il fatto che l’Imperatrice Madre mandasse di nascosto viveri agli assediati, rendedogli di fatto possibile sopravvivere fino all’arrivo degli Inglesi, fa sicuramente sorgere nuovi interrogativi. C’è una storia ufficiale, e una narrazione alternativa, humus per noi romanzieri, che non ci accontentiamo mai delle apparenze, ma vogliamo indagare retroscena e possibili scenari. In “Ritorno a casa” le vicende porteranno il tenente Bianchi tra Pechino e Tientisin, la scomparsa di un bambino (felicemente ristrovato) figlio di un importante Mandarino lo porterà sulle tracce di una macchinosa congiura contro l’ambasciatore italiano accusato ingiustamente di non aver pagato con fondi pubblici un ingente debito di gioco contratto con gli usurai. Il tenente Bianchi scoprirà un giro di scommesse e sale da gioco clandestine per occidentali in cerca di forti emozioni. Il tenente Bianchi sventerà poi un ricatto contro l’ambasciatore e dimostrerà che la ricca ereditiera Virginia Ansaldi non ha tradito il fidanzato, che a sua volta non passa tutte le sue notti al tavolo da gioco ma sta organizzando un movimento clandestino per la difesa della donna cinese alle quali ancora nelle campagne spezzano i piedi e dei bambini, soprattutto delle bambine ancora vittime di discriminazioni, annegate nelle tinozze o abbandonate sul ciglio della strada. Virginia Ansaldi è una sufraggetta e milita per dare potere politico alle donne della colonia sensibilizzandole a lottare per i loro diritti e a non essere solo dei graziosi oggetti decorativi in società. Ecco il tenente Bianchi questa volta sa che il suo soggiorno in Cina volge al termine, forse non vede l’ora di tornare in patria, forse conserverà sempre nel cuore l’amore per questo paese così vasto e pieno di sorprese. Ma gli ordini sono di tornare in Italia, e lui come militare di carriera non può che ubbidire. Porterà Mei e i suoi figli in Italia con sè? Lo scoprirete a Natale leggendo la novella, che mi dà l’occasione di approfondire un periodo storico ancora controverso e poco conosciuto soprattutto da noi occidentali, e da noi italiani nello specifico. Nella storia del colonialismo occidentale la storia della rivolta dei Boxer è una storia a sè, in cui si confondono eroismi, amore per l’esotico, rapacità e egoismi nazionali. Non fu solo tutta luce ma neanche tutto buio. Gli italiani che vissero in Cina in quel periodo tornarono in Italia con un’idea della Cina che aveva toccato corde profonde della loro anima. La Cina con i suoi secoli di civiltà, i suoi rituali, la sua spiritualità se anche non fu compresa al 100 %, creò quelle premesse che portarono alla nascita della sinologia come branca del sapere. L’interesse per l’Oriente da allora non si è mai spento, e nonsotante le guerre commerciali, le competizioni e le rivalità, la Cina ha conservato il suo mistero e questo è senz’altro parte del suo fascino. Buona lettura!

:: Schwarzenegger, Renditi utile, da oggi in libreria

10 ottobre 2023

Il successo non è questione di fortuna, salvo rare eccezioni. Lo sa bene Arnold Schwarzenegger, che nella vita ha raggiunto sempre il massimo livello in ogni campo in cui si sia messo alla prova. La sua storia inizia il giorno in cui lascia l’Austria per volare in America, con soli duecento dollari in borsa ma un piano ben chiaro in testa. Il suo successo straordinario è il risultato di una visione chiara del proprio futuro, duro lavoro, insaziabile curiosità e la capacità strategica di valorizzare i propri talenti.
Per arrivare esattamente dove si era proposto Schwarzenegger ha fatto suo l’insegnamento del padre, un invito semplice e al tempo stesso miracoloso: renditi utile, a quante più persone possibile e a te stesso prima di tutto. Spaziando da René Girard a Marco Aurelio, passando per lo stoicismo di Epitteto fino ai sorprendenti aneddoti sulla sua vita, Arnold Schwarzenegger compone un vero e proprio Tao dell’autorealizzazione personale che, con poche chiacchiere e molti fatti, si propone di aiutare i lettori a cambiare vita cambiando mentalità.

Arnold Schwarzenegger (1947, Thal) austriaco d’origine, è emigrato in America poco più che ventenne con pochissimi mezzi e ha costruito con determinazione un impero milionario: dai successi nel bodybuilding fino ai ruoli da protagonista in film cult come Terminator e Conan il barbaro e poi il successo in politica come governatore della California, Schwarzenegger è uno dei volti più iconici della storia recente. Sempre disposto ad esporsi su temi sociali anche in aperto scontro con la sua stessa parte politica, oggi continua a lavorare a diversi progetti per piccolo e grande schermo anche come producer: del 2023 la docuserie Arnold e la serie action FUBAR, entrambe su Netflix.

:: Luca Goldoni (Parma, 23 febbraio 1928 – Bologna, 7 ottobre 2023)

9 ottobre 2023

:: Predatori notturni. Assedio a Roma sud di Marzia Musneci, Todaro a cura di Patrizia Debicke

7 ottobre 2023

Basta ripensare al clima e ai tipici personaggi del mondo delle borgate romane degli anni 70 per immedesimarsi nelle folli avventure dei due gemelli congiunti (o meglio dire siamesi) Zek e Sam. E per chi ha l’età, basterebbe ricordare i film dell’epoca con il barbuto Tomas Milian, nome d’arte di
Tomás Quintín Rodríguez. Tomas Milian, ottimo attore, sceneggiatore e cantante cubano naturalizzato americano che, con la voce presa a prestito da Ferruccio Amendola, interpretava er Monnezza, opportunista, abile e geniale ladruncolo della capitale.
Però nella Capitale persone come lui esistevano davvero, giravano e si menavano tranquillamente per strada. Per poi diventare gli straordinari interpreti di celebri stornelli romani quali: Nun Ce vojo sta, Roma Capoccia, Sora Rosa, E lasseme perde… Magari poi trasformati in felice accompagnamento musicale per tanti film. Canzoni che, se ci si pensa bene, rispecchiano in gran parte lo spirito e l’atmosfera che accompagna i gemelli congiunti (traduco gemelli siamesi) ventitreenni protagonisti di Predatori notturni: casuale comicità, un’intima sofferenza mai placata e un’ inconscia pulizia, nonostante le loro scelte di vita spesso non encomiabili .
Dunque dicevamo i biondi gemelli siamesi Zek e Sam, che abbiamo già incontrato in Grosso Guaio a Roma, sono finiti nei guai con la giustizia e benché se la siano fortunosamente cavata con una pena alternativa e l’obbligo di prestare servizio e dare lezioni di pugilato presso i ragazzini dell’orfanatrofio, la vita è dura. A breve andranno a dare una mano nel fine settimana da Abbe e per ora ci campano a pranzo e cena ma nel frattempo si arrangiano a guadagnare due spicci con Minny che li paga per pulire la sua palestra di pugilato la Vigor, e a dare una mano ad allenare principianti, ma è magra, parecchio magra.
Niente più lucrosi pestaggi e furti su commissione. Non possono più sgarrare insomma, devono rigare dritto o finiscono in galera perché oltre al viceispettore Nick Badile e l’ispettore Miriam Fantini, c’è praticamente tutto il quartiere che li controlla. Ma loro, non ce la fanno a stare boni, devono inventarsi qualcosa per raccattare soldi e svoltare.
Ai Ponti il caldo afoso rafforzato dalle riserve a cielo aperto di Forte Ostiense e dell’Acqua Acetosa è diventato quasi insopportabile. E fossero quelle le rogne perché quando, il 12 luglio , nella riserva naturale del Laurentino il fumo ha annunciato il ritrovamento di quella monovolume bruciata con a bordo i cadaveri carbonizzati di una donna e di un ragazzo di circa tredici anni, giustiziati prima con un colpo di pistola in fronte. Poi, per “fare tombola”, lo stesso giorno è stato ritrovato anche un corpo sull’argine dell’Aniene in avanzato stato di decomposizione e, ma guarda un po’, proprio quel giorno, a gironzolare ’ nei paraggi sono stati notate pure le sfuggenti creste bionde dei gemelli siamesi Zek e Sam.

Sanno qualcosa di quelle vittime? Beh, loro quel 12 luglio volevano tentare un colpo da tombaroli per poi rivendere a un danaroso acquirente due pezzi di ponte romano. Un colpaccio per tirare su diecimila euro e svoltare. Ma la faccenda non quadra troppo perché, quando si allontanano con le pietre negli zaini, hanno la spiacevole sensazione di essere seguiti. E il 16 luglio all’appuntamento fissato con il compratore e già pronti a incassare il malloppo, qualcuno scatta un fografia e il falso cliente scappa coi reperti e li frega. Ma quando vogliono fregarli, i gemelli, diventano peggio di carri armati. Però… Comunque da quel momento niente nel quartiere sarà più come prima e Ponti pare scivolato in una specie di turbinoso vortice infernale. Giorno dopo giorno si moltiplicano le minacce di estorsione con falsi ispettori della Asl che vanno di porta in porta e le aggressioni, mentre il giro di prostituzione si allarga e, come se non bastasse, in sovrappiù strani e preoccupanti personaggi vagano di sera e di notte per le strade.
Ma hanno a che fare qualcosa con questa storia la bella bruna, manesca e molto somigliante a Black Dahlia, la magra ragazzina di dieci anni, con una famiglia particolare, attaccata come a una mignatta al suo inseparabile cane, un bastardo striminzito, detto Pulce e il ricchissimo finanziere di Giakarta. Beh sì , intanto ruotano tutti attorno alla faccenda. Ovverosia tanto per cominciare la bella bruna sta cercando il giornalista Bob Carrezza che da alcuni giorni pare dissolto nel nulla, la ragazzina, Geltrude, ha appena messo all’angolo i gemelli perché vuole assolutamente imparare a boxare e il ricchissimo finanziatore di Giacarta ha lasciato la sua lussuosa residenza orientale per arrivare a Roma e sotto falso nome prendere alloggio in un albergo di lusso.
Si sa, il Male non conosce confini e il denaro ma e soprattutto la sete di vendetta portano ovunque. Ma se capita a Ponti e cerca di spadroneggiare crudelmente e senza controllo può succedere che una banda di stravaganti personaggi sia in grado di mettergli i bastoni tra le ruote, controllarlo e magari metterlo fuori combattimento. Almeno per un po’.
Ma si sa il male come l’Idra ha almeno nove teste e stavolta i gemelli finiranno con rischiare di brutto. Per fortuna potranno contare su alcuni generosi appoggi quali: il vice ispettore Nick Castillo e sul suo capo, l’ottima e intuitiva ispettore Miriam Fantini.
Mentre un altro genere di aiuto lo riceveranno da Bob Carrezza, bravo giornalista di cronaca nera, ammanigliato anche in questura, appena miracolosamente sfuggito a un mortale agguato in Transnistra dove si era recato per inseguire uno scoop; dalla fascinosa Black Dalia, rivelatasi figlia dell’ingegnere comunale Dalmine Giuliani, il morto ritrovato sull’argine, ex confidente e gola profonda del giornalista. Poi come non bastasse Zek e Sam, avranno anche l’incondizionato appoggio di Minny Morelli, il loro datore di lavoro e allenatore di boxe, di Abbe, o meglio Abedullah, lo straordinario barista, che ama il curry, erede del locale del sor Quirino e della “magica” Luz sua moglie, l’albina dagli straordinari poteri di sensitiva. Un indispensabile intervento finale poi di un angelo travestito e con le insostituibili cure e premure dell’affezionato medico di famiglia, il dottor Marino.
Una storia portata veramente ai limiti della realtà (suppongo che, se vuol continuare con la serie, Marzia Musneci dovrà adattarsi per forza a far scegliere l’intervento ai gemelli per separarsi ) costruita e ambientata, in una periferia romana, quella del quadrante sud, culla della peggio malavita ma anche di personaggi molto, ma molto speciali.


Marzia Musneci – giallista di vecchia data, ha vinto il Premio Tedeschi nel 2011 col romanzo Doppia indagine, ha pubblicato per Giallo Mondadori Lune di Sangue (premio Ciampino 2013) e Dove abita il diavolo. Scrive racconti per diversi editori e ha pubblicato per Todaro Grosso guaio a Roma Sud, sempre con protagonisti i gemelli congiunti Sam e Zek. Nel 2013 ha vinto il premio internazionale di haiku indetto dalla Cascina Macondo ed è presente nelle raccolte Hanami (inverno, autunno, primavera, estate).

:: Codice di Ferro di Romano De Marco (Camena 2023) a cura di Patrizia Debicke

1 ottobre 2023

Quando un commando terroristico dotato ha cercato di rapire due mesi prima la bella e arrogante Martina Alinari, trentenne unica figlia di un ricchissimo industriale lombardo e parlamentare, fondatore del movimento Nuova Italia libera, i media italiani si infiammano, facendo nascere un caso capace di alterare gli interessi politici nazionali. Il tentato rapimento che è costato la morte agli uomini della scorta della ragazza, verrà attribuito dai servizi a una matrice islamica.
Martina Alinari, la potenziale vittima, approfittando senza vergogna dalla pubblicità scaturita dal tragico avvenimento e dallo scampato pericolo, ha deciso di buttarsi in politica ed è pronta a trasferirsi a Roma per ufficializzare la sua candidatura alle elezioni, nelle fila partito che sosterrà la formazione politica creata dal padre.
Padre poi che mira addirittura a diventare capo del governo.
Questa “discesa in campo” dell’Alinari , accompagnata da un’eccezionale cassa di risonanza, sarà gestita personalmente da Nino Bocci, un ex attore, molto noto a metà anni settanta, oggi riciclato con successo a talent scout di reti private. Ma anche uno degli agenti italiani più pagato e di maggior successo. Tuttavia , visti i drammatici precedenti collegati alla ragazza, ora le serve un’adeguata protezione. Molto adeguata e ben preparata.
Il procuratore capo di Roma decide di affidare l’incarico a Rinaldo Ferro, capitano, ufficiale del reparto operativo dei carabinieri (super esperto in arti marziali, con una figlia mezzo giapponese brava quanto lui e gestisce una palestra). Ragion per cui l’ufficiale della benemerita che, finalmente dopo il romanzo Ferro e fuoco con in veste di antagonisti i banditi soprannominati dalla stampa “ i quattro dell’apocalisse”, tornerà finalmente in pista con la sua squadra.
Perché ciò che preoccupa procura, polizia e Servizi è il fatto che il commando, impiegato nel tentato rapimento, fosse dotato di armi molto, molto potenti, studiate apposto per essere usate dalle truppe Nato e finora certo non disponibili sui mercati malavitosi internazionali. Unica informazione disponibile in proposito, e che consegna una forte plausibilità all’ipotesi che il vento sia cambiato, è la certezza di un furto sei mesi prima in un magazzino della difesa nella base di Aviano.
Ferro accetta, convoca i membri senior della sua squadra , il veneto maresciallo maggiore Federico Moroni e il maresciallo capo, il romano Elio Cianfrocca. Ma, considerata la difficoltà dell’impresa e la necessità di contare su più braccia, opta subito per rafforzarla con l’inserimento del trentenne e indisciplinato brigadiere ma a suo modo un fuoriclasse, Mauro Vanni , laureato in filosofia e alto un metro e novantasette per centodue chili di peso.
La faccenda parrebbe incanalata nel verso giusto.
E tanto per cominciare il capitano dei carabinieri Rinaldo Ferro e la sua nuova squadra speciale, ormai pronti a tornare in azione, rinnoveranno il mutuo patto di appoggio con il commissario, Laura Damiani, eccellente poliziotto che ha un rapporto con Ferro, ormai legato a lei da più che una semplice attrazione…
Ciò nondimeno qualcosa non quadra perfettamente: riaffiorano gelosie, vecchie ruggini con la questura mai digerite completamente. Ragion per cui, con il passare dei giorni, molti anzi troppi problemi di collaborazione dovranno essere risolti. E la squadra di Ferro sarà costretta a districarsi su più fronti. Formalmente lasciata da sola, anche se coadiuvata in segreto dal commissario Laura Damiani e dal suo miglior collaboratore l’ ispettore Silveri, in contrasto con i loro superiori.
Intanto però Ferro ignora cosa in Giappone, dove è cresciuto, si stia tramando contro di lui. La potente mafia giapponese, la Yakuza di Tokio, regolata dalle contorte logiche di supremazia tra gli affiliati del gran consiglio e attualmente guidata da Yumiko, vedova del boss Yamamoto Hui e diventata l’indiscusso capo del suo clan per regolare un conto del passato, vuole la sua testa, sua figlia Shin Yu, e ha dato ordine di eliminarlo, facendo fuori per soprammercato la Damiani, considerata la sua donna .
Dopo aver stipulato un’alleanza ad hoc con un potente e ben ammanicato boss della mafia calabrese infatti Ken Tanaka, prestante luogotenente di Yumiko e la sua gigantesca guardia del corpo , due micidiali killer, sono già sbarcati a Fiumicino. Pronti a dare il via alla loro feroce e mortale caccia all’uomo.
Due diversi fronti nemici da affrontare per il capitano che, e lo scopriremo leggendo, sono anche in qualche modo coordinati dallo stesso pericolosissimo burattinaio, collegabile dalla mafia albanese e a quella italiana, alleata della Yakuza giapponese. Qualcuno con le mani in pasta dappertutto, sostenuto da politici di malaffare con imprevedibili appoggi tra le autorità, e segreti contatti con la magistratura e i servizi segreti.
Stavolta Ferro e gli uomini della sua squadra che, per contenere i brutali e senza regole sanguinosi attacchi nemici, mettendo in gioco la loro vita, dovranno più volte dimenticare regole e convenzioni per difendersi negli attacchi diretti e nei ripetuti scenografici e drammatici scontri a fuoco. Ciò nondimeno, nonostante le scorciatoie e i metodi che talvolta sono costretti ad applicare, il senso del dovere e la volontà di fare giustizia emergono sempre, con prepotenza, da ogni pagina del libro.
Ma sarà problematico per il capitano Rinaldo Ferro riuscire in qualche modo a evitare anche le insidiose trappole che l’attendono e si intrecciano con il suo passato. E infatti, mentre il male pare far da padrone nelle sfrenate lotte di potere tra clan, per riuscire a regolare definitivamente i conti , sarà costretto a seguire l’antico codice che, tanti anni prima , aveva giurato di rispettare sempre : il codice del guerriero. In cui la vittoria – nell’ arte marziale giapponese che si esalta nella mortale Katana, arma bianca nobile e rituale nei secoli – , spetta al più forte ma anche al più abile psicologicamente.
Un formidabile, velocissimo e spettacolare thriller in cui, leggend, pare quasi di seguire in diretta le scene di un film e in cui soprattutto si scopre l’ indovinato susseguirsi di chiffanger ovverosia del continuo rapidissimo cambio di scenario, azioni e situazioni.
Insomma un ottimo romanzo che pur dominato da ritmo scatenato, non dimentica di far trasparire tra le sue righe anche la denuncia e la critica sociale e ideale seguito di Ferro e fuoco, uscito nel 2012.
In conclusione mi pare che Codice di ferro sia rimasto ad aspettare per troppi anni semidimenticato e chiuso in un cassetto.
Ora Romano De Marco ci promette che avrà un seguito e noi simo qui: fiduciosi e a piè fermo.

Romano De Marco ha esordito nel 2009 con il Giallo Mondadori n. 2974. Ha pubblicato 13 romanzi (di cui uno con lo pseudonimo Vanni Sbragia) e una raccolta di racconti, con editori come Feltrinelli, PIEMME, Salani. Alcuni suoi romanzi sono stati tradotti all’estero e due sono stati riadattati in Graphic novel. Ha pubblicato racconti e articoli su Linus, Il Corriere della sera, Micromega, I classici del Giallo Mondadori. Ha vinto vari riconoscimenti nazionali come il Premio Scerbanenco dei lettori (nel 2017 e nel 2019) il Premio Fedeli, Il Premio NebbiaGialla e il Premio Giallo Ceresio. È dirigente in uno dei maggiori gruppi bancari italiani, vive tra Ortona (Abruzzo) e Modena. CODICE DI FERRO è un suo romanzo inedito scritto nel 2008 e pubblicato esclusivamente in audiolibro da Storytel nel 2020.

:: Per i cento anni della nascita di Calvino a cura di Nicola Vacca

28 settembre 2023

Italo Calvino (1923 – 1985) è uno di quei grandi scrittori per cui vale la pena sentirsi italiani. Calvino occupa un posto di primo piano nella storia del romanzo e soprattutto nel panorama culturale del Novecento.

A cento anni dalla sua nascita siamo ancora qui a fare i conti con gli infiniti mondi letterari che Calvino ha inventato. Mondi ancora tutti da esplorare e in cui perdersi come in un labirinto di idee in cui si trova sempre una certa idea di letteratura: «La biblioteca ideale a cui tendo è quella che gravita verso il fuori, verso libri «apocrifi», nel senso etimologico della parola, cioè libri «nascosti».

La letteratura è ricerca del libro nascosto lontano, che cambia il valore dei libri noti, è la tensione verso il nuovo testo apocrifo da ritrovare o da inventare». (Italo Calvino, Una pietra sopra, nuova edizione Mondadori, 2023).

Con la sua attività di critico lucido e di consulente editoriale, grazie al suo fiuto, alle sue scelte e ai suoi orientamenti attraverso la collaborazione con la Einaudi ha influenzato positivamente la cultura italiana.

Già dal suo primo romanzo (Il sentiero dei nidi di ragno uscito nel 1947) il progetto letterario di Calvino si presenta come uno dei più importanti della letteratura italiana e europea del secondo Novecento.

La dimensione favolosa e fantastica è la vocazione più autentica dello scrittore. In quel romanzo la resistenza vista attraverso gli occhi di un bambino diventa il modo di prendere le distanze dalla celebrazione agiografica della lotta partigiana. Ma soprattutto Calvino dimostra di avere uno straripante gusto inventivo, una fertilità fantastica e un occhio nuovo il cui sguardo si intreccia con un originale modo di narrare.

Tutto questo si realizzerà nella trilogia I nostri antenati in cui Calvino raccoglie tre storie che ha scritto nel decennio 1950 -60 e che hanno in comune il fatto di essere inverosimili, di svolgersi in epoche lontane e in paesi immaginari.

Calvino intreccia storia e favola invitando i lettori a guardare queste narrazioni come un albero genealogico degli antenati dell’uomo contemporaneo, in cui ogni volto cela qualche tratto delle persone che ci sono intorno

Lo scrittore mantiene sempre l’interesse per la realtà, ma la trascrive, la interpreta attraverso la favola e l’ironia.

Questa di Calvino è un’allegoria dell’uomo contemporaneo. Le storie immaginarie di Italo Calvino si aprono a una vasta gamma di significati legati alla condizione umana e storica.

La trilogia, infatti, immagina l’uomo contemporaneo diviso e irrecuperabile in un mondo si due verità (Il visconte dimezzato), costretto a simulare l’evasione nella natura(Il barone rampante), ridotto a pure finzione esistenziale (Il cavaliere inesistente).

Attraverso un Calvino fantastico emerge un Calvino realista che racconta le vicende della vita di oggi senza mai cedere al disimpegno e alle forme di realismo magico. Il suo estro fantastico avrà sempre radici nel quotidiano. Ne è la dimostrazione un libro come Marcovaldo.

Con le Cosmicomiche, uscito nel 1965, inizia una nuova fase narrativa di Calvino.

Qui la vocazione alla favola si complica. Nasce un’invenzione narrativa legata a prospettive cosmiche, scientifiche e esistenziali che si nutre di acquisizioni derivate dallo strutturalismo, dalla semiologia e si ispirano alle finizioni immaginarie di Borges, scrittore amato da Calvino.

A questa seconda fase, che costituisce un unicum nella narrativa italiana contemporanea, fanno parte romanzi importanti come Le città invisibili, Il castello dei destini incrociati, Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Le città invisibili è uno dei libri più belli di Italo Cavino. In questo romanzo la sperimentazione della nuova fase narrativa tocca punti interessanti e estremi.

A proposito di questo libro lo stesso Calvino scriverà: «Negli ultimi tempi ogni cosa che scrivo non mi soddisfa se non mi pone delle enormi difficoltà compositive, dei problemi combinatori al limite del risolvibile».

Le città invisibili è il libro che meglio rappresenta il secondo Calvino, scrittore profondo che scruta natura, memoria e luoghi con l’evidenza di scelte intellettualistiche autentiche che mirano sempre a analizzare in maniera disincantata la condizione dell’uomo con gli strumenti della ragione della sua morale laica.

Immerse nell’invisibile, le città calviniane rappresentano una mappa compilata per intraprendere un viaggio all’interno dei reali rapporti che esistono tra i luoghi e chi li abita. Ma soprattutto è un percorso per interpretare le angosce e i desideri dell’ esistenza nelle realtà urbane.

Come scrive Calvino, ogni uomo porta nella mente una città fatta soltanto di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città particolari la riempiono.

Il Marco Polo visionario è il viaggiatore che gira e non ha che dubbi, non riuscendo a distinguere i punti della città, anche i punti che egli tiene distinti nella mente gli si mescolano.

Nelle città invisibili tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura.

Qui non si va in cerca di città riconoscibili. Quello che conta è offrire al lettore problematiche filosofiche, esistenziali e morali sulla vocazione delle città.

Senza alcuna pretesa di trovare un ordine, la realtà perde la sua concretezza e diventa mentale, si realizza nella fantasia dove ognuno trova la maschera che gli si adatta di più.

«Che cos’è oggi la città per noi? Penso di aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa difficile viverle come città».

Ci affidiamo alle sue stesse parole per comprendere l’essenza di questo romanzo straordinario e unico in cui la fervida immaginazione di Calvino istiga la realtà a venire fuori in tutte le sue disumane contraddizioni di cui le città sono le ragnatele che tessono rapporti intricati in cerca di una forma.

A lezione con eredità di Italo Calvino

Lezioni americane è il lascito di Italo Calvino al secolo nuovo che stiamo attraversando.

Le sei proposte per il prossimo millennio, come recita il sottotitolo, corrispondono a una serie di lezioni che lo scrittore aveva preparato in vista di un suo viaggio in America dove era astato invitato dall’Università di Harward per un ciclo di conferenze da tenersi nell’autunno del 1985.

Purtroppo Calvino morì nel settembre dello stesso anno e gli studenti americani furono privati della bellezza di queste conversazioni.

Al momento di partire per gli Stati Uniti Calvino, delle sei lezioni ne aveva scritte cinque. Manca la sesta dedicata alla Consistency, che avrebbe scritto sul posto.

Lezioni americane uscì postumo nel 1988 da Garzanti nell’edizione Saggi blu.

«Siamo nel 1985: – scrive Calvino nel breve prologo – quindici anni appena ci separano dal nuovo millennio. Per ora non mi pare che l’approssimarsi di questa data risvegli alcuna emozione particolare. Comunque non sono qui per parlare di futurologia ma di letteratura».

La fiducia che Italo Calvino riponeva nel futuro della letteratura consisteva nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici.

Così decide di consegnare alla posterità che lui non vedrà alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che gli stanno particolarmente a cuore, cercando di collocarle nella prospettiva del nuovo millennio.

Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità. Ecco le cinque conferenze che Calvino non ha mai tenuto ma che noi, cittadini spaesati del nuovo millennio, possiamo leggere.

Lo scrittore ci conduce negli scaffali interiori della sua mente letteraria e ci invita a leggere insieme al la grande biblioteca del mondo dei libri da lui amati per tirare le somme sulla imprescindibile funzione della letteratura.

Lezioni americane è un libro in cui Calvino si sofferma sul valore della letteratura e sul suo universo infinito in cui si aprono altre vie da esplorare. La letteratura come funzione esistenziale, la ricerca della leggerezza al peso di vivere.

La letteratura in cui c’è posto per la rapidità dello stile e del pensiero che vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura, tute qualità che si accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento all’altro, a perdere il filo cento volte e a ritrovarlo dopo cento giravolte.

La scrittura tramite l’esattezza per un giusto uso del linguaggio che per Calvino significa avvicinarsi con discrezione e attenzione e cautela, col rispetto che le cose (pensanti o assenti) comunicano senza parole.

Tra i valori che allo scrittore stanno a cuore e che si è proposto di raccomandare al prossimo millennio c’è anche la Visibilità. Un valore che ha a che fare con l’immaginario e la fantasia, che per Calvino è un posto in cui ci piove dentro. Qui lo scrittore indaga le problematiche letterarie dell’immaginario e si chiede come si forma l’immaginario di un’epoca in cui la letteratura non si richiama più a un’autorità o a una tradizione come sua origine o come suo fine, ma punta sulla novità, l’originalità, l’invenzione.

Con la lezione dedicata alla Molteplicità Italo Calvino si conferma un grande letterato dotato di intuizioni non comuni quando discute del romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come arte di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo.

Le Lezioni americane, ventitré anni dopo l’inizio del nuovo millennio, ci leggono dentro con la loro lucidità di pensiero e soprattutto ci appartengono. Cosi come avrebbe voluto l’immenso Italo Calvino.

:: Per tutte, per ciascuna, per tutti, per ciascuno di Filippo Kalomenidis Canti contro la guerra dell’Italia agli ultimi (Collettivo Eutopia Edizioni DEA 2022) a cura di Giulietta Iannone

30 agosto 2023

Dal 1969 al 2021, 52 anni di donne e uomini contro la guerra, condannati a terminare questa vita e condannati alla morte oltre la morte: essere dimenticati. La memoria è intrisa di dolore ma è quel collante che fa bene al cuore e ci insegna a non ripetere i nostri errori e a costruire un futuro migliore. Perchè tutto tende al bene, alla perfezione, alla crescita, al progresso. E questo flusso positivo teso versio il domani si tramanda e si testimonia con la forza della speranza. Speriamo tutti, tutti assieme in un futuro migliore per noi e i nostri figli e nella speranza già l’avremo. Le storie di queste donne e di questi uomini sono entrate nella nostra carne, sono diventate amore. Non facciamo l’amore con le macchine ma torniamo a fare l’amore con le persone, vive, in carne, tendini e sangue. L’amore è l’energia primigenia di cui si nutre lo spirito e la pace e il bene superiore da perseguire a prezzo dei nostri sacrifici di tempo, fatica, sudore. Restiamo umani sembra dirci Filippo Kalomenidis, in questo florilegio di tesimonianze di donne e uomini che non hanno perso la loro umanità, facendosi intrappolare nel vortice della competitività e dell’egoismo. Siamo una comunità globale, in cui nazionalità, colore della pelle, degli occhi, non hanno più valore di barriera e di separazione ma tutti tendiamo al bene comune, alla pace, alla felicità condivisa e personale. Leggete questo libro, fa bene al cuore.

:: Il secondo modo di fare le cose di Roberto Zannini, Giallo Mondadori di Patrizia Debicke

30 agosto 2023

Protagonista del romanzo (arco di tempo da novembre 2021 a giugno 2022, era Covid) è la ex criminologa e patologa forense Eva Carini, con radici siciliane, basta pensare al nome, ma cresciuta e vissuta nel Nord-Est. Orfana di madre fin da piccola, era l’unica figlia di un famoso giudice, (poi morto anche lui).
Attualmente non ha problemi economici: è stata una professionista di livello, con una brillante carriera, molto ben inserita nel suo lavoro come criminologa specializzata in casi di femminicidi, soprattutto delitti a sfondo sessuale ma, dopo uno spaventoso incidente, una caduta dal quarto piano di un edificio in costruzione, dalla quale ha salvata a fatica la pelle restando a lungo in coma e risvegliandosi poi con un completo vuoto di memoria che copre l’arco di ben due anni, in virtù del risarcimento e di sufficienti mezzi propri ha deciso di ritirarsi e mettersi in pensione.
Al momento dell’inizio della storia, (novembre 2021), Eva Carini vive poco lontano da un paese incassato nel Canale del Brenta, Cismon del Grappa, dove, con i soldi ricevuti per l’invalidità, ha comprato a un’asta fallimentare un modernissimo impianto di cremazione con annessa residenza, che ha chiamato la Fabbrica Kronos. Impianto che che naturalmente di quei tempi in cui il morbo macina defunti, lavora a pieno regime. Con la mente provata da un buco vuoto di due anni, e per controllare i dolori per i traumi subiti prima di decidersi ad affrontare un pericoloso e grave intervento alla schiena in grado di riattaccarle le vertebre con dei chiodi e forse di rimetterla del tutto in sesto , ha acquisito una forte dipendenza da un oppiaceo, l’ossicodone.
Pur decisa a dedicarsi alla nuova professione, soffre d’insonnia che lenisce con benzodiapine e beve solo the e ha un cane, Dingo adottato come animale da compagnia e difesa, una specie di molosso. Per il resto, chiusa di carattere, mantiene pochi indispensabili contatti umani diretti con il resto del mondo, salvo la buona conoscenza o meglio quasi un’amicizia con la proprietaria del bar trattoria di Cismon, Irina, di origini lituane, vedova con una figlia diciottenne, Vanja.
Ma mentre Eva è in giro a Verona con il carro preposto alla raccolta delle bare, una telefonata riporterà quasi di forza nella sua vita la sua vecchia professione.
La società di intelligence e sicurezza, con la quale collaborava e con la quale mantiene un confidenziale rapporto di servizio, la informa che il mostro, un diabolico serial killer al quale dava la caccia prima del suo incidente, ha colpito ancora, uccidendo un’altra ragazza, la quarta. Dalla successiva autopsia quella morte presenta diversi elementi in comune con tutte le precedenti vittime. Soprattutto la macabra incisione fatta con il coltello, che rappresenta la sua solita firma: un otto rovesciato che va da una spalla all’altra. Bisogna scovare e incastrare il mostro , a ogni costo. Ed Eva avrebbe imparato come fare durante i tanti mesi di tirocinio passati in Messico a studiare spaventosi, locali, casi di femminicidio.
E proprio a Juárez, Eva aveva dovuto anche imparare che talvolta si deve usare un secondo e magari diverso modo per fare le cose. Che miri soprattutto e solo ai risultati.
Un sistema da applicare subito perché proprio il giorno dopo la dottoressa Carini dovrà impegnarsi di persona e prestare aiuto all’amica Irina per ritrovare la figlia Vanja, misteriosamente scomparsa durante una gita scolastica di tre giorni a Venezia. E lo farà alla sua maniera, senza mezzi termini, con metodi poco convenzionali ma di straordinaria efficacia. Altrettanto quel rapimento, da lei brillantemente sventato, si rivelerà anche una preziosa traccia che la porterà a scoprire qualcosa di peggiore, concepito da una mente perversa e criminale.
Ma il mestiere è mestiere e qualcosa le dice che spetterà a lei darsi da fare. E a rendersi conto di non essere riuscita a tagliare del tutto i suoi legami con la sua vita d’un tempo.
Da quel momento il romanzo decolla farcendo la trama di incredibili colpi di scena, con il killer che continua a insanguinare le sue vittime con la sua firma, un cabalistico 8, simbolo del suo nomignolo ovverosia Infinito, per poi sbiancarle oscenamente con della candeggina. E provare a capire il significato e il perché della minacciosa ombra di una Pandora, che scoperchiando il suo vaso di incognite, incombe su tutto lo scenario. Troveremo persino la mafia lituana con il clan “I Lupi di Vilnius”, incontreremo Demba Fayé, uno sveglio senegalese che ha fatto fortuna, il prepotente cavaliere Martini, tipico magnate dell’opulento nord, abituato a mettere a tacere tutto, pagando fior di “sghei” ad amici e nemici, e altro, tanto altro.
Un romanzo tutto italiano, ambientato soprattutto in Veneto (Venezia, Padova, Asiago), con una breve ma utile puntata appenninica: poi però si svolazza allegramente e meno anche in Centro America, in Equador , per finire con una bella vacanza premio negli splendidi paesaggi siciliani.
Ma attenti! Dov’ è poi finita la mitica Pandora???
L’autore, il veneto Roberto Zannini con questo suo romanzo “Il secondo modo di fare le cose” è da luglio in tutte le edicole, per il Giallo Mondadori.
E proprio lui, Roberto Zannini è stato premiato sabato primo luglio come vincitore del Premio “Alberto Tedeschi”, a Cattolica, da Franco Forte direttore del Giallo Mondadori, durante il MystFest, giunto quest’anno alla sua 50° edizione.

Roberto Zannini, nato nel 1959 a Mestre, trascinato dalla passione per l’alpinismo, abita in montagna fin dall’età adulta.
Ha lavorato per quarant’anni nel settore del consolidamento montano, depositando una serie di brevetti e promuovendo progetti di sviluppo per teleoperatori robotici.
E nel tempo libero scrive romanzi.

Quando la contatta la società di intelligence e sicurezza Resolvia, unico suo contatto rimasto, Eva risponde con trepidazione.

Quattro parole bastano a farle crollare il mondo addosso: “Ne abbiamo un’altra”.

Il mostro che Eva stava inseguendo prima dell’incidente ha colpito ancora. Una quarta ragazza è stata uccisa e buttata giù da un ponte. Ma prima, come da rito, la vittima è stata marchiata con il simbolo dell’infinito, inciso nella carne da spalla a spalla.

La firma dell’assassino.

Con un omicida seriale a piede libero, i morti del crematorio possono aspettare. Ora è tempo di pensare ai vivi. Di tornare a dare la caccia ai mostri, per salvare il prossimo bersaglio da una fine orribile.

Per dimostrare che, anche nelle tenebre più buie, esiste un modo diverso di fare le cose.

Ma il vecchio…amore non si dimentica, ed ecco che la società di sicurezza e di intelligence la chiama per informarla che il mostro a cui avevano dato la caccia in vano ha colpito ancora, uccidendo una quarta vittima. Ci sono vari legami con i delitti precedenti, compresa l’incisione tracciata con un coltello.Un otto rovesciato che va da una spalla all’altra è la firma dell’assassino.

E quindi la squadra viene radunata d’urgenza, Carini compresa,perchè è il momento di prendere l’assassino, a qualsiasi costo.E intanto Eva Carini pensa di aver capito il modo di agire dell’assassino.

IL Giallo Mondadori ha proclamato migliore autore di Gialli dell’anno, Roberto Zannini, vincitore quindi del Premo Tedeschi 2023 con Il secondo modo di fare le cose.Il Premio è nato nel 198o, dedicato a una delle figure fondamentale nella storia del Giallo italiano, Alberto Tedeschi, storico direttore de Il Giallo Mondadori. L’importanza del Premio è testimoniata da una lunga serie di eminenti vincitori da Macchiavelli a Lucarelli, dalla Comastri Montanari a Riccardi,da Leoni a Luceri e a tanti altri ancora, sino appunto al vincitore 2023 Roberto Zannini.

Protagonista del romanzo è una criminologa, Eva Carini, che ha perso circa due anni di memoria a seguito di un incidente ed anche rimasta s0ggetta a dipendenze farmacologiche.

Così ha preferito lasciare il lavoro di criminologa intraprendendo un’attività industriale, ma quando un nuovo delitto coinvolge nuovamente il gruppo di lavoro a cui aveva appartenuto, anche lei risponde all’appello e torna in prima linea.

Una storia originale, ben scritta, coinvolgente ,un giallo che si fa apprezzare anche per l’originalità del tema e dell’impianto narrativo sviluppato dal Zannini.

Del resto ben rispecchia la desolazione del nostro tempo, dove sempre più ci si racchiude in noi stessi, e solo un’anima che ha già vissuto su se stessa tutto il male possibile, ovvero la dottoressa Carini, che pero è riuscita fisicamente e mentalmente a ritrovare se stessa, può affrontare senza timore la caccia alla verità.