Posts Tagged ‘Sperling & Kupfer’

:: Il lettore di cadaveri, Antonio Garrido (Sperling & Kupfer, 2012) a cura di Giulietta Iannone

25 gennaio 2017
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In questi ultimi tempi sto leggendo parecchi libri di ambientazione cinese, da Strange Tales from Chinese Studio di Pu Songling a vari saggi storici di Gernet, e come si suol dire una ciliegia tira l’altra, così mi son trovata tra le mani un romanzo del 2012, edito da Sperling e Kupfer, dal titolo Il lettore di cadaveri.
Il nome dell’autore non vi inganni, Antonio Garrido non è italiano, ma spagnolo, nato a Linares nel 1963 e docente all’ Università di Valencia, e ha scritto un romanzo davvero interessante, accurato nella ricostruzione storica, frutto di una certosina documentazione, e brillante nella forma.
Il lettore di cadaveri ha per protagonista principale un personaggio storico davvero esistito, Song Ci (1186–1249), un medico forense ante litteram di cui sappiamo davvero poco, oltre al fatto che scrisse un trattato Collected Cases of Injustice Rectified (Xi Yuan Ji Lu) fondamentale per le scienze forensi.
Il fatto che esistano pochi riferimenti sulla sua vita ha permesso a Garrido di usare la fantasia e spaziare nel tempo e nello spazio creando un personaggio singolare e ricco di fasciano.
Insomma Garrido ha riunito le suggestioni del romanzo storico e la suspense del thriller in modo eccellente e personale, dando vita a un romanzo che seppure in Spagna ha vinto parecchi riconoscimenti, da noi avrebbe meritato più diffusione, e infatti sono qui dopo anni a parlarne, sperando di porlo all’attenzione dei lettori interessati.
Siamo dunque in Cina, durante la dinastia Song Meridionale, intorno all’inizio del 1200, e il nostro protagonista Song Ci (il cognome per tradizione veniva anteposto al nome) è un giovane di belle speranze, allievo del giudice Feng, che per vicissitudini familiari si ritrova nel villaggio natale tiranneggiato dal fratello maggiore e costretto ai lavori più umili nelle campagne. Lui sogna di studiare, di frequentare l’Università della capitale Lin’an e solo dopo grandi sofferenze vi giunge fuggiasco e senza un soldo.
L’incontro con il maestro Ming dà una svolta al suo destino, ma solo quando sarà chiamato a corte per indagare su una serie di misteriosi delitti, la sua vita prenderà la giusta direzione.
La storia è composta da diverse indagini svolte da Song Ci in maniera scientifica possiamo dire, e l’autore, ispirato a reali indagini presenti nei testi scritti dal vero Song Ci, è attento che ogni particolare collimi e sia credibile, adeguandolo con la situazione sociale e tecnica del periodo.
Il tutto senza sembrare noioso o nozionistico, ma con il ritmo vivace del thriller capace di incollare il lettore alle pagine e anche qualche sfumatura di erotismo quando il nostro si innamorerà della sensuale Iris Azzurro. Insomma io mi sono divertita a leggerlo, spero farete altrettanto voi.

Antonio Garrido, nato a Linares nel 1963, insegna all’ Università di Valencia. Appassionato di storia, ha iniziato la carriera di scrittore con Il monastero dei libri proibiti, grande successo in Spagna. Il lettore di cadaveri è il suo secondo romanzo, bestseller in patria e tradotto in 12 Paesi.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Cetta dell’Ufficio Stampa Sperling & Kupfer.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

Nota: attualmente fuori catalogo in cartaceo, ma disponibile in ebook.

:: Manuale distruzione di Roberto Corradi (Sperling & Kupfer, 2016) a cura di Irma Loredana Galgano

1 settembre 2016
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Manuale distruzione. Dall’antichità a giovedì scorso (Sperling&Kupfer, 2016) di Roberto Corradi è “l’unico vero libro di Storia” in circolazione. Il solo manuale che racconta la Storia come non l’avete mai letta… ma come avreste sempre voluto studiarla.
Chi ha detto che la Storia è noiosa? Dipende dai fatti che scegli di raccontare e da quanto decidi di essere sincero nel commentarli. Se a questo aggiungi uno spiccato senso dell’umorismo, dell’ironia e dell’auto-ironia allora ottieni un “manuale d’istruzione” che insegna molte più cose di quanto non si è indotti a credere.
Manuale distruzione è un testo simpatico e originale, unico nel suo genere, carico della simpatia e dell’energia che ha e trasmette il suo autore e dell’umorismo mai volgare a cui Corradi ha abituato i suoi fan. È un libro che va letto con calma, ingerendone piccole dosi alla volta altrimenti si rischia seriamente di sentirsi male… dal ridere.

Chi dice che Mary Quant abbia inventato la minigonna non tiene conto di almeno settecento anni di storia romana.

Manuale distruzione è dedicato a Pipino il Breve “di cui ancora si sghignazza” e ha la prefazione firmata da Marco Presta il quale sintetizza alla perfezione il senso recondito del libro: “dare una risposta soddisfacente alla domanda «Come abbiamo fatto a ridurci in questo modo?».”
Corradi racconta quanto accaduto negli ultimi 200mila anni agli esseri “umani” che “dall’esigenza di indossare delle mutande che li coprissero così come erano coperti gli animali da pelliccia” sono arrivati al “compromesso di indossare proprio gli animali da pelliccia”.
Al pari di ogni grande autore o comico che si rispetti, Corradi trasmette al lettore molto più di ciò che traspare dalla semplice battuta. Uno sguardo lucido, a volte tagliente, alla Storia, quella vera, spesso faziosamente raccontata, addolcita, edulcorata. Un’opinione critica e realistica sui fatti recenti e passati che hanno cambiato il corso della Storia e il destino dei popoli. Una dimostrazione palese di quanto, a volte, sono i manuali veri a raccontare delle storie.

E questi dei, sostanzialmente, copulavano. Copulavano, si risentivano, si facevano corrompere, dibattevano dei fatti loro: stava nascendo il concetto di Parlamento, che solo molti secoli dopo avrebbe avuto il suo massimo sviluppo in Italia.

Manuale distruzione. Dall’antichità a giovedì scorso di Roberto Corradi è un libro molto spassoso, da leggere per ridere e sorridere ma anche per riflettere. Per imparare a guardare con occhio diverso, magari più critico, i libri che raccontano la Storia e i giornali che parlano dell’oggi. Un modo “leggero” per tentare di cambiare il domani perché gli “idioti” ci sono in ogni epoca e quasi sempre sono “quelli che devono firmare per cose che ci servono come l’aria”.

Roberto Corradi: classe 1976, romano, autore e attore scrive per la televisione, la radio e il teatro. Ha lavorato con Alberto Sordi, Enrico Montesano, Enrico Vaime, Lillo&Greg, Maurizio Battista, Marco Travaglio, Maurizio Costanzo, Marco Presta e Antonello Dose. Deve i suoi inizi a Corrado Mantoni. È noto per la trasmissione di Radio2 Il Ruggito del Coniglio e afferma di saper fare il pandoro. (fonte http://www.sperling.it)

Source: libro inviato al recensore da Fiammetta, che ringraziamo, per conto della Sperling & Kupfer.

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:: Il bazar dei brutti sogni, Stephen King (Sperling & Kupfer, 2016) a cura di Giulietta Iannone

22 luglio 2016
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Stephen King è come il buon vino, invecchiando migliora. Per cui non dispiace molto rivedere, tra i venti racconti che costituiscono la raccolta Il bazar dei brutti sogni, alcuni magari usciti già altrove, e anche solo poco rimaneggiati e arricchiti. “Miglio 81” per esempio è stato già pubblicato in Italia con lo stesso titolo da Sperling & Kupfer nel 2011, per la traduzione di Giovanni Arduino. Sempre anche in Italia sono stati pubblicati “The Dune”, originariamente su Granta, (“La duna” su Granta Italia n°5 traduzione a cura di Letizia Sacchini; “A Death” originariamente su The New Yorker, (“Una morte” su Internazionale, traduzione di Diana Corsini), “Herman Wouk Is Still Alive”, originariamente su The Atlantic (“Herman Wouk è ancora vivo”, su Internazionale n° 911, traduzione di Wu Ming). Questi ultimi solo in America: “Premiun Harmony”, su The New Yorker; “Batman e Robin” su Harper’s Magazine; “The Bone Church” su Play Boy; “Morality” su Esquire; “Afterlife” su Tin House; “Tommy” su Play boy; “The Bus is another World” su Esquire e “Summer Thunder” su Cemetery Dance. Tutti gli altri sono inediti.
Ma il valore aggiunto, ciò che davvero rende questo libro imperdibile, che siate o non siate lettori storici di King, sono le premesse ad ogni racconto, una letteratura a parte, che ho sempre adorato, in autori come Asimov. Leggevo infatti i suoi libri per leggere queste premesse, anche Chandler non si ritraeva. Scoprire insomma cosa portò al racconto, facendo luce sulla stessa vita dell’autore, ma con pudore, come se si accendesse una luce discreta, e nulla più, beh è un’ esperienza piacevole e molto istruttiva. Stephen King hai il pregio del narratore accanto al fuoco, mentre i marshmallow sfrigolano sul fuoco, una notte di luna piena. In campeggio, sì, quando giunge l’ora, superata la mezzanotte, in cui i racconti di paura prendono vita. Anche noi, che non siamo americani, non facciamo fatica a immaginarci la scena e l’atmosfera. E non credo di sbagliarmi molto ne di essere irrispettosa. Ma King non è un autore da salotto, ecco. Con lui si sente l’odore della terra dopo la pioggia, si sentono i grilli e le rane toro che gracidano, c’è poco da fare.
Il bazar dei brutti sogni a mio avviso è un libro riuscito, che mi sento di consigliarvi senza esitazione. Comunque l’esperienza di lettura è diversa per ogni lettore, mi limiterò a raccontarvi la mia. Prima dei racconti ho letto tutte le premesse ai racconti, in un pomeriggio, con molto gusto e divertita curiosità. Poi i racconti. Non che ve lo consiglio, non che sia un’esperienza ortodossa, ma tant’è così ho fatto io. Prima dei racconti vorrei però parlarvi del curatore e dei traduttori. La traduzione infatti ha richiesto un lavoro collettivo che ha coinvolto Giovanni Arduino, Chiara Brovelli, Alfredo Colitto e Christian Pastore. La curatela del libro è di Loredana Lipperini. Essendo venti racconti sarà difficile che possa parlarvi estesamente di ognuno, ma posso sen’zaltro dirvi quelli che mi sono più piaciuti e mi hanno fatto più paura. Sebbene non l’orrore in senso stretto, traspaia da questi racconti. Se “Miglio 81” è uno dei suoi preferiti, o il finale de La duna addirittura è da lui definito “uno dei miei finali preferiti in assoluto”, tra i miei preferiti citerei senz’altro Il bambino cattivo, Herman wouk è ancora vivo e Il piccolo dio verde del dolore. Probabilmente a voi poco importa, e i vostri preferiti saranno altri, ma il bello è che questo descrive l’ora, l’adesso. Magari già domani avrò cambiato idea. Buona lettura.

Stephen King vive e lavora nel Maine con la moglie Tabitha e la figlia Naomi. Da più di quarant’anni le sue storie sono bestseller che hanno venduto 500 milioni di copie in tutto il mondo e hanno ispirato registi famosi come Stanley Kubrick, Brian De Palma, Rob Reiner, Frank Darabont. Oltre ai film tratti dai suoi romanzi, vere pietre miliari come Shining, Stand by meRicordo di un’estate, Le ali della libertà,Il miglio verde ¿ per citarne solo alcuni ¿ sono seguitissime anche le sue serie TV, ultima in ordine di apparizione quella tratta da The Dome, trasmessa da RAI2. Recentemente King si è dedicato ai social media e in breve tempo ha conquistato centinaia di migliaia di follower su Facebook e soprattutto su Twitter.
Nel 2015 il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama gli ha conferito la National Medal of Arts.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Marina dell’Ufficio Stampa Sperling & Kupfer.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: L’angelo di ghiaccio, Stefan Ahnhem (Sperling & Kupfer, 2016)

9 Maggio 2016
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Non avrebbe dovuto succedere. Del resto nulla lasciava immaginare che quella lettera potesse davvero arrivare al suo destinatario. Gli ostacoli erano così numerosi che le probabilità di giungere a destinazione rasentavano lo zero.
Eppure era proprio quello che era accaduto.
Un anno, quattro mesi e sedici giorni dopo che la lettera era stata infilata in una fessura del convoglio dei prigionieri ed era stata strappata via dai venti nella notte nera, Maria Shawabkeh l’aveva trovata; alcune ore dopo riusciva solo con grande sforzo a riporla nella busta a mancava tutto tranne un nome.
Tre notti insonni dopo aver letto quella orribile cronaca fece alcune ricerche in rete, l’affrancò scrisse l’indirizzo completo e la lasciò all’ufficio postale più vicino. Senza la minima idea delle conseguenze.

Dopo aver esordito con Domani tocca a te, Stefan Ahnhem porta al thriller svedese una ventata di novità o per lo meno cattiveria che non mi sembra di aver notato ultimamente in nessun altro giallo nordico. L’avevo già riscontrata nel libro di esordio, a dire il vero, ma se vogliamo in L’angelo di ghiaccio questa componente è ancora più marcata e tendente all’ horror, per lo meno in alcune scene che sicuramente lasceranno nel lettore un certo sgomento. Insomma un poliziesco per palati forti, per lettori che sopportano scene di cannibalismo (per lo meno in sogno) ritrovamenti di cadaveri dissezionati (con orbite oculari conservate in frigo e scambiate per cipolline). In breve non voglio farvi la carrellata di tutti i macabri reperti, ma se vi aspettate un normale e tranquillo giallo nordico, L’angelo di ghiaccio non lo è.
Detto questo vi avverto di una sorta di straniamento che vi assalirà iniziando il libro. Per chi ha già letto Domani tocca a te e conosce il personaggio di Fabian Risk, un piccolo riepilogo: allora nel primo romanzo della serie troviamo questo poliziotto amareggiato e reduce da un’ indagine che lo costringe a lasciare Stoccolma e rifugiarsi nella sua città natale Helsingborg, nel sud della Svezia, a cercare di rimettere assieme i cocci della sua vita. Bene questo secondo episodio, narra fatti cronologicamente precedenti al primo. Scopriamo insomma perché lascia Stoccolma, continuando sempre a fare il poliziotto.
Un altro punto da chiarire è il titolo. Il titolo originale Den Nionden Graven #TheNinthGrave, La nona tomba, (che ha un significato preciso nella narrazione), viene tralasciato in favore di un più poetico L’angelo di ghiaccio, termine che pur se non accennato si riferisce senz’altro all’assassino, e se leggerete il libro avrete modo di avvertirlo anche voi. Dunque vi ho avvisato delle componenti splatter, (sangue e budella), dell’aspetto cronologico, ho chiarito il titolo, un’altra cosa che mi preme dire è che un romanzo molto complesso.
Basta insomma un attimo di distrazione e zac perderete il filo della storia, per cui per una lettura ottimale, sono 453 pagine, prendetevi un weekend libero o per lo meno alcuni giorni in cui potete leggere senza interruzioni. Non che sia cervellotico o confuso ma considerate che ci sono due indagini una condotta in Danimarca e una in Svezia, con nomi di vittime, presunti colpevoli, ipotesi, false piste, e tutto il corollario. Un po’ di attenzione ci vuole se no finireste con non capire bene l’intreccio. E solo oltre metà avrete chiaro il tema del romanzo.
Tutto inizia con una lettera, e le sue tragiche conseguenze. Il prologo racconta tutto l’accidentato modo tramite cui (la lettera) arriva alla sua destinataria, e anche se sembra slegato dalla storia, è invece essenziale e illumina tutta la narrazione. Dicevo precedentemente che abbiamo due filoni di indagine parallele, una condotta in Svezia da Fabian Risk e la sua squadra e una condotta in Danimarca da Dunja Hougaard. Risk deve capire che fine ha fatto il ministro della Giustizia, praticamente scomparso a due passi dal Parlamento. Ci si metteranno di mezzo i servizi segreti, quindi va da sé che la cosa si rivela già da subito più complessa del previsto. Dunja Hougaard invece deve indagare sulla morte della moglie di un noto personaggio televisivo danese, uccisa in casa in un modo decisamente brutale. Subito si pensa che sia il marito l’assassino, ma anche lui scompare.
Sta arrivando Natale, nelle centrali di polizia si preparano le feste di fine d’anno, occasioni per sbronzarsi e magari per importunare le colleghe, Dunja Hougaard vivrà una brutta esperienza. Insomma la neve cade trasformando Stoccolma una delle città più belle del mondo, e i nostri investigatori si troveranno ad affrontare forse i casi più drammatici delle loro carriere. Fabian Risk per il lavoro trascura i figli (divertente, ma a dire il vero drammatico, quando una maestra della figlia lo chiama ad una riunione dei genitori), si interessa troppo a una collega, con cui lavora fianco a fianco nelle indagini, e con la quale si lascerà andare mettendo a repentaglio il suo matrimonio con Sonja. Malin collega di Risk, incinta di due gemelli, per il troppo lavoro si ammala di gestosi, e sebbene odi la sua condizione di donna in attesa, resta un poliziotto di prim’ ordine capace di intuizioni brillanti. Dunja Hougaard invece se la deve vedere con il suo più stretto superiore, con un collega che la odia perché crede che gli ha fatto le scarpe per avere l’indagine, e con un fidanzato che non ama. Insomma tra vita privata e vita professionale i nostri protagonisti avranno di che stare allegri.
In conclusione una bella serie, un autore interessante, capace di scrivere polizieschi affatto banali e con una sorta di morale. C’ è pure una componente sociale e politica nella più pura tradizione di Stieg Larsson, si può condividere o meno, senz’altro è efficace nel dare drammaticità alla trama, ai motivi che spingono l’assassino a fare quello che fa.
Buona lettura e se l’avete letto venite pure a commentare, ma mi raccomando senza spoiler. Traduzione di Roberta Nerito.

Stefan Ahnhem vive a Stoccolma, dove è nato nel 1966. Famoso sceneggiatore, ha lavorato per il cinema e la tv, spaziando dalla commedia al thriller. Ha iniziato la serie con l’ispettore Risk in Domani tocca a te, un successo internazionale. L’angelo di ghiaccio è il secondo romanzo con Fabian Risk, bestseller in Scandinavia e vincitore del premio Crimetime Specsavers.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Marina dell’Ufficio Stampa Sperling & Kupfer.

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:: Non torna nessuno, Sophie Littlefield (Sperling & Kupfer, 2016) a cura di Giulietta Iannone

5 aprile 2016
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Forse Sophie Littlefield è un nome che vi dice poco, ma se amate i gialli e i thriller dovreste segnarvelo. Di suo ho avuto modo di leggere Non torna nessuno (The Missing Place, 2014, Gallery Books), in questa pausa di marzo, e non me ne sono pentita. Vi invito a visitare il suo sito e a non farvi spaventare dal fatto che scriva anche woman fiction e libri per bambini e ragazzi.
Tradotto da Christian Pastore, per Sperling & Kupfer, Non torna nessuno è un thriller al femminile che vi porterà sulle piattaforme petrolifere del North Dakota alle prese con un’ indagine molto particolare, sulle tracce di due ragazzi scomparsi, entrambi dipendenti di una delle più grandi compagnie petrolifere della zona, la Hunter-Cole.
Ad indagare due improbabili investigatori, due madri disperate, due donne che non potrebbero essere più diverse sia per carattere che per ambiente sociale di provenienza, le sole che pensano che ritrovare Paul e Taylor sia possibile. La polizia del posto non fa niente, (troppo compromessa con le multinazionali), la multinazionale stessa ha molto da nascondere, soprattutto per le mancate politiche di sicurezza che già hanno causato incidenti e morti, e certo non vuole un polverone mediatico che metta in luce le loro irregolarità.
Sole, minacciate, ostacolate in ogni modo le due donne si troveranno a scoprire cose che forse non avrebbero voluto scoprire (soprattutto su sé stesse), ma la verità dopo tutto sale sempre a galla come le chiazze di petrolio sull’oceano.
Cosa mi è piaciuto di più? Su tutto l’ambientazione, realistica e inconsueta: cieli lividi, tavole calde, stazioni di servizio dove si fa la fila per fare una doccia, abitazioni ricavate dai container, supermercati che vendono prodotti scadenti, alberghi di catena dove non si trova una stanza se non con mesi di anticipo (le nostre vivono per buona parte del romanzo in una roulotte, senza acqua calda, con un generatore fuori dai termini di legge). Si sente l’odore del petrolio nell’aria, nonostante la neve, l’avidità e l’indifferenza, la lotta per la sopravvivenza di gente abituata a una vita dura (alcuni vivono in macchina) e senza tutele.
Poi lo stile della Littlefield, diretto, privo di sdolcinatezze, ruvido a tratti, ma piacevole e adatto a descrivere il mondo che ruota intorno alla vita durissima di gente abituata a vivere alle soglie della sopravvivenza. Un lato dell’America che forse non è così conosciuto e non compare certo nei depliant turistici, ma che la Littlefield descrive in modo quasi naturalistico, non dimenticando anche frecciate di critica sociale.
E infine sicuramente i personaggi, ben caratterizzati, con debolezze e difetti, non gli eroi senza macchia con cui vengono dipinti di solito coloro che sono nel giusto. E Shay e Colleen sono nel giusto, rivogliono i loro figli, e sono pronte a tutto anche a mostrare parti di sé delle quali non sono del tutto orgogliose.
Shay la dura, con una vita difficile alle spalle, pochi soldi, pochi privilegi, una che si è conquistato tutto da sola, crescendo i suoi figli da sola magari con un doppio o triplo lavoro. Una tipica donna di frontiera, con la scorza dura, anche se a tratti emergono caratteri di dolcezza e generosità che la rendono forse una madre e una donna migliore di Colleen, ricca signora del Massachusetts, moglie infelice di un avvocato, con un figlio che già da piccolo gli ha dato problemi e ora è fuggito in North Dakota per sfuggire al suo asfissiante controllo.
Ma naturalmente anche Colleen ha i suoi lati positivi, trova la forza in sé di trasformarsi da ricca e viziata madre di un figlio problematico, in una donna determinata e coraggiosa, capace di dare amicizia a una donna tanto diversa da lei. Naturalmente questa amicizia durerà il tempo del libro, sarà difficile vedere le due donne sorseggiare del the insieme o fare shopping, dopo.
Ma per la durata della storia sono le sole su cui possono contare, alleate, complici, amiche. E la vita non è perfetta, così non è perfetto il loro rapporto e la Littlefield non lo rende tale, evitando ogni leziosità. Ecco questo l’ho apprezzato molto, come ho apprezzato il finale, forse un po’ slegato dal contesto, e sicuramente diverso da cosa mi aspettavo.
Non anticipo altro, ho la tendenza di parlare troppo, ma vi consiglio di leggerlo. A me è piaciuto.

Sophie Littlefield è nata e cresciuta in Missouri, ha due figli ormai grandi e ha scelto di vivere in California. È autrice di diversi romanzi, che le hanno valso la candidatura al più prestigioso premio della narrativa gialla, l’Edgar Award.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Marina dell’Ufficio Stampa Sperling & Kupfer.

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Nota:  Vi invito anche a leggere i primi capitoli sul sito dell’editore: qui.

:: I 64 Enigmi. L’antica sapienza cinese per vincere nel mondo contemporaneo, Gianluca Magi, (Sperlig & Kupfer, 2015)

10 Maggio 2015

magiI Ching ovvero il Libro dei Mutamenti, testo antichissimo cinese risalente alla dinastia Zhou, (utilizzato per lo più come strumento divinatorio), racchiude se vogliamo secoli e secoli di saggezza cinese,  apprezzata da Confucio a Carl Gustav Jung in una linea ideale di continuità che ci porta a riflettere quanto la saggezza di per sé sia senza tempo e senza luogo.
Il libro dei Mutamenti dunque è molto più di un oracolo, può essere letto benissimo con spirito scientifico per approfondire concetti profondi e anche difficili, per meditare sull’ esistenza e sul modo in cui affrontarla, o sui dilemmi della filosofia o della matematica. Se vogliamo il sistema di calcolo binario nasce proprio con questo testo che utilizza un sistema di esagrammi composti da un alternarsi in diverse combinazioni di sei linee continue, rappresentanti il principio maschile dello yang, e interrotte, rappresentanti il principio femminile dello yin. 0 e 1, dunque, sì e no.
Può l’antico Libro dei Mutamenti essere d’aiuto nel mondo contemporaneo? Come dicevo prima la linea ideale di continuità porta fino ai giorni nostri, e allo stesso modo deve aver pensato Gianluca Magi, orientalista e storico delle religioni che dirige con Battiato la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, che proprio ai Ching si è ispirato per scrivere I 64 Enigmi. L’antica sapienza cinese per vincere nel mondo contemporaneo (Sperling & Kupfer, 2015).
Agile volumetto, di stampo divulgativo, scritto in un linguaggio semplice e immediato teso a far luce sui misteri che il testo cinese contiene. Si può leggere in modo lineare, come ho fatto io, dalla prima all’ultima pagina, o aprendo una pagina a caso, magari per approfondire un problema che ci assilla e di cui non vediamo la soluzione. Ciò che troverete vi sarà d’aiuto che crediate o meno alle arti divinatorie, perchè c’è sempre un fondo di verità in queste pagine adattabile ai vari casi della vita.
Se volete possiamo fare una prova. Il problema che mi assilla in questi giorni riguarda la mia vita lavorativa, aprirò una pagina a caso e vi dirò quale è e che riflessioni mi ha portato a fare. Allora siete pronti? La pagina che ho aperto è…

La forza del grande – 34° Enigma. Sentenza: La forza del grande arride all’uomo retto. Immagine: L’uomo evoluto non fa un solo passo contrario alla giustizia. Spiegazione: La situazione illustra una crescita vigorosa del coraggio e della forza verso un fine dominante. Magi poi parla della sua esperienza personale, degli ostacoli che ha incontrato che sueprandoli l’hanno portato al successo e termina con un proverbio: Salvare capra e cavoli. I protagonisti sono un contadino (simbolo del funzionamento cosciente del pensiero umano) un lupo (simbolo del funzionamento riflesso dell’organismo umano) una capra, (simbolo del funzionamento del sentimento) e una cesta di cavoli (simbolo delle situazioni sempre nuove che la vita propone e che spetta all’uomo risolvere).

Un contadino vuole trasportare incolumi al di là del fiume una capra, un lupo e una cesta di cavoli servendosi di una piccola imbarcazione in grado di contenere lui e uno soltanto di questi tre carichi. Se il contadino lascia da una parte o dall’altra del fiume senza la sua presenza diretta il lupo assieme alla capra, questa verrà divorata dalla belva; mentre nulla impedirà alla capra di spazzar via i cavoli se li lascia vicino alla cesta incustodita. Il contadino, uomo cosciente e non pigro, risolverà questa situazione attraversando il fiume… una sola volta in più.

Dunque che ne pensate? Incoraggiante, vero? Ho un po’ come la sensazione che si rivolga proprio a me. Se comunque volete leggere il testo originale dei Ching in cinese e tradotto in inglese vi invito a visitare questo link: http://ctext.org/book-of-changes

Gianluca Magi, è uno degli autori più influenti nel campo dell’evoluzione personale. Ha insegnato all’università di Urbino, ha fondato la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa, di cui è direttore insieme a Franco Battiato. I suoi libri sono stati tradotti in 33 Paesi e hanno raggiunto le 200.000 copie vendute. I suoi bestseller sono I 36 stratagemmi e Il gioco dell’eroe.

:: Caccia alla Tigre, Drew Chapman, (Sperling & Kupfer, 2014) a cura Giulietta Iannone

31 luglio 2014

indexDiciamolo subito per me la borsa e il mercato azionario sono sempre stati un mistero. Sì, a grandi linee conosco gli attori internazionali in gioco, le logiche legate al profitto, in borsa non si bruciano mai capitali davvero, semplicemente passano di mano, c’è chi ci guadagna e chi ci perde. Principio che la bolla sui derivati ha leggermente messo in discussione. (L’ammontare dei derivati è circa dieci volte superiore al valore del PIL mondiale, fatto che dovrebbe fare tremare le vene nei polsi a qualsiasi economista). Va be’ c’è stata la crisi del ’29, la Grande Depressione, e ora viviamo in un periodo di crisi seguito allo scoppio di una grande bolla immobiliare del 2007, vi dice niente la crisi dei subprime? Ma dove c’è chi ci perde, come dicevo tecnicamente c’è chi ci guadagna. La Cina? L’India? E se le nuove guerre mondiali si combattessero in borsa, se non fossero più armi ed eserciti a mettere in ginocchio paesi e superpotenze, ma solo numeri, azioni, T-Bond e flussi di denaro? Questa è l’idea, e Drew Chapman ci ha costruito su un thriller finanziario, metà spy story, metà war story. Che le guerre siano state combattute da che mondo e mondo per motivi economici è una verità piuttosto assodata, diciamo che già l’uomo primitivo usava la clava sulla testa del suo vicino per accaparrarsi cibo, pelli, animali, e se sempre dico sempre, anche se ammantati da alti proclami retorici, una guerra ha radici economiche, perché non combatterla proprio con armi finanziarie? Perché non combatterla sul fronte ormai ipertecnologico di uno schermo di computer? Internet stesso nacque come progetto militare, quindi fantasia e realtà non vanno tanto in direzioni diverse. Forse davvero la crisi 2007-2014, è una guerra occulta e non dichiarata tra Cina e USA, dall’esito incerto e ancora non del tutto scontato? In fondo l’effetto domino in una guerra simile non è poi così difficile da immaginare. Ma i telegiornali non lo dicono, e come sapete se i mass media non ne parlano, non è vero. Ma torniamo al romanzo. Allora tutto ha inizio quando un giovane analista finanziario, Garrett Reilly, un tipo piuttosto alternativo, non un mostro di simpatia, fumatore compulsivo di marijuana, con fratello morto in Afghanistan e perciò allergico ad autorità e soprattutto militari in genere, scopre che qualcuno sta svendendo qualcosa come 200 miliardi di dollari di T-Bond, a una velocità di 4 e quattordici minuti. Come faccia a capirlo è presto detto: Reilly ha una mente analitica diversa dalla media, lui vede in flussi di numeri apparentemente caotici correlazioni e schemi, un po’ come il bambino autistico, che decifrava codici in Codice Mercury con Bruce Willis. Una speculazione simile potrebbe in breve tempo mettere in ginocchio il dollaro, con la possibilità di generare ingenti profitti per chi cavalca l’onda. Così Reilly avvisa il suo capo, il quale intuendo qualcosa di profondamente sbagliato e pericoloso, avvisa il Ministero del Tesoro. La crisi rientra, in tempo il governo ordina di riacquistare le azioni ma l’allarme è massimo. Dietro tutta questa speculazione c’è la Cina? E’ l’inizio di una guerra non dichiarata? I più alti papaveri del governo e dell’esercito americano si mettono in moto e decidono di assoldare Reilly nelle loro file, per sferrare le loro contromosse. Dall’altro capo del globo, Hu Mei, la tigre, sta combattendo la sua guerra contro il governo comunista cinese, obbiettivo: scatenare una Rivoluzione. Chi vuole fermarla? Chi vuole aiutarla? In che misura le storie di Garrett Reilly e Hu Mei sono collegate? Be’ la storia è complessa, ma il testo è scorrevole e non eccessivamente ostico anche quando parla di mercato finanziario. E’ in fondo un grande romanzo di avventura all’americana con un protagonista atipico, non il classico eroe supermuscoloso e invincibile. Qui abbiamo un ragazzo di ventisei anni, che prenderà coscienza di sé, che inizierà a capire la differenza tra il bene e il male, che crescerà come essere umano su uno sfondo da action movie ipertecnologico. Caccia alla Tigre (The Ascendant, 2013), edito da Sperling & Kupfer e tradotto da Annamaria Biavasco e Valentina Guani, è in fondo un thriller insolito, forse precursore di un genere, adatto a quest’estate anomala, che almeno ad agosto spero porti un po’ di sole. E’ l’ultimo romanzo che recensisco prima della pausa estiva, e comunque non smetterò di leggere. Le mie prossime recensione le ritroverete a settembre. Buona estate!

Drew Chapman è nato a New York. Laureatosi in storia alla University of Michigan, si è trasferito a Los Angeles, dove ha intrapreso una carriera di sceneggiatore che lo ha visto collaborare con i maggiori studios di Hollywood, come la Walt Disney Pictures (Pocahontas) e la 20th Century Fox (Iron Man). È anche autore televisivo per importanti network: ABC, Fox, Sony TV. Dopo il successo del suo romanzo d’esordio, Caccia alla tigre (subito opzionato per una serie tv), è già all’opera su un secondo libro. Vive tra Seattle e Los Angeles.

:: Recensione di Joyland di Stephen King (Sperling & Kupfer, 2013) a cura di Giulietta Iannone

25 novembre 2013

joylandRicordo ancora la giornata di Mike e di Annie al parco come se fosse ieri, ma ci vorrebbe un narratore molto più dotato di me per farvi capire che cosa provai e per spiegarvi perché da quel momento in poi Wendy Keegan non fu più padrona del mio cuore e delle mie emozioni. Posso solo confermarvi un fatto risaputo: certi giorni valgono più dell’oro. Non sono molti, ma nel corso di quasi ogni vita ne esistono almeno un paio. Quello fu uno dei miei giorni e ogni volta che sono giù di corda e il mondo non mi sorride e tutto mi sembra finto e dozzinale come la passeggiata di Joyland in un pomeriggio di pioggia, io ritorno con la memoria a quel martedì di ottobre, anche solo per ricordare a me stesso che la nostra esistenza non è sempre un gioco da spennapolli. Talvolta i premi sono reali. Talvolta hanno un valore immenso.

È la prima volta che recensisco Stephen King, anche se naturalmente Joyland non è il primo libro di King che abbia letto. Non che la cosa mi imbarazzi, tutt’altro, ho recensito Euripide, Arthur Miller e Graham Greene tanto per dire, recensire i mostri sacri della letteratura è un’ esperienza stimolante e istruttiva, che consiglio a  tutti i lettori. Comunque recensire King è anche un’ esperienza catartica ed è bizzarro che abbia avuto questa sorta di battesimo del fuoco proprio con una storia di iniziazione e struggente nostalgia, ricca degli stessi spunti narrativi presenti bene o male in tutti i suoi romanzi, horror compresi.
Che Joyland non sia un horror è già stato detto, anche che si ricollega in un certo senso alla poetica de Il corpo, da cui è stato tratto il film generazionale Stand by me – Ricordo di un’ estate, stessa cosa che non è un vero thriller e men che meno un giallo classico di tipo deduttivo, un whodunit come sembra averlo definito Charles Ardai editor di Hard Case Crime (l’editore americano del romanzo), sebbene ci sia una ragazza morta, ultima di una serie di vittime di una specie di serial killer, e parte del romanzo si riveli essere un’ indagine condotta dal protagonista per smascherarlo, che comunque si riduce ad essere una ricerca per biblioteche e vecchi quotidiani condotta da Erin, dalla quale il protagonista ricaverà l’intuizione fatale. Ben poco, concorderete con me, per definirlo appunto un whodunit.
Potremmo a questo punto giocarci la carta della ghost story, e qui abbiamo ben due fantasmi che giocano un ruolo fondamentale nella storia, sebbene il primo, quello della ragazza Linda Gray, sembra solo capace di segnare il destino di Tom Kennedy, spegnendo un po’ della sua contagiosa allegria (il protagonista non arriverà mai a vederlo, limitandosi a notare un cerchietto azzurro, appartenuto alla ragazza). A questo punto ritengo che la cosa più onesta da fare sia definire Joyland un romanzo senza classificazioni, forse tutt’al più un romanzo di formazione che segue con amorevole cura il passaggio dall’adolescenza all’età adulta di un giovane universitario americano che sogna di fare lo scrittore e finirà per fare il giornalista, con un groppo alla gola per l’estate dei suoi ventun’anni, relegata nel 1973 in un parco di divertimenti sulle coste della Carolina del Nord.
Pubblicato in Italia, in contemporanea con l’America, da Sperling & Kupfer nella collana Pandora, e tradotto da Giovanni Arduino, Joyland (Joyland, 2013) è un romanzo come dicevo prima profondamente kinghiano. Parla di nostalgia, dell’ingenuità degli anni ’70, sorta di Eden dorato in cui anche King era giovane e i parchi di divertimento erano ancora quasi a gestione famigliare, sorta di ribellione contro l’avvento omologante e massivizzante di parchi di divertimento modello Disney World. (Se Devin Jones vive in quell’estate gli ultimi scampoli della sua adolescenza, anche Joyland vive una delle sue ultime stagioni, prima del fallimento.)
Parla del passaggio dall’adolescenza all’età adulta con conseguente perdita di innocenza, sostituita da una dolente accettazione per le regole, a volte crudeli, di cui è fatta la vita. Parla d’amore, corrisposto, fugace, infelice, tradito, del rapporto tra padri e figli, velato ma presente nel legame tra Devin e suo padre e in quello tra Devin e il piccolo Mike, per citare i modelli positivi, e in quello doloroso tra Annie e il predicatore.
Parla d’amicizia, di malattia, di morte, del soprannaturale (perché nei romanzi di King il soprannaturale anche sfumato c’è sempre) nascosto nelle pieghe di una quotidianità così spesso avvilente, fatta di sacrifici, perdite, sconfitte, povertà, desiderio di riscatto.
Parla della magia di un parco di divertimenti in riva al mare, di quelli simili alle giostre paesane itineranti che ogni anno ancora oggi toccano la mia città. Il tirassegno, la ruota panoramica, le tazze ballerine, il Castello del Brivido, la cartomante vestita come una gitana magiara, segnata dal forte accento di Brooklyn, quando si distrae, che legge la mano e predice la fortuna e forse è realmente dotata del “dono”.
Parla dei codici di comportamento, di cosa significhi essere figli del carrozzone, della loro bizzarra parlata, del senso di appartenenza ad una comunità coesa e bislacca. Hot dog, zucchero filato, il regno dell’infanzia di molti, forse di tutti.
King è un maestro nel rendere epico qualcosa di così radicato nell’immaginario comune, e sebbene qui descriva l’America di provincia degli anni ’70, Heavens Bay, Carolina del Nord, non è difficile rivivere le stesse sensazioni, gli stessi odori, la musica (i Doors, i Pink Floyd) i falò sulla spiaggia fissi nei ricordi dei lettori, almeno di quelli che erano ragazzi negli anni ’70.
King schiaccia il pedale della nostalgia e di una certa buona dose di sano sentimentalismo, soprattutto nel rapporto tra Devin e Mike, ragazzino malato di distrofia muscolare ma quasi mitico per la sua forza, e il suo accecante sorriso, (difficile non piangere e commuoversi nel finale, soprattutto se avete avuto l’esperienza nella vostra vita di accompagnare un bambino malato) e gioca con le ombre trasfigurate di un allora quasi più candido, coraggioso, giocoso, onesto (Devin arriva a rifiutare l’assegno di un genitore che vuole ricompensarlo per avere salvato la vita di sua figlia), fatto di scintillante polvere di stelle.
E poi per non scadere nello sdolcinato e nel melenso a  tutti i costi, o forse per non commuoversi troppo, innesta la trama quasi thriller, (badate dico quasi), con un tocco di macabro, quando ci presenta Linda Gray, ovvero il fantasma della ragazza sgozzata quattro anni prima che vaga chiedendo di essere liberata per il Castello del Brivido e appare solo ai lavoranti del luna park, terrorizzandoli a morte.
Naturalmente sarà Devin Jones, voce narrante del lungo flashback di cui è costituto il romanzo, a scoprire quasi per caso il suo assassino, e a scoprire qualcosa di ancora più importante: il potere dei sentimenti, catturati in una goccia d’ambra come l’immagine di una soleggiata estate in cui il senso della vita si materializza privandoci forse dell’innocenza, ma donandoci in cambio qualcosa di ancora più prezioso.
Succede poco, la lentezza della prima parte è quasi biblica, il finale mystery un po’ artificioso, sembra di sentire il rumore di King che si arrampica sui vetri, l’addio al fantasma, personaggio che per tutto il romanzo sembra di vitale importanza, un po’ improvviso e deludente, è stato detto che le parti più deboli dei romanzi di King siano i finali, un po’ come se esaurita la carica creativa, vada avanti per inerzia e chiuda il tutto senza eccessiva cura, ma pur tuttavia è anche evidente che a King non interessa aderire ad un genere o superarlo, parla decisamente d’altro, di una materia molto più fluttuante e indefinibile, parla di sogni, di aspirazioni, di come da vecchi guarderemo indietro con rimpianto e malinconia l’altro noi stesso di allora.
È stato definito nient’altro che una sorta di young adult d’autore, e chi lo fece non voleva fare certo un complimento, pur tuttavia credo sia vero, credo sia davvero un regalo che King abbia fatto ai suoi più giovani lettori o a quelli che non ostante l’età anagrafica abbiano conservato la giovinezza del cuore. Forse i suoi lettori storici ameranno di più le sue storie horror, presto ci sarà il seguito di Shining, pur tuttavia se amate la poetica kinghiana ne riconoscerete i tratti distintivi.

Stephen King, acclamato genio della letteratura internazionale, vive e lavora nel Maine con la moglie Tabitha. Le sue storie da incubo sono clamorosi bestseller internazionali che hanno venduto 400 milioni di copie in tutto il mondo e hanno ispirato registi famosi come Brian De Palma, Stanley Kubrick, Rob Reiner e Frank Darabont. www.stephenking.com

:: Recensione di Il silenzio della neve di Jenny Milchman (Sperling & Kupfer, 2013) a cura di Giulietta Iannone

12 luglio 2013

silenzio della neveIl silenzio della neve (Cover of snow, 2013), romanzo di esordio di Jenny Milchman, tradotto da Lucio Carbonelli ed edito in Italia da Sperling & Kupfer nella collana Pandora, ci porta in una piccola cittadina di provincia, persa tra le nevi dei monti Adirondack, nello Stato di New York. Nora Hamilton, restauratrice di case d’epoca, sposata con Brendan, poliziotto in forze al distaccamento locale, conduce una vita felice, tranquilla. Ha una bella casa, un lavoro che le piace, una bella famiglia: un padre e una madre presenti e disponibili, una sorella, Teggie, ballerina di danza professionista, dalla lingua forse un po’ troppo lunga ma simpatica.
Tutto scorre nei binari della normalità, dandole l’illusione che niente possa incrinare il suo piccolo mondo perfetto. Brendan la ama, la chiama nocciolina, la circonda di attenzioni, la fa sentire protetta, al sicuro. Cosa può desiderare di più? Poi una mattina di inverno, mentre la sua grande casa è circondata dal silenzio rarefatto della neve, si sveglia nel suo letto da sola, un po’ intontita. Nessun rumore di acqua che scroscia in bagno, nessun rumore in cucina. Che Brendan sia già uscito per una chiamata urgente? Senza svegliarla? Nora inizia a vagare per casa, finché non lo trova. Impiccato ad un lampadario. Senza un biglietto, senza una spiegazione.
All’incredulità subentra la disperazione e il senso di colpa. Che matrimonio era stato il loro? Come aveva fatto a non accorgersi che qualcosa non andava? Poi i resti di un sonnifero in uno dei due bicchieri con cui avevano bevuto in veranda la notte prima le fa supporre che Brendan avesse organizzato tutto. Da tempo. La medicina era stata infatti preparata diversi giorni prima da un farmacista, che sembra nascondere qualcosa. Perché?
Non può più riprendere a vivere se prima non lo scopre. Così inizia ad indagare sul passato di suo marito. E più fa domande, più avverte che nessuno è disposto a darle alcuna risposta, né i colleghi poliziotti di suo marito, né sua suocera, che neanche tanto velatamente la odia. Inaspettatamente, sarà Dugger, il ragazzo autistico della stazione di servizio, a darle una traccia su cui investigare, a parlarle del lago ghiacciato e di lacci per pattini usati da Brendan. Quando lei aveva sempre saputo quanto odiasse pattinare. Cosa le aveva taciuto, quale oscuro segreto tutti si affaccendano a tenerle nascosto? Perché sua suocera ha nel sottoscala una stanza piena di foto del fratello di Brendan, morto tanti anni prima, ancora bambino?
Il silenzio della neve è un romanzo accolto dalla critica americana in modo pressoché entusiasta. Kirkus Reviews lo definisce thriller magistrale, Il New York Times ricco di personaggi veri e profondi, Booklist definisce la Milchman una nuova straordinaria autrice di thriller. Qualcuno poi accosta il romanzo a Il senso di Smilla per la neve dello scrittore danese Peter Høeg, non potevo quindi non esserne incuriosita. Anche il prezzo è decisamente ragionevole, poco meno di dieci Euro.
L’inizio è drammatico e angosciante. La protagonista, che narra la vicenda in prima persona, si sveglia una mattina e trova suo marito morto. Apparentemente impiccatosi ad un lampadario. A questo punto l’abusato dilemma, si è suicidato, o l’hanno ucciso, si stempera in un dramma familiare avvenuto nel passato. La protagonista infatti nella sua ricerca dei motivi di questa morte, necessaria per liberarsi dal terribile senso di colpa che prova, si imbatte in una morte avvenuta venticinque anni prima.
Ora non vorrei esagerare a parlarvi della trama, privandovi degli iniziali colpi di scena, ma la tensione nasce da questo avvenimento oscuro che determina il comportamento ambivalente di molti dei personaggi. L’autrice è abile a costruire un castello narrativo plausibile e solidamente strutturato, depistandoci volontariamente, e portandoci a chiederci quale sia la verità o le verità. Un thriller ambientato nel grande Nord, scorrevole e veloce. Adatto a queste sere d’estate.

Jenny Milchman tiene corsi di scrittura e di editoria per il NewYork Writers Workshop. È ideatrice e promotrice della Giornata internazionale del Portailtuobambinoinlibreria. Ha pubblicato una raccolta di racconti. Questo è il suo primo romanzo.

:: Recensione di 1408 racconto contenuto nella raccolta Tutto è fatidico di Stephen King (Sperlig & Kupfer, 2005) a cura di Micol Borzatta

7 Maggio 2013

fatidicoIl 20 aprile 2013 alle ore 21:00 è andato in onda su Sky Cinema Max il film 1408 tratto dall’omonimo racconto di Stephen King contenuto nella raccolta Tutto è fatidico, collana Narrativa, traduzione di Tullio Dobner, Sperling & Kupfer, 2002. La visione del film mi ha fatto venire voglia di riprendere in mano questo bellissimo libro che oltre a una trama avvincente ha anche una storia molto particolare alle sue spalle.
La storia narra di uno scrittore Mike Enslin, che scrivi libri sui luoghi infestati demolendoli con il suo non credere, che vuole a tutti i costi pernottare nella stanza 1408 del Dolphin Hotel.
La stanza è famosissima per essere stata palcoscenico di numerosissime morti, sia suicidi che morti naturali.
Mike ovviamente non crede che una stanza possa essere la mandante o la causa delle morti e alla fine riesce, andando per vie legali, a pernottare nella camera.
Qui la vicenda è molto diversa se si legge il libro o se si guarda il film, perché nel film vengono evidenziate di più le manipolazioni della realtà causate dalla stanza, nel libro invece Stephen King descrive il tutto da un punto di vista diverso dal normale, infatti la storia degli avvenimenti che accadono è raccontata esclusivamente dal registratore che stava usando Mike all’interno della stanza per prendere appunti per il libro e che viene recuperato dai resti bruciati.
Non si sa assolutamente nulla di quello che è accaduto nella stanza ma si percepisce esclusivamente lo stato d’animo e di terrore di Mike che cambia diventando sempre più ossessivo e pesante di pagina in pagina.
Due linee quindi completamente diverse ma che ottengono assolutamente lo stesso risultato: tenere il lettore o lo spettatore incollato fino all’ultima pagina.
Come dicevo all’inizio questo racconto di Stephen King ha una straordinaria storia alle spalle. Innanzitutto è cortissimo. Il racconto infatti nasce come piccolo raccontino esclusivamente da inserire nel suo libro On Writer come esempio pratico di come si struttura un racconto e lo si modifica, se non fosse che mentre stava scrivendo il racconto ha incominciato a vivere di vita propria, come racconta lui stesso nella prefazione, e a descriversi e compilarsi da solo.
Anche se molto diverso dai soliti lavori di Stephen King, si nota subito la mano del maestro e riesce anche nella sua brevità a trasmettere al lettore tutto lo stato psicologico e mentale del protagonista.
Un’ ottima lettura adatta a chiunque non sia troppo influenzabile dagli stati psicologici e ansiosi del protagonista.
Ancora una volta un capolavoro del maestro che sa sempre come superarsi.

Stephen King nasce a Portland nel 1947. Scrittore e sceneggiatore statunitense è uno dei più celebri autori della letteratura horror del XX secolo e nel romanzo gotico.
Inizia la sua carriera di scrittore nel 1974 con Carrie.
A oggi ha pubblicato sessanta opere.
Molte delle sue opere hanno avuto trasposizioni cinematografiche e televisive con registi della portata di Stanley Kubrick, John Carpente, Brian De Palma, David Cronenberg e Frank Darabont.