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:: Un’intervista con il Prof. Gaetano Colonna, sulla questione Ucraina e il futuro dell’Europa a cura di Giulietta Iannone

28 febbraio 2025

Grazie professore di averci concesso questa intervista che si ricollega a quella che ci ha concesso nel marzo del 2023. Parleremo sempre di Ucraina, e più nello specifico delle conseguenze di questa guerra per l’Europa e più in generale sui cambiamenti, repentini e per un certo verso imprevisti, sull’Ordine Mondiale. Inizierei con il fare un bilancio su questi ultimi tre anni di guerra, a partire dall’ingresso delle truppe russe in Ucraina nella cosiddetta “operazione militare speciale”.

Dunque nell’ottica di Mosca l’Ucraina come ex repubblica sovietica rientrava a pieno titolo nelle sfere di influenza della Russia. Dal punto di vista russo era dunque più che legittimo intervenire per riportare all’ordine una “repubblica ribelle“, troppo protesa verso l’Occidente?

Non credo si debba parlare di repubblica ribelle. La preoccupazione della Russia è nata dalla ripetutamente minacciata adesione dell’Ucraina alla NATO. Poi dagli accordi economici tra Unione Europea e Ucraina sullo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Ucraina: infatti, nel luglio 2021, l’allora vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič incontrò a Kiev il primo ministro ucraino Denys Shmyhal, per sottoscrivere il partenariato strategico sulle materie prime ucraine. Nel novembre 2021, ad esempio, la European Lithium Ltd. di Vienna (società di esplorazione e sfruttamento minerario) creava una joint venture con la Petro Consulting Llc (azienda ucraina basata a Kiev), che dal governo locale aveva ottenuto i permessi per estrarre il litio da due depositi (Shevchenkivske nel Donetsk e Dobra, nella regione di Kirovograd), vincendo la concorrenza della cinese Chengxin.

Uniamo a questo la discriminazione politico-culturale e la durissima repressione poliziesca attuate dall’Ucraina dal 2014 nelle are russofone orientali, che avevano provocato una situazione di conflitto civile, con migliaia di caduti, civili compresi: la Federazione Russa non poteva accettare quest’azione da parte del governo ucraino.

Questi tre elementi, uniti alle avventate affermazioni di Zelensky, alla Munich Security Conference (MSC) nel febbraio 2022, sulla sua volontà di cancellare gli accordi internazionali sulla denuclearizzazione dell’Ucraina, hanno spinto la Federazione Russa ad un’azione di forza che, come ho scritto su clarissa.it, non mirava all’invasione dell’Ucraina ma al rovesciamento di Zelensky ed alla sua sostituzione con un governo favorevole a Mosca: operazione fallita grazie, a mio avviso, ad una contromossa di deception (inganno) secondo me pilotata dai servizi di intelligence britannici – cosa al momento ovviamente non dimostrabile.

Trump, scavalcando l’Europa, e per chiudere al più presto questa guerra ha iniziato un canale diretto con Mosca. Abbiamo visto i colloqui di Riad, il voto congiunto con la Russia all’ONU, la firma di Zelensky sul trattato per la cessione delle terre rare come indennizzo dell’aiuto ricevuto (n.d.r l’accordo non è stato firmato dopo scontri verbali nella Sala Ovale). Tutto sta evolvendo molto rapidamente verso un cessate il fuoco, una tregua e l’inizio dei trattati di pace. Una pace “imposta” dagli Stati Uniti con queste modalità, ha speranza di essere duratura? Che scenari si aprono per il futuro?

Lo scenario è quello che caratterizza la storia europea dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Stati Uniti e Russia hanno di fatto dominato la storia del continente. Il crollo dell’Unione Sovietica ha messo in momentanea crisi la Russia, crisi di cui l’Occidente atlantico ha creduto di poter approfittare, allargandosi fino ai confini della Russia. Trump non sta facendo altro che provare a ricostituire il condominio USA – Russia in Europa, con la speranza di staccare la Russia dalla Cina.

L’Unione Europea sta dimostrando di essere quello che è sempre stata: un’entità nata ad opera di un gruppo di tecnocrati e finanzieri, che hanno concepito un progetto di natura economica, privo di una forza ideale condivisa dai popoli. Per questo è ridicolo, ad esempio, parlare di una difesa europea: per difendere cosa? La BCE? L’euro? La Commissione europea mai eletta democraticamente?

La conferma viene dal fatto che il Paese che in questo momento sembra avere assunto la guida della “opposizione” a Trump è la Gran Bretagna, che difficilmente arriverà ad un scontro con gli Stati Uniti d’America… Né Francia né Germania, a mio parere, hanno al momento classi dirigenti in grado di smarcarsi dagli Usa. Non a caso, quando si parla di difesa europea, si finisce poi nella NATO: una realtà che senza gli Usa non avrebbe alcuna consistenza sul piano militare, anche perché fin dal 2003 l’Unione Europea le ha delegato la propria difesa.

Dunque verranno progressivamente tolte le sanzioni, riaperte regolari relazioni diplomatiche, riaperte relazioni economiche stabili, revocati i mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti di Vladimir Putin per crimini di guerra in Ucraina? Cioè con un colpo di spugna tutto verrà azzerato come se non fosse mai successo? Non le sembra piuttosto surreale? L’Europa è pronta ad accettare tutto questo? E soprattutto la popolazione ucraina?

Gli Stati Uniti non si sono mai fatti problemi del genere. Trump poi aveva mantenuto relazioni tanto strette con la Russia da rischiare un procedimento giudiziario a suo carico, nelle precedenti elezioni.

Gli Stati Uniti hanno spesso abbandonato alleati, che si erano spesi in termini di uomini e di sangue: Vietnam del Sud, Iraq, Afghanistan ce lo raccontano. Ho spesso detto ad interlocutori ucraini di stare attenti agli Usa, e loro ne hanno sempre convenuto con me. Ora, per Trump come per qualsiasi altro presidente statunitense, non sarà certo un problema imporre all’Ucraina condizioni giugulatorie per chiudere la partita.

Il problema semmai sarà per quei Paesi dell’Unione Europea, Italia in prima fila, che, forse ignorando la storia degli ultimi due secoli, si sono sbracciati in difesa dell’Ucraina: una difesa, non ci dimentichiamo, consistita in tante parole, tanti soldi e tante armi, ma nessuna seria iniziativa diplomatica per arrivare ad un accordo russo-ucraino – pur consapevoli che Donbass e Crimea sono storicamente e culturalmente russi.

Eppure gli Europei avrebbero dovuto pensare all’importanza di mantenere buoni rapporti con una Russia che, almeno dal mio punto di vista, è un Paese europeo prima che asiatico. Un corretto rapporto con la Russia non è quindi solo questione di risparmiare sui costi energetici, ma di realizzare una vera identità europea: una identità che storicamente accomuna genti neolatine, germaniche e slave. Perché allora dovremmo tenere fuori la Russia, considerarla il nemico, come si è predicato negli ultimi decenni?

La Germania, motore dell’Europa, è in recessione, alla luce delle ultime elezioni che scenari si aprono per la tenuta dell’Unione europea? Prevarranno gli interessi nazionali di ogni singolo stato con l’avvento di governi sempre più sovranisti? Il sogno europeo è definitivamente tramontato? Cooperazione, progresso comune, crescita condivisa sono concetti sempre meno popolari?

Il sogno europeo rimane tale fintantoché viene concepito non in relazione ai popoli ma viene evocato dalle classi dirigenti di obbedienza atlantista; quelle che hanno costruito una istituzione non democratica, verticistica e burocratica, che ha cercato di regolamentare tutto senza tuttavia essere mai riuscita nemmeno a varare una propria costituzione – un aspetto di cui ci si dimentica spesso.

Io mi auguro che, dalla scossa che l’elezione di Trump sta provocando, con la sua impostazione rozzamente mercantile, possa maturare una presa di coscienza dell’Europa: ma tale presa di coscienza presuppone la formazione di nuove classi dirigenti nei nostri Paesi, ispirate da ideali diversi da quelli del capitalismo finanziario occidentale, che ha impoverito famiglie e disseccato coscienze in tutto il mondo. Non vedo ancora all’orizzonte traccia di simili classi dirigenti di ricambio. Esse vanno costruite da zero.

Non può esistere infatti cooperazione fra i popoli e le nazioni dove solidarietà, equità e libertà di spirito sono soffocate.

L’Ordine Mondiale sta cambiando a una velocità vertiginosa, i conservatori stanno mietendo successi, l’ultradestra avanza, le sinistre sono in affanno. Come valuta questa congiuntura nell’ottica di una convivenza pacifica tra popoli e stati?

Francamente non credo che ci sia da preoccuparsi della politica, coi suoi schieramenti oramai intercambiabili. Abbiamo visto che le destre, i centri e le sinistre lasciano il tempo che trovano; i partiti non sono portatori né di idee né di ideali, ma al massimo di interessi.

Credo che si debba ripensare il cambiamento: questo non può venire dalla politica come oggi intesa, ma da una rivoluzione culturale, che presuppone la spinta di impulsi interiori nelle persone. È questa la sola speranza per avere una pace fondata sulla giustizia – non quella retoricamente predicata da decenni, mentre infuriavano i più brutali conflitti della storia: basti vedere cosa è successo in Palestina…

Da storico come valuta questo momento storico? Stiamo assistendo a un tramonto dell’Occidente, paventato da alcuni, in favore di economie e stati emergenti in un mondo multipolare sempre più frammentato?

L’Occidente del capitalismo finanziario è ancora egemone; domina il mondo, come se non più di prima. È riuscito a cancellare non solo il proletariato ma anche la borghesia (povero Marx!): lo sfruttamento oggi è talmente generalizzato e introiettato che vi partecipiamo attivamente, offrendoci spontaneamente al marketing globale che signoreggia incontrollato – basta pensare ai social, o allo spamming telefonico che ci bombarda quotidianamente.

Certo, emergono forze, per altro non nuove alla storia, come India e Cina, che, non lo dimentichiamo, ancora nel mondo del XVIII secolo erano le aree tecnologicamente ed economicamente all’avanguardia. Ma, per quanto siano in crescita, sono legate a doppio filo alle grandi forze finanziarie del capitalismo occidentale. Per cui andrei molto cauto nel parlare di multipolarità, in una globalizzazione economica controllata da una ristrettissima oligarchia di operatori mondiali, che non a caso chiamano se stessi master of the universe, cioè i padroni del mondo. Effettivamente lo sono.

La vera novità, mi sento di dire, è il livello di coscienza che tutti noi dovremmo conquistarci, per vivere ogni giorno consapevolmente nel mondo che ci circonda, ed agire per il cambiamento: un livello di coscienza che per esempio lo studio della storia potrebbe aiutare ad acquisire.

Invece tecnologia, sistemi educativi, media fanno sempre più solo puro intrattenimento: per farci dimenticare noi stessi, i problemi individuali e quelli collettivi. Posso ripetere anche qui allora quello che sono andato dicendo ai miei studenti: studiate la storia, siate consapevoli. Ma la consapevolezza raramente è divertente: e oggi sembra che l’unico diritto-dovere rimasto alle persone sia quello di divertirsi.

:: La questione russo-ucraina, un’analisi del Prof. Luigi Bonanate

11 ottobre 2022

I.

Quello che era chiamato, all’inizio del XX secolo, Impero zarista perse la sua più importante guerra nel 1904-5 contro il Giappone.

Perse (e in quanto impero sparì) la prima guerra mondiale venendo sostituita da una rivoluzione. Il ventennio successivo vide una economia stagnante.

Nella seconda guerra mondiale su notevolissimamente aiutata dagli Stati Uniti, e nel 1945 si ritrovò pesantemente distrutta.

La guerra fredda la vide partner di un bipolarismo soltanto apparente – come tutti gli specialisti sapevano – perché le sue condizioni di forza militare e di postura strategica la rendevano estremamente inferiore agli Usa.

Dopo l’89 e poi la dissoluzione dell’Unione sovietica, il declino economico non è cessato.

All’inizio del XXI secolo (quindi all’incirca con l’ascesa al potere di Putin) la situazione della Federazione russa è:

> dimensioni: 17 milioni di kmq. E’ lo stato più esteso al mondo. La Cina è il secondo; gli Usa il terzo;

> popolazione: 144 milioni di persone; Usa: 331 milioni;

> PIL: Russia: 1.483.418 milioni di $; USA: 23.360, Cina: 17.000; il Giappone, ha il terzo maggior PIL, la Germania, il 4°;

> addetti militari: circa 2 milioni, con dislocazioni in 5 paesi alleati, e in 4 zone occupate;

> spesa militare:

spesa mondiale del 2021: 2000 miliardi $
spesa Usa del 2020: 650 miliardi $
spesa Russia 2020: 61 miliardi $

In altri termini, la Russia è popolata meno della metà degli USA, ma è una volta e mezza più grande (quindi più “costosa” nella gestione); il PIL russo è più di 10 volte inferiore a quello USA, 5 di quello cinese. Ha forze armate doppie di quelle americane, e una spesa militare di 10 volte minore (storicamente meno evoluta di quella statunitense.

Ovvero: su che cosa si poggia la considerazione della Russia in quanto “grande potenza”, o come la “seconda”?

n. b.: Dati Banca mondiale, Fondo monetario Internazionale (approssimativi)

II

Le due Coree entrano all’ONU nel 1991. Prima di allora l’ONU poteva intervenire nel conflitto tra le due Coree scavalcando il veto sovietico («Uniting fot Peace», 1950), perché esse non erano membri dell’ONU. Ukraina e Russia, invece, sì: e come si fa intervenire tra due consoci?

L’ONU non si è impegnata nel proporre tregue, fin dai primissimi giorni, né .linee di separazione provvisorie, e altri interventi di immediata applicazione. Più in prospettiva non ha neppure mai proposto dei piani di neutralizzazione, provvisoria o anche permanente; né progetti di neutralizzazione di determinate zone, per ridurre la tensione.

Come tutti sanno, le società russa e ukraina sono fortemente intrecciate. Nulla impedirebbe di proporre dei piani di federazione delle aree in guerra (il federalismo e i movimenti in suo favore hanno sempre avuto successo soltanto tra ex-belligeranti).

L’ONU, e neppure le altre istituzioni internazionali hanno provato a lanciare pogrammi o progetti che potessero in qualche modo stupire e far rivolgere le opinioni pubbliche verso soluzioni alternative. Per la vendita del grano si è pur trovata qualche (seppur faticosissima) soluzione…

III

L’Occidente non si è curato gran che di quel che succedeva in giro per il mondo: Africa (specie del Nord), Sud-est asiatico, Europa orientale (a partire da quando, all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso la Germania espanse i suoi interventi economici proprio a partire dall’Ukraina.

E per non andare troppo indietro, dal 2014 in avanti, che cosa hanno fatto, in particolare, gli Usa? Il Dipartimento di Stato ha un “Desk” per ogni paese: nessuno si era occupato di quel che stava succedendo in Crimea e dintorni?

La noncuranza e l’ignavia regnano nel mondo della politica internazionale, a ogni livello. Un esempio particolarmente significativo – per l’influenza mediatica che ha – è quello delle cronache sulla mortalità dei civili sotto i bombardamenti e altro in Ukraina. E’ particolarmente odioso vedere ciò che i fotografi di guerra poi vendono ai quotidiani; ma – sia ben chiaro – le vittime civili sono sempre state al livello di quelle militari. Nella guerra dei trent’anni, per fare un esempio, morivano molto più gli abitanti dei villaggi razziati dalle soldataglie, che i militari che si affrontavano sul campo di battaglia. Nella prima guerra mondiale, l’Intesa occidentale ebbe circa 8 milioni di vittime, di cui 3 milioni erano civili. Nella seconda guerra mondiale le vittime dirette furono 25 milioni di civili e 14 milioni di militari. Queste cifre sono sempre soltanto approssimative, ma esemplari: nel XX secolo la mortalità civile (per dirla semplicemente e alla buona) è cresciuta enormemente a causa dei bombardamenti aerei.

:: Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi di Giorgio Cella (Carocci 2022) a cura di Giulietta Iannone

9 ottobre 2022

Il volume, in un costante rimando tra dinamiche storiche e attualità geopolitica, si rivela uno strumento utile per l’analisi dei complessi fenomeni che hanno condotto, nei secoli, all’odierno conflitto in Ucraina, ad oggi la più importante crisi politico-militare su suolo europeo del XXI secolo. Una lunga traiettoria che dai tempi di Erodoto giunge sino ad Euromajdan, dove l’attenta ricostruzione storica si interseca con efficaci chiavi interpretative. L’autore fa inoltre emergere un mosaico culturale di grande interesse, spaziando in modo erudito lungo i secoli, gli eventi e i popoli di questo crocevia di religioni, imperi e identità: dalla Rus’ di Kiev ai cosacchi ucraini, dalle contese tra russi, polacchi e turchi sino all’era postsovietica e al processo di allargamento ad est della NATO. Un testo che costituisce un unicum negli studi di storia delle relazioni internazionali, cruciale per addentrarsi non solo nelle vicende dell’Ucraina e della sua crisi con Mosca, ma anche per una più generale comprensione degli avvenimenti di quella periferia centro-orientale d’Europa che, come Giorgio Cella sottolinea, è stata nel corso della storia del Vecchio Continente troppe volte gravemente trascurata.

Partendo dall’assunto che per conoscere il presente bisogna conoscere la Storia è indispensabile informarsi e avvalersi di strumenti validi, scientifici, obiettivi e scevri da mere influenze propagandistiche. L’attualità è di difficilissima analisi, ma il progresso ci ha dotati di strumenti che ci rendono sempre più possibile farlo, anzi ci consentono proiezioni (forse ancora parziali, ma tuttavia attendibili) per analizzare anche il futuro. Serve però conoscere la Storia, conoscere le premesse per cui si è giunti in determinate circostanze, per cui mi sento in piena coscienza di consigliarvi la lettura e lo “studio” (lo studio reale, con carta, matita e righello) di Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi di Giorgio Cella, forse uno dei testi più completi e documentati (ottima la ricca bibliografia) attualmente disponibili. Nasce come una tesi di laurea, e sicuramente la parte storica è il fulcro e cuore dell’opera, non comprende i recentissimi sviluppi della crisi russo-ucraina ma è tuttavia un testo indispensabile per chiunque voglia cercare di farsi un’idea il più possibile informata dei fatti. Ricco di rimandi, osservazioni, valutazioni e comparazioni è un testo non noioso che si legge con curiosità e interesse. Chi ha una formazione storica lo troverà di più agevole lettura, ma anche il lettore meno specialistico avrà modo di approfondire temi e dinamiche che sono essenziali per capire il presente, da un punto di vista culturale, sociale, non solo politico (o geopolitico) ed economico. C’è tanta confusione, questo testo aiuta a fare chiarezza e mette a disposizione fatti storici reali e documentati, frutto di una ricerca scientifica storica piuttosto estesa. Dalle origini, all’Ucraina sovietica, al post Guerra fredda, molti nodi si dirimono, molti lati oscuri sono giustamente illuminati, molte questioni anche complesse e articolate trovano una più semplice analisi. Importante il capitolo “Il Mar Nero conteso nell’era postbipolare” che se vogliamo racchiude il fulcro di tutta la contesa russo-ucraina in atto. Capire questo può aiutare anche a capire il presente. Come da leggere attentamente il capitolo finale e le conclusioni. Come punto di partenza, per approfondire lo studio anche su altri testi, mantenendolo come linea guida, è sicuramente importante, come il paragrafo 5. del Capitolo 9. che tratta la cessione della Crimea da parte di Chruscev (rex in regno suo est imperatur).

Prof. Giorgio Cella È dottore di ricerca in Istituzioni e Politiche all’Università Cattolica di Milano, dove svolge attività di docenza nell’ambito del corso Storia e politiche: Russia ed Europa orientale. Come analista geopolitico ha all’attivo decine di articoli, saggi e pubblicazioni scientifiche di politica internazionale, ed è stato osservatore elettorale per l’OSCE nelle elezioni in Ucraina del 2019.

Source: volume inviato dall’editore. Ringraziamo Giancarlo dell’Ufficio stampa Carocci.

:: 1991-2022. Ucraina. Il mondo al bivio. Origini, responsabilità, prospettive di Giacomo Gabellini (Arianna editrice 2022) a cura di Giulietta Iannone

6 settembre 2022

Tra i libri letti in questi ultimi mesi per approfondire e dirimere l’intricato coacervo di propaganda e realtà storica riguardante le origini e gli sviluppi della cosiddetta “Questione Ucraina”, ho trovato di estremo interesse la lettura di 1991-2022. Ucraina. Il mondo al bivio. Origini, responsabilità, prospettive dell’analista e studioso Giacomo Gabellini, che ho già avuto modo di intervistare nel maggio scorso in occasione dell’uscita del suo libro edito per Arianna Editrice. Il pregio di questo libro è senz’altro avere una chiave interpretativa dei fatti netta e argomentata, oltre a possedere un solido bagaglio di conoscenze storiche e geopolitiche. Seppure schierato, è interessante notare che le sue conclusioni, ormai sotto gli occhi di tutti, concretizzano posizioni che erano abbastanza chiare già una decina di anni fa agli studiosi più lungimiranti: il “sogno” di Gorbachev, tra l’altro mancato solo pochi giorni fa all’età di 91 anni, di avvicinare la Russia all’Europa, sogno che personalmente condividevo come molti giovani degli anni’90, ormai è irrimediabilmente sfumato, l’allenaza geostrategica, con tutte le incognite del caso, tra Russia e Cina è ormai inevitabile, come la conseguente asiatizzazione della Russia. Detto questo il libro di Gabellini ha il pregio di fornire un’analisi storica seria, ed enunciare sia resposnabilità che prospettive. Confesso che ho una conoscenza parziale della materia, per cui se vi fossero presenti errori storici perlomeno, le analisi argomentate naturalmente rientrano nell’ambito delle valutazioni personali, non avrei la competenza per segnalarli, ma dalle letture che ho fatto molti dati corrispondono, per cui si evince un approfondito studio di testi e documenti. Molte cose le ho apprese dalla lettura di questo libro, che ha arricchito il mio bagaglio culturale e mi ha fornito strumenti di analisi che utilizzerò anche nella lettura di altri testi. Partendo dall’identità degli slavi d’oriente, formatasi nello spazio geografico dell’antica Rus’ di Kiev, e unificati sotto il profilo religioso da Vladimir I (958-1015), che impose la conversione al critianesimo, si arriva nella breve introduzione storica al febbraio del 1919 quando durante la conferenza di Versailles, al termine della Prima Guerra Mondiale, con una nota diplomatica si richiedeva il riconoscimento formale della Repubblica Ucraina. Con la fine dell’Impero Zarista e la nascita dell’Unione sovietica parte dell’Ucraina nel 1922 entrò ufficialmente a far parte dell’URSS come Repubblica socialista sovietica ucraina. Ecco per capire le origini dell’odierno conflitto, e le cause di attrito e frizione tra Ucraina e Russia, è bene partire da questo spartiacque storico. Senza tralasciare, a mio avviso, la successiva immane carestia, conosciuta con il termine Holodmor, di cui l’Ucraina era rimasta vittima, assieme al Kazakistan, durante i piani di collettivizzazione agraria forzata programmati da Mosca tra il 1932 e il 1933, che causarono milioni di morti per fame. Sono punti nodali che è bene tenere presente per le seguenti analisi, e aiutano a fare un’analisi scevra da preconcetti e strumentalizzazioni troppo banali. E’ interessante notare come la consocenza della storia può aiutarci a evitare errori che sembra si ripetano ciclicamente e soprattutto ci aiuta a superare visioni parziali come per esempio, il fatto che sia falso ritenere che la guerra sia iniziata con l’occupazione militare russa dell’Ucraina del febbraio 2022, ignorando i fatti accaduti già dal 2014 [1]. Credo che ormai tutti gli analisti seri abbiano superato questo ostacolo nello sforzo condiviso di cercare di ottenere una risoluzione pacifica di tutte le problematiche in corso. Ve ne consiglio la lettura, affiancandola anche ad altri testi di approfondimento, per avere una sempre più lucida visione di insieme. Il raffronto e il confronto, oltre alla conoscenza, sono in fondo le uniche armi pacifiche che possediamo. Buona lettura.

[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/14/ucraina-stoltenberg-la-guerra-non-e-iniziata-a-febbraio-dal-2014-la-nato-ha-supportato-kiev-con-addestramenti-ed-equipaggiamenti/7065190/

Giacomo Gabellini (1985) è saggista e ricercatore specializzato in questioni economiche e geopolitiche, con all’attivo collaborazioni con diverse testate sia italiane che straniere, tra cui il centro studi Osservatorio Globalizzazione e il quotidiano cinese «Global Times». È autore dei volumi Ucraina. Una guerra per procura (Arianna, 2016), Israele. Geopolitica di una piccola grande potenza (Arianna, 2017), Weltpolitik. La continuità politica, economica e strategica della Germania (goWare, 2019), Krisis. Genesi, formazione e sgretolamento dell’ordine economico statunitense (Mimesis, 2021) e Dottrina Monroe. Il predominio statunitense sull’emisfero occidentale (Diarkos, 2022). Vive a Terre Roveresche (PU).

Source: acquisto personale.

:: In lode della guerra fredda di Sergio Romano (Longanesi 2015) a cura di Giulietta Iannone

2 Maggio 2022

A dispetto del nome, la Guerra fredda fu un lungo periodo di pace e stabilità per l’Europa. Pur se costellati da momenti di grande tensione, i decenni che seguirono la Seconda guerra mondiale furono caratterizzati dalla fermezza con cui le due superpotenze, Unione Sovietica e Stati Uniti, seppero frenare le forze che al loro interno premevano per lo scontro, ben consapevoli che lo scoppio di una guerra nucleare avrebbe avuto conseguenze disastrose per tutti. Con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Urss, i confini dell’ex Impero sovietico divennero nuovamente contesi, rinacquero antichi nazionalismi, scoppiarono numerose guerre: in Cecenia, nel Caucaso e nella ex Jugoslavia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, pensarono di avere vinto la Guerra fredda, ma oggi emergono chiari i limiti della superpotenza americana e le conseguenze del suo avventurismo: rivoluzioni sfuggite di mano, guerriglie fomentate dal fanatismo religioso, contrasti sempre più accesi con la Russia. Ma la fine della Guerra fredda, e i conflitti del dopoguerra, hanno avuto come effetto soprattutto il sorgere dei «non Stati» – Isis, Ghaza, Kurdistan iracheno, Bosnia, Kosovo, Siria, Libia – con le grandi incognite che ne derivano: come si combatte contro un «non Stato»? Come lo si governa? E come si può ricostruire l’ordine perduto?

In questi giorni confusi e convulsi ho ripreso un libro di Sergio Romano, autorevole commentatore di quasi tutti i fatti salienti accaduti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, uscito ormai nel 2015 dal titolo emblematico di In lode della guerra fredda. Con la sua mente lucida e analitica Romano ripercorre gli avvenimenti storici occorsi dalla Rivoluzione Ungherese alle rivolte arabe in Egitto, Libia e Siria, senza tralasciare gli antefatti della cosidetta “questione ucraina” e lo fa focalizzando importanti correlazioni e riflessioni che spiegano l’evolversi di un processo lento e difficoltoso che ha il suo punto di svolta nel crollo del regime comunista dell’Unione Sovietica. La fine dell’URSS ha posto di fatto fine alla Guerra Fredda, cosa di per sè positiva, ma ha anche in realtà spezzato quell’equlibrio di forze, a prescindere dalle valutazioni etiche e morali dei vari regimi, che mantenevano la pace seppur sotto la minaccia di un conflitto atomico. Possiamo definirla vera pace? Questa è un’interessante domanda etica che mi sono posta durante la lettura considerando il fatto che sebbene in Occidente si visse un periodo di relativa assenza di conflitti armati (senza dimenticare le guerre jugoslave, comunque post caduta Muro) non si rinuncio a coflitti armati per procura in altre parti del mondo. In lode della guerra fredda dunque è un compendio, molto illuminante, di più di cinquant’anni di storia politica, caratterizzato da capitoli brevi ed essenziali che sintetizzano i principali avvenimenti occorsi e aiutano grazie a un linguaggio semplice ed efficace, a fare chiarezza su avvenimenti per i più giovani, che non hanno vissuto quegli annni, ancora oscuri. I meno giovani, che hanno avuto un’esprienza diretta delle conseguenze di quei fatti, potranno comunque, grazie a questo testo, avere una visione di insieme utile a far luce su quelle dinamiche sotterranee che hanno portato agli avvenimenti contemporanei. Naturalmente sono interpretazioni, teorie politiche, giudizi forse in alcuni casi anche troppo severi, specialmente nei riguardi degli Stati Uniti con cui Romano non ci va leggero imputandogli colpe e responsabilità, determinati però dal punto di vista privilegiato da cui l’autore li ha osservati. Consiglio di leggere soprattutto attentamente i capitoli riguardanti la crisi ucraina, e l’irresistibile avanzata della Nato, oltre al capitolo intitolato: Chi ha vinto la Guerra Fredda? E poi naturalmente c’è il dopo e tutti gli strascichi che sono occorsi. Ci si domanda perchè tante guerre “calde” si sono sviluppate nel post Guerra Fredda, e soprattutto si analizzano le difficoltà nell’intraprendere un percorso di convivenza pacifica e governance globale democratica diretta, sempre considerato che i paesi democratici al mondo sono una minoranza ristretta e privilegiata. E soprattutto sempre che i popoli del mondo la vogliano e non preferiscano rinunciare a parte della loro libertà e dei loro diritti fondamentali in cambio di un maggiore benessere economico o financo della mera sopravvivenza. Doloroso dilemma che ci fa riflettere sui costi (reali) della democrazia, e sui sacrifici che siamo disposti ad affrontare per il mantenimento della pace, sempre considerato che una guerra globale (atomica) a tali condizioni non prevede nessun vincitore (e tutti lo sanno). La debolezza dell’Unione europea, pur mantenenedo un giudizio relativamente positivo sull’operato dei vari attori politici dalla Merkel a Hollande, è il punto critico che Romano ha focalizzato nel 2015 che ha ripercussioni fino ad oggi e questo giudizio è condiviso anche da altri osservatori politici e mi sento di condividerlo anche io sebbene mi interroghi su come ricostruire l’ordine perduto, impossibile se dimentichiamo che senza una diffusa e condivisa giustizia sociale ed un’equa distrubuzione delle risorse non ci può essere vera pace, la sola condizione possibile per la sopravvivenza della nostra specie.

Sergio Romano (Vicenza, 1929) è stato ambasciatore alla NATO e, dal settembre 1985 al marzo 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Pavia, Berkeley, Harvard e, per alcuni anni, all’Università Bocconi di Milano. È editorialista del Corriere della Sera. tra i suoi ultimi libri pubblicati da Longanesi: La Chiesa contro (2012), Morire di democrazia (2013), Il declino dell’impero americano (2014), In lode della Guerra fredda. Una controstoria (2015), Putin (2016), Trump (2017), L’epidemia sovranista (2019), Processo alla Russia (2020).

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio stampa Longanesi.

:: Alle origini della crisi ucraina. Il revanscismo russo e le mancate promesse della NATO di Eugenio Di Rienzo

22 febbraio 2022

Nel marzo 2004, l’Unione Europea festeggiò l’allargamento della sua sfera a ben dieci nazioni, di cui quattro (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria) ex membri del Patto di Varsavia e tre (Estonia, Lituania, Lettonia), già parte integrante dell’Urss sia pure per diritto di conquista. Questa espansione non avrebbe avuto nulla d’irrituale se, tra 1999 e 2004, questi stessi Stati, con l’aggiunta di Bulgaria e Romania, non fossero divenuti membri della NATO, un’alleanza che, in ossequio alla sua stessa primitiva ragione sociale, avrebbe dovuto essere sciolta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Evidentemente Bill Clinton e George W. Bush avevano deciso di non onorare la promessa fatta da George Bush senior a Michail Gorbaciov, quando il Presidente statunitense lo persuase a consentire che la Germania unificata entrasse a far parte della North Atlantic Treaty Organization assicurandogli, come contropartita, che la coalizione, nata il 4 aprile 1949, non avrebbe esteso la sua presenza oltre la linea dell’Oder.

Quando cadde il Muro di Berlino e l’Europa sotto protettorato di Mosca cominciò a emanciparsi dal suo controllo, il primo Bush incontrò Gorbaciov nel summit di Malta (2-3 dicembre 1989). I due statisti si accordarono per rilasciare un comunicato congiunto della massima importanza dove, sulla base degli accordi raggiunti durante i colloqui, si concordava sul fatto che l’Unione Sovietica dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun vantaggio militare dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del Cremlino.

Si trattò di un gentlemen’s agreement che allora non fu formalizzato per iscritto, ma i cui contenuti si possono evincere dal verbale del colloquio tra i due premier, nel punto in cui Bush senior, garantiva il suo interlocutore che i profondi cambiamenti politici in corso non avrebbero danneggiato la posizione internazionale della Russia. L’esistenza del cosiddetto «accordo di Malta» fu poi confermata dalle dichiarazioni del Primo ministro inglese, del Cancelliere tedesco, del Presidente francese e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock.

Più di recente, dopo un lungo periodo di enigmatico silenzio, lo stesso Gorbaciov è tornato su questo punto. Rimproverandosi tardivamente per la passata ingenuità, il penultimo Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica ha espresso il rammarico che quell’impegno sia rimasto un semplice accordo verbale senza trasformarsi in un’esplicita convenzione diplomatica dove si sarebbero potute recepire anche le assicurazioni fornitegli allora dal Segretario di Stato, James Baker, subito dopo la caduta del Berliner Mauer, secondo le quali «la giurisdizione della NATO non si sarebbe allargata nemmeno di un centimetrò verso oriente». Come tutte le intese sulla parola, l’accordo stipulato nella piccola isola del Mediterraneo può essere sottoposto a molteplici interpretazioni ma non azzerato nella sua sostanza. Il significato storico del compromesso tra Urss e Occidente era tutto nelle parole pronunciate da Baker: da una parte, la Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa centro-orientale e, dall’altra, gli Stati Uniti non avrebbero in alcun modo approfittato di tale concessione per allargare la loro influenza su quel grande spazio e minacciare la sicurezza strategica russa.

Lo spirito di Malta fu poi ancora più profondamente tradito dalle pressioni americane per l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO, esercitate durante il vertice atlantico di Bucarest dell’aprile 2008, alle quali sarebbe seguita la guerra russo-georgiana. Alcuni governi europei si sforzarono di attenuare il clima di crescente tensione. Nella capitale romena, Berlino arrivò a ritardare la discussione sull’ingresso di Ucraina e Georgia nell’Alleanza Atlantica e più tardi, a Tbilisi, Parigi, dopo l’inizio del conflitto georgiano, riuscì a negoziare un armistizio che permise a Mosca di conservare il controllo dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia.

Nulla e nessuno poterono però impedire prima la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo da Belgrado (febbraio 2008), apertamente favorita da Stati Uniti e Cancellerie occidentali, che costituì un vulnus non rimarginabile per la Russia colpita nel suo antico, storico ruolo di protettrice dell’integrità della Nazione serba, poi l’adesione al Patto Atlantico di Albania e Croazia, che avvenne nel 2009, sotto la presidenza Obama, e infine la ripresa dei negoziati finalizzati a integrare Georgia, Montenegro, Kosovo, Moldavia, Ucraina nella Alleanza atlantica.

Nel corso dell’attuale crisi ucraina, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin ha ripetuto più volte, a giusto titolo, «che Mosca era stata imbrogliata e palesemente ingannata» dagli Stati occidentali, i quali avevano assicurato che l’Alleanza del Nord Atlantico non si sarebbe allargata «neppure di un centimetro a est». A queste affermazioni, il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha replicato seccamente, affermando che «nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, aveva fatto tali promesse all’Unione Sovietica».

In questi giorni, però, l’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato documento, rinvenuto nei British National Archives dal politologo americano Joshua Shifrinson, professore alla Boston University che rafforza la versione delle autorità russe secondo cui quando la Germania fu unificata, all’Unione Sovietica venne fornita esattamente questa garanzia. Si tratta del verbale della riunione dei Direttori politici dei Ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, tenutasi a Bonn, il 6 marzo 1991. Il tema del colloquio era la sicurezza nell’Europa centrale e orientale e i rapporti con la Russia vinta, avvilita ma ancora capace, secondo i convenuti, di una forte reazione se si fosse attentato alla sua sicurezza, senza tentare di stipulare con essa un duraturo patto di amicizia e collaborazione economica e politica.

L’organizzazione del Patto di Varsavia in quei mesi stava già disgregandosi, e alcuni Paesi del blocco sovietico avevano espresso alle maggiori Potenze occidentali la loro volontà di entrare a far parte della NATO. Tuttavia dal documento risulta con lampante evidenza che Inglesi, Americani, Tedeschi e Francesi furono concordi nel ritenere che tali richieste, lesive del futuro equilibrio di potenza europeo, erano «inaccettabili». A nome di Berlino, Jurgen Hrobog, affermò, infatti: «Abbiamo chiarito durante il “negoziato 2 più 4” sulla riunificazione della Germania, con la partecipazione della Repubblica Federale di Germania, della Repubblica Democratica Tedesca, di Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia, che non intendiamo far avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. E pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre Nazioni dell’Europa centrale e orientale la possibilità di aderirvi». Secondo Hrobog, questa posizione era stata concordata con il Cancelliere federale Helmut Kohl e il Ministro degli Esteri, Hans-Dietrich Genscher. Da parte sua, in quella stessa occasione, il rappresentante degli Stati Uniti, Raymond Seitz, dichiarò: «Abbiamo ufficialmente promesso all’Unione Sovietica – nei “colloqui 2 più 4”, così come in altri contatti bilaterali intercorsi tra Washington e Mosca – che non intendiamo sfruttare, sul piano strategico, il ritiro delle truppe sovietiche dall’ Europa centro-orientale e che l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente né informalmente».

Che queste mancate promesse avrebbero portato ad un ritorno al tempo di ferro della Guerra Fredda, provocando forse ancora più gravi crisi nel Vecchio Continente, lo intuì con chiaroveggenza Gorbaciov, nell’intervista concessa, il 7 maggio 2008, al The Daily Telegraph, quando dichiarò che «gli Americani ci promisero che la NATO non sarebbe mai andata oltre i confini della Germania dopo la sua riunificazione, ma adesso che metà dell’Europa centrale e orientale ne sono membri, mi domando cos’è stato delle garanzie che ci erano state accordate? La loro slealtà è un fattore molto pericoloso per un futuro di pace perché ha dimostrato al popolo russo che di loro non ci si può fidare».

(Fonte: Nuova rivista storica qui il Prof Di Rienzo autorizza la pubblicazione su questo blog).