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:: L’intruso di Luigi Bernardi (DeA Planeta 2018) a cura di Nicola Vacca

5 novembre 2018

coplbLuigi Bernardi è stato molte cose: scrittore, editor, editore, traduttore, talent scout. Ma soprattutto è stato un uomo libero e un intellettuale con la spada sguainata. Nel mondo marcio della letteratura nostrana ha lavorato e vissuto a testa alta senza mai scendere a compromessi e senza lasciarsi sedurre dal sempre in voga mercimonio.
Luigi, come accade ai coraggiosi uomini liberi, ha pagato in vita questa sua scelta corsara.
Nell’ ottobre 2013 un cancro ai polmoni se lo è portato via.
Da De Agostini esce postumo L’intruso, un libro toccante e denso di grande letteratura in cui lo scrittore e l’uomo si raccontano con la consapevolezza che la luce sta per spegnersi.
Luigi ha lasciato in bella vista un file, incluso in una cartella dal titolo Andandomene, sul desktop del suo Mac.
Poi tutto è diventato L’intruso, il libro che a leggerlo fa molto male e in cui Bernardi incontra il male che lo sta consumando e lo guarda in faccia chiamandolo con il suo nome.
In questo diario lungo un anno, lo scrittore e l’uomo sono lucidi e spietati nei confronti dell’intruso malefico, come lo sono stati occupandosi nella vita delle questioni letterarie e culturali.
Luigi si mette a nudo e mette a nudo tutte le sue fragilità e sa che ogni cosa, persino un mostro antico ha bisogno di un nome. Dare un nome a una malattia significa descrivere un certo tipo di sofferenza, è un gesto letterario prima ancora che una questione medica.
Il cancro è indicibile per questo Luigi lo affronta e ne scrive, sentendosi come Lovercraft uno scrittore infetto senza possibilità di guarigione. «Scrittore indicibile morto di cancro all’intestino, proprio lì, vicino al pancreas».
L’intruso come tutti i libri di Luigi Bernardi è un libro controverso, forse il più controverso dei suoi libri.
In queste istantanee di malessere l’autore fa della sua vita letteratura nella consapevolezza che la letteratura non serve a niente e non salva nessuno.
Bernardi, affrontando l’intruso di petto, è entrato nella sua morte a occhi aperti. Ha voluto lasciare sul suo computer l’ultimo messaggio senza tradire il suo stile schietto e sincero, quindi scrivendo sempre quello che gli passava per la testa:

«Cosa vuoi da me cancro di merda? Perché devi distruggermi, oltre ad ammazzarmi? Non ti basta fare un lavoro pulito, così come fai sempre? Evidentemente no, ci dev’essere qualcosa che mi sfugge, qualcosa che devo capire prima di prendermi l’ultima parola».

Luigi se n’è andato senza lasciare conti in sospeso e ci ha lasciato in eredità questa lucida presa di coscienza. Di fronte al cancro, che consuma e fa sparire gli esseri umani, lo scrittore non rinuncia a trovare le parole per raccontare come il dolore scompiglia le carte, rovescia gli assiomi, capovolge la verità.
«Il cancro sarebbe potuto nascere in un mondo sano?». Questa è una delle ultime domande che Luigi si pone prima dell’attacco finale e definitivo dell’intruso. È vero, non è mai troppo tardi per scoprire un grande scrittore.
Vi invito alla lettura di Luigi Bernardi. Magari partendo da questa ultima preziosa testimonianza.
Soltanto da morto Luigi ha avuto l’onore di essere pubblicato da un editore grande. Questo mi fa davvero incazzare.

Luigi Bernardi (Ozzano dell’ Emilia, 1953; Bologna, 16 ottobre 2013) ha creato e diretto case editrici, riviste e collane di libri e fumetti. Come narratore ha pubblicato: i romanzi Tutta quell’acqua (Dario Flaccovio, 2004) Senza luce (Perdisa Pop, 2008) la trilogia Atlante freddo (Zona, 2006) e alcune raccolte di racconti. È stato autore di libri sui rapporti tra crimine e contemporaneità tra cui A sangue caldo (DeriveApprodi, 2002). Ha scritto per il teatro e per il fumetto. Il suo sito: www.luigibernardi.com

Source: libro inviato al recensore dall’ ufficio stampa.

:: Recensione di Avvoltoi di Luigi Bernardi (Doppiozero, 2013) a cura di Giulietta Iannone

22 luglio 2013

coverE’ da pochi giorni uscita, unicamente in formato digitale, una raccolta di tre racconti brevi di Luigi Bernardi, per Doppiozero, intitolata Avvoltoi e composta da Voglio te, A morte scoperta e Madre mia di morte nera. Giunge essenzialmente inattesa, solo a marzo è uscito dell’autore il suo ultimo romanzo, Crepe, che abbiamo avuto modo di recensire su queste pagine virtuali. Luigi Bernardi ci ha abituati alle sorprese e non è autore costretto a sfornare opere per logiche di marketing, a volte non rispettose dei ritmi della creatività. Se ha pubblicato questa raccolta e perché ne sentiva la necessità, perché si sentiva pronto a parlare di due temi, solo apparentemente slegati e quasi contrapposti. La morte e il legame tra genitori e figli. Nella nota finale è tutto spiegato, la genesi dei racconti e chi sono gli “avvoltoi” del titolo, oltre a contenere una verità, una riflessione stessa sulla narrazione, che ci avvicina di più al modo con cui gli scrittori osservano la vita.
Tre racconti dunque, autonomi, indipendenti, coerentemente difformi anche per scelte stilistiche, il primo portatore di una terza persona più oggettiva, imparziale, da osservatore esterno, i restanti due definiti da un’ introspettiva  prima persona,  uniti solo accidentalmente da una omogeneità tematica che predispone all’ascolto, alla ricerca di nessi e connessioni nascoste. Perché quasi sempre Bernardi parla di altro, sottende significati che ad una prima lettura superficiale sfuggono. Consiglio infatti più di una lettura, sono racconti brevi, non vi porteranno via più di pochi minuti e vi accorgerete che già a una seconda lettura l’apprezzamento e la comprensione miglioreranno e vi lasceranno intravedere il modo particolare di Bernardi di dire cose profonde, anche quando non pare.
Il primo racconto Voglio te, il più militante, cadenzato dalle strofe della canzone del 1974 di Mogol Battisti, Due mondi, dedicato e qui rimando alla nota finale, è sicuramente il più strutturato per trama e sottotrame. Inizia con la chiusura di una bara, descritta con minuzia di particolari come un rito, non religioso seppure ne conserva tutta la sacralità. In un alternarsi di un prima e di un dopo, il tempo fluttua e ci concede un mistero da svelare. Un uomo e una donna si incontrano per parlare di un terzo personaggio che non compare, ma che è il protagonista occulto del racconto. Un personaggio che è la personificazione dei responsabili dei sogni traditi del 68, scarnificazione di un Saturno che divora i suoi figli, anche quando la sua unica arma resta la memoria.
In A morte scoperta e Madre mia di morte nera, racconti più allegorici e se vogliamo più brevi, volutamente narrati in prima persona, quasi si ha la sensazione di assistere a delle confidenze, sussurrate, documentate, catartiche. In A morte scoperta, il tono è più deciso, consapevole, l’io narrante elabora un lutto e parla di suo padre attraverso un sogno, negando volutamente i toni retorici dell’agiografia. Pur non sfuggendo sfumature d’affetto. In Madre mia di morte nera, più intimistico e sfumato, un figlio ricorda la madre lasciandosi sfuggire un liberatorio Solo il desiderio di essere figlio, una volta tanto nella vita. Lo stile letterario di Bernardi, caratterizzato dall’ immediatezza, dall’ essenzialità, e da una certa asciuttezza priva di accessori inutili o superflui, frutto di puliture e limature, ha ormai raggiunto la acuminatezza di una lama capace di recidere, nervi, tendini, vene, luoghi comuni.

Luigi Bernardi (1953, Ozzano dell’ Emilia) ha creato e diretto case editrici, riviste e collane di libri e fumetti. Come narratore ha pubblicato: i romanzi Tutta quell’acqua (Dario Flaccovio, 2004) Senza luce (Perdisa Pop, 2008) la trilogia Atlante freddo (Zona, 2006) e alcune raccolte di racconti. E’ autore di libri sui rapporti tra crimine e contemporaneità tra cui A sangue caldo (DeriveApprodi, 2002). Ha scritto per il teatro e per il fumetto. Vive e lavora a Bologna, di cui ha raccontato storie e memoria in Macchie di rosso (Zona, 2002). Il suo sito: www.luigibernardi.com

:: Recensione di Crepe di Luigi Bernardi (Il Maestrale, 2013) a cura di Giulietta Iannone

28 marzo 2013

crepeIl passato non conta più, potrebbe metterlo in una scatola da sistemare accanto a quelle che contengono i ricordi dei suoi amori precedenti. Il passato è il regno del male. Il male è potente e fa breccia anche nel mondo dei sogni. Non c’è riparo al male. Però ci si riprova ogni volta come se non si sapesse fare altro. Il passato gli ha fatto capire che quando si sceglie un modello di vita, bisogna accettarlo fino in fondo, percorrerlo fino alle estreme conseguenze, fino a falsificare i risultati del proprio lavoro, se è un espediente capace di regalare la felicità. E Gregorio adesso è felice, felice come non lo è mai stato, felice come neppure s’ immaginava di poter un giorno essere.  

Si doveva intitolare Alta Velocità il nuovo romanzo di Luigi Bernardi. Poi a questo titolo vagamente Futurista si è preferito Crepe ed è così che è uscito il 13 marzo per Il Maestrale, interessante casa editrice nuorese specializzata in narrativa, ma che pubblica anche saggi e poesia. Crepe oltre ad essere una lezione di scrittura, tutti gli scritti di Bernardi infondo lo sono, è un romanzo che evidenzia formalmente la differenza tra narrativa e letteratura, tra finzione e realtà. Siamo a Bologna, in una via non lontana dalla Stazione. In un palazzo vivono i cinque protagonisti di questo romanzo: Amanda, Arturo, Armida, Gegorio, e Orfeo. I lavori per l’Alta Velocità fervono e nelle viscere della terra si scavano gallerie che smuovono le fondamenta del loro palazzo. Per colpa di queste oscillazioni, di questi cedimenti, di questo rovistare nel grumo oscuro della terra si propagano crepe che minano non solo la sicurezza degli abitanti della zona, ma si ripercuotono anche nelle loro vite, come se tutto ciò rappresentasse un segnale, un inizio, un passare oltre dove niente sarà più lo stesso. Le crepe fisiche diventano crepe interiori che si dilatano e lacerano forse maggiormente, tra i vari personaggi, il giovane Orfeo. Lui sì passa oltre, si lascia sgretolare e concepisce un piano di morte, razionale e terribile. Forse una vendetta, o forse una liberazione. L’Alta Velocità diventa quindi un pretesto per parlare del tempo, del suo dilatarsi, del progresso che vuole ottenere tutto nell’immediato, abolendo la lentezza, la riflessione, in una frenesia che si fa agitazione e tumulto. La dolce Armida avrebbe bisogno di tranquillità, di calma, lei dell’Alta Velocità non sa proprio che farsene, il tempo per lei è ricordo, dell’amato marito da cui il destino l’ha separata lasciandole trascorrere gli ultimi anni nella solitudine. Per Amanda, giornalista di talento, un po’ ribelle, inquieta, sacrificata in un piccolo foglio locale, che insegue il grande giornalismo e perciò legge avidamente biografie di grandi giornalisti che le insegnino  la differenza, l’Alta Velocità è l’occasione di scrivere un articolo verità, che scuota, morda, che la completi. Per Arturo, ricco farmacista, dalla vita sessuale movimentata, la cui moglie l’ha abbandonato per un calciatore, lasciandolo solo con un figlio da crescere, ora amante fedele e premuroso di Amanda, che cos’è l’Alta Velocità? Lui che pensa di comprare l’appartamento che ha affianco, per allargare il suo spazio, per avere più spazio. E Gregorio con la sua vita alternativa lui non ha bisogno dell’Alta Velocità per muoversi in spazi paralleli, gli basta la fantasia, gli basta l’immaginazione e di colpo si trova sulla Transiberiana a correre nella notte, ma con l’ Alta Velocità può monetizzare, stipulando contratti di assicurazione, e con i soldi che gli daranno per ripagare i danni potrà rendere più solido e più bello il suo appartamento.  Definito da Bernardi il suo libro più bello, il suo romanzo migliore, Crepe merita senz’altro di essere letto e con attenzione, perché non ci sono parole gettate a caso, tutto ha un senso, un rimando emotivo e a volte solo la bellezza emerge, certi passaggi sono semplicemente belli, da leggere ad alta voce, per sentirne la musicalità e gli echi profondi, le piccole crepe che si propagano anche nelle nostre vite di lettori.

Luigi Bernardi (Ozzano dell’ Emilia, 1953; Bologna, 16 ottobre 2013) ha creato e diretto case editrici, riviste e collane di libri e fumetti. Come narratore ha pubblicato: i romanzi Tutta quell’acqua (Dario Flaccovio, 2004) Senza luce (Perdisa Pop, 2008) la trilogia Atlante freddo (Zona, 2006) e alcune raccolte di racconti. È stato autore di libri sui rapporti tra crimine e contemporaneità tra cui A sangue caldo (DeriveApprodi, 2002). Ha scritto per il teatro e per il fumetto. Il suo sito: www.luigibernardi.com

Source: libro inviato al recensore dall’ ufficio stampa.

:: Recensione di Maddalena e le apocalissi di Luigi Bernardi a cura di Giulietta Iannone

3 novembre 2011

imagesTre voci in prima persona, tre personaggi al maschile, un professore universitario, uno scrittore, un vigile del fuoco, sono i protagonisti dei tre racconti che compongono e danno vita a Maddalena e le apocalissi di Luigi Bernardi Senzapatria collana Sostengo Pereira Pagine 120 Euro 10. Il genere apocalittico è una branca della fantascienza che ha avuto risultati bizzarri in mano ad autori non esclusivamente specializzati in sci fi. Penso solo a La strada di Cormac McCarthy, un romanzo post apocalittico di culto o a Cecità di Jose Saramago in cui l’intera popolazione diventa cieca per un’epidemia senza precedenti. Molto spesso si parla di fine del mondo per esorcizzare i demoni del presente. Guerre, malattie, crisi economiche, incombono sulla nostra realtà e accettiamo tutto filtrato dai telegiornali, dalle chiacchiere dal panettiere, dagli articoli in prima pagina dei quotidiani, ma questi mali racchiudono un’attesa, una condanna, una versione definitiva non edulcorata che porterà la fine della nostra civiltà, l’estinzione del genere umano come al tempo dei dinosauri. La vita sulla terra è una condizione transitoria e questa precarietà, questa incertezza è ben testimoniata da questi tre racconti dal retrogusto amaro e avvelenato. In Solo il mare, il racconto che apre il volume, veniamo catapultati in un mondo devastato dalla guerra, bombe che cadono, palazzi sventrati, università chiuse perché i ragazzi devono combattere e non hanno più tempo per imparare, il protagonista si prepara a fuggire con la sua donna Maddalena, una creatura di una bellezza sovrumana incontrata un giorno al supermercato mentre combattevano per un carrello con la monetina per sbloccarlo in mano, un amore totalizzante, solare fatto di fiducia e di completo abbandono, emozioni simili lui professore universitario di lettere le ha vissute solo sui libri ora le vive nella realtà ed è pronto a tutto fino a compiere un atto estremo, una metamorfosi che lo trasforma in un pesce e il mare diventa l’unica via di fuga anche se il destino che li attende non prevede il lieto fine. In Il gioco di M torna un incubo ricorrente della nostra contemporaneità l’11 settembre data dopo la quale niente è stato più lo stesso, un uomo e una donna si amano in un mondo dove tutto ciò che resta della cosiddetta normalità sono per esempio le partite di calcio in stadi strapieni, i due amanti giocano e quando uno chiede all’altro che regalo vorrebbe la risposta risulta spiazzante: “ Amore. Se proprio vuoi regalarmi qualcosa, regalami un 11 settembre”. Detto fatto, per quanto pazzesco il protagonista assiste in diretta televisiva al consumarsi di una tragedia inaudita, voluta da lui in fondo, che comporta la distruzione di M la sua amata e una promessa, di raggiungerla al più presto per fare l’amore sulle rovine del mondo. Infine Fuoco sui miei passi, racconto già uscito autonomamente sempre per Senzapatria, che se vogliamo è il più completo e paradossale con in aggiunta pure una spruzzata di erotismo. Vero protagonista oltre a Morelli, il vigile del fuoco che in prima persona parla di un delirante progetto radicale e assoluto, è il fuoco stesso, purificatore, che distrugge e nello stesso tempo permette un nuovo inizio. L’omaggio a “Fahrenheit 451 – gli anni della fenice” di Ray Bradbury è evidente, anche da una citazione dello stesso protagonista. Il mestiere del vigile del fuoco nel futuro sembra adattarsi al ruolo di incendiario e questa volta non si distruggono libri ma cadaveri che ingombrano le strade dopo ogni notte al posto dei sacchi dell’immondizia, Morelli e la sua donna Maddalena, tenente dell’esercito che se picchia sa come far male, decidono di radere al suolo con l’esplosivo una Bologna trasfigurata del 2037, per un nuovo inizio, un’apocalisse pilotata che racchiude in sé un lieto fine non privo di bizzarra ironia e forse speranza, chissà Bernardi forse vuole concederne un pizzico alla fine di tutto. C’è una poesia di Robert Frost che vorrei citare che mi sembra perfetta a conclusione:

Dicono alcuni che finirà nel fuoco
il mondo, altri nel ghiaccio.
Del desiderio ho gustato quel poco
che mi fa scegliere il fuoco.
Ma se dovesse due volte finire, so pure che cos’è odiare,
e per la distruzione posso dire
che anche il ghiaccio è terribile
e può bastare.

Luigi Bernardi è narratore, sceneggiatore e drammaturgo. Ha scritto alcuni libri sui rapporti fra crimine e contemporaneità, fra i quali: “A sangue caldo” (DeriveApprodi, 2001), “Pallottole vaganti” (DeriveApprodi, 2002), “Il male stanco” (Zona, 2003). Come narratore ha pubblicato un libro per ragazzi, i romanzi “Tutta quell’acqua” (Dario Flaccovio, 2004), “Atlante freddo” (Zona, 2006), “Senza luce” (Perdisa Pop, 2008), “Niente da capire” (Perdisa Pop, 2011) e quattro raccolte di racconti, la più recente delle quali è “Maddalena e le apocalissi” (Senzapatria, 2011). Per il teatro ha scritto: “Colpevole” (2003), “La conta” (2005, nuova edizione 2008), “Gaijin!” (2006, ripreso anche in un libro illustrato da Onofrio Catacchio e pubblicato da Black Velvet) e “I tempi stanno per cambiare” (2007), quest’ultimo insieme a Rosario Palazzolo. Per il fumetto ha sceneggiato “Fantomax/Non temerai altro male”, disegni di Onofrio Catacchio (Coconino Fandango, 2011) e “Carriera criminale di Clelia C.”, disegni di Grazia Lobaccaro (Black Velvet, 2011). Vive e lavora a Bologna, di cui ha raccontato storie e memoria in: “Macchie di rosso” (Zona, 2002). Il suo sito internet è www.luigibernardi.com.

:: Recensione di Il male stanco di Luigi Bernardi a cura di Giulietta Iannone

16 ottobre 2010

Il male stanco di Luigi BernardiPropongo ai lettori di Liberidiscrivere un libro interessante, edito da Zona nel 2003, scritto da Luigi Bernardi e quanto mai attuale in questi giorni in cui la cronaca nera sembra aver trasceso i limiti della dimensione umana. Non cito il caso più eclatante ormai da giorni al centro dell’attenzione di quotidiani e programmi televisivi per riportare il discorso al di là del morboso e dello sconcertante su temi seri e dolorosi che bene o male ci coinvolgono tutti analizzati da uno studioso che non vuole fare del facile cinico sensazionalismo ma vuole indagare, scavare nei lati più bui e tragici della società, per capire, riflettere, giungere a delle conclusioni.
Sette capitoli, scarni, obbiettivi, che aggiungono alla freddezza del reportage fatto di statistiche una profonda riflessione sociale scevra da pregiudizi e compiacimento. Bernardi racconta come ha iniziato a interessarsi di crimini e cronaca nera spinto forse da una buona dose di curiosità intellettuale e da un coinvolgimento personale che preferisco non anticiparvi lasciandovi alle parole dell’autore nelle prime pagine del libro.
La prima riflessione che sicuramente è degna di nota è che questi fatti pur nella loro atrocità che delinea una cattiveria di fondo degli autori, sorpendentemente sembrano evidenziare qualcosa di più ampio, collettivo, una perdita di responsabilità. Poi un’altra riflessione riguarda gli addetti ai lavori stessi di questi fatti, i giornalisti per esempio che trattano la cronaca nera nei quotidiani e nelle televisioni e che lo fanno condizionati da una certa frettolosità poichè devono agire in tempo reale senza una visone di lungo respiro e devono rispondere ai propri committenti finali.
Tragicamente il pubblico dei lettori e dei telespetattori vuole il “mostro”, vuole il linciaggio mediatico e il giornalista si trasforma suo malgrado in un boia per procura, lasciando sullo sfondo le vere motivazioni che spingono certe persone a diventare “mostri”, ad uccidere, a commettere delitti sempre più spesso maturati nell’ambito familiare, ma anche che coinvolgono sconosciuti che magari si incontrano per caso e iniziano a litigare per futili motivi.
Una ventina di casi emblematici, e a loro modo unici, singolari , efferati che ci permettono di aprire una finestra sulla nostra società, malata, voyeuristica, infetta. Bernardi definisce il male  “stanco” e fa di più considera che la progettualità del male sembra implosa. Molti delitti non vengono commessi per trarne un beneficio, uccidere non è più uno strumento di promozione ma un gesto che ha valore in quanto tale.
Solo comprendendo questo si può fare luce sul passato per capire il nostro presente e progettare il nostro futuro. Consiglio la lettura di Il male stanco come antidoto alla banalità che ci circonda perchè il male non è mai banale, è frutto di vigliaccheria, debolezza, follia ma fa parte del nostro quotidiano, più di quanto a volte ci farebbe comodo pensare.

Recensione: Senza luce di Luigi Bernardi (Perdisa 2009) a cura di Giulietta Iannone

30 novembre 2009

Uno dei più bei romanzi di John Steinbeck che lessi “L’Inverno del nostro Scontento” termina nelle sue ultime battute con una frase che da sempre mi ha fatto riflettere: “È tanto più buio quando una luce si spegne, più buio che se non fosse mai stata accesa” e a Steinbeck ho pensato leggendo questo bellissimo noir di Luigi Bernerdi. Nello spazio ristretto di una piccola comunità la sospensione della luce può creare strane dinamiche. È quello che succede in una serata piovosa di metà ottobre nell’hinterland bolognese. “Uno scocomerato pieno di schioppi” di cui si sa solo che è un pensionato sui settanta anni inizia a sparare e uccidere. La polizia per stanarlo ha l’idea piuttosto bizzarra  di sospendere l’erogazione della corrente elettrica gettando il paese nel buio. Questo è il pretesto, il fatto esterno che scatena un susseguirsi di avvenimenti inattesi. C’è Federica ausiliaria del 118, una ragazza insicura, taciturna, fragile che deve vedersela con le avances tutt’altro che gradevoli di un vicino di casa invadente, Mario Peretti, geometra del comune, intrallazzatore, un uomo che è un mastino nel suo lavoro ma un frustrato con le donne, meschino e vendicativo. C’è Umberto Valdinotti un professore universitario arrogante, vanesio, sleale sposato con Giuliana e padre di due figli terribili e inquietanti a cui propone un gioco per passare le ore di buio che si rivelerà fatale per gli equilibri della famiglia. Poi c’è Loretta la barista del paese, sorella e quasi madre di un piccolo delinquente, una donna sola, chiacchierata per la sua maniera disinvolta di accogliere i clienti a cui non concede mai troppo, di una tenerezza e innocenza disarmanti che la fanno sembrare quasi un personaggio felliniano che vede in Ivano un uomo di cui innamorarsi, un’ occasione per cambiere vita. Infine c’è Domenico, scrittore in crisi da quando la sua donna è morta lasciandogli un gatto e una valigia con un misterioso contenuto. Le storie minime di vita quotidiana sgualcite di poesia scorrono parallele, si alternano di capitolo in capitolo per poi unirsi nel capitolo finale dove una pallottola vagante guidata da una vendetta toglierà una vita, la vita di un colpevole che in un modo o nell’altro ha scatenato la spirale di violenza, producendo un atto liberatorio di giustizia finalmente compiuta. Senza luce è un romanzo complesso, un noir in cui l’emergenza del black out è il pretesto per guardare all’interno dell’animo di alcuni esseri umani, apparentemente comuni, banali, facendo luce nei meandri più oscuri dove nascono le passioni più inconfessabili e represse. È un analisi priva di retorica e di indulgenza dei nostri giorni solo in apparenza civilizzati dall’uso di computer, cordless, tostapani. Non è un libro comune, la scrittura è densa, fluida piena di riflessioni filosofiche, sociologiche, esistenziali. È un’opera vissuta, scheggiata di feroce ironia, di romanticismo, di malinconia. In questo tempo circoscritto in poche ore, rarefatto, isolato dove il mondo ha spento le sue luci perdendo la sua rassicurante normalità e si è nascosto, in questo tempo dove sembra che  tutto debba accadere, Bernardi affronta con ruvida sincerità temi seri, scomodi, parla della sua personale idea di scrittura, dell’editoria, dell’arroganza del potere, del terrorismo, dell’invadenza dei mass media, della famiglia, della vanità e supponenza di una certa cultura, scopre senza indiulgenza i vizi e le debolezze di una società che non ostante adori il progresso, e idolatri la democrazia è sempre dominata dalle ataviche leggi del branco dove la “solidarietrà umana” è solo una parola senza significato. Il buio dell’anima viene scandagliato con una sensibilità e una profondità di pensiero che ci porta a fare buio anche nella nostra anima per ascoltare i suoni del silenzio. “Senza luce” è un romanzo corale, insolito, strutturato a corrente alternata, frammentato, un romanzo dove un’umanità dolente e sconfitta trova voce e si dibatte portando a galla frustrazioni, illusioni, debolezze velate da una malinconia che è fatta di dolente poesia. In questo buio non ci si perde, la voce dell’autore ci guida, ci orienta portandoci a conoscere qualche cosa di noi che forse avremmo voluto ignorare o per lo meno sarebbe rimasta sommersa nel non detto. Bernardi ha coraggio, e un po’ ce lo presta, un po’ ci sprona nel percorrere questa strada in salita e senza appigli. Mentre Mario cerca di sedurre Federica, Umberto vede sgretolarsi la sua famiglia come sabbia tra le dita, Loretta si innamora e Domenico si prepara a dare vita ai suoi demoni interiori noi ci interroghiamo su quanto siano scure e profonde le tenebre dentro noi stessi. Da questo libro si esce cambiati, parte di queste tenebre si incollano alle nostre dita mentre voltiamo le pagine ed iniziamo ad essere più consapevoli come quando ci accorgiamo di respirare e dopo quel momento non lo facciamo più involontariamente.

Luigi Bernardi (Ozzano dell’ Emilia, 1953; Bologna, 16 ottobre 2013) ha creato e diretto case editrici, riviste e collane di libri e fumetti. Come narratore ha pubblicato: i romanzi Tutta quell’acqua (Dario Flaccovio, 2004) Senza luce (Perdisa Pop, 2008) la trilogia Atlante freddo (Zona, 2006) e alcune raccolte di racconti. È stato autore di libri sui rapporti tra crimine e contemporaneità tra cui A sangue caldo (DeriveApprodi, 2002). Ha scritto per il teatro e per il fumetto. Il suo sito: www.luigibernardi.com

Source: libro inviato al recensore dall’ ufficio stampa.

:: Intervista con Luigi Bernardi a cura di Giulietta Iannone

28 ottobre 2009

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Grazie Luigi di aver accettato la mia intervista. Innanzi tutto ci racconti qualcosa di lei, ci racconti qualche aneddoto inedito, la cosa più bizzarra che le è successa nella sua carriera.

Ho cinquantasei anni, lavoro in editoria da quando ne avevo la metà. Ho fatto l’editore, il direttore di riviste, il direttore di collane, l’editor, il giornalista, il traduttore. Poco più di dieci anni fa mi sono messo a scrivere, scrivo tutt’ora, anzi ormai faccio solo questo. Di cose bizzarre me ne sono accadute parecchie, ma come spesso succede nei casi in cui diventa obbligatorio ricordarle, non me ne viene in mente neppure una.

Ha iniziato come editore creando case editrici di fumetti come “l’Isola trovata” e “Granata Press”, che ricordi ha di questa esperienza? Ci sono errori che ha commesso che con l’esperienza non rifarebbe?

Difficile rinchiudere quasi vent’anni in una risposta. Le case editrici che ho inventato e diretto appartengono a un’epoca pioneristica: l’editoria pareva essere meno sottomessa alle leggi del mercato di quanto sia adesso. Non era vero, e scoprirlo, quasi sempre troppo tardi, faceva male al cuore. Errori ne ho commessi parecchi, nessuno che tornerei indietro a correggere: senza quegli errori non avrei fatto tutto il resto, dopo.

Ha diretto riviste di settore come “Orient Express”, “Lupo Alberto” e “Mangazine” perché pensa che molte riviste, seppur curate e rimpiante da molti, siano poi costrette a chiudere. Costi troppo alti? Non c’è distribuzione? Le librerie gli dedicano poco spazio?

Le riviste che dirigevo erano distribuite in edicola, a tirature piuttosto alte, e non hanno mai costituito un problema finanziario per le mie case editrici. Il problema al quale ti riferisci, quello delle riviste in libreria, è di natura diversa in quanto queste pubblicazioni nascono spesso intorno a progetti fortemente identitari che, per loro stessa natura, si rivolgono a un pubblico minoritario incapace di garantire la sussistenza economica. C’è inoltre da dire che il pubblico che entra in libreria va alla ricerca di un determinato titolo o di un autore preciso: difficile che si faccia sedurre dalle riviste, anche da quelle molto interessanti come “L’accalappiacani”, “Il primo amore” o “Lo straniero”.

Poi da quando non fa più l’editore ha iniziato a scrivere le sue prime opere di narrativa, esordendo con un libro di racconti Erano angeli, poi Tutta quell’acqua, Musica finita, quale libro consiglierebbe di leggere per primo ad un lettore che si avvicinasse per la prima volta alle sue opere?

Di sicuro l’ultimo, Senza luce: è il mio romanzo migliore e quello che mi ha dato maggiori soddisfazioni.

Quali autori l’hanno maggiormente influenzata?

Difficile rispondere. Non credo di avere maestri di riferimento. Ma se devo fare un paio di nomi, allora sono Jean-Patrick Manchette e Magnus, il fumettista. Erano entrambe persone dotate di grande curiosità, capaci di sfide enormi e guidati da un perfezionismo formale che non ho più ritrovato in altri. Nessuna influenza diretta mi lega a loro, quanto un desiderio azzardato di emulazione, umana e artistica.

Oltre che scrittore, consulente editoriale, giornalista lei ha tradotto maestri del noir francese come Jean-Patrick Manchette, il compianto Thierry Jonquet, Patrick Raynal, o Maurice G. Dantec. Ci parli del mestiere del traduttore, quale libro l’ha divertita di più, quale le ha richiesto più fatica?

Tradurre è entrare nelle stile di un altro. Ci vuole molta concentrazione, bisogna scoprire come pensava quello scrittore, scrivere come scriveva lui. La traduzione non è un problema di dizionario, quanto di rispetto. Tradurre Manchette era una sfida che mi piaceva affrontare.

Ha sicuramente svolto anche un ottimo lavoro di talent scout segnalando all’attenzione autori che poi hanno avuto enorme successo come Marcello Fois, Leo Malet o Carlo Lucarelli. Come si riconosce il talento, quali sono le doti in un esordiente che apprezza di più?

La voce. Un testo mi deve parlare con la propria voce. Se lo fa è un buon testo. Non è la storia, non sono le trovate, un testo è fatto di scrittura e la scrittura è stile, voce che racconta e che pretende di essere ascoltata.

Come saggista si è occupato di indagini sul mondo del crimine con opere come “A sangue caldo, criminalità, mass media e politica in Italia”, “Macchie di rosso, Bologna avanti e oltre il delitto Alinovi” facendo un bilancio la società italiana è una società violenta?

Le società, orientali e occidentali che siano, hanno livelli di violenza non troppo diversi le une dalle altre. In Italia accade un caso per certi versi paradossale: la presenza sul territorio di molte articolate criminalità organizzate funge da calmiere per la criminalità spicciola, che è quella che spesso si concede i gesti più estremi. In alcune regioni italiane è come se ci fossero due polizie, una statale e l’altra mafiosa. Questo, per esempio in Sicilia dove il controllo di Cosa nostra è decisivo, fa sì che la violenza sia in qualche modo trattenuta. Il rovescio della medaglia è che quando si accendono guerre all’interno delle organizzazioni criminali, i morti aumentano. Ma sono, per così dire, cadaveri di servizio, che non intaccano la prospettiva generale.

Nei suoi libri tra saggi e romanzi ha analizzato l’essenza del gesto omicida; è poi così facile uccidere, cosa scatta nella mente dell’assassino, che barriere vengono superate per lei?

Se c’è una disciplina scientifica che non mi convince è la criminologia: troppe parole e sempre a posteriori. Per rispondere alla tua domanda, dovrei uccidere io stesso. Se uccidessi, saprei dire cosa scatta e che barriere si superano. Lo saprei e potrei raccontarlo. Siccome non ho mai ucciso, la mia risposta sarebbe imprecisa e assomiglierebbe troppo a quella che darebbero certi criminologi che non stimo e vanno a Porta a porta. A ogni modo, credo molto nella casualità del gesto omicida: data la stessa situazione e gli stessi protagonisti, non sempre il gesto omicida si verifica. Il problema è che quando avviene è per sempre.

Ha realizzato laboratori di scrittura, parlando di corsi di scrittura creativa pensa che realmente servano, il mestiere di scrittore si può insegnare?

Si può insegnare la disciplina dello scrivere, non certo l’ispirazione. Le scuole di scrittura, se sono buone, servono a organizzare meglio le singole attitudini, che però devono preesistere. Magari pasticciate, arroganti, imperfette, ma preesistenti.

Da buon bolognese amerà sicuramente la buona cucina. Da giornalista la sua città l’ha spesso descritta arrabbiandosi spesso come un’amante ripudiato. Ci parli un po’ di Bologna, colori suoni, sapori che l’accompagnano da una vita.

Bologna è una città stanca, che vive di una rendita che pian piano si esaurisce. Una città debole, senza orgoglio, che si lascia fare dai poteri forti che hanno investito molto sul suo territorio. Assomiglia sempre più a una città del sud, senza peraltro averne il calore, il sole e i sapori di una cucina genuina. Già, perché di Bologna è molto sopravvalutata anche la cucina: troppo grassa, pastosa e prepotente per deliziare davvero il palato.

Quali libri sta leggendo attualmente? Quale libro non si stancherebbe mai di rileggere?

Sto scrivendo, e quando scrivo non leggo, per non mescolare la mia voce di scrittore a quella di altri. Per la seconda domanda non saprei rispondere in senso assoluto. In questo momento avrei voglia di rileggere la Trilogia della città di K, di Agota Kristof, le vecchie strip dei Peanuts e alcune tragedie greche.

Ha mai letto i libri delle inchieste del commissario Sanantonio di Dard? Apprezza il suo umorismo, il suo giocare con le parole?

Sì, li leggevo parecchi anni fa, quando uscivano in edicola. Non tutti. Mi divertivano ma li trovavo un po’ troppo fini a se stessi. Meglio, molto meglio, il Frederic Dard scrittore di romanzi noir di minor fortuna editoriale, soprattutto in Italia, dove sono quasi sconosciuti.

Si è anche dedicato al teatro, che emozioni le ha dato? che emozioni pensa si possono trasmettere ?

In teatro tutto avviene in presa diretta. Lo si capisce subito se una battuta ha colto il segno, se la storia che stai raccontando interessa oppure annoia. L’emozione è immediata e produce una scarica di adrenalina lenta a disperdersi. Non è un caso se ogni volta che esco da un teatro dove si è rappresentato qualcosa di mio, mi viene subito voglia di scrivere.

Cosa pensa del movimento di solidarietà per Cesare Battisti che ha coinvolto scrittori come Serge Quadruppani, Daniel Pennac, Gabriel Garcia Marquez? Ha avuto modo di conoscerlo? Crede nella sua innocenza?

Credo di essere stato uno dei primi a firmare a favore di Cesare Battisti. E sono stato anche uno dei primi a pubblicarlo. Lo conosco e non è colpevole di gran parte degli atti per cui lo hanno condannato. Questo forse non fa di lui un innocente, ma di sicuro un uomo che ha diritto di vivere la propria vita.

La letteratura e internet. Pensa che da quando internet è così diffuso anche il mondo della scrittura sia cambiato?

È cambiato moltissimo. Prima per definirsi scrittori bisognava almeno pubblicare un libro, oggi basta postare un racconto su una pagina web. È aumentata quella che qualcuno ha definito democrazia della scrittura. Quanto poi la letteratura abbia bisogno di democrazia è tutto da dimostrare.

Attualmente sta scrivendo? Può anticiparci qualcosa sulla sua prossima opera?

Sto scrivendo un romanzo nuovo, alcune sceneggiature di fumetti e un testo teatrale, che per la verità non ho ancora cominciato.