Posts Tagged ‘Fantascienza’

:: Quaranta segni di pioggia di Kim Stanely Robinson (Fanucci 2025) a cura di Patrizia Debicke

6 novembre 2025

Fa caldo a Washington. Un calore quasi insopportabile, greve, stagnante e che sembra annunciare la tempesta. Il cielo resta immobile, nessuna nuvola in vista. Gli split dell’aria condizionata, circondati da  gente sudata, stentano a fare il loro lavoro.  
Questa è la realistica immagine iniziale di Quaranta segni di pioggia di Kim Stanley Robinson (Fanucci Editore), romanzo che suona come un monito per un’umanità cieca, intrappolata nella propria presunzione di dominio sulla natura.
Washington D.C. diventerà il cuore pulsante di un mondo prossimo al collasso, una capitale in cui la miopia dei governanti si è trasformata in simbolo dell’inerzia globale. Là si muovono i protagonisti, piccoli ingranaggi di un arrugginito meccanismo politico: Charlie Quibler, consulente per le politiche ambientali di un senatore illuminato ma impotente, e sua moglie Anna, brillante scienziata della National Science Foundation. Entrambi, in modi diversi, cercando di dare un senso a un futuro che pare volersi sfaldare sotto i loro occhi.
Charlie combatte contro il disinteresse dei potenti, costretto a tradurre in linguaggio politico l’urgenza scientifica del disastro climatico. Sente che la catastrofe non è più una minaccia lontana ma una realtà che avanza a passi misurabili: anno dopo anno il ghiaccio artico si ritira, le stagioni si deformano, i confini tra normalità e caos si assottigliano. Tuttavia, nei corridoi del potere prevale la riluttanza, l’incapacità di comprendere ciò che la scienza ripete da decenni. La politica, dominata da calcoli elettorali e interessi economici, preferisce rimandare, fingendo che la Terra possa attendere. Anna, dal canto suo, rappresenta la razionalità lucida della ricerca. Analizza, propone, tenta di orientare il sapere verso una tecnologia capace di invertire il processo, ma ogni passo avanti genera una nuova contesa. Nella competizione feroce per il controllo delle innovazioni, la scienza stessa diventa preda del mercato. E mentre la politica resta paralizzata, il sapere si piega al profitto. Accanto a loro, figure come Frank Vanderwal, biologo, idealista e inquieto, ampliano il quadro di una società che non sa più ascoltare i propri studiosi.  Scienziati che conducono ricerche sulla biotecnologia, assistono membri del governo o svolgono mansioni amministrative presso la National Science Foundation (NSF) degli Stati Uniti. Unica apparente diversità l’arrivo a Washington dei Khembalis, dotti monaci buddisti che lavorano per l’ambasciata dell’immaginaria isola di Khembalung, quasi sommersa dalla risalita delle acque dell’oceano.
Mentre questi eroi ordinari e straordinari lottano per trovare una soluzione, il destino sta per dare una svolta al loro lavoro, portandoli inevitabilmente nell’occhio del ciclone. E quando la natura si ribella, l’illusione del controllo umano si dissolve. Le tempeste devastano la costa occidentale, il mare inghiotte la California, e la capitale americana pare affondare sotto una pioggia interminabile. Constitution Avenue diventa una laguna, il Lincoln Memorial un simbolo d’impotenza. È la silenziosa ma terribile vendetta di un pianeta stanco e umiliato.
Robinson costruisce un romanzo corale e intenso, in cui la tensione non nasce dall’azione ma dalla consapevolezza. Il vero conflitto è morale e intellettuale: la scienza chiede ascolto, la politica risponde con il silenzio. La prosa, rigorosa e realistica, restituisce l’asfissiante atmosfera di un mondo sull’orlo della rovina, in cui ogni personaggio rappresenta una sfumatura del nostro smarrimento. Non ci sono eroi, solo esseri umani alle prese con la complessità del proprio tempo, incapaci di ammettere che il cambiamento è già iniziato.
Quaranta segni di pioggia è molto più di un romanzo di fantascientifica interpretazione distopica di un prossimo possibile futuro: è una parabola sul potere, sulla responsabilità e sull’arroganza della specie umana. L’autore non concede sconti né scorciatoie emotive. Mostra una Washington immobile, popolata da burocrati, scienziati e senatori che oscillano tra l’indifferenza e la paura, incapaci di agire finché l’acqua non invade le strade. Robinson invita a guardare sotto la superficie, a capire che la vera minaccia non è la furia della natura ma la nostra cecità. Con il ritmo misurato della riflessione e la precisione di un saggio travestito da romanzo, l’autore disegna un affresco inquietante del presente.
Quaranta segni di pioggia probabilmente è il più intelligente romanzo catastrofico che avrete l’occasione di leggere… Il vero protagonista è la scienza. Robinson, uno dei più visionari scrittori di fantascienza americani, bravo e preparato nello spiegare le  sfaccettature della natura, dimostra tuttavia come quest’umana dottrina  un tempo rispettata sia costretta a inchinarsi al capitalismo. Insomma il suo pare l’ultimo invito a tirare fuori la testa dalla sabbia e affrontare la minaccia del cambiamento climatico.
La temuta catastrofe non è più una possibilità: è già qui, e ci coglie di sorpresa mentre discutiamo, ancora convinti di poterla controllare.

Kim Stanley Robinson è nato nel 1952 in Illinois e si è laureato in letteratura inglese con una tesi su Philip K. Dick. Appassionato di alpinismo, vive a Davis, in California. I suoi romanzi sono stati insigniti di prestigiosi riconoscimenti, tra cui il premio Nebula, il premio John Wood Campbell Memorial e il World Fantasy. Di questo autore Fanucci Editore ha pubblicato il romanzo New York 2140 e la serie della Trilogia di Marte, capolavoro della letteratura di fantascienza, composta dai romanzi Il rosso di Marte, Il verde di Marte e Il blu di Marte.

:: La terra al di là di Gene Wolfe (Atlantide 2025) di Emilio Patavini

22 luglio 2025

Atlantide è una casa editrice dall’interessante catalogo, che comprende anche una oculata selezione di titoli fantascienza, da Amo Galesburg a primavera di Jack Finney a Il mondo sul filo di Daniel F. Galouye, da Riaffiorano le terre inabissate di M. John Harrison, a Godbody di Theodore Sturgeon. A queste opere si è recentemente aggiunto, ad aprile di quest’anno, il romanzo La terra al di là di Gene Wolfe (1931-2019), autore americano noto per il ciclo science fantasy del Libro del Nuovo Sole, edito da Mondadori. Uscito nel 2013, La terra al di là è il penultimo romanzo pubblicato da Wolfe e racconta di Grafton, un uomo americano che si ritrova a viaggiare in un imprecisato paese dell’Est Europa per scrivere una guida turistica. Del paese non ci verrà mai detto il nome, ma sappiamo solo che in questa «terra al di là della montagne» vige una dittatura post-comunista, mentre gli abitanti hanno nomi simil-greci. Come è stato notato, il titolo originale The Land Across sembra rimandare alla Transilvania, riferimento corroborato anche dalla presenza di una residenza estiva di Vlad l’Impalatore nel paese. Se anche di Transilvania si tratta, ne è comunque una versione alternativa e distopica, uno stato di polizia che sottrae il passaporto a Grafton e lo incrimina senza motivo apparente, affidandolo alla custodia di un uomo di nome Kleon, che fin da subito non mostra alcuna simpatia nei suoi confronti, e di sua moglie Martya, che al contrario è attratta dallo straniero e decide di aiutarlo. Grafton affitta poi una casa abbandonata, i Salici (nome che rievoca Algernon Blackwood), in cui si dice che sia sepolto un tesoro. Ma al suo interno trova invece il corpo mummificato di una donna, che sarà solo la prima di una serie di disavventure che lo porterà a essere rapito da una organizzazione antigovernativa di ispirazione religiosa, la Legione della Luce, e poi a essere incarcerato. Se le premesse fanno pensare a Il processo di Kafka o a Epepe di Ferenc Karinthy, il lettore viene progressivamente sviato dall’ibridazione di generi messa in atto da Wolfe. Il romanzo passa così dalla ghost story con presenze soprannaturali e tanto di casa infestata all’intricata spy story e al thriller metafisico: Grafton viene infatti coinvolto nello scontro tra la polizia segreta, la JAKA, e la setta satanista dell’Empia Via.

Non bisogna aspettarsi da questo romanzo la complessità postmoderna del ciclo del Nuovo Sole, ma una godibile lettura di intrattenimento che all’inizio sfiora l’inquietante, poi vira decisamente verso l’azione e infine sfuma in un finale parecchio sottotono. Anche stilisticamente la scrittura è scorrevole e colloquiale, e l’uso di strategie narrative come cliffhanger e colpi di scena tradisce una certa finalità tensiva che non riesce però a resistere fino alla fine, risultando poco convincente nell’ultimo quarto del romanzo. Il modo di parlare dei locali viene reso volutamente oscuro, involuto e non sempre chiaro da comprendere, immedesimandoci nello sforzo di Grafton di confrontarsi con un modo di pensare completamente diverso dal suo. L’elemento soprannaturale si palesa nella lotta tra magia nera e bianca ed è esemplificato dalla presenza di bambole vudù e di una mano della gloria dotata di vita propria e potenzialmente assassina che fa pensare a La bestia con cinque dita di W.F. Harvey, La mano scorticata di Guy de Maupassant, ma anche a Il cadavere del vescovo Louis, racconto dell’autore inglese di ghost stories Frederick Cowles che ho recentemente tradotto per la raccolta L’orrore di Abbot’s Grange uscita per Dagon Press.

Tuttavia questo La terra al di là è un romanzo che non convince pienamente. Da un narratore come Gene Wolfe era lecito aspettarsi qualcosa di più incisivo, di più stimolante per il lettore. Non che sia una lettura lenta o noiosa, tutt’altro, ma il problema è che spesso si incontrano elementi che mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità di chi legge. Per esempio, i personaggi agiscono alla cieca, guidati unicamente dal loro intuito, eppure riescono miracolosamente a imboccare sempre la via giusta e a non fare mai buchi nell’acqua. Dürrenmatt, per fare un nome su tutti, ci ha insegnato quanto spesso l’investigazione sia accompagnata dalla fallibilità, dimostrando come non sempre il raziocinio riesca a far luce su tutte le zone d’ombra. E di zone d’ombra in questo libro ce ne sono parecchie, forse non del tutto chiarite per volontà dell’autore, così come ci sono alcuni personaggi o entità che spariscono improvvisamente senza far più ritorno. Sembra quasi che la vena allusiva per cui l’autore è noto sia stata sacrificata ai fini della mera indagine spionistica, per quanto sia trascinante fino a un climax da weird menace anni ‘30 con la classica damigella in pericolo. La figura paterna (chi leggerà il libro capirà a cosa mi riferisco) e ambigua del dittatore del paese sembra aver imposto all’autore il dovere morale di includere una appendice in calce al libro in cui si ribadisce l’importanza della democrazia in opposizione alla fittizia autarchia descritta nel romanzo. Una scelta che appare a mio avviso pleonastica. Gene Wolfe ha la fama di autore difficile da leggere. Questo libro non è difficile da leggere né particolarmente complesso. A volte sembra solo confuso. Si avverte anche l’influenza di quell’autentico capolavoro che è L’uomo che fu giovedì di G.K. Chesterton, uno degli autori che più ha influenzato Wolfe, ma il cui genio rimane insuperato.

Gene Wolfe (1931-2019) è stato uno dei maggiori scrittori americani di fantascienza e fantasy del Novecento, vincitore di numerosi premi, tra cui quattro Locus e due Nebula. “La terra al di là”, pubblicato originariamente nel 2013 e avvicinato immediatamente alle opere di Kafka e Flaunn O’Brien, viene presentato per la prima volta in traduzione italiana.

Source: libro inviato dall’editore.

:: Un’intervista con Caterina Mortillaro, autrice di Kali Yuga, a cura di Giulietta Iannone

23 settembre 2024

Caterina, grazie per aver accettato la mia intervista. Parlaci un po’ di te, dei tuoi studi, del tuo lavoro. È vero che vivi a Praga in questo momento?

Grazie a te per l’opportunità. Da ragazza ho studiato Lettere classiche: latino, greco filologia. Non ero una studentessa modello, ma amavo molto l’antichità. Poi ho iniziato a insegnare e siccome collaboravo con una rivista che si occupava di mondialità, mi sono iscritta ad Antropologia culturale. Mi è piaciuto così tanto che ho fatto persino il dottorato. Ho fatto anche un corso di sceneggiatura alla Luchino Visconti.

Sì, vivo a Praga. Sono qui con un programma ministeriale per insegnare l’italiano in un liceo bilingue statale ceco. Dovrei restare altri quattro anni. A volte ho una gran nostalgia dell’Italia, ma mi trovo abbastanza bene. Ci sono mille cose da fare, sembra di vivere in una cartolina e ho vari amici di nazionalità diverse. Ho avuto anche l’opportunità, grazie all’Istituto Italiano di Cultura, di conoscere artisti, scrittori, scienziati e persino quattro astronauti. Insomma, mica male.

Come è nato il tuo interesse per la scrittura e la letteratura in genere?

Probabilmente grazie al fatto che mia madre leggeva per me ogni sera. O forse perché avevo una prozia scrittrice. Mi affascinava, fin da bambina, l’idea di poter vivere molte vite con la fantasia, scrivendo. E leggendo. Sono stata una lettrice vorace.

Quali sono i tuoi scrittori preferiti, classici e contemporanei? Quelli che hanno influenzato maggiormente la tua scrittura.

Arduo a dirsi. Sono imbevuta di letteratura classica, ma mi sto impegnando a leggere i contemporanei. Non ho ancora deciso se ce n’è uno che preferisco in modo netto. Magari apprezzo delle cose e altre mi lasciano più fredda. Come membro della giuria dello Strega, quest’anno ho avuto una panoramica ampia di ciò che è ritenuto letteratura in Italia e sono rimasta un po’ delusa, ma ho anche imparato molto.

Hai pubblicato nel 2021 Kali Yuga, ora ripubblicato in versione digitale con Delos Digital, un thriller fantascientifico esoterico. Ce ne vuoi parlare?

Kali Yuga nasce da una conferenza cui ho assistito al Mufant di Torino in cui si parlava di un libro di “protofantascienza”, per così dire, della Belle Epoque. Un libro ritrovato fortunosamente nei meandri di una biblioteca. Ho cominciato a fantasticare sul fatto che un libro di allora avrebbe potuto descrivere davvero il nostro presente. Ci ho messo dentro la mia conoscenza dell’India e, paff!, ecco l’idea di Kali Yuga. Oltre ai miei studi sull’India, per il dottorato, mi ha aiutata molto il fatto che la maggior parte dei luoghi li abbia visitati nella realtà. Mi piace molto inserire dettagli olfattivi e visivi il più possibile vividi, che creino un effetto di verosimiglianza.

Tutto inizia con il ritrovamento di un libro in una bottega antiquaria. Ci vuoi parlare di questo testo? È pura fantasia o si basa su testi realmente esistenti?

Il libro di Ermes Anastasi è una finzione letteraria, ma sono sicura che esistono romanzi di fantascienza dimenticati molto interessanti. Se invece ti riferisci ai testi che cito, come i testi base della Teosofia, gli Atharvaveda e le loro traduzioni, o Sultana’s Dream esistono davvero. Tra l’altro Sultana’s Dream compare in DiverGender, l’antologia sul genere e la fantascienza curata da me e Silvia Treves. Quando scrivo sono molto attenta alla parte di ricerca. La fantasia si fonde con la realtà. Sta poi al lettore decidere se leggere il libro con Google a portata di mano per verificare se le citazioni sono vere o inventate.

C’è anche una storia d’amore. Puoi parlarci di Giulia e Florien?

Non vorrei che i lettori mi tacciassero di scrivere Harmony travestiti da fantascienza. Posso solo dire che Florien è piaciuto molto al pubblico femminile. È un uomo affascinante, razionale, profondamente onesto. Purtroppo, appartiene a due mondi: la Francia razionalista e l’India. Questo a volte lo pone in lotta con sé stesso e le proprie origini. Un altro aspetto importante di Florien è che non accetta di essere guidato dal Fato. Vuole essere il protagonista attivo della propria vita.

Quanto a Giulia, è una donna moderna, intelligente, innamorata del suo lavoro, disincantata relativamente all’amore. È più disposta di Florien a buttarsi nelle cose, a vivere le emozioni, ma con un gran paracadute pronto per ogni evenienza. Il loro rapporto è segnato dal destino, ma ha anche elementi di grande attualità, come la difficoltà a impegnarsi.

Il tuo rapporto con la critica letteraria è un rapporto conflittuale o pacifico? Noti una certa ritrosia da parte di blogger o critici a recensire donne che scrivono di fantascienza?

Noto una ritrosia generale nel recensire noi autori (uomini o donne) che pubblichiamo con editori… non grandi. Inoltre ci sono i gruppi, gruppetti, fratrie e sorellanze, che se la cantano e se la suonano gli uni con gli altri e ignorano quelli esterni al “clan”. Ma ormai sono giunta alla conclusione che scrivo perché ho voglia di farlo e perché ho delle cose da dire. Se non mi recensiscono, ci rimango male, ovvio, perché scrivere è comunicazione e un feedback è importante. Ma è inutile deprimersi. Certo, se la gente stronca per passare il tempo, allora un po’ mi vorticano le eliche.

Le donne stanno sbaragliando la fantascienza ormai. L’importante è che non debbano snaturarsi per piacere anche al pubblico maschile. A volte sento dire che le donne sono troppo descrittive, troppo attente all’interiorità, ai sentimenti, mentre i maschi sono più diretti e scrivono libri più veloci, più d’azione. Questa gente evidentemente non ha mai letto i grandi autori del passato. Ognuno scriva come vuole, secondo la sua sensibilità, quale che sia il suo genere. Non esistono regole di genere nell’arte.

Sono molto curiosa, cos’era la Società Teosofica Internazionale? Esiste ancora?

Certo! Esiste eccome. Hanno un sito, una newsletter, fanno incontri e corsi in molte città e convegni internazionali. È nata nei primi del ‘900 come filosofia capace di conciliare religioni diverse, misticismo e scienza. Tra i suoi affiliati ci sono stati personaggi molto importanti del panorama culturale dell’epoca: artisti, scrittori, scienziati, politici. Ha visto un declino perché molto osteggiata dalla Chiesa e dai benpensanti, ma non è mai morta.

Quanto ti ha richiesto il periodo di documentazione? Che testi hai consultato?

Di solito mi documento in itinere, quindi non saprei quantificare. Ho consultato di tutto. Molto utile è stata anche la mailing list di RISA, Religions of India and Southern Asia, un gruppo di studiosi di tutto il mondo. A un certo punto mi ero fissata che volevo la lista delle imprese italiane operanti a Chennai all’epoca di Anastasia Bagliotti, ma ho trovato solo indicazioni di massima. Lo stesso cognome Bagliotti appartiene a una famiglia nobile ormai estinta.

Il tuo amore per l’India è palese. L’hai visitata? Cosa ti ha colpito di più del paese indiano?

Sono stata in India tre volte, in posti non turistici, soprattutto per le mie ricerche accademiche, e vorrei tanto tornarci per un tour. L’India è un paese strano, che amo e al tempo stesso mi crea qualche problema per la mentalità di alcuni Indiani, per il grande divario sociale ed economico, per le caste, per una certa religiosità superstiziosa. Ci sono tante cose che non vanno, ma al tempo stesso ci sono cose di straordinaria bellezza e una cultura così ricca che non basterebbero tre vite per conoscerla tutta.

Ci sono scrittori esordienti che ti hanno particolarmente colpito?

Domanda difficile. Che intendi per esordienti? Mi sa che nessuno degli amici del mondo della fantascienza che stimo come autori possa essere definito esordiente. Se invece intendi scrittori emergenti, che pubblicano con piccoli editori, ce ne sono vari che stimo e non vorrei, citandone qualcuno, lasciarne indietro altri.

Cosa stai leggendo, in questo periodo?

Non ci crederai, ma in questo momento sto leggendo, per la prima volta (mea culpa) Solaris di Stanislav Lem. Poi, come dicevo, cerco di alternare un classico non di fantascienza e uno o due romanzi contemporanei di vario genere, italiani o stranieri. E qualche testo di amici, come Simonetta Olivo o Lorenzo Davia, per esempio.

Infine nel ringraziarti per la disponibilità l’ultima domanda: che libro stai scrivendo in questo momento? Puoi anticiparci qualcosa?

Eh… dunque, ti posso dire che ho tre libri pronti. Uno è uno storico, uno un giallo e il terzo è un post-catastrofico molto particolare, ambientato a Milano. I primi due non hanno ancora trovato un editore, mentre per il testo fantascientifico forse tenterò per la prima volta il Premio Urania. In questi giorni ho iniziato un nuovo progetto fantascientifico, ma ancora è informe. Ho buttato giù qualche brano, una trama, ma non so ancora che struttura gli darò. Altra roba che ho nel cassetto, smozzicata, chissà se vedrà mai la luce…

:: È difficile essere un dio di Arkadij e Boris Strugackij, a cura di Paolo Nori (Marcos y Marcos 2023) recensione a cura di Emilio Patavini

13 gennaio 2024

Uno dei primi esempi di fantascienza russa è l’utopia socialista Stella rossa (1908) di Alexandr Bogdanov, traduttore di Marx e rivoluzionario bolscevico, ma tracciando una breve storia di questo genere letterario possiamo citare anche il romanzo di ambientazione marziana Aelita (1922) del conte Aleksej Tolstoj (lontano parente del più famoso Lev), da cui venne tratto due anni dopo il kolossal diretto da Jakov Protazanov. Anche le opere del “Jules Verne russo” Aleksandr Beljaev rientrano in questo genere, così come Noi (1924) di Evgenij Zamjatin, romanzo fondamentale per il genere distopico, tanto che costituirà una notevole fonte di ispirazione per 1984 (1949) di George Orwell, o ancora, Cuore di cane e Uova fatali (1925), racconti “wellsiani” di Michail Bulgakov, l’autore dell’immortale capolavoro Il maestro e Margherita. Con la sua epopea spaziale La nebulosa di Andromeda (1957), Ivan Efremov è considerato uno dei padri della fantascienza sovietica. Ma sono i fratelli Arkadij (1925-1991) e Boris (1933-2005) Strugackij, attivi soprattutto tra anni ‘50 e ‘60, gli autori più letti e conosciuti della fantascienza russa. Nati a Leningrado e di famiglia ebraica, traduttore dall’inglese e dal giapponese il primo e astronomo e matematico il secondo, i fratelli Strugackij esordirono nel 1959 con La terra delle nubi cremisi e scrissero in coppia indimenticabili romanzi in cui la speculazione metafisica e la satira della burocrazia e del regime sovietico sono sapientemente coniugati. Della loro prolifica produzione è d’obbligo citare Picnic sul ciglio della strada (1972), da cui è stato tratto il celebre film Stalker (1979) diretto da Andrej Tarkovkij e scritto dagli stessi fratelli Strugackij. Nonostante il successo delle loro opere, i fratelli Strugackij non mancarono di scontrarsi con una critica ostile e soprattutto con le forche caudine della censura sovietica, che tagliò ed espurgò senza ritegno le loro opere (raccolte oggi in Russia in ben trentatré volumi) e li costrinse ad apportare «duecento umilianti correzioni» al testo di Picnic sul ciglio della strada o a dover riscrivere La favola della Trojka per poterla pubblicare, come ha ricordato Marco Respinti in un suo recente pezzo uscito su Libero. Anche È difficile essere un dio (Трудно быть богом, 1964) ha avuto una vicenda editoriale piuttosto travagliata, come racconta lo stesso Boris nella postfazione alla nuova traduzione integrale dal russo a cura di Diletta Bacci uscita a luglio per Marcos y Marcos, con prefazione di Paolo Nori.

Il romanzo è ambientato in un futuro in cui una missione di storici russi manda alcuni esploratori in incognito su Arkanar, un pianeta abitato da esseri umani che vivono in un’epoca storica grossomodo corrispondente al medioevo dell’immaginario collettivo: non un medioevo storico, dunque, ma un pastiche in cui gli autori fondono in un unico calderone astorico i moschettieri della Francia di Richelieu, la Santa Inquisizione e le angherie dei bravacci spagnoli dando vita a una società feudale dominata dall’arretratezza culturale, dalla superstizione religiosa, dalla sporcizia e dall’ignoranza. Calato in questa società al contempo aliena e familiare, il nostro protagonista Anton si trova a vestire i panni del nobile don Rumata, ma grazie al cerchio d’oro che porta sulla testa (in realtà una telecamera) può solo osservare e trasmettere le immagini alla Terra affinché siano studiate dagli storici del feudalesimo, ma senza poter intervenire in alcun modo per cambiare le cose. Egli tuttavia è il miglior spadaccino del pianeta e grazie alle sue avanzate conoscenze tecnologiche viene visto dalla popolazione di Arkanar come un dio. Ma di fronte alle ingiustizie sociali che piagano questa società rigidamente stratificata in ceti – con alla base della piramide «i contadini e gli artigiani, sopra di loro la nobiltà, poi il clero e infine il re» (p. 243) –, un uomo proveniente da un pianeta in cui il comunismo è divenuto realtà non può restare indifferente: i poveri sono vessati dall’oppressione dei più forti (i cosiddetti «squadristi grigi»), i nobili vivono nel vizio, gli intellettuali e gli scienziati (chiamati sprezzantemente i «divoratori di libri») vengono barbaramente perseguitati e uccisi – e in quest’ultimo aspetto, sembrano suggerirci i fratelli Strugackij, la vita sul pianeta alieno non sembra differire troppo dalla realtà quotidiana dell’Unione Sovietica. Tuttavia, nonostante sia parte di un esperimento sociale su scala planetaria e nonostante i suoi sforzi per salvare i «divoratori di libri» dal rogo, Anton non può che guardare con pessimismo alle sorti del pianeta: «Non c’è speranza, pensò. Non ci sarà mai forza sufficiente per strapparli dal solito circolo vizioso di inquietudini e idee. Potremmo dargli tutto. Potremmo sistemarli nelle più moderne case spettrosonore e insegnargli le procedure ioniche, e comunque la sera si riunirebbero in cucina, giocherebbero a carte e si sbracherebbero dalle risate per il vicino che viene picchiato dalla moglie. E per loro non ci sarebbe passatempo migliore» (p. 108).

Da un punto di vista stilistico, il romanzo si avvale di una scrittura lirica che indugia spesso in dialoghi filosofeggianti e in lunghi monologhi interiori e riflessivi e di un linguaggio particolarmente evocativo che talvolta rischia di appesantire la narrazione e rallentarne il ritmo, soprattutto nella prima metà del libro, mentre la parte finale è invece più incalzante e ricca di tensione.

È difficile essere un dio nasce come una riscrittura della trilogia di Dumas: un’avventura di moschettieri con intrighi di corte e duelli all’ultimo sangue, ma con l’aggiunta di «piscio e sporcizia medievale» (p. 274), come ricorda Arkadij nella sua postfazione al romanzo. Le cose cambiarono nel dicembre 1962, quando il presidente Chruščëv visitò una mostra d’arte al Maneggio di Mosca, e rimanendo inorridito dall’«astrattismo e il formalismo nell’arte» (p. 277) ordinò una stretta sulla letteratura e sull’arte. L’intelligencija – «tutti questi orribili figli di Stalin e di Berija, con le braccia sporche fino ai gomiti del sangue di vittime innocenti, tutti questi delatori latenti e dichiarati, furbacchioni ideologici e benefattori imbecilli» (p. 277), come li apostrofa Arkadij – si riunì, si scambiò opinioni e dichiarò che l’arte vera era quella impegnata, creata in nome dell’ideologia sovietica. «In breve tempo», ricorda sempre Arkadij, «l’ondata purulenta raggiunse anche la nostra periferia, il nostro tranquillo laboratorio di fantascienza» (p. 279), e la storia «divertente, di moschettieri» che i fratelli Strugackij avevano in mente assunse tinte sempre più cupe, di denuncia al totalitarismo: «Il tempo ‘delle cose leggere’, il tempo ‘delle spade e dei cardinali’ era apparentemente finito. O forse, semplicemente, non era ancora arrivato. Il romanzo di moschettieri doveva necessariamente diventare un romanzo sul destino dell’intelligencija immersa nel crepuscolo del Medioevo» (p. 284). Una volta scritto, il romanzo trovò molti rifiuti da parte degli editori e suscitò critiche negative, ma ottenne un notevole successo di pubblico.

Arkadij e Boris Strugackij sono tra i massimi esponenti della narrativa del fantastico mondiale. Nato nel 1925, Arkadij si è dedicato al lavoro editoriale; Boris, nato nel 1933, alla ricerca astronomica. Insieme, i due grandi scrittori russi hanno raccontato scenari plausibili del futuro prossimo e lontano. Nel 1972 hanno pubblicato per la prima volta, dopo un lungo e tormentato conflitto con la censura istituzionale sovietica, il loro capolavoro, Picnic sul ciglio della strada, che ha ispirato a Tarkovskij uno dei suoi film più belli, Stalker. Anche È difficile essere un dio ha una straordinaria potenza immaginifica e ha ispirato a sua volta ben due film. Un miliardo di anni prima della fine del mondo, sempre pubblicato da Marcos y Marcos nella bella traduzione di Paolo Nori, racconta il pomeriggio di un astrofisico che in pieno agosto tenta invano di concentrarsi sulla sua ricerca, solleticato dalle più allettanti distrazioni. Arkadij è morto a Mosca nel 1991, Boris a San Pietroburgo nel 2012.

Source: inviato dall’editore. Si ringrazia l’Ufficio Stampa Marcos y Marcos.

Un saggio sull’epopea di Dune a cura di Elena Romanello

10 aprile 2021

Il film Dune di Denis Villeneuve è stato rimandato al prossimo autunno: in attesa di questo importante appuntamento per i cultori della fantascienza, NPE Edizioni propone il saggio Dune Tra le sabbie del mito di Filippo Rossi, già autore di libri su Star Wars  e sui super eroi, altre epopee del fantastico della modernità, per universi dell’immaginario che hanno sempre qualcosa da dire.
Un’ottima occasione quindi per scoprire i retroscena di una saga soprattutto e innanzitutto letteraria, capace di cambiare la fantascienza per sempre: il primo romanzo dell’epopea di Dune fu pubblicato dall’autore Frank Herbert nel 1965 e colpì subito, facendo capire le potenzialità di un genere che fino a quel momento era stato un po’ snobbato, visto come un qualcosa per eccentrici e ragazzini, troppo svincolato da un mondo intellettualmente impegnato.
La fantascienza aveva, a dire il vero, un lungo passato già alle spalle, dai tempi di Mary Shelley, Jules Verne, H. G. Wells, ma la sua lunga presenza sulle riviste pulp, poi rivalutate come fucine di sperimentazione e cambiamento, non avevano predisposto bene la critica e il pubblico di cultori della letteratura. 
Dune si presentava fin da subito come qualcosa di complesso e lungo, non come un racconto o una novella, un libro di ampio respiro, come i classici dell’Ottocento, per portare in un microcosmo a se stante, dove succedono una serie di cose, non banali, mai scontate, tra metafore della realtà e immaginazione.
Frank Herbert dimostrò che la saga di Paul “Muad’Dib” Atreides e dei suoi figli era qualcosa di davvero intrigante e interessante, grande letteratura dove si parlava di religione, filosofia, politica e altre tematiche forti, un po’ come ha fatto anni dopo George R. R. Martin con le Cronache del ghiaccio e del fuoco per il genere fantasy, una delle tante saghe che deve comunque qualcosa al mondo di Dune.
Filippo Rossi racconta come Dune è diventato un classico di quest’ultimo mezzo secolo, attraverso i libri, il film del 1984 di David Lynch, comunque iconico anche se semplificava molto e le due miniserie del 2000 e 2003, in attesa del nuovo adattamento in due film. 

Il ritorno di Akira di Otomo a cura di Elena Romanello

15 marzo 2021

AKIRACOLLECTIONDal 18 marzo Planet Manga ripropone in una nuova edizione Akira di Katsuhiro Otomo, manga fondamentale per vari motivi, oltre che storia avvincente, intrigante, in un futuro distopico per gli anni Ottanta che è il mondo di oggi nella realtà.
Nella Tokyo del 2019, Kaneda, il leader di una banda di motociclisti adolescenti, cerca di capire che fine ha fatto il suo amico Tetsuo, arrestato dall’esercito, scoprendo man mano che è parte di un progetto segreto del governo che vuole sfruttare i suoi poteri ESP, sconquassando la città e risvegliando un individuo, un eterno bambino, di nome Akira, ancora più potente.
Sulla sua strada Kaneda incontra l’attivista politica Kei, un trio di esper e il colonnello Shikishima, in una lotta contro il tempo, dove si parla di isolamento sociale, corruzione, potere, forze occulte, violenza urbana e molto altro ancora.
Akira arrivò in italiano per la prima volta nel 1990, per Rizzoli, in una edizione colorizzata e simile ai fumetti francesi, e inaugurò la nuova ondata di manga, rivolti a chi era cresciuto con Goldrake e Candy Candy, ormai grande e in cerca di un approccio diverso a questo mondo di storie incredibili e nuove.
Inoltre Akira ha aperto la strada alla conoscenza della cultura dei fumetti giapponesi anche nei Paesi anglosassoni, fino a quel momento abbastanza restii, dove sono diventati un fenomeno di costume, sdoganando termini come otaku e cosplayer.
Akira ispirò anche un film d’animazione, anche lui apripista di una nuova generazione di anime rivolti ad un pubblico adulto, usciti qui in Occidente per l’home video, mentre si parla da tempo di un adattamento in film live action, per ora solo un progetto. Ma resta anche un classico per gli amanti della fantascienza, animata e non, e una storia che ha fatto scuola.
I singoli volumi costeranno 22 euro, e presenteranno una nuova impostazione grafica e il senso di lettura originale, secondo il volere dell’autore.

Al via la collana I primi maestri del fantastico a cura di Elena Romanello

24 gennaio 2021

POSTRBA

Ultimamente, molti hanno abbandonato l’edicola come luogo dove cercare cose da leggere, si preferisce o andare on line o direttamente in libreria.
Ma c’è un’iniziativa che fa venire voglia di tornare dal giornalaio, come si faceva fino a qualche anno fa: la casa editrice RBA propone la collana I primi maestri del fantastico, una serie di volumi rilegati e con copertine con illustrazioni d’epoca, per ricordare che fantascienza, fantasy e horror non sono mode attuali, ma storie già raccontate e amate molto tempo fa.
In programma ci sono una sessantina di volumi, i primi due costano 2 euro e 99, dal 3 in poi il prezzo si assesterà su 11 euro e 99.
Il piano dell’opera, non ancora completo perché gli ultimi quindici titoli sono ancora da definire, comprende una serie di classici irrinunciabili non solo per chi ama i generi del fantastico. Si parte con La macchina del tempo di H. G. Wells, l’antesignano di tutti i viaggi in epoche diverse con i problemi che ne risultano, tra paradossi temporali e simili, da consigliare anche solo a tutti i fan di Doctor Who.
Il numero 2 è Frankenstein  di Mary Shelley, il primo romanzo di fantascienza di sempre, scritto da una donna, apologo contro la follia della scienza ma anche sul bisogno di essere amati da chi si viene messi al mondo. La terza uscita presenta la prima di varie raccolte previste di Edgar Allan Poe, con Il Gatto Nero e altri racconti del Mistero e dell’immaginazione, con una delle sue storie appunto più agghiaccianti e ben riuscita.
I volumi successivi non sono meno interessanti, con titoli quali La Guerra dei Mondi di Wells, la prima invasione aliena di sempre, l’imprescindibile storia di vampiri Dracula di Bram Stoker, l’antenato di Jurassic Park Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle, l’iconico Il fantasma dell’opera di Gaston Leroux, oltre che ovviamente varie proposte di Lovecraft, come Le Montagne della Follia e Il Richiamo di Cthulhu.
Un modo per scoprire o riscoprire libri che hanno continuato ad ispirare la letteratura, il cinema, la serie televisive, i fumetti, i videogiochi fino ad oggi.
Il sito ufficiale della collana è sotto I maestri del fantastico.

Dormire in un mare di stelle di Christopher Paolini (Rizzoli, 2020) a cura di Elena Romanello

11 dicembre 2020

5008422-9788817149167-285x424Appena adolescente, Christopher Paolini diventò famoso in tutto il mondo grazie alla saga fantasy dell’Eredità, un successo a sorpresa che rileggeva archetipi del genere e non solo, tra draghi, romanzo di formazione, lotte e molto altro ancora.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, e ora l’autore torna in libreria con una nuova serie, Dormire in un mare di stelle, in cui si confronta con un altro importante genere del fantastico, la fantascienza, recuperando un tipo di storie ultimamente purtroppo un po’ trascurate, quelle incentrate su viaggi spaziali e rapporti non sempre idilliaci con civiltà aliene.
In un futuro in là di qualche secolo, gli esseri umani hanno colonizzato buona parte del cosmo, cercando sui pianeti nuove occasioni di vita: in uno di questi mondi, ancora tutto da scoprire, c’è una missione di terrestri, alcuni nati ormai fuori dal nostro pianeta, per raccogliere dati e campioni per un futuro di abitabilità. Tra di loro c’è la scienzata Kira Navárez, prossima a prendere una nuova strada, non più di esplorazione, con accanto l’amato Alan, con cui condivide passioni e progetti.
Ma mentre sta facendo una ricognizione su quello che le è sempre sembrato un pianeta senza vita, Kira cade in un crepaccio, dove si trova in un qualcosa creato da una civiltà aliena, dove c’è uno strano pulviscolo che inizia a muoversi intorno a lei.
Kira viene tratta in salvo, ma qualcosa è entrato in lei, qualcosa che sconvolgerà la sua vita, portandola a dover fuggire dai suoi ex datori di lavoro e da alieni che vogliono conquistare il cosmo, cercando amici e alleati casuali e inquietati da quello che è cambiato dentro di lei.
Una fuga nello spazio, tra scoperte e trasformazioni, mentre incombe una guerra galattica, ma non è questo il solo problema.
I viaggi nello spazio hanno ispirato gli autori dai tempi di Jules Verne, ma ultimamente, complice il loro costo nella vita reale e i problemi soffocanti della Terra, erano stati un po’ mollati: è quindi bello ritrovarli, con tutti i loro pericoli e il loro rapporto con l’ignoto, con al centro un’eroina in cui molti appassionati vedranno un eco di Ellen Ripley, l’indimenticabile protagonista della serie Alien.
Tra le righe di questa odissea nello spazio ci sono echi anche di altre storie, non ultime serie televisive di culto come Star Trek e soprattutto Spazio: 1999, per una vicenda galattica e profondamente umana, dove si parla di ignoto e identità, del rapporto con gli altri, di catastrofi ma anche di speranza.
Dormire in un mare di stelle è un libro per chi ha nostalgia, ma anche un po’ paura, di viaggi nello spazio, in attesa che magari si cominci a sognare nuove frontiere oltre divergenze, diversità indotte e altre paranoie.

Christopher Paolini è nato nel 1983 nella California del Sud e vive nel Montana. Ha scritto Eragon, primo volume del Ciclo dell’Eredità, a soli quindici anni. La saga prosegue con Eldest e Brisingr, e si conclude con Inheritance, tutti disponibili in BUR. Nel 2019 Rizzoli ha pubblicato la raccolta di storie inedite La forchetta, la strega e il drago.

Provenienza: libro del recensore.

Binti di Nnedi Okorafor (Oscar Fantastica, 2019) a cura di Elena Romanello

24 ottobre 2020

Il pubblico italiano ha già conosciuto l’interessante voce dell’autrice di fantascienza Nnedi Okorafor, nigeriana trapiantata negli Stati Uniti, capace di dar voce a personaggi di altre culture.
Il volume Binti raccoglie i romanzi brevi Binti, Ritorno a casa, La maschera della notte e il racconto Il fuoco sacro e presenta una nuova eroina, che ha conquistato tra gli altri l’autore Neil Gaiman.
Una serie di storie con un taglio femminista e anti razzista, ma non banalmente e retoricamente politicamente corrette, come va di moda oggi: al centro di tutto, in un futuro imprecisato, c’è Binti Ekeopara Zuzu Dambu Kaipka di Namib, una ragazza di etnia Himba, bravissima in matematica e nella tecnica dell’astrolabio, e per questo motivo selezionata per frequentare la prestigiosa Oomza University, un’università in un altro pianeta.
La sua famiglia, legata ancora ad antichi schemi anche in questo futuro, è contraria, ma Binti si ribella, fugge dal suo villaggio pieno di tradizioni e si imbarca sull’astronave Terzo Pesce per arrivare ad Oomza. Tutto sembra perfetto, ci sono vari suoi coetanei e coetanee con cui stringe amicizia, ma di colpo arriva un attacco da parte delle creature aliene Meduse, feroci e mostruose, che fanno una strage, lasciando viva solo lei.
Binti si trova a doversela cavare da sola, in un’astronave piena di esseri assassini, e mancano cinque giorni all’arrivo ad Oomza. Ma pian piano scopre la storia delle Meduse e il perché della loro guerra contro i Khoush, con motivazioni molto più profonde di quelle che potevano sembrare.
Dovrà sopravvivere alla trasferta, proteggere gli abitanti di Oomza e provare a fare di porre fine ad un conflitto sanguinoso.
Una storia che prende stilemi della fantascienza dei decenni passati (come non pensare per esempio ad Alien?), arricchendoli di originalità e modernità, per raccontare una storia di formazione, una guerra intergalattica, un viaggio nello spazio e portando nuova linfa ad un genere che periodicamente rinasce dalle sue ceneri, grazie anche all’apporto di nuove culture e di voci femminili.
La prefazione del libro è di N. K. Jemisin, autrice afroamericana di fantascienza, anche lei impegnata a rinnovare un genere che non smette mai, in ogni generazione, di proporre nuove storie e di usare il filtro dei mondi futuri, delle guerre galattiche e dei viaggi nel cosmo, per far riflettere sull’oggi.
La saga di Binti è interessante per gli amanti di fantascienza di ogni età, per chi conosce i classici ma anche per chi inizia adesso, magari con questo libro, a confrontarsi con viaggi in futuri e dimensioni altre, in cui trovare comunque una parte di noi stessi e del nostro mondo.

Nnedi Okorafor (Cincinnati 1974), di origini nigeriane, insegna scrittura creativa all’università di Buffalo ed è autrice di numerosi libri per adulti e ragazzi. Oltre a Binti, ricordiamo Chi teme la morte (miglior romanzo al World Fantasy Award 2011 e attualmente in corso di adattamento come serie televisiva HBO), Laguna e Akata Witch.

Provenienza: libro del recensore.

Verso la Terra di Keiko Takemiya (J-Pop, 2019) a cura di Elena Romanello

23 ottobre 2020

A distanza di anni, stanno finalmente arrivando tradotti in italiano vari shojo manga classici interessanti, molto lontani dall’idea che si ha di questo filone come storielle sentimentali di ragazzine in mondi lontani nel tempo o sui banchi di scuola.
Uno di questi è Verso la Terra di Keiko Takemiya, disponibile in un box per J-Pop o in volumi singoli, una curiosa storia di fantascienza dall’autrice del manga di culto e capace di stravolgere un mondo e un modo di raccontare, Il poema del vento e degli alberi.
Tradizionalmente, si pensa alle storie di fantascienza in ambito manga come rivolto ai ragazzi, nel filone dei cosiddetti shonen, con dentro nomi illustri come Go Nagai, Leiji Matsumoto e Katsuhiro Otomo: in realtà, nessuno vieta ad un’autrice di scrivere una storia di questo genere, con risultati molto interessanti.
In questa serie di tre volumi, Keiko Takemiya porta i suoi lettori in un futuro imprecisato e distopico, in cui il nostro pianeta è praticamente distrutto da inquinamento e sfruttamento, una tematica che torna in manga e anime. Gli esseri umani si sono autoesiliati nello spazio e si sono assoggettati al Superior Dominant, una rete di computer che deve rimuovere dalle menti umane ricordi e legami affettivi, in modo da rendere tutti obbedienti ed innocui per l’ecosistema terrestre. Solo i migliori potranno tornare sulla Terra, mentre in questo sistema folle sono cancellati senza pietà gli esseri che hanno spiccate capacità telepatiche, i MU.
Il protagonista, Jomy Marcus Shin, 14 anni appena compiuti, scopre di essere un MU e diventa l’erede di Soldier Blue, il leader dei telepatici che vuole tornare sulla Terra i suoi: il suo antagonista è Keith Anyan, studente modello futuro membro dell’èlite, in realtà piena di dubbi verso un sistema che non convince. Intorno a loro ci sono tanti altri personaggi, in una lotta per la sopravvivenza tra basi spaziali, colonie abbandonate e astronavi, in un affresco che mescola fantascienza sociologica, distopia e space opera.
Keiko Takemiya ha preso ispirazione da varie storie e autori, dall’universo di Star Trek Slan di A.E. Van Vogt, dal Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov alla saga di Dune di Frank Herbert, con temi come la Terra in pericolo, il controllo delle macchine, la diversità che spaventa e che è vista come un alieno da distruggere.
A quarant’anni di distanza, in un momento che sembra esso stesso una distopia, leggere finalmente Verso la Terra è senz’altro molto interessante, tenendo conto appunto che riprende idee da altri ma anticipa temi che sono arrivati fino ad oggi e che mai come adesso sono attuali e su cui riflettere.
L’autrice ha raccontato riguardo a questa opera di aver voluto fare qualcosa di diverso, creare un’opera bizzarra che non è né uno shojo né uno shonen manga, in cui porta avanti la sua riflessione sulla diversità, già presente ne Il poema del vento e degli alberi, in un contesto diverso ma sempre valida.
Un manga da leggere per tutti gli appassionati e appassionate di fantascienza, non solo guardando a quella giapponese, ma anche una storia per confrontarsi sull’alterità, sul presente e sul futuro, su temi mai così attuali come adesso.

Keiko Takemiya  è stata una delle autrici di fumetti che nei primi anni Settanta fecero da pioniere del fumetto per ragazze che avevano come soggetto l’amore omosessuale maschile, a partire dalla sua prima opera, In the Sunroom, uscita nel 1970.
Fra i suoi lavori più noti si possono citare i manga Terra e… e Il poema del vento e degli alberi, pubblicati a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Nel 1979 vinse il Shogakukan Manga Award sia nella categoria shōjo manga che nella categoria shōnen manga rispettivamente per Kaze to Ki no Uta e Verso la Terra  ed il prestigioso Seiun Award nel 1978 sempre per Verso la Terra.
Dal 2000, Keiko Takemiya insegna presso la facoltà di manga della Kyoto Seika University ed è l’attuale rettore. Nel 2009, è stata membro della commissione selettiva per il Premio culturale Osamu Tezuka.

Provenienza: libro del recensore.

La notte dei tempi di René Barjavel (L’Orma editore, 2020) a cura di Elena Romanello

24 settembre 2020

i__id1381_mw600__1xL’Orma editore continua a proporre i romanzi di genere fantastico di René Barjavel, una delle voci più interessanti e intriganti al di fuori del mondo anglosassone, presentando questa volta La notte dei tempi, un libro assente da troppo tempo dalle librerie italiane dopo un’edizione nella Nord Oro di diversi anni fa.
Questa volta l’autore porta in Antartide, durante i sei mesi di estate con sole permanente, dove una spedizione francese, impegnata in controlli di routine, scopre a 900 metri di profondità i resti di una civiltà primordiale, che possedeva conoscenze scientifiche futuristiche poi andate perdute in seguito ma che possono essere molto utili.
Da quei resti emergono i corpi ibernati di un uomo e di una donna, perfetti nel loro sonno, che presto si spezza con conseguenze incredibili e la scoperta di un passato perduto ricco di eventi e drammi. I governi, le Nazioni unite e i semplici cittadini capiscono che è in gioco il futuro dell’umanità ma anche il suo passato, soprattutto quando la donna venuta dal passato inizia a raccontare le sue verità, come si è addormentata e cosa ha trovato in quel mondo di millenni dopo.
Una storia che riprende l’archetipo delle civiltà perdute e del passato ipertecnologico poi perduto, con tematiche ecologiste e femministe, scritta dall’autore poco prima del Maggio 1968 di cui prefigura gli eventi, tra azzardi del progresso e miti sull’inizio delle civiltà.
La notte dei tempi è un romanzo per amanti della fantascienza, ma anche per chi cerca nella finzione una chiave di interpretazione della realtà, tra denuncia e riflessione. Con questo libro René Barjavel entrò di prepotenza nell’olimpo dei maestri della fantascienza mondiale, raccontando futuri possibili del nostro pianeta e, come in questo caso, passati alternativi, mitici e inquietanti.

René Barjavel (1911-1985) è considerato il padre della fantascienza francese moderna, «lo Jules Verne del XX secolo». Scrittore, giornalista e sceneggiatore di numerosi film, dalla saga di Don Camillo agli adattamenti francesi di capolavori come Il Gattopardo e I vitelloni, con i suoi romanzi sul viaggio nel tempo, la fine del mondo e i pericoli della tecnologia ha conquistato milioni di lettori diventando oggetto di un culto intergenerazionale. Allergico alle ghettizzazioni letterarie, sosteneva che la fantascienza fosse «una nuova letteratura che comprende tutti i generi». La notte dei tempi (1968), considerato il suo capolavoro, è entrato nell’immaginario letterario e pop, dall’arte contemporanea fino ai fumetti e ai tatuaggi. Compare regolarmente ai primi posti delle classifiche dei migliori libri di fantascienza di sempre. Di René Barjavel L’orma editore ha già pubblicato la riscrittura del ciclo arturiano Il mago M. e il classico del genere catastrofico Sfacelo.

Provenienza: omaggio dell’Ufficio stampa che ringraziamo.

Il pianeta di ghiaccio di Andrea Scavongelli (Fanucci, 2019) a cura di Elena Romanello

25 giugno 2019

unnamedLa fantascienza continua ad essere un genere amato da un nutrito gruppo di appassionati, che è cresciuto grazie a nuove storie, come quelle raccontate in alcune serie TV di grande successo, ma negli ultimi anni ha preferito concentrarsi su scenari distopici, grazie anche all’attuale momento storico politico non proprio facile, trascurando un filone amatissimo, quello della space opera, le avventure nello spazio, che per anni è stato pane quotidiano per chi sognava un oltre le prime spedizioni nel cosmo.
Per questo motivo, se si sono letti ed amati Asimov e Hamilton e se si sono seguite con passione le avventure televisive di Star TrekSpazio: 1999  e degli anime di Leiji Matsumoto, Capitan Harlock in testa, non si può che essere felici per l’arrivo nel catalogo Fanucci tra l’altro dell’opera prima di un autore italiano, Andrea Scavongelli: Il pianeta di ghiaccio.
Primo capitolo del Ciclo di Rizor, e infatti la storia non si esaurisce qui, il libro ci porta sullo sfondo di un universo ormai dominato dagli esseri umani, che hanno colonizzato pianeti e stazioni spaziali, non sempre in modo pacifico e non sempre andando d’accordo tra di loro. Gli uomini di potere vogliono conquistare il dominio assoluto, ma non hanno calcolato che ci potrebbero essere delle pedine ribelli, stanche di un dominio dispotico.
Rickard Hill è tormentato dal suo passato e si trova disperso nel deserto di ghiaccio del pianeta Rizor 4, dove incontra un popolo semisconosciuto, che gli fa capire il suo valore e come uscire dai sensi di colpa che lo attanagliano. Romeo Davis è un giovane e idealista soldato, membro del corpo scelto dei Volmarix, e si trova costretto a fare i conti con la violenza del mondo a cui appartiene e a cercare un’altra strada per salvare chi ama.
Entrambi, e non solo loro, non hanno fatto i conti con un cinico agente segreto che è disposto a qualsiasi cosa per risolvere il conflitto tra esseri umani e una pericolosa razza aliena,  a vantaggio degli umani certo, ma sacrificandone una parte. Rizor 4 sarà il teatro dello scontro definitivo ma non risolutivo di una guerra che si è trascinata per troppo tempo.
Ci sono echi di Asimov con il ciclo della Fondazione e di Herbert con la saga di Dune in una storia in cui la fantascienza è riflessione sui troppi conflitti contemporanei, che rappresenta comunque un futuro non certo utopico ma dove gli spazi dell’universo e i pianeti altri diventano di nuovo protagonisti. Un romanzo di fantascienza che riflette e appassiona, che non rinuncia a raccontare una versione metaforica della realtà ma nello stesso tempo intrattiene, riaprendo lo sguardo verso nuovi mondi da scoprire, per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima.

Andrea Scavongelli  è nato a Ortona (Chieti) nel 1985, è laureato in Tecniche sanitarie di radiologia medica e lavora presso la UO di Radioterapia dell’ospedale di Chieti. È un grande appassionato di basket, di musica metal, rock, country e jazz, ma soprattutto è un assiduo lettore di fantasy e fantascienza. Tra i suoi autori preferiti, David Gemmell, Frank Herbert, Dan Simmons e Gene Wolfe. Con Il pianeta di ghiaccio fa il suo esordio nel catalogo Fanucci Editore.

Provenienza: omaggio dell’Ufficio stampa che ringraziamo.