Posts Tagged ‘Einaudi’

:: Nei luoghi più oscuri di Carlo Lucarelli (Einaudi 2025) a cura di Valerio Calzolaio

17 novembre 2025

Bologna e non solo. 1980, 1939 e non solo. Una giovanissima giudice “la Bambina”, un killer apparentemente insospettabile, Grazia Negro incinta e incerta, una poliziotta che non si fida della collega, un maggiore impazzito in piena guerra coloniale, un commissario di bordo, sospetti e ritorsioni, omicidi. Spiega direttamente il grande Carlo Lucarelli (Parma, 1960) come ci si gira “Nei luoghi più oscuri”: “i racconti vanno via veloci, e non soltanto perché sono più rapidi dei romanzi, ma perché si disperdono più facilmente, antologie, riviste, collaborazioni, prendono direzioni diverse e a volte si perdono. Per questo ogni tanto è bello raccoglierli, inseguirli e ritrovarli, quelli nati da una intuizione improvvisa o da un’occasione, che è come un dito che indica una direzione in cui non avevi ancora pensato di andare. È una mandria di cavalli diversi che una volta riuniti raccontano dove sono stati e tutte le volte è di nuovo una scoperta”. Ovvero un’avvincente affilata tesa sorpresa!

:: A esequie avvenute di Massimo Carlotto (Einaudi 2025) a cura di Patrizia Debicke

20 ottobre 2025

Massimo Carlotto torna con A esequie avvenute e riporta in scena Marco Buratti, l’Alligatore, uno dei personaggi più amati e inquieti del noir italiano. Un ritorno atteso e che non delude. Perché questo suo nuovo romanzo è un viaggio nel cuore nero del Nord-Est, ma anche un’amara riflessione sul tempo che passa, sulla colpa e sulla possibilità, sempre più remota, di restare fedeli a sé stessi in un mondo dove la giustizia pare un ricordo sbiadito.
Fin dalle prime pagine ci si ritroveremo immersi in un gelido inverno, tra le paludi venete con la  nebbia che sembra voler inghiottire tutto. Una donna è stata rapita, ma la speranza di ritrovarla viva si spegne di ora in ora. Marco Buratti, investigatore senza licenza e con più ferite che certezze, accetterà l’incarico di consegnare il riscatto. L’ha chiesto Loris Pozza, imprenditore vicentino uso a “imbrogli” ed espedienti: false fatture, capitali riciclati, soldi che transitano per banche clandestine cinesi. Ma qualcosa va storto e la donna, una giovane moldava di nome Aliona, non verrà liberata nonostante il pagamento di un milione di euro.
Da qui partirà l’indagine, non autorizzata e piena di ombre, che diventerà la spina dorsale della trama. Buratti, e i  suoi inseparabili amici: Max la Memoria, mente lucida e ironica, e Beniamino Rossini, vecchio bandito dal cuore d’oro, dovranno muoversi in un territorio ormai irriconoscibile. Il Nord-Est descritto da Carlotto non è più quello degli artigiani divenuti imprenditori, ma una terra dove le nuove mafie: cinesi, ucraine, nigeriane, si sono radicate con disinvoltura, tutte pronte a spartirsi affari e potere.
La doppia trama si intreccia come due linee di basso in un brano blues: da una parte l’indagine sull’omicidio, dall’altra la personale battaglia di Rossini contro la tratta delle donne. Il vecchio contrabbandiere, stanco ma fedele a un codice morale tutto suo, libera una giovane ucraina schiava dei clan del suo Paese, scatenando una vendetta che travolgerà anche l’Alligatore. E mentre la violenza cresce, Buratti sarà costretto a spingersi dove non era mai arrivato, rischiando tutto pur di restituire giustizia a chi non può più parlare.
Carlotto alterna i toni della cronaca nera a quelli del blues più malinconico, componendo una sinfonia di dolore e rabbia. Il suo linguaggio è secco, tagliente, intriso di sarcasmo e pietà. Le sue frasi brevi con i dialoghi asciutti e le descrizioni essenziali restituiscono l’autenticità di un mondo dove ogni gesto pesa e ogni parola nasconde una verità. Non c’è spazio per l’eroismo né per la redenzione. L’Alligatore è un uomo che sopravvive, ma non vince. Porta addosso il peso di chi ha visto troppo, eppure continua a lottare, spinto da un istinto di giustizia che nessuna sconfitta è riuscita a spegnere.
Attorno a lui si muove una galleria di figure secondarie perfettamente delineate: malviventi, donne ferite, poliziotti disposti a chiudere un occhio, politici che fanno finta di non sapere. Tutti partecipano, consapevolmente o meno, alla grande recita del potere e della corruzione. In questo contesto il Nord-Est rappresenta più di un’ambientazione: è un personaggio vivo, spietato, dove il fango delle paludi si mischia al lusso delle ville di nuova costruzione, dove la nebbia nasconde affari, cadaveri e ipocrisie.
Il tempo, nel romanzo, è un protagonista silenzioso. Buratti è invecchiato, Rossini ha smesso di sparare ma non di combattere, Max osserva il mondo con l’amara ironia di chi sa che la memoria serve solo se non la si tradisce. Vivono insieme in una cascina, tentando una tregua con la vita, ma la quiete durerà poco. L’Alligatore non può sottrarsi al richiamo dell’indagine, alla necessità di ristabilire un equilibrio che la società ha da tempo smarrito. Il blues ancora una volta è la voce interiore del protagonista, una vera filosofia. “Quando hai il cuore fuorilegge non puoi pretendere che batta a un altro ritmo”, scrive Carlotto,  frase che è la sintesi perfetta del libro. Il blues accompagna ogni caduta, ogni bicchiere di “calva”, ogni colpo inferto o subito. È la musica di chi non si arrende, anche quando sa di aver perso.
La scrittura di Carlotto è matura, più introspettiva. Meno azione e più riflessione, ma il ritmo resta serrato. Il noir, per lui, non è evasione ma indagine morale: serve a mostrare ciò che preferiremmo ignorare. I soldi sporchi, la connivenza, la rassegnazione. Tutto ciò che rende la nostra società terreno fertile per il male.
Con A esequie avvenute, Massimo Carlotto non concede tregua. È un romanzo sulla perdita, sul rimpianto, ma anche sulla dignità di chi continua a cercare un senso. L’Alligatore, invecchiato ma indomito, resta una delle voci più autentiche della narrativa italiana contemporanea. La sua stanchezza non è resa, ma consapevolezza. E nella malinconia che trasuda da queste pagine si percepisce la maturità di un autore che, dopo tanti anni, non ha smesso di interrogare la coscienza del Paese.

Massimo Carlotto è nato a Padova nel 1956. Scoperto dalla scrittrice e critica Grazia Cherchi, ha esordito nel 1995 con il romanzo Il fuggiasco, pubblicato dalle Edizioni E/O e vincitore del Premio del Giovedì 1996. Per Einaudi Stile Libero ha pubblicato Mi fido di te, scritto assieme a Francesco Abate, Respiro corto, Cocaina (con Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo) e, con Marco Videtta, i quattro romanzi del ciclo Le Vendicatrici (Ksenia, Eva, Sara e Luz). Nel 2024 esce Trudy. I suoi libri sono tradotti in molte lingue e ha vinto numerosi premi sia in Italia che all’estero. Massimo Carlotto è anche autore teatrale, sceneggiatore e collabora con quotidiani, riviste e musicisti.

:: Delitto di benvenuto. Un’indagine di Scipione Macchiavelli di Cristina Cassar Scalia (Einaudi 2025) a cura di Valerio Calzolaio

25 Maggio 2025

Noto, 21 dicembre 1964. Sta arrivando al commissariato di Pubblica sicurezza di Noto, in treno da Roma, un nuovo commissario trentenne, Scipione Macchiavelli, elegante simpatico avvenente, trasferito in fretta e furia da Via Veneto per una storia delicata nella quale si era coinvolto, dopo quattro anni di sonnacchiosa direzione romana. Mentre il 28enne maresciallo vicedirigente Calogero Catalano, di statura media e smilzo, biondo di capelli e baffetti, è in procinto d’andare a prenderlo alla stazione di Siracusa, già stanco perché dorme poco con i due figli neonati che ancora scambiano la notte col giorno, improvvisamente si presenta la bellissima signora Maria Laura Vizzini, bruna dagli occhi verdi, accompagnata dalla zia Filomena. Il marito 42enne Gerardo Brancaforte, direttore alla potente locale Banca Trinacria, è scomparso, da due notti non è rincasato; la moglie scoppia a piangere, deve pensare a cinque picciriddi. Catalano le chiede di raccontare bene tutti i particolari all’alto brigadiere Mantuso e si avvia con l’auto di servizio, una Millecento. C’è folla all’arrivo dei treni, si tratta del periodo di ferie per le feste; si presenta al binario anche il giudice Giuseppe Santamaria, alto piacente elegante allegro, siciliano nell’animo con ascendenti romani da parte materna, trasferito a Siracusa da pochi mesi, carissimo amico di Macchiavelli; lo accolgono con calore, nonostante il freddo esterno. Il nuovo commissario deve presentarsi dal questore e sistemarsi fra i netini, intanto gli hanno preso una stanza in una casa a pensione, gestita da una coppia, i Verrazzo, Corrado e Corradina. Così capisce pure chi è il patrono della cittadina, una meraviglia di salite e chiese, palazzi nobili e sedi ufficiali (dal vescovado alla pretura e alle carceri). La nostalgia scompare presto, si butta nell’indagine; il giorno di Natale vien fuori il cadavere dell’uomo, maschio arrogante e furbo strozzino; cominciano presto a emergere indizi e possibili colpevoli, districarsi però non è facile.

La brava medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) continua a scrivere bei gialli, la notevole serie della vicequestora Vanina Guarrasi sta andando a gonfie vele, finora nove romanzi ambientati a Catania fra il 2015 e il 2017 (pubblicati fra il 2018 e il 2024). Avvia ora una nuova serie nella città natia, con un protagonista romano curioso ma inesperto di Sicilia e di delitti. Ottimo inizio, scrittura acuta matura raffinata. La narrazione come di consueto è in terza al passato, fissa (quasi) su Scipione, immediatamente alle prese con un inconsueto benvenuto (da cui il titolo). Pare che la provincia di Siracusa venga chiamata “babba”, ingenua, priva di malizia e forse di organizzazioni mafiose. Tramite il libro contabile di Brancaforte possono risalire a tanti insospettabili, malandrini e poveri cristi, indotti a indebitarsi anche per piccole necessità finanziarie. L’attenzione nazionale è rivolta alle elezioni presidenziali (Saragat viene eletto in corso d’opera, il 28 dicembre al ventunesimo scrutinio), quella locale inevitabilmente si concentra sull’omicidio. Macchiavelli fu impenitente (e penitente) donnaiolo nella capitale, madre fratelli sorelle lo chiamano spesso, l’amico avvocato Primo Valentini si offre di portargli l’auto, lui molto viene attratto dalla locale farmacista: Giulia Marineo, alta e castana, occhi chiari e allegri, cordiale sorriso misurato, risulta un capolavoro di donna nemmeno trentenne. Cominciano a darsi pure del tu, ma l’amico Beppe lo avvisa della fama di lei, “inconquistabile”. Cominciamo così ad affezionarci un po’ a tutti i personaggi, torneranno. Varie gazzose spesso di fianco agli alcolici, vino o vermouth, marsala o Punt e Mes. Fumando insieme e ascoltando Roberta, Scipione segnala a Giulia che ricorda benissimo quando Peppino di Capri e i suoi Rockers iniziarono la loro carriera nei night di via Veneto, non è certo ci faccia bella figura.

:: Dodici cavalli di Anne Holt (Einaudi 2024) a cura di Valerio Calzolaio

25 settembre 2024

Oslo. Febbraio e marzo 2022. Sabato 12 marzo la dolce Nefis se ne va da casa con la figlia diciottenne Ida, sbattendo la porta, non ne può più della moglie Hanne. Tutto era cominciato un paio di settimane prima, quando avevano a cena due cari amici: il timido ispettore Henrik Holme e la giovane redattrice Ebba Braut. Lui, 35enne laborioso competente meticoloso, era stato incredibilmente sospeso per l’accusa di un presunto casuale contatto sessuale e, senza incarico, si stava interessando al caso della 23enne Vilde, suicidatasi improvvisamente (della quale si era invaghito senza dirlo a nessuno, come al solito). Ebba, bionda snella carina, aveva appena saputo di essere incinta pur essendo andata a letto l’ultima volta con un uomo ben due anni prima e si sta comunque occupando del manoscritto consegnatole a mano da un poeta eremita. Nefis aveva cucinato benissimo ma la moglie si era mostrata inopportuna con gli ospiti, preoccupati e desiderosi di dire, alla fine imbronciati. Nei giorni successivi Henrik aveva scoperto che pure Vilde era incinta all’insaputa di tutti, senza aver avuto rapporti sessuali, ancora vergine. Provando a indagare, aveva chiamato insistentemente Hanne senza risposta, poi è stato ucciso. Da quasi diciannove anni la 62enne Hanne Hammo Wilhelmsen è su una sedia a rotelle, tappata in casa, sempre più ombrosa e insopportabile. Prima che un proiettile le tranciasse il midollo spinale, era stata brava poliziotta per oltre un ventennio: suo malgrado si trova a indagare, si fa aiutare anche da Emma, Ida e dalla recluta Marius; non si accanisce solo fa per affrontare in qualche modo il senso di colpa e la sofferta attesa che Nefis possa ricomparire prima o poi; è quello il suo mestiere e non smette mai di studiare, legge compara riflette. Capisce che c’è un gruppo che mette incinta donne alla loro insaputa: come accidenti fanno e quanto sono pericolosi?

La grande scrittrice norvegese Anne Holt (1958), laureata in legge, giornalista dal 1984, avvocato dal 1994, ministro nazionale della giustizia nel biennio 1996-97, ha pubblicato ora il dodicesimo bel romanzo della serie iniziata trenta anni prima, nel 1993. Nel frattempo ha scritto pure tanto altro, di genere e non solo, seriale e non solo, anche diverso dalla fiction. Considera il movente il buco della serratura dell’atto criminale, l’indagine serve a capire le connessioni, ben diverse dalle casualità. L’amata protagonista ha maturato quasi il peggior carattere di eroe seriale che si ricordi. Innamorate al primo sguardo (si erano incontrate in una piazza a Verona), sta insieme con Nefis dal 1999, ma questa volta la moglie è proprio stufa, nel prologo. La prima parte racconta le due settimane precedenti e arriva al ritrovamento del cadavere dell’amico ispettore, che per un decennio era stato il tramite per tanti casi, lui sempre gentile e premuroso, definibile quasi come incel (bloccato nei rapporti con le donne, “vergine”), pur mai violento o con fantasie violente (come invece il gruppo su cui si sviluppano le indagini). La lunga seconda e ultima parte è appunto “la caccia” e il titolo viene evocato attraverso poesie e tatuaggi con riferimento a “dodici cavalli”. La tenace Hanne si sforza di dare il massimo, abbandonata e abbastanza isolata, trovando un discreto rapporto con il 58enne capitano capo Odin Gammelgård. Emma ha due “giallisti” nella scuderia (così giustamente recita la traduzione italiana). L’appena maggiorenne Ida spiega che gli uomini “pensano che vogliamo solo i maschi belli e attraenti quando in realtà sarebbe già d’aiuto se si … facessero la doccia. E fossero gentili. Interessanti … Mostrassero affetto e senso dell’umorismo …”. Hanne preferisce il rosso e offre Barbera all’ospite. Ida sceglie Let It Be in chiesa, era stato Henrik a insegnarle ad amare i Beatles, e Hanne si commuove.

Anne Holt (1958), avvocato, giornalista e dal 1996 al 1997 ministro della Giustizia norvegese, è una delle piú importanti scrittrici di gialli scandinavi. Le sue due serie, quella incentrata sui detective Johanne Vik e Yngvar Stubø, nonché quella con protagonista l’ispettore di polizia Hanne Wilhelmsen, hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo. Della prima serie Einaudi Stile Libero ha già pubblicato Quello che ti meriti, Non deve accadere, La porta chiusa, La paura e Il presagio; della seconda, La dea cieca , vincitore del Premio Riverton per il miglior giallo norvegese dell’anno, La vendetta, L’unico figlio, Nella tana dei lupi, Il ricatto, La ricetta dell’assassino, Quale verità, Quota 1222, La minaccia, La condanna, Il manoscritto e Dodici cavalli. Con La pista,La tormenta e Lo sparo ha preso il via una nuova avvincente serie gialla, con protagonista l’avvocata Selma Falck.

:: Sulla pietra di Fred Vargas (Einaudi 2024) a cura di Valerio Calzolaio

5 settembre 2024

Parigi e Bretagna. Primavera 2023. Il basso magrissimo magnetico commissario Jean-Baptiste Adamsberg, da tempo operativo nel tredicesimo arrondissement, spostandosi a piedi da casa alla sua squadra dell’Anticrimine, salva un riccio investito da un’auto pirata e coinvolge un veterinario per farlo tornare nel boschetto. Sul lavoro è ora assorbito da vicende bretoni. Appena arrivato in ufficio si fa portare un giornale dell’ovest con la notizia di un omicidio a Louviec. Vi aveva cenato un mese prima (era andato con lo zaino per partecipare alla riunione conclusiva della spossante caccia che aveva condotto con successo contro un vecchio maniaco, grasso e calvo, paterno e bonaccione, capace di violentare e massacrare in modo atroce cinque sedicenni) e aveva conosciuto la vittima, il grosso guardiacaccia locale che stava chiacchierando del fantasma del castello di Combourg, appena ricomparso dopo un’assenza di quattordici anni. In quella zona aveva trascorso la giovinezza François-René de Chateaubriand e oggi vi gira spesso pure un 53enne sosia, forse discendente dello scrittore visconte. Mentre risolve distrattamente altri delicati casi parigini in contatto con l’amico, collega e vice Danglard (quasi il suo opposto), chiede informazioni al commissario locale e poi, quando avviene il secondo omicidio otto giorni dopo, si trasferisce per indagare a suo modo. La scia di morti sarà lunga, se ne interessa in governo, arrivano rinforzi, finché Adamsberg non si mette comodo su una pietra a pensare lungamente (protetto dalla scorta), quei dolmen, quei menhir là.

Da oltre un trentennio Fred Vargas delizia molti lettori e lettrici: ecco l’ultima godibile opera dell’archeozoologa doppia e multipla, fiabesca e illuminosa Frédérique Audouin-Rouzeau (Parigi, 1957), dotatasi di uno pseudonimo (in comproprietà con la gemella pittrice) per romanzi polar, colti e ironici. Ha la fissa del protagonista, delucidato in terza, maschio ormai senza più libido, in connessione con donne mai seduttive, giunto alla decima avventura della serie. Adamsberg è nebbioso lento trasandato iponervoso ondeggiante, ostinato prolisso visionario; già tiratore scelto, sempre appuntatore assorto e lettore camminante; i pensieri si formano prima ancora che li pensi, non resta mai arrabbiato a lungo, prende sonno all’istante; ha andatura beccheggiante e vagabonda e mangia con indifferenza; noncurante cafone montanaro originario del pirenaico Béarn (padre calzolaio); adulto (e bambino) ficcanaso refrattario alle regole; zigomi prominenti, grande naso aquilino, guance incavate, mento debole, capelli bruni spettinati, algoso sguardo svagato, irregolare accattivante sorriso, carnagione olivastra, torace sodo e muscoli nervosi, voce flautata da tonalità basse e dolci; logica disordinata alla ricerca di pensieri accidentali, fumatore di ritorno, straordinario disegnatore di profili sul taccuino multiuso, privo di amor proprio, spesso di nero vestito, al polso sinistro due orologi (fermi). Qui siamo ancora nell’amata Bretagna! Il titolo riecheggia anche fontane e panchine, in copertina la pietra giusta. A Parigi la squadra è composta da 27 agenti dell’Anticrimine nel XIII°, ognuno descritto con fantastica concreta creatività, fra scartoffie e distrazioni, gerarchie e fobie (tipo 87°); qui ne potrà portare solo cinque quando gli omicidi iniziano a divenire seriali. Ancora una volta si parla di cose orrende come in una fiaba, orripilanti e leggiadre al contempo. Chateaubriand si era occupato della storia dello Zoppo, filo narrativo. Sidro e idromele, oltre al resto. Il generoso acuto oste Johan ha una potente voce di baritono e canticchia spesso arie del Seicento e del Settecento.

:: Il castagno dei cento cavalli di Cristina Cassar Scalia (Einaudi 2024) a cura di Valerio Calzolaio

9 luglio 2024

Catania (con indispensabili puntate nell’area metropolitana del capoluogo regionale). Giugno 2017. Quella festa repubblicana del 2 giugno è giorno lavorativo per l’agente del Corpo forestale Sandra Bellini e l’ispettore naturalista Luigi Spechis, da ore fanno su e giù per il versante orientale dell’Etna appresso a varie emergenze, ora un incendio (ben affrontato dalla specifica squadra) che lambisce il territorio di Sant’Alfio, proprio vicino al maestoso castagno dei cento cavalli, verso il quale scendono per una ricognizione, casualmente trovando un macabro cadavere. Si tratta di una donna nuda e attempata, le mani amputate appoggiate sul ventre, a sua volta squarciato in basso da un lungo taglio trasversale che corre da fianco a fianco; i piedi, anche quelli recisi, conficcati sul terreno; il resto del corpo ricoperto di tagli, più o meno grandi, più o meno profondi. Ricostruiscono che prima è stata strangolata, probabilmente altrove; poi portata lì e ridotta così. Faticosamente scoprono che si tratta della 65enne Anna Collesano residente ora a Piedimonte Etneo, nata però a Castelbuono, non lontano da Palermo, vissuta là come infermiera moglie del chirurgo e poi trasferitasi cambiando vita, nuovo nome e nuova vita, un labirinto di domande in sospeso. Aveva un vicino saltuario compagno ma stenta a emergere un qualche movente dell’omicidio e della scena successiva al crimine. La 40enne palermitana Giovanna Vanina Guarrasi, poliziotta vicequestore aggiunto, quel giorno stava riaccompagnando a Palermo la sorella 23enne Costanza Cocò Calderaro (differente padre e stessa madre, lei risposatasi dopo essere restata tragicamente vedova), Castelbuono era del resto il paese dei propri nonni paterni. Deve prendere di petto il nuovo efferato delitto, casi lasciati in sospeso negli anni Settanta e Novanta, violenze e vendette, scavando nel passato con tutta l’affiatata squadra.

La brava medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) continua a scrivere bei gialli, la notevole serie di Vanina va a gonfie vele. Nel 2023 sono usciti due romanzi, un prequel (ambientato nel 2015) e l’ottavo (aprile), questo è il nono di inizio estate, sequel delle precedenti avventure, che si svolgono tutte a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, fra il 2016 e il 2017 (molto prima della pandemia). Il luogo cruciale scelto questa volta è un sito Unesco dal 2008, con tre tronchi e l’immenso cappello fitto di rami (verdi a giugno) e affascinanti leggende connesse, “monumento messaggero di pace nel mondo”. L’intreccio è originale e avvincente, tornano ovviamente i consueti personaggi coprotagonisti, dall’83enne commissario in pensione Biagio Patanè (alle prese con recenti malesseri della moglie) all’esperto bell’ispettore Carmelo Spanò (stufo di essere da qualche mese l’amante della ex moglie), da Cocò che è appena fuggita inspiegabilmente dall’imminente matrimonio, all’avvocata Maria Giulia Giuli De Rosa, forse innamorata del giornalista compagno del caro dolce sensibile medico legale, tutti grandi amici. La narrazione come di consueto è in terza al passato, fissa (quasi) su Vanina (e incursioni su Patanè). Dopo aver lasciato Palermo cinque anni prima (con indagini che pure continuano su bande mafiose) e trascorso tre anni a Milano con una promozione sul campo, da oltre un paio d’anni la tenace, attraente e decisa protagonista è tornata sull’isola, a Catania, dura temuta dirigente della sezione Reati contro la persona, e molti la vorrebbero alla sezione Criminalità organizzata. Lei è soddisfatta del lavoro e della squadra formale e informale che guida. Gira sempre con la pistola, preserva fondente nei cassetti, fuma Gauloises come una turca, ama vecchi film, ingozza dolci e altre specialità. Si va riconsolidando anche il rapporto con l’amato magistrato palermitano Paolo Malfitano, pur se si è ben sistemata in una casetta alle pendici dell’Etna, a Santo Stefano, un’oasi di pace all’interno di una proprietà più grande, circondata da giardino e agrumeto, con l’edificio principale abitato dalla padrona di casa, la materna amabilissima 76enne vedova Bettina, originaria di Ragusa e brava solidale cuoca. Quelli che amiamo, colleghi, parenti, magistrati e magistrate, amici e amiche, ci sono tutti: come ben sanno gli editori (almeno dai tempi di Holmes e Conan Doyle), ogni nuova avventura di personaggi seriali è per il lettore una sorta di ritorno in famiglia. Speciale il Nerello Mascalese di mineralità vulcanica.

Cristina Cassar Scalia è originaria di Noto. Medico oftalmologo, vive e lavora a Catania. Ha raggiunto il successo con i romanzi Sabbia nera (2018 e 2019), La logica della lampara (2019 e 2020), La salita dei Saponari (2020 e 2021), L’uomo del porto (2021 e 2022), Il talento del cappellano (2021 e 2022), La carrozza della Santa (2022 e 2023), Il Re del gelato (2023), La banda dei carusi (2023) e Il Castagno dei cento cavalli (2024) – tutti pubblicati da Einaudi – che hanno come protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi; da questi libri, venduti anche all’estero, è stata realizzata una serie tv. Con Giancarlo De Cataldo e Maurizio de Giovanni ha scritto il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (Einaudi Stile Libero 2020).

:: Trudy di Massimo Carlotto (Einaudi 2024) a cura di Patrizia Debicke

1 Maggio 2024

Un thriller avvincente che mischia i destini di un ex commissario di sicurezza Giandomenico Farina, approdato ai vertici di un’agenzia di security, e di una giovane donna di provincia, Ludovica Baroni, il cui marito ricco e famoso commercialista, da un giorno all’altro è misteriosamente scomparso. Due persone che appartengono a mondi lontani e che si ritroveranno proiettati al centro di strani giochi di potere. Giochi nei quali ciascuno muoverà le sue fishes, mentre la posta sul tavolo continua a crescere pericolosamente. Tra i due, il più intrigante appare Farina, passato dal 2008 al privato dopo la proposta di insabbiare e chiudere in fretta una fastidiosa indagine (che contemplava la morte due agenti di polizia, una prostituta e di tale Molteni, un probabile serial killer ed ex sottufficiale dei paracadutisti della Folgore). Trasferito a Milano da quindici anni Farina è diventato Il Dottore, detto dai soci il Grigio per la sua estrema sobrietà nel vestire, assurto ai vertici dell’agenzia privata milanese Nsg in grado di offrire ogni genere di servizi di sicurezza con personale altamente specializzato: ovverosia di gente con un passato spesso nei corpi scelti dell’esercito o nelle forze dell’ordine. Costose prestazioni dunque quali scorte ovunque a vip e nelle aree di crisi (contractor in zone di guerra), discreto controllo di figli di gente influente, protezione di immobili, centri commerciali e attività produttive. E poi garantire indagini, intelligence, analisi dei rischi, destreggiarsi nel campo reputazione della gente, con raccolta di informazioni e addirittura intelligence, servendosi di intercettazioni, pedinamenti, ecc. ecc. Un mondo fitto di impalpabili personaggi, dove non è possibile fidarsi completamente di qualcuno.
Apparentemente molto meno interessante, ma mai dire mai, Ludovica Molteni abbandonata una bella mattina mentre dormiva nel suo letto della casa familiare, una bella villetta di Merate, dalla quale mancano solo alcune valigie ed effetti personali di Federico Riva suo marito. Che secondo la dichiarazioni da lei rese alla polizia , se ne sarebbe andato con un’altra donna , un’amante. Una della tante, lei l’aveva scoperto passato un po’ di tempo dopo il matrimonio, che non nascondeva di collezionare. Ludovica aveva ingoiato il rospo, era solo una ex graziosa commessa, sposarsi con un professionista arrivato le aveva cambiato completamente la vita, garantendole tranquillità economica e benessere, ed era rimasta pur pretendendo di avere almeno un figlio. Ma quel figlio non era arrivato…
Epperò né la polizia né la moglie sembrano troppo vogliosi di cercare Riva. Lei Ludovica addirittura, dopo avere aspettato con pazienza per qualche giorno, si è trasferita da sola in vacanza in Romagna, a Cesenatico.
Strana faccenda perché invece c’è chi, nella fattispecie un senatore di destra ben ammanigliato al Nord, dove il suo partito ha consolidato consensi e interessi economici non sempre legali, è pronto a pagare e bene pur di scoprire dove sia finito il Riva , o meglio addirittura ingaggiare la Nsg di Gianantonio Farina e i suoi uomini. Insomma pare che il commercialista Riva avesse le mani in pasta dappertutto e reggesse le fila di roba che scottava parecchio. Per non saper né leggere né scrivere anche stavolta Farina si fa preparare un dossier riservato sulla persona a cui gli affida l’incarico, non si sa mai. O forse perché sa sempre che non ci si può mai fidare di qualcuno e in futuro tutto può servire.
Stavolta comunque, vista la situazione e le richieste avute, al “Grigio” non resta che dare il via a un’indagine sotto copertura e, per non lasciare niente di incompiuto, mettere sotto stretta sorveglianza Ludovica, la moglie del commercialista, facendola intercettare e spiare, ora dopo ora giorno e notte. Sperando che prima o dopo li porti dal marito o da chi per lui.
Il tutto non senza averle affibbiato il ridicolo nome in codice Trudy che rimanda alla disneyana sposa di Gambadilegno. Quindi tutto dovrebbe essere sotto controllo. O invece… lei ha un altro piano. Chi può dire?
Altri attori arricchiscono la trama: Alex, capatosta ex buttafuori, poco affidabile e sempre pronto ad approfittare di ogni situazione per menare le mani; Duccio Baldi della Tosco Security, agenzia che fa parte della TSG e Serena Grandi, moglie di un sindacalista picchiato quasi a morte. Insomma non è certo un’Italia da cartolina quella descritta in Trudy, ma un mondo molto realistico in cui chi disturba deve essere eliminato o messo a tacere. Niente e nessuno mira a un bene comune. Tutto e tutti mirano invece solo a uno scopo, l’unico parrebbe e cioè il mero interesse personale.
Con la sua solita scrittura sobria e pulita, Massimo Carlotto costruisce una storia complicata dalle mille teste e code che si dipana pian piano spaziando da Milano alla comunità cinese di Prato, dalla Brianza fino alla costa romagnola. In mezzo a tutto questo girano solo interessi, tanti interessi e poi soldi e voltafaccia. Le diverse volontà dei personaggi si incrociano, si mischiano e magari si scontrano causando nuovi problemi pronti a deragliare. Ma, come solo lui sa fare, Carlotto riesce a trattare i fatti con le pinze rendendoli più duttili e malleabili prima di riposizionarli abilmente prima della conclusione.
La sua speciale “criminalità”, non più confinata in un recinto separato, avvalendosi di un maledetto patto tra le diverse parti contraenti che consente loro di rappresentarsi nel mondo dei “buoni”. Un patto avvallato non più solo dal piombo e dai soldi, ma anche e soprattutto dalle informazioni e dalla loro miracolosa capacità di mettere chiunque sotto ricatto. Niente killer, mafia, né esponenti della criminalità organizzata calpestano l’ampio terreno di gioco in cui si svolge Trudy: tutti o quasi gli attori della storia si presentano ammantati da una quasi banale normalità, pronti solo ad apparire migliori, desiderosi di far trionfare il bene, ma sempre disposti a superare ogni limite, pur di difendere i propri interessi.

Massimo Carlotto è nato a Padova, dove vive. È considerato uno dei migliori scrittori di noir e hard boiled a livello internazionale. I suoi romanzi sono tradotti nelle principali lingue. Per Einaudi ha pubblicato, con Francesco Abate, il bestseller Mi fido di te (2007 e 2015), Respiro corto (2012), Cocaina (con Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo, 2013), con Marco Videtta, i quattro romanzi del ciclo «Le Vendicatrici» (Ksenia, Eva, Sara e Luz; la serie è stata ripubblicata nei Super ET nel 2014) e Trudy (2024).

:: Il rumore del ghiaccio di Peter May (Einaudi 2023) a cura di Valerio Calzolaio

24 novembre 2023

Scozia, Kinlochleven e Glasgow. Novembre 2051. In gaelico loch è lago, kin è testa. Da oltre sei anni la minuta giovane meteorologa Adele Addie Brodie, lunghi capelli castani e maliziosi occhi dolenti, vive in quel piccolo insediamento a un capo del Loch Leven, bacino glaciale sotto le alte montagne scozzesi Mamores; in mezzo alle tempeste di gelo gestisce varie piccole stazioni meteorologiche; si è sposata con il 30enne agente di polizia Robert Robbie Sinclair; risiedono appartati con il figlio Cameron. I cambiamenti climatici hanno ormai già prodotto il Grande Cambiamento: lì prima i punti dove la neve durava a lungo erano diventati sempre più rari, quasi scomparsi circa trenta anni addietro; ora sono ricomparsi e in aumento anche durante i mesi estivi, la neve alterna scioglimenti e ricongelamenti fino a diventare dura come il ghiaccio e impenetrabile alle temperature estive. Lei soffre di depressione e un giorno scopre addirittura un cadavere maschile a testa in giù e incastonato nel ghiaccio, urla. Non che il padre detective Cameron Cam Iain Brodie (aprile 1996) stia meglio a Glasgow: l’ecosistema metropolitano è parimenti sconvolto dalle acque e a lui è stata appena confermata una diagnosi di malattia terminale (cancro alla prostata, metastasi in espansione). Con la figlia non si sentono da tempo immemorabile: lei è fuggita lontano convinta che fosse lui a tradire la madre Mel morta suicida, mentre era esattamente il contrario. A Brodie propongono di andare a indagare sull’omicidio: prima rifiuta, poi decide d’improvviso di correre un’ultima volta incontro al proprio destino, lascia il bravo collega Tiny e parte per quelle aspre lande quasi spopolate. Affronterà un’intricata catena di uccisioni, la vittima era il giornalista Charles Younger e forse aveva scoperto qualcosa di “scottante” sul governo in carica.

Il nuovo bel romanzo dell’ottimo giornalista e scrittore scozzese Peter May (Glasgow, 1951) è ambientato tra circa trent’anni in mezzo ai ghiacci che potrebbero ricoprire quelle Highlands. La narrazione è quasi fissa su Cameron padre, colmo di ricordi e rimpianti, alternando il tempo al passato in terza persona nel 2051 e il tempo al presente in prima persona nel 2023 o nel 2040, talora in terza adesso su Addie. Si tratta insieme di un noir, un’indagine con molte sorprese e morti oltre a complessi risvolti politici e sociali (d’altra parte, le elezioni sono proprio imminenti), e di speculative fiction (cara a Margaret Atwood), la descrizione plausibile dei futuri effetti dei cambiamenti climatici antropici globali in corso su ecosistemi e migrazioni (sulla base degli scenari scientifici oggi lucidamente disponibili). L’ultima (saggia) trovata degli ecologisti è una replica della testimonianza resa davanti a un comitato del Senato statunitense dal famoso scienziato Carl Sagan nel 1985 (citato anche in esergo): “gli effetti dureranno più di una generazione…”! Tra qualche decennio le tecnologie saranno certo migliori e pervasive, con le macchine si potranno fare molte più cose; nel contempo, è probabile che mancheranno spesso beni essenziali, abiotici come l’elettricità e biotici come il diritto di restare o la libertà di movimento. Brodie ascolta i titoli in tv: “Le Nazioni Unite riferiscono che le guerre sull’immigrazione scoppiate in Nord Africa hanno raggiunto un punto di svolta. Il numero dei migranti sta per schiacciare le difese nazionali…” E Glasgow è sott’acqua. Quando si erano conosciuti Mel aveva detto a Brodie che il proprio nome era stato scelto dalla madre a causa di due delle Spice Girls, proponendo poi di chiamare la loro figlia come la cantante preferita: Adele. Birra, whisky, gin, qualsiasi cosa pur di alleviare un poco e per poco il dolore mentale (lì non c’è e forse non ci sarà il Varnelli).

Peter May è nato a Glasgow nel 1951. L’isola dei cacciatori di uccelli (Einaudi Stile Libero 2012) è il primo volume della trilogia ambientata sull’isola di Lewis che ha ottenuto uno straordinario successo di critica e pubblico in Gran Bretagna e in Francia. Nel 2013 Einaudi Stile Libero ha pubblicato il secondo volume della trilogia, L’uomo di Lewis, e nel 2015 il terzo e conclusivo, L’uomo degli scacchi. Sempre per Einaudi, ha pubblicato, nel 2017, Il sentiero, nel 2020 Lockdown, e nel 2023 Il rumore del ghiaccio. Nel 2018 per Einaudi è uscita nei Super ET la Trilogia dell’isola di Lewis.

:: La vita paga il sabato di Davide Longo (Einaudi 2022) di Patrizia Debicke

15 febbraio 2023

Torino le cinque e ventisei, l’alba. Il commissario Vincenzo Arcadipane, già protagonista dei precedenti romanzi di Longo, tutti da leggere se non l’avete ancora fatto, viene svegliato dal suo vice Pedrelli.
A Clot, borgo sperduto nel cuneese quasi ai confini con la Francia, un uomo è stato trovato morto nella sua Jaguar. Una telefonata anonima dopo le 23 ha segnalato luogo e delitto e poco dopo la macchina con al volante il cadavere è stata avvistata dai carabinieri abbandonata in una radura.
Roba da prendere con le pinze, perché pare sia una faccenda che scotta, è fuori sede, non sarebbe di sua competenza ma il dirigente generale ha richiesto la sua presenza e se vuole saperne di più deve darsi una mossa e recarsi in loco…
Apprenderà subito dopo l’ arrivo a Clot , “un grumo di case più vecchie che antiche” vegliato a monte da una mastodontica diga, che devono raggiungere Gias Vej e la chiesa con il cimitero. La vittima, che secondo il medico legale Sarace, è stata strangolata con del vecchio filo elettrico tipo piattina, era Terenzio Fuci, ottantasette anni, residente in via del Babuino a Roma, titolare della casa di produzione cinematografica Veronica Film, fratello del politico Amilcare Fuci, eminenza grigia della Democrazia cristiana fino alla morte nel 1988 e tuttora molto ben ammanigliato con il Vaticano. La moglie, arrivata a Clot con lui, è Vera Ladich un’ex famosissima attrice che aveva fatto innamorare un’intera generazione, ribattezzata allora da Godard : Mademoiselle le look, invece è scomparsa. Morta anche lei? Ferita, sperduta per i boschi ? O forse rapita?
Ma allora l’ipotesi più probabile sarebbe che sia stata rapita dall’assassino. Bisogna dare il via tutto intorno a ricerche a tappeto e magari cercare di capire meglio perché marito e moglie erano venuti a Clot? Intanto avevano prenotato tutte le stanze dell’unico albergo del paese. Perché? Amore della privacy? Tanto per cominciare Arcadipane appurerà che Clot era il paese d’origine di Vera Ladich (all’anagrafe Anna Mattalia ), dove aveva conosciuto e sposato Fuci.
Con l’inchiesta tutta sulle sue spalle, il commissario Arcadipane per tentare di venire a capo di un rebus da paura deve trasferirsi temporaneamente a Clot, tra gente chiusa, cauta e ruvida, la cui esistenza e sopravvivenza paiono indissolubilmente legate all’enorme diga che circonda la valle, stringendola come un cappio.
Arcadipane, con in più il carico di Trepet, il suo cane a tre zampe, non riuscendo a trovare in fretta il bandolo della matassa, dovrà chiedere aiuto al vecchio amico, mentore ed ex capo Corso Bramard e all’indisciplinata ma indispensabile agente Isa Mancini, nessuno dei due al massimo di forma perché coinvolti in problemi personali di salute.
Ma le brutte sorprese non sono finite perché si scoprirà che anche di un’altra donna, coetanea della Ladich, anch’essa di Clot, si sono prese le tracce…
Non sarà una passeggiata arrivare alla verità, nascosta tra le pieghe di segreti antichi e di nuovi egoismi protetti da poteri apparentemente inviolabili. Si dovrà riuscire a scavare a fondo, districando una fitta trama tessuta a piú mani.
La vita paga il sabato, edito da Einaudi, è il quarto libro che vede come protagonisti il Commissario Arcadipane e il suo ex capo Corso Bramard. La coppia, collaudata e perfettamente caratterizzata da Davide Longo, questa volta allarga i propri orizzonti territoriali e umani. La Torino di Arcadipane, dolce e amara come i sucai (caramelle gommose con liquerizia), sua insopprimibile droga, stavolta lascia il posto alla rustica diffidenza della montagna piemontese, aspra e poco incline all’utilizzo della parola, cadenzata da propri ritmi, soprattutto se composta da borghi e paesi molto piccoli dove e spesso i cognomi sono tutti uguali. Dove come secondo un ancestrale codice le difficoltà o i problemi si risolvono insieme nella pubblica piazza e tutti sanno tutto degli altri ma l’omertà è d’obbligo.
E tuttavia pian piano, Archidipane, costretto a spingersi fino a Roma e a calarsi nella dissolutezza del caos capitolino, riuscirà a decifrare particolari e fatti precisi con radici nel passato , ispirati da personaggi pubblici reali.
Intrigo e mistero. Un contesto realistico, per la nuova avventura di Archidipane ma, e si sarebbe dovuto capire subito dall’ambientazione nello sperduto comune di Clot, contrariamente alle apparenze, non reale.
Clot non esiste, così come non esiste il vicino comune di Assiglio, Sì, certo, esistono due frazioni Clot, rispettivamente nei comuni di Inversa Pinasca e di Perrero, in provincia di Torino ma non sono quelle descritte da Longo.
Anche la chiesa di Clot, quella del romanzo e il suo ciclo di affreschi cinquecenteschi nella realtà non esistono o forse sì, ma in un diverso contesto. Longo scrive: sulla facciata sono disposti “piccoli volti in rilievo dagli occhi ciechi” e, sul lato della chiesa, “due volti, un animale a quattro zampe, un albero e uno stemma”. Chiesa della fantasia quella della Clot di Longo mentre è reale la chiesa di Santa Maria Assunta a Elva, in Valle Maira con i suoi bassorilievi e il suo interno affrescato dal pittore fiammingo Hans Clemer. Ma non con tutti gli elementi descritti da Longo in La vita paga il sabato . Altri però paiono collegare la finzione di Clot alla realtà di Elva.
Hans Clemer fu attivo nel Cuneese negli stessi anni in cui sarebbe stata affrescata la chiesa di Clot, “fiammingo” e reduce dalla Francia come Johannes Van Drift nel romanzo, e viene chiamato il Maestro di Elva, così come Johannes è il Maestro di Clot. Inoltre, sia a Elva che a Clot, sotto gli affreschi compaiono delle scritte. Possibile che Longo vi abbia tratto ispirazione anche per i versi in langue d’oc?
E anche a Elva, come a Clot, i personaggi locali hanno “strani” cognomi come Dao, Claro, Mattalia, Lunel, Dro.. L’identificazione di Clemer , negli anni Settanta del secolo scorso, come l’anonimo Maestro d’Elva, è stata confermata da un documento contabile del 1494 in cui i membri del comune di Revello (Cn) lo cercano per commissionargli un retablo. La sua attività in zona si colloca tra questa data e la morte, avvenuta attorno al 1511. Il ciclo per la parrocchiale di Elva con la Crocefissione e storie della Vergine è databile agli anni attorno al 1500.
Viene da qui la felice creazione di un pittore mai esistito dal nome Johannes Van Drift, ispirato da un vero Clemer che si dice anche fosse di origine piccarda? Attribuendogli, attraverso le memorie dell’allievo del Maestro di Clot, la leggenda del contenuto maledetto del ciclo di affreschi.
Iconografia straordinaria che coinvolge e colpisce Bramard spingendolo ad approfondire ogni particolare con Isa Mancini.
Niente è caso. Il romanzo di Longo, ambientato in un paesaggio montano dove il clima e le scabrosità del territorio hanno plasmato gente chiusa, solitaria, porta il lettore a non distinguere la finzione dalla realtà. Certo è un mixer geniale quello di tre personaggi tanto diversi ma perfettamente funzionali alla trama come Bramard, Arcadipane e Mancini: Arcadipane, tozzo, sanguigno, con un’intelligenza pratica, “umana”; Bramard, osservatore acuto, riservato e con un’intelligenza ricercata; Mancini, “brigantessa”, solida, sostanziale e con un’intelligenza intuitiva. Bramard, l’ex commissario, che sembra sempre voler sfidare la morte, e invece ha quel lampo di genio che lo tiene sempre più ancorato alla vita. Arcadipane, prima suo collega, ora colui che ha preso il suo posto di commissario di polizia, è un uomo che, vuoi per il lavoro, vuoi per la sua incertezza, si è fatto sfuggire la famiglia, i figli, la moglie di cui era distrattamente innamorato. Ora ha Ariel, psicoterepeuta, forse la cosa migliore che gli poteva capitare, e nell’inchiesta a fianco anche stavolta Isa, poliziotta determinata, iper tecnologica, con un passato problematico ma, in realtà, perfetto elemento di connessione tra Bramard e Arcadipane.
Accumunati tuttavia dalla complice e basilare capacità di discernere dietro ogni orizzonte quanto serve: per arrivare alla scoperta che per tutti, o quasi, la vita paga il sabato.

Davide Longo è uno scrittore italiano nato a Carmagnola, che vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. Tiene corsi di formazione per gli insegnanti su come utilizzare le tecniche narrative nelle scuole di ogni grado. Tra i suoi romanzi ricordiamo, Un mattino a Irgalem (Marcos y Marcos, 2001), Il mangiatore di pietre (Marcos y Marcos 2004), L’uomo verticale (Fandango, 2010), Maestro Utrecht (NN 2016), Ballata di un amore italiano (Feltrinelli 2011). Nel 2014 ha scritto il primo romanzo della serie che ha come protagonisti Arcadipane-Bramard Il caso Bramard (Feltrinelli 2014, Einaudi 2021), cui è seguito il secondo Le bestie giovani (Feltrinelli 2018, Einaudi) e il terzo Una rabbia semplice (Einaudi 2021).

Source: libro del recensore.

:: Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni (Einaudi 2022) a cura di Valerio Calzolaio

21 dicembre 2022

Buenos Aires e, soprattutto, Napoli. Aprile 1939. Nel caffè dell’altra parte del mondo, una bella cantante cerca di interpretare meglio la struggente canzone sulla stradina delle pene d’amore, da cinque anni è fuggita impaurita dall’Italia e ora si chiama Laura Lobianco, le stesse iniziali rispetto a quelle dell’esistenza di cui ha nostalgia. Dietro a un boschetto di questa parte del mondo, il vedovo maestro in pensione Caputo alla ricerca di nespole trova per caso due cadaveri nel giardino nascosto ai percorsi abituali, dietro alle case popolari, sembra quasi che i due giovani stessero facendo l’amore prima di essere malamente uccisi. In questura il quasi 60enne brigadiere Raffaele Maione si confida col commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte, hanno in sospeso soltanto la denuncia della scomparsa del primo ufficiale di una nave genovese. Prima che finisca il turno arriva però la chiamata dal posto di guardia di San Giovanni, hanno trovato i due morti, vanno insieme sulla scena del crimine. Ricciardi si concentra per abbandonarsi alla dannazione che gli fa sentire l’ultima frase pronunciata dai morti sul luogo e capisce che la coppia aveva il matrimonio in vista, si era data un appartato appuntamento e forse lui è proprio il 27enne Parodi che non era rientrato all’imbarcazione alla ritirata del giorno prima. Fra l’altro, arriva il medico Bruno Modo e se ne va sconvolto, forse lo conosceva, coinvolto in qualche attività clandestina. Cominciano a indagare, Parodi faceva il postino dei carcerati a Ventotene, potrebbe essere stato vittima dei fascisti, ordini ufficiali o meno. Però non tutto quadra, faticano a identificare la ragazza. Ed entrambi hanno pure altri pensieri per la testa: Ricciardi continuamente relativi alla figlia Marta, nata cinque anni prima mentre la moglie Enrica moriva nel parto, chissà se ha ereditato i dannati “poteri” del padre; Maione a causa dell’imperioso arrivo di un appariscente riccone che vuole sottrarre la figlia adottata dalla sua famiglia. Le minacce si addensano e complicano.

Il grande scrittore italiano Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) aveva chiuso oltre tre anni fa la sua prima e più amata serie con il dodicesimo romanzo. Dopo gli esordi con le quattro stagioni del 1931, il seguito delle feste del 1932, le svolte matrimoniale del maggio 1933 e genitoriale dell’estate 1934, aveva dovuto abbandonare alla sua sorte l’amatissimo “diverso” commissario. Ricciardi non era più certo di essere pazzo, pur mantenendo una peculiarità al limite del paranormale: nei luoghi che frequenta percepisce ancora tanto dolore, le voci di chi è morto, ascolta chiaramente ultime parole e sentimenti quando si trova sulla scena della dipartita (criminale o meno), chiama questo fenomeno il Fatto (conosciuto solo da Enrica, con la quale aveva condiviso tutto), chissà se Marta seguirà le sue (tristi e devastanti) orme. Qui vorrebbe ormai la “prova”, verificare se l’ha trasmesso, non lo ha capito bene dal colore degli occhi (verdi i suoi, praticamente neri quelli di lei). La bimba è una nuova inedita protagonista (acuta e sensibile, più alta della media, capelli corti, spesso un bel fiocco sulla testa, mani sottili e nervose del padre, volto dolce e tratti regolari simili alla madre); quattro giorni alla settimana va a studiare con l’istitutrice Edna e il figlio Federico dalla contessa Bianca Borgati di Zisa, cara amica di Luigi ed Enrica; frequenta pure spesso i nonni materni (drammaticamente condizionati dalle leggi razziali); la sempre più brutta governante Nelide la segue ovunque. La narrazione è, come sempre, in terza varia (brevemente anche fra i colpevoli). Il titolo garantisce con commozione (sentimentale) e approfondimenti (argentini) il filo lirico comune di Luigi ed Enrica (sulla loro panchina), di Luigi e Marta (verso la casina della musica), di Marta e Federico (come scopriamo alla fine). Con audacia e qualità, De Giovanni riesce in un triplo salto mortale: recuperare l’invocata serie innovandola nelle dinamiche, politiche sociali relazionali. Altro che letteratura minore di genere! Giusto che sia in testa alle classifiche di vendita. Tanti riferimenti all’isola carcere di Ventotene. Vino rosso.

Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d’inverno, Il purgatorio dell’angelo e Il pianto dell’alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero). Dopo Il metodo del Coccodrillo (Mondadori 2012; Einaudi Stile Libero 2016; Premio Scerbanenco), con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo (sempre pubblicato da Einaudi Stile Libero e diventato una serie Tv per Rai 1), continuato con Buio, Gelo, Cuccioli, Pane, Souvenir, Vuoto, Nozze, Fiori, e Angeli, che segue le vicende di una squadra investigativa partenopea. Ha partecipato, con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli, all’antologia Giochi criminali (2014). Per Rizzoli sono usciti Il resto della settimana (2015), I Guardiani (2017), Sara al tramonto (2018), Le parole di Sara (2019) e Una lettera per Sara (2020); per Sellerio, Dodici rose a Settembre (2019); per Solferino, Il concerto dei destini fragili (2020). Con Cristina Cassar Scalia e Giancarlo De Cataldo ha scritto il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (Einaudi Stile Libero 2020). Sempre per Einaudi Stile Libero, ha pubblicato della serie di Mina Settembre Troppo freddo per Settembre (2020) e Una Sirena a Settembe (2021). I libri di Maurizio de Giovanni sono tradotti in tutto il mondo. Molto legato alla squadra di calcio della sua città, di cui è visceralmente tifoso, de Giovanni è anche autore di opere teatrali.

Source: libro del recensore.

:: Anna Karenina di Lev Tolstoj (Einaudi, 2016) a cura di Giulietta Iannone

30 Maggio 2021

«Come opera d’arte, Anna Karenina è la perfezione e nulla può esserle paragonato».
Fëdor Dostoevskij

Anna Karenina dello scrittore russo Lev Tolstoj è forse in assoluto il libro che da sempre ho amato di più. Capolavoro universale della letteratura ottocentesca, è un libro che ancora oggi ha molto da dire sulle dinamiche dell’animo umano, sia maschile che femminile, sulle trappole delle convenzioni sociali e la loro velenosa ipocrisia, sulla fede, sull’aspirazione verso la libertà, la realizzazione di sé, e la ricerca dell’amore. Certo ci parla di un mondo scomparso, l’alta società russa della seconda metà dell’Ottocento, considerate solo che il tradimento matrimoniale fu considerato reato penale fino al 1917, ma l’essenza vera dei personaggi è eterna e universale e di questo Lev Tolstoj voleva occuparsi con l’aiuto di sua moglie Sòfja Andrèevna Bers, detta Sonja, che molto contribuì a illuminarlo sull’animo femminile così magistralmente tratteggiato nel personaggio di Anna. Non spaventatevi dalla mole del libro, quando lo si inizia è come se del miele fluisse dalle pagine e non si può che avanzare nella lettura. Certo ci sono pagine più filosofiche e morali, più complesse e per certi versi impegnative, ma in tutta sincerità ho trovato interessanti anche quelle, sia per capire l’autore stesso e il suo tempo, che il suo romanzo. Uscito inizialmente a puntate, come il più classico feuilleton, sul periodico Russkij vestnik a partire dal 1875 fino al 1877 quando la conclusione del romanzo venne pubblicata solo in forma di riassunto. Tolstoj decise in seguito di far pubblicare integralmente l’ultima parte a proprie spese. Di cosa parla Anna Karenina? Se vogliamo la trama è molto semplice: una donna giovane, sensibile, molto bella, intrappolata in un matrimonio di convenienza, come era abitudine tra le classi aristocratiche, con un alto funzionario zarista molto rigido, molto all’antica, molto più anziano di lei all’improvviso incontra l’ufficiale dell’esercito Aleksèj Kirìllovic Vrònskij e scopre l’amore, la passione, il sentimento svincolato da ragioni economiche, pratiche o utilitaristiche. L’effetto è devastante, nella sua vita, nella sua psiche, nella dinamica delle sue relazioni affettive (per lui sarà costretta a separarsi dal figlio, e questa frattura se vogliamo segnerà il suo destino). Se la società accetta relazioni extraconiugali futili, effimere, slegate da reali sentimenti profondi e condivisi, relazioni che appunto non turbino l’ordine sociale e le convenzioni, tanto che il marito credendola tale all’inizio la tollera, la passione di Anna per Vrònskij invece diventa una minaccia, sconveniente dal punto di vista sociale che mai la considererà legittima. Anna è troppo fragile, sensibile, appassionata per sopportare la condanna sociale e la colpa morale di cui si sente tragicamente prigioniera e non potrà che cercare rifugio nella morte. Devo dire che la bravura di Tolstoj è stata innanzitutto quella di non rendere Vrònskij il classico seduttore: è stempiato, forse neanche tanto avvenente, ma è l’occhio di Anna che lo idealizza e lo rende degno del suo amore incondizionato. La mia avversione per Vrònskij, più che per il marito Karenin, si è stemperata con gli anni, e oggi devo ammettere che è un personaggio che merita una riscoperta e una rivalutazione, insomma Vrònskij ama sul serio Anna ma anche lui non può fare niente per difenderla dalle dinamiche sociali di un mondo che per autoconservarsi calpesta sentimenti, aspirazioni e volontà. Specchio di Anna nel romanzo se vogliamo è Konstantìn Dmìtric Levin forse il personaggio che ho amato di più dopo Anna, da molti identificato con Tolstoj stesso. Se Anna ha una parabola discendente, Levin al contrario ottiene alla fine tutto dalla vita: l’amore, il matrimonio, i figli, la realizzazione di sé e la fede. Ma tanti altri sono i personaggi che incontrerete tra la pagine di Anna Karenina, Dolly, Stiva, Kitty, il fratello di Levin, e ognuno di loro sono certa resterà nel vostro cuore. Di cose da dire su questo libro ce ne sono senz’altro molte, ma questo mio scritto si limita ad essere un invito alla lettura, un consiglio per chi magari ha esitato ad affrontarne la lettura fino a oggi. È meraviglioso, non potevo non parlarne nel mio blog.  Traduzione di Claudia Zonghetti. 

Di Lev Nikolaevic Tolstoj (Jasnaia Poljana 1828-Astapovo, Rjazan 1910) Einaudi ha pubblicato: Guerra e pace, Anna Karenina, La sonata a Kreutzer, Carteggio confidenziale con Aleksandra Andrejevna Tolstaja, Resurrezione, Racconti, I quattro libri di lettura, Due ussari, Racconti di Sebastopoli, Quattro romanzi (La felicità familiare, Morte di Ivan Ilic, La sonata a Kreutzer, Padre Sergio).

Nota: Ho segnalato la traduzione della Zonghetti perchè più reperibile, ma io l’ho letto in quella di Leone Ginzburg.

Source: libro del recensore.        

:: Il pianto dell’alba: Ultima ombra per il commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni (Einaudi 2019) a cura di Giulietta Iannone

7 novembre 2020

E così la saga del commissario Ricciardi è giunta al termine, Il pianto dell’alba: Ultima ombra per il commissario Ricciardi chiude un ciclo che ha segnato davvero il panorama letterario italiano di questi anni. Forse un po’ più opaco dei precedenti, anche se conserva lo spirito che ha animato la serie, Il pianto dell’alba come tutti gli addii (forse ci saranno ancora dei racconti con Ricciardi protagonista, ma prendete l’informazione con le pinze) lascia un velo di malinconia e un senso di perdita, anche se ricordiamolo l’intera saga ha componenti noir che giustificano il tragico e inatteso finale, che non anticipo ma rattristerà sicuramente molti lettori. È un finale inatteso, io avevo immaginato tutto ma non questo, tuttavia riflettendo non da lettore ma da scrittore è l’unico finale credibile, adatto all’economia della storia. La trama poliziesca di quest’ultimo episodio è forse un po’ debole, l’intuizione di Modo un po’ repentina (non sarà Ricciardi ad averla) pur tuttavia si colloca nel filone del noir storico. De Giovanni ha avuto il pregio di arricchire con un linguaggio letterario e poetico un genere di solito caratterizzato da una lingua scarna, essenziale, veloce. In tutta sincerità credo che non sia il personaggio ad avere stancato l’autore, ma più che altro il periodo storico che sarebbe succeduto, così drammatico da mettere da parte le storie minime di cui de Giovanni si occupa. Le fasi più drammatiche del fascismo, la guerra, la fine di un’epoca non erano più uno scenario adatto a un barone all’antica che vede i morti. Ricciardi poi ammettiamolo era un personaggio invadente se non ingombrante, intendo per uno scrittore, anche faticoso psicologicamente da gestire. Ora l’autore è più orientato a scrivere storie contemporanee, e ben venga, la parentesi che si è chiusa però non sarà dimenticata, e bene o male potremo rileggere i passati episodi anche fra vent’anni, senza che perdano di freschezza. Arrivederci Ricciardi speriamo di rincontrarti.

Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d’inverno, Il purgatorio dell’angelo e Il pianto dell’alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero). Dopo Il metodo del Coccodrillo (Mondadori 2012; Einaudi Stile Libero 2016; Premio Scerbanenco), con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo (sempre pubblicato da Einaudi Stile Libero e diventato una serie Tv per Rai 1), continuato con Buio, Gelo, Cuccioli, Pane, Souvenir, Vuoto e Nozze, che segue le vicende di una squadra investigativa partenopea. Ha partecipato, con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli, all’antologia Giochi criminali (2014). Per Rizzoli sono usciti Il resto della settimana (2015), I Guardiani (2017), Sara al tramonto (2018), Le parole di Sara (2019) e Una lettera per Sara (2020); per Sellerio, Dodici rose a Settembre (2019); per Solferino, Il concerto dei destini fragili (2020). Con Cristina Cassar Scalia e Giancarlo De Cataldo ha scritto il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (Einaudi Stile Libero 2020). Sempre per Einaudi Stile Libero, ha pubblicato Troppo freddo per Settembre (2020). I libri di Maurizio de Giovanni sono tradotti in tutto il mondo. Molto legato alla squadra di calcio della sua città, di cui è visceralmente tifoso, de Giovanni è anche autore di opere teatrali.

Source: acquisto del recensore.