
Buenos Aires e, soprattutto, Napoli. Aprile 1939. Nel caffè dell’altra parte del mondo, una bella cantante cerca di interpretare meglio la struggente canzone sulla stradina delle pene d’amore, da cinque anni è fuggita impaurita dall’Italia e ora si chiama Laura Lobianco, le stesse iniziali rispetto a quelle dell’esistenza di cui ha nostalgia. Dietro a un boschetto di questa parte del mondo, il vedovo maestro in pensione Caputo alla ricerca di nespole trova per caso due cadaveri nel giardino nascosto ai percorsi abituali, dietro alle case popolari, sembra quasi che i due giovani stessero facendo l’amore prima di essere malamente uccisi. In questura il quasi 60enne brigadiere Raffaele Maione si confida col commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte, hanno in sospeso soltanto la denuncia della scomparsa del primo ufficiale di una nave genovese. Prima che finisca il turno arriva però la chiamata dal posto di guardia di San Giovanni, hanno trovato i due morti, vanno insieme sulla scena del crimine. Ricciardi si concentra per abbandonarsi alla dannazione che gli fa sentire l’ultima frase pronunciata dai morti sul luogo e capisce che la coppia aveva il matrimonio in vista, si era data un appartato appuntamento e forse lui è proprio il 27enne Parodi che non era rientrato all’imbarcazione alla ritirata del giorno prima. Fra l’altro, arriva il medico Bruno Modo e se ne va sconvolto, forse lo conosceva, coinvolto in qualche attività clandestina. Cominciano a indagare, Parodi faceva il postino dei carcerati a Ventotene, potrebbe essere stato vittima dei fascisti, ordini ufficiali o meno. Però non tutto quadra, faticano a identificare la ragazza. Ed entrambi hanno pure altri pensieri per la testa: Ricciardi continuamente relativi alla figlia Marta, nata cinque anni prima mentre la moglie Enrica moriva nel parto, chissà se ha ereditato i dannati “poteri” del padre; Maione a causa dell’imperioso arrivo di un appariscente riccone che vuole sottrarre la figlia adottata dalla sua famiglia. Le minacce si addensano e complicano.
Il grande scrittore italiano Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) aveva chiuso oltre tre anni fa la sua prima e più amata serie con il dodicesimo romanzo. Dopo gli esordi con le quattro stagioni del 1931, il seguito delle feste del 1932, le svolte matrimoniale del maggio 1933 e genitoriale dell’estate 1934, aveva dovuto abbandonare alla sua sorte l’amatissimo “diverso” commissario. Ricciardi non era più certo di essere pazzo, pur mantenendo una peculiarità al limite del paranormale: nei luoghi che frequenta percepisce ancora tanto dolore, le voci di chi è morto, ascolta chiaramente ultime parole e sentimenti quando si trova sulla scena della dipartita (criminale o meno), chiama questo fenomeno il Fatto (conosciuto solo da Enrica, con la quale aveva condiviso tutto), chissà se Marta seguirà le sue (tristi e devastanti) orme. Qui vorrebbe ormai la “prova”, verificare se l’ha trasmesso, non lo ha capito bene dal colore degli occhi (verdi i suoi, praticamente neri quelli di lei). La bimba è una nuova inedita protagonista (acuta e sensibile, più alta della media, capelli corti, spesso un bel fiocco sulla testa, mani sottili e nervose del padre, volto dolce e tratti regolari simili alla madre); quattro giorni alla settimana va a studiare con l’istitutrice Edna e il figlio Federico dalla contessa Bianca Borgati di Zisa, cara amica di Luigi ed Enrica; frequenta pure spesso i nonni materni (drammaticamente condizionati dalle leggi razziali); la sempre più brutta governante Nelide la segue ovunque. La narrazione è, come sempre, in terza varia (brevemente anche fra i colpevoli). Il titolo garantisce con commozione (sentimentale) e approfondimenti (argentini) il filo lirico comune di Luigi ed Enrica (sulla loro panchina), di Luigi e Marta (verso la casina della musica), di Marta e Federico (come scopriamo alla fine). Con audacia e qualità, De Giovanni riesce in un triplo salto mortale: recuperare l’invocata serie innovandola nelle dinamiche, politiche sociali relazionali. Altro che letteratura minore di genere! Giusto che sia in testa alle classifiche di vendita. Tanti riferimenti all’isola carcere di Ventotene. Vino rosso.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d’inverno, Il purgatorio dell’angelo e Il pianto dell’alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero). Dopo Il metodo del Coccodrillo (Mondadori 2012; Einaudi Stile Libero 2016; Premio Scerbanenco), con I Bastardi di Pizzofalcone (2013) ha dato inizio a un nuovo ciclo contemporaneo (sempre pubblicato da Einaudi Stile Libero e diventato una serie Tv per Rai 1), continuato con Buio, Gelo, Cuccioli, Pane, Souvenir, Vuoto, Nozze, Fiori, e Angeli, che segue le vicende di una squadra investigativa partenopea. Ha partecipato, con Giancarlo De Cataldo, Diego De Silva e Carlo Lucarelli, all’antologia Giochi criminali (2014). Per Rizzoli sono usciti Il resto della settimana (2015), I Guardiani (2017), Sara al tramonto (2018), Le parole di Sara (2019) e Una lettera per Sara (2020); per Sellerio, Dodici rose a Settembre (2019); per Solferino, Il concerto dei destini fragili (2020). Con Cristina Cassar Scalia e Giancarlo De Cataldo ha scritto il romanzo a sei mani Tre passi per un delitto (Einaudi Stile Libero 2020). Sempre per Einaudi Stile Libero, ha pubblicato della serie di Mina Settembre Troppo freddo per Settembre (2020) e Una Sirena a Settembe (2021). I libri di Maurizio de Giovanni sono tradotti in tutto il mondo. Molto legato alla squadra di calcio della sua città, di cui è visceralmente tifoso, de Giovanni è anche autore di opere teatrali.
Source: libro del recensore.
Tag: Caminito, Einaudi, Gialli thriller noir, Maurizio de Giovanni, serie Ricciardi, Valerio Calzolaio
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