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:: Il giorno in cui Diana morì di Christopher Andersen (Piemme 1998)

5 dicembre 2017

il giorno in cui Diana MorìA vent’anni di distanza dalla tragica notte del trentuno agosto 1997 si è ritornati a parlare della triste parabola finale di Lady Diana Spencer, la Principessa del Popolo, come era stata opportunamente ribattezzata dal primo ministro britannico dell’epoca Tony Blair.
Antefatto di questo libro di Christopher Andersen, edito dalla Casa editrice Piemme, è il momento in cui un auto imbocca ad altissima velocità un tunnel parigino. Lo schianto è davvero terribile! Una catastrofe ad alta risonanza mediatica: su quella vettura viaggia Lady D., che di lì a poco morirà in ospedale. Incidente o complotto? La Principessa triste, infatti, è stata un pericolo per la Corona stessa, una donna che ha avuto il coraggio e la sfrontatezza di ribellarsi con tutte le sue forze ad un mondo ipocrita, ad un mondo di soffocanti convenzioni. Spettacolare la sua epocale confessione davanti alle telecamere di mezzo mondo attonito, che ha fatto tremare la Monarchia britannica e ha minato i nervi della povera Elisabetta II.
Il giorno in cui Diana morì “ parte dunque dal momento del ricovero di Diana in ospedale dopo l’avvenuto incidente automobilistico e prosegue con una precisa e puntuale ricostruzione, fatta di flash back e memorie documentate con dovizia di aneddoti.
L’autore quindi torna al principio dell’estate 1997 quando ha inizio la tanto chiacchierata e turbolenta relazione d’amore tra Dodi e la principessa. Ne racconta dunque gli sviluppi più accattivanti e significativi. Ci parla delle speranze di Diana come donna , dell’ostracismo della corte inglese, del rapporto di Diana mamma con i suoi adorati figli, di un sogno brutalmente stroncato sul nascere.
Poi nella parte finale, l’indagine sulla morte della Principessa, di cui rivela particolari inediti e alquanto scomodi, vagliando le molte ipotesi di molti avvenimenti per certi versi incomprensibili.

Christopher Andersen, giornalista di grido, collabora alle più importanti testate americane. È autore di numerose biografie di personaggi famosi del mondo dello spettacolo e della politica da Jacqueline Kennedy a Madonna; da Michael Jackson a Mick Jagger.
I suoi libri hanno sempre ottenuto un grande successo diventando dei veri e propri best-seller internazionali.

Source: libro del recensore.

:: Grace Kelly – La principessa americana di Robert Lacey (Frassinelli 2014) a cura di Marcello Caccialanza

17 novembre 2017

Grace Kelly LaceyUna biografia illuminata di un personaggio molto amato ed imitato, scritta con grande onestà intellettuale e dovizia di particolari, dallo scrittore Robert Lacey, autore di best-seller biografici di grande impatto, tra quali ricordiamo quelli dedicati alla famiglia Ford e alla Casa reale Inglese.
Un libro, questo, che ha il grande merito di sfatare una volta per tutte la melensa favola di una Grace serena e felice nelle sue mansioni di madre, di moglie e di regnante. Insomma il ritratto sbiadito di una donna falsamente in pace con sé stessa e con il mondo circostante!
Grace Kelly in una sua intervista – come puntualizza lo stesso Lacey – aveva candidamente ammesso di quanto le piacesse fingere nella vita. Partendo da questo presupposto si avvince di come lo scrittore abbia deciso di presentarci una figura dalla malinconica complessità, non un’entità; ma un garbato camaleonte in grado di indossare mille maschere e più, a seconda del momento e dell’opportunità.
Chi era dunque Grace? La figlia sottomessa di Jack Kelly, l’eroe sportivo e vanesio di Filadelfia; oppure l’attrice giovane e bella che si era imposta più per il suo temperamento che per il suo talento? Era l’incarnazione rassicurante della bellezza americana anni 50; o la cacciatrice di uomini?
Robert Lacey tenta quindi, dopo due anni di intense ricerche e di numerose interviste ad amici e colleghi della diva, di presentare all’opinione pubblica un’immagine della Kelly il più possibile rispondente alla verità.
La sua sapiente penna tratteggia dunque una donna che aveva avuto il coraggio di assecondare i suoi sogni; o per lo meno di fingere di averli realizzati, nel momento in cui questi avevano così lasciato il posto alla più cruda realtà.
Dietro il sorriso della bionda Grace, che aveva fatto girare la testa seducendo generazioni intere di fan in delirio, si nascondevano insospettabili ombre, ferite e vite segrete.
Vite segrete che la facevano dolcemente scivolare in quelle centinaia di ruoli sfatti, che lentamente la vedevano sempre più precipitare in una pericolosa incomunicabilità con se stessa.
Fu madre affettuosa che troppo aveva concesso ai propri figli; ma anche moglie prigioniera di un matrimonio infelice. Incarnò la diva dal fascino glaciale, capace, grazie ai suoi capricci, di tenere in ostaggio i più grandi produttori di Hollywood. Si vestì anche con la pelle dell’eterna bambina incapace di difendere i propri amori (come Clarke Gable o William Holden) d’innanzi ai fastidiosi veti degli ingombranti genitori.
L’unica persona, che aveva saputo veramente leggere dietro le innumerevoli maschere di Grace, fu il suo amato mentore, nonché maestro, l’onnipresente Alfred Hitchcock che in più di un’occasione l’aveva definita “ vulcano dalla cima innevata.”
Vale la pena di leggere questa biografia di Lacey, perché nell’ultima parte l’autore inserisce anche un’assai minuziosa ricostruzione dell’incidente automobilistico che, negli anni ottanta, aveva fatto in modo di chiudere per sempre il sipario sulla Ragazza di Filadelfia.

Robert Lacey, inglese di origine ma residente in Florida, ha studiato al Selwyn College di Cambridge prima di diventare uno storico specialista in best seller biografici. Si è dedicato, fra l’altro, alla vita del magnate dell’industria automobilistica Henry Ford e alla storia della famiglia reale britannica.

Source:  libro del recensore.

:: Perverso e paranoico – Scritti 1927-1933 di Salvador Dalì (Il Saggiatore 2017) a cura di Nicola Vacca

3 novembre 2017

salvador dalìTutto Salvador Dalí, insieme al suo genio e alla sua poetica surrealista, lo si trova negli scritti di «Perverso e paranoico».
Negli anni Trenta il grande artista mise su carta il suo autoritratto attraverso una serie di testi in cui emerge tutto il suo irrazionalismo più fertile.
«Perverso e paranoico» torna in libreria per i tipi de Il Saggiatore in una nuova edizione accresciuta.
Pagine intense e complesse in cui Salvador Dalí tocca i vertici della creazione: vomita genialmente il suo metodo paranoico – critico in cui l’ossessione, il sogno e il deliro diventano arte pura mai fine a se stessa.
Le sue riflessioni spaziano dalla fotografia alla letteratura passando per la filosofia e la psicanalisi.
C’è tutto l’universo artistico di Dalí nelle pagine di «Perverso e paranoico». Tra contraddizioni e deliri, il genio lascia spazio al sogno e alla realtà e a modo suo scava nei mondi inconsci della creazione. Il risultato è il suo stesso genio che si fa arte e che va oltre l’arte.
In una delle sue riflessioni scrive:

«Ci sono sempre state due specie di pittori: quelli che oltrepassarono la linea, e quelli che seppero, rispettosamente e con pazienza, arrivare fino al limite. I primi a causa della loro impazienza, sono stati considerati degli emotivi, dei geniali. I secondi, per la loro umile pazienza, sono stati considerati dei freddi e, solamente, dei buoni artigiani».

L’artista riconosce una specie di passione nella pazienza di non oltrepassare la linea, la passione dell’equilibrio che secondo lui è una passione potente, nemica di ogni ebbrezza.
Salvator Dalí ha fatto del pensiero estremo una magia soprattutto quando si è occupato di definire la sua poetica surrealista, In quel momento l’artista si fa genio e supera abbondantemente la linea, affidando la propria ebbrezza all’immaginazione. E poi sono nati i suoi capolavori.
Salvator Dalí un antiartista che ha attraversato l’arte senza mai sottrarsi alla radicalità del pensiero.
Un genio «perverso e paranoico» che crede nel atto antiartistico, una dimensione che comporta più gioia, maggiore capacità poetica, più intensità del fenomeno improprio che si definisce artistico.
Da esso nasce ciò che vi è di più vivo nelle ricerche che costituiscono l’arte e soprattutto alimentano quelle invenzioni dello spirito che tengono viva oltre ogni cosa la fiamma della creazione artistica in tutti i sensi.
«Perverso e paranoico» è un libro in cui Salvador Dalí parla di Salvador Dalí e nelle pagine racchiude tutte le contraddizioni di una vita d’artista vissuta intensamente tra estasi, delirio e sogno.
Un genio proteiforme che si è immerso nel suo tempo sovvertendone sempre i canoni.

«Non capisco se sono io che divento più grande o se è l’universo che rimpicciolisce: probabilmente si tratta di entrambe le cose».

Salvador Dalí (1904-1989) è stato un pittore, scultore, scrittore, fotografo e sceneggiatore catalano.

Source: libro inviato dall’editore al recenore, ringraziamo l’Ufficio stampa Il Saggiatore.

:: Diana e la Regina – Segreti e bugie a corte, Luisa Ciuni, Elena Mora (Cairo editore, 2016)

13 aprile 2016
re

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All’inizio del prossimo secolo ci saranno solo cinque re sulla terra: i quattro delle carte da gioco e il re d’Inghilterra”.

Chi lo disse? Re Farouk, deposto nel 1952 da un golpe militare, penultimo re d’Egitto. La frase nacque sicuramente come una battuta, venata dall’amarezza per la fine o meglio il lento decadimento della monarchia come istituzione, ma se vogliamo non andò troppo lontano dal vero ed è sempre ricordata quando si tratta di parlare della sovrana inglese e di fare un consuntivo sul suo regno.
Elisabetta II, nata a Londra il 21 aprile del 1926, si avvia a compiere 90 anni e non sembra abbia nessuna intenzione di cedere il passo o mettersi da parte. Nel suo lunghissimo regno, se possiamo dire felice e reale (ha sul serio preso delle decisioni per le sorti del Regno Unito e del mondo), un unico piccolo neo offusca lo splendore adamantino che lo caratterizza: l’ incontro con una ragazza, una babysitter, seppure di nobili origini, che diventerà sua nuora. Lady D per tutti i rotocalchi e i giornali di gossip del mondo.
La regina dei cuori. Termine che almeno usavano quando era in vita. Dalla sua morte, avvenuta in circostanze ancora non del tutto chiarite, che danno adito a dubbi e vivaci ipotesi complottistiche, ormai non lo si usa più. Diana Spencer, ormai non più principessa del Galles, morì a Parigi il 31 agosto del 1997 in un tragico incidente stradale. Per alcuni una sicura condanna a morte, perché la decapitazione nella Torre di Londra non si usava più. Le ombre sulla famiglia reale, ipotetico mandante di questo omicidio di Stato, sembrano ormai quasi del tutto dissolte, solo pochi oltranzisti ancora combattono credendole verità.
Sta di fatto che l’astro di Lady Diana ha fatto il suo corso e vive ancora ormai solo più nella memoria dei figli che l’ hanno amata e di coloro che l’ hanno conosciuta. Davanti alla regina è fatto divieto pure di nominarla, almeno così si mormora. Forse anche solo per non ricordarle un dolore e il fatto che mai la Corona inglese rischiò di cadere come quella notte d’agosto sotto il ponte dell’Alma.
Due giornaliste, Luisa Ciuni e Elena Morra, (quest’ ultima è stata caporedattore centrale del settimanale “Diva e donna”), hanno cercato di approfondire il rapporto tra queste due donne, le ragioni dei loro contrasti, i segreti, le bugie, il perché invece di unire le loro forze in un obbiettivo comune, si siano in un certo senso combattute, dietro le quinte di una monarchia che da Elisabetta I alla Regina Vittoria, fino a Elisabetta II, ha sempre visto le donne reggere le redini del comando.
Il risultato dei loro sforzi è contenuto in Diana e la Regina, edito da Cairo editore. Premetto che non ci sono tesi rivoluzionarie o scoop sensazionalistici, molto di quello che leggerete è già apparso su rotocalchi, libri o riviste, ma ciò non toglie il grande sforzo di sintesi e di chiarezza di due giornaliste che hanno trattato nelle loro carriere quei fatti o per lo meno li hanno vissuti e approfonditi e si sono fatte le loro idee.
La storia della principessa triste e della regina di ferro non racconta, in effetti, niente di nuovo. In un’epoca in cui i principi reali si sposavano ancora con le principesse non per loro scelta, ma per motivi di Stato e di convenienza, la storia di Carlo e Diana era una delle tante, uno dei tanti matrimoni di facciata utili a unire ricchezze, celebrare fasti e perpetuare dinastie. Unica differenza, che a Elisabetta deve essere sfuggita, il carattere, e la determinazione di Diana nel perseguire i suoi sogni, e inoltre il fatto che Carlo era già sposato de facto con un’altra donna, oggi finalmente sua moglie a tutti gli effetti.
Suocera e nuora non trovarono mai un accordo, e se Elisabetta sgridava il figlio che continuava questa relazione invisa con Camilla, allo stesso tempo sgridava la nuora che non accettava la situazione con l’aplomb a la discrezione che una principessa del Galles doveva dimostrare. E quando Diana Spencer pubblicamente parlò dei suoi dissapori coniugali e sostenne che Carlo non era adatto a diventare un giorno re, il rapporto tra le due donne si ruppe per sempre, avvelenato ancora di più dalla sua decisione, inseguito, di iniziare una relazione con un musulmano.
Il libro racconta questa guerra, persa in partenza dalla principessa bella e affascinante, ma ignara di come andavano le cose a corte. Più si ribellava, più era condannata alla tragedia. Anche perché i Windsor rimasti non avevano tanto il carisma del comando, e Carlo non faceva eccezione.

Luisa Ciuni, giornalista e scrittrice, è palermitana ma vive da sempre a Milano, dove lavora come caposervizio moda al quotidiano Il Giorno, per il quale si occupa anche di cronaca bianca ed eventi mondani. Ha scritto diversi testi sulla moda e sulla storia della moda, oltre a Gossip terapia e Le bugie hanno le gambe lunghe (entrambi con Elena Mora). Ha partecipato alle raccolte di racconti Cuori di pietra, Facce di bronzo e Corpi.

Elena Mora è nata in Piemonte e vive a Milano. Giornalista per professione, è caporedattore centrale al settimanale Diva e donna. Scrittrice per passione, ha all’attivo diversi titoli tra cui Manuale anti-ansia per genitori (con Maria Rita Parsi), Gossip terapia e Le bugie hanno le gambe lunghe (con Luisa Ciuni). Ha partecipato alle raccolte di racconti Cuori di pietra, Facce di bronzo e Corpi. È anche autrice di libri per bambini e di cartoni animati.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Giulia dell’Ufficio Stampa Cairo Editore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Recensione di Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e Fascismo, Lilli Gruber, (Rizzoli, 2012) a cura di Viviana Filippini

15 novembre 2012

Caspita sembrerebbe un romanzo d’avventura visto attraverso gli occhi femminili, ma a dire il vero quella raccontata da Lilli Gruber in Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e Fascismo, edito da Rizzoli, è pura verità.  Alla nota giornalista conduttrice di Otto e mezzo lo stimolo per questo nuovo libro è arrivato dal diario della bisnonna Rosa e da quel novembre del 1918 che cambiò per sempre la vita della sua bisavola e del suo pacifico focolare socio-domestico. Cosa accadde? Venne redatto il Trattato di pace che stabiliva la fine dell’Impero Austroungarico e sanciva il passaggio del Sudtirolo all’Italia. Un evento che magari per molte persone non avrà importanza, ma che sicuramente cambiò per sempre la vita delle popolazioni altoatesine. Il libro della Gruber è una ricostruzione accurata delle vicende riguardanti la propria famiglia di origine a cavallo tra l’Ottocento e i primi 40 anni del Novecento. Eredità è un voce del presente – quella della Gruber- che guida il lettore indietro nel tempo alla scoperta delle voci di un tempo – in questo caso rappresentate dagli scritti di Rosa – e del suo passato famigliare e storico, attraverso le parole messe su carta e i gesti  compiute dai membri della famiglia Tiefenthaler-Rizzolli. Il tutto è un piacevole pellegrinaggio tra il presente e il passato nel quale si alternano le varie personalità che caratterizzano l’albero genealogico della Gruber. Tante piccole foglie diverse e simili tra loro, tutte accomunate dalla grande intraprendenza e voglia di libertà che influenzerà sempre ognuna delle scelte da loro compiute. Ci sono due voci che aleggiano in modo costante durante la narrazione – quella di Rosa e della bisnipote Lilli- e che ci portano alla conoscenza di una casata e della società dove essa visse. Poi, durante il periodo del regime fascista emerge la giovane e irrequieta Hella, la coraggiosa figlia minore di Rosa e Jakob, che travolta dalla passione per l’ideologia di Hitler ne subirà le conseguenze, affrontando  con coraggio la condanna al confino in uno sperduto paesino del Sud Italia. Eredità di Lilli – all’anagrafe Dietlinde – Gruber è un libro ben scritto, molto accurato nella ricerca storico- dinastica, che intrattiene con il lettore una piacevole relazione letteraria.  Chi leggerà l’ultimo lavoro della donna e giornalista Gruber imparerà attraverso il dono del ricordo, l’importanza dei legami affettivi e delle vicende esistenziali che hanno contraddistinto la vita focolare domestico Tiefenthaler-Rizzolli tra l’Impero e l’avvento del Nazionalsocialismo. Non solo, perché Eredità ci guida alla scoperta delle vicende di un intera collettività di frontiera – quella altoatesina molto più legata alla cultura tedesca-  dalla fine della prima guerra mondiale, passando per l’ imposta italianizzazione di questi territori, arrivando a quella speranza di un cambiamento, individuata da qualcuno nel regime nazista. Arrivati alla fine di Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e Fascismo ci si accorge di aver scoperto una tessera in più dell’esistenza di Lilli Gruber e del suo mondo personale e poi, grazie alla figura di Rosa, c’è la presa di coscienza dei tormenti di una donna e di una comunità radicata nella terra di confine e la conoscenza di una parte della storia d’Italia, purtroppo, non a tutti nota.

Lilli Gruber,nata a Bolzano, è giornalista e scrittrice. È stata prima donna a presentare un telegiornale in prima serata e dal 1988 ha seguito come inviata per la RAI tutti i principali avvenimenti internazionali. Dal 2004 al 2008 è stata parlamentare europea. Dal settembre del 2008 conduce la trasmissione di approfondimento Otto e mezzo su La7.  Gli ultimi bestseller pubblicati con Rizzoli sono Chador (2005), America anno zero (2006), Figlie dell’Islam (2007), Streghe (2008), tutti disponibili anche in Bur, e Ritorno a Berlino (2009).

:: Recensione di Stanze nascoste L’autobiografia di Derek Raymond (Meridiano Zero, 2011) a cura di Giulietta Iannone

12 febbraio 2011

1Stanze nascoste è essenzialmente un libro di memorie, lo sforzo di un uomo che sente avvicinarsi la vecchiaia, forse anche la morte, e vuole fare un bilancio della propria vita ricorrendo ad un’arma a doppio taglio, un’arma impropria in fondo che se mal maneggiata può fare solo danno: l’uso sconsiderato della verità.
Se consideriamo che scrisse di suo pugno

Vengo da una famiglia in cui la menzogna era la norma, al punto che era inevitabile affinare il linguaggio per non lasciarsi scappare la verità

diventa subito chiaro come per lui fu una vera lotta corpo a corpo perseguire il vero senza lasciarsi sedurre dalle lusinghe abbellendo i fatti e le riflessioni per farsi vedere dagli altri nella sua luce migliore. Questa lotta impari e titanica durò per tutte le 335 pagine di Stanze nascoste e ci lascia un po’ storditi e quasi sgomenti.
Anche confrontarsi con Derek Raymond infatti è una vera lotta corpo a corpo, la sua scrittura ha qualcosa di magico, di inarrivabile, è così magistrale che qualsiasi cosa si scriva può suonare falsa e di maniera a meno che non decida di fare una serie continua di citazioni, ipotesi che non ho scartato del tutto considerato che nessuno sa parlare di Derek Raymond come Derek Raymond.
Dicevo che era un libro di memorie ma non solo, Raymond si preoccupa di annoiare i lettori che non amano i libri, perché  di libri parla, di scrittura, di noir, del processo misterioso e nascosto che opera nelle stanze buie della sua anima e lo porta a creare trame, dialoghi, personaggi.
Le sue lezioni sono fulminanti. Ci affascina quando parla del piacere della scrittura.

La frase perfetta è come una bella donna che indossa l’unico vestito giusto per lei in quel momento e solo una goccia di profumo, niente di superfluo e lo sguardo che ha mentre attraversa una stanza in penombra è solo per te. Questo è il piacere che provo nel mio lavoro, quelle poche volte che succede quando il linguaggio appartiene completamente al personaggio, è ciò che dice. Quando accade non lo dimentichi e ti ripaga di tutti gli sforzi che hai fatto.

Ci fa riflettere sul rapporto tra lingua scritta e quella parlata.

Devi ascoltare quello che scrivi. Se non ci riesci, per quanto rumore tu faccia, c’è sempre silenzio.

Dà una sua personale definizione di stile.

Per me è vitale continuare a scrivere in modo che la lingua si muova nella mente del lettore non meccanicamente ma spontanea, realistica, autentica. È questo che intendo per stile. La struttura ha le sue regole e funzioni inconsce come il corpo che normalmente passano inosservate, si notano solo quando mancano.

Ci commuove quando parla di solitudine.

Non conosco il valore dell’intimità finchè non resto solo. Allora capisco tutto. Il problema sta tutto qui, eppure è questo che fa di me un cantore della solitudine e degli orrori che l’accompagnano.

Per chi voglia capire davvero cosa sia il noir, immergersi nelle pagine della sua autobiografia è davvero un’esperienza  insostituibile.

Sono sicuro che fu quando mi opposi per la prima volta ai miei genitori che capii che per ottenere qualcosa di buono e tangibile bisogna soffrire. Siccome il noir, come lo concepisco io, parla di questo, è molto importante essere chiari quando si usano termini come bene, male, costrizione, pazzia, assenza e non fermarsi al primo significato che spesso si dà a questa parola”.

O ancora sul finale

Il noir parla di tutta questa bellezza e anche di questa tristezza. Porta il lutto non per il crimine, che è l’ultima espressione della disperazione, ma per la realtà e la compassione che la gente per bene, se ce ne è ancora, dedica ai morti – soprattutto a quelli che si sono sottratti da soli ad un’esistenza lenta e fredda. Il noir questo vicolo nero e stretto, è l’unico scopo della mia scrittura, il mio tentativo di capire la condizione umana, dopo aver vagato tra paradiso e inferno come un cliente indeciso tra due pub, uno da un lato e uno dall’altro della strada.

Continuerei a lungo a citare Raymond perché quasi ogni sua frase è una piccola epiphany joyciana ma tanto vale rimandarvi alla lettura del libro. Quello che so per certo è che leggere Raymond nel mio piccolo ha migliorato il mio stile, sbloccato meccanismi, reso più fluido il distacco tra ciò che penso di voler scrivere e la pagina scritta. È un’ esperienza che consiglio di fare a tutti, specie agli aspiranti scrittori che forse non impareranno a scrivere come Raymond ma sicuramente impareranno a  conoscere meglio se stessi.

Traduzione di Federica Alba e Pamela Cologna.

Derek Raymond era lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook, nato a Londra nel 1931 e ivi morto, al ritorno da una peregrinazione durata una vita, nel 1994.
Sottrattosi ben presto all’educazione borghese impartitagli dalla famiglia, ha iniziato a viaggiare vivendo, tra gli altri posti, in Marocco, in Turchia, in Italia, improvvisandosi nei lavori più improbabili: dal riciclaggio di auto in Spagna all’insegnamento dell’inglese a New York, dall’impiego come tassista alla carriera di trafficante di materiale pornografico. I suoi esordi nella carriera letteraria risalgono agli anni Sessanta, con opere chiaramente influenzate dall’esistenzialismo di Sartre. Un’influenza che riemergerà a partire dagli anni Ottanta nella sua serie noir della Factory a cui questo romanzo appartiene. L’opera di Raymond vive di assoluta originalità nel panorama dell’hard boiled internazionale.

:: Recensione di Jean Claude Izzo – Storia di un marsigliese di Stefania Nardini a cura di Giulietta Iannone

7 Maggio 2010

Jean Claude Izzo - Storia di un marsiglieseDieci anni fa, sembra ieri ma ormai sono passati già dieci anni, moriva a Marsiglia Jean Claude Izzo e per celebrare questo anniversario Perdisa ha deciso di dedicargli una monografia che inaugura la collana “Rumore Bianco” creata e diretta da Luigi Bernardi. Ogni storia d’amore è unica a suo modo e racchiude sempre qualcosa di tragico perché l’amore è fatto così se è autentico, vero. Conobbi Jean Claude Izzo attraverso i suoi libri e me ne innamorai per una ragione semplicissima non potevo farne a meno. Leggendo Jean Claude Izzo- Storia di un marsigliese della giornalista e scrittrice Stefania Nardini ho provato uno strano senso di deja vu, una fortissima nostalgia e mi sono accorta che le ragioni di un amore possono essere molteplici ma ci accomunano in maniera impressionante. Jean Claude Izzo era un uomo che viveva la scrittura con passione, la stessa passione che metteva nel suo impegno politico o nel suo amore per le donne. “Jean Claude Izzo era un uomo che portava con sé un mistero”. Ecco penso sia questa frase ad avermi dato la certezza che ciò che sfugge alla nostra comprensione è sempre la parte che ci manca e dalla quale siamo inarrestabilmente attratti. Che Jean Claude Izzo sia uno tra i più grandi autori di noir mai esistiti, il padre del noir mediterraneo poco importa, pochi non conoscono la sua trilogia marsigliese composta da Casino Totale, Chourmo – Il cuore di Marsiglia  e Solea, e i suoi due romanzi Marinai perduti e Il sole dei morenti a mio avviso il più bello e dolente,  ciò che veramente lascia il segno e oltrepassa l’indifferenza e la mediocrità e che Izzo era una persona autentica, con pregi e difetti, che non si mascherava per apparire migliore ne recitava la parte del grande scrittore, del giornalista e del poeta. Era tutte queste cose più molte altre ancora non ostante la  sua breve vita,  fa rabbia perché il cancro se lo portò via a soli cinquantacinque anni, morendo infatti così giovane lasciò un vuoto, uno strappo triste come una promessa non mantenuta e Stefania Nardini questo l’ha capito e nel suo omaggio, struggente e poetico come una dichiarazione di amore, si allontana dalle solite monografie, o biografie e abbraccia tanti generi diversi identificando l’uomo con Marsiglia la città simbolo per molti versi dell’universo Izziano. Ad impreziosire questo volume, cesellato come uno scrigno, testi inediti e per la prima volta tradotti in italiano dallo stesso Bernardi,  tra cui brani delle sue poesie, e le bellissime illustarzioni in bianco e nero di Ivana Stoyanova. Jean Claude Izzo – Storia di un marsigliese di Stefania Nardini Perdisa Pop collana Rumore Bianco,  2010, pagine 174, Euro 14,00