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:: Corpo a Corpo di Elena Mearini (Arkadia 2023) a cura di Patrizia Debicke

10 marzo 2023

Corpo a corpo si svolge nell’arco di diciotto ore, durante lo scorrere e più, di una giornata di una palestra della periferia milanese, ad Arluno, luogo in apparenza fuori dal tempo, dove cerca appoggio e asilo Stefano, oggi giovane professore di Italiano al liceo, ex promessa del pugilato che qualcosa ha obbligato ad abbandonare i guantoni…
Come una belva ferita fa ritorno al suo antro, così Stefano Santi si rifugia in quella palestra , un tempo quasi sua casa e famiglia per confessare a Mario, proprietario della sala e suo ex allenatore, tutta la sua storia.
Durante la sua lunga e sofferta confessione, Stefano legge alcuni estratti del diario di Marta, perché “serve conoscere la voce di lei per arrivare alla disfatta di lui”.
Marta che, a suo dire, voleva a tutti i costi salvare la sorella Ada dalla condanna della sua perfezione. Ada che di nascosto si allenava sfogandosi e picchiando con la boxe alla ricerca dell’autenticità e per non esplodere, imprigionata nei canoni di un’assoluta eccellenza. Ada che, arrivata al culmine di ogni desiderata, ovverosia essere una stella della danza, si era uccisa ma nessuno aveva mai capito il perché, quali fossero i motivi di quel terribile gesto di disperazione. Drammatico e al contempo folle diario di Marta, ragazza ventenne che si sentiva troppo normale per essere notata, ma sempre pronta a riconoscere ogni eccesso altrui e immaginarne la sofferenza e troppo severa con se stessa per non rischiare di impazzire. Marta con l’intollerante convinzione di essere una mediocre e l’insofferente attaccamento nei confronti della sorella, vuole con le sue parole solo giustificare le sue azioni. Azioni lucide e deleterie con per vittime Ada e Stefano che lei, nella sua contorta e malata fissazione, è sicura di aver salvato da una vita perfetta, perché solo la mediocrità ha il diritto di sopravvivere… Ada e Marta, due sorelle che non avrebbero dovuto mai essere divise … e invece quell’orribile fatalità. Con la morte di Ada che ha scatenato solo angoscianti dubbi, rimorsi e ineluttabili conseguenze.
Mario, il pugile, la roccia, il vero punto fermo e stabile della narrazione, orecchio attento che non giudica o condanna ma tramite le ferree regole del suo sport e il richiamo ad alcuni campioni del passato come Joe Louis, Willy Pep e James Walter Braddock – quasi sull’ altare della storia della boxe – e la concretezza dei fatti, aiuterà Stefano, stretto nella morsa del tormento, a comprendere quale dovrà essere “la cosa giusta da fare”. Ma la sua scelta sarà davvero giusta? Potrà forse esserlo solo se il farlo gli servirà a dare un significato a un’esistenza ormai rovinata per quanto irrimediabilmente accaduto e a imboccare la strada dell’espiazione .
Elena Mearini che con la sua intensa e consueta capacità di scrittura, spesso ogni sua frase nasconde un pensiero e in questo suo romanzo affronta problematiche crude e scottanti , racconta del bene e del male insito in noi tutti. Per farlo si serve di una perfetta metafora pugilistica, la “nobile arte” utilizzata sia come libertà da parte delle donne che indirettamente come simbolo di lotta e implicità accusa all’eccesso di conformistica perfezione reclamato oggi dalla società. Quella costante pretesa di dover piacere a tutti, di voler essere migliore a ogni costo senza riuscire ad accettare i limiti di una ragionevole normalità, che costringe a trovare a ogni costo la colpa e sfogarsi su qualcuno da punire, rischiando di scivolare in rapporti di dipendenza che penalizzano e tolgono la libertà. Una costrizione che obbliga a coinvolgersi in qualcosa di pericolosamente malsano, in grado di ferire e far male. E di rischiare il diretto confronto conpersone con pregresse turbe mentali mai individuate , che magari nascondono i loro malessere o addirittura una peculiare patologia.
Con un complesso reticolo di vite che si avversano, affrontandosi come sul ring, Elena Mearini ci narra con coinvolgente ma tragico realismo, la crudezza del bene e del male, stavolta fulcro trainante del suo “Corpo a corpo” con le conseguenze di amori talmente snaturati da trasformarsi in fatali. Amori snaturati che conducono ineluttabilmente alla audistruzione, ma contemporaneamente esalta come impagabile e insostituibile, il valore di vere affinità elettive allacciate all’ombra della comune passione sportiva, in questo caso la boxe, assimilata al perenne lottare, insito nella vita di ciascuno di noi qui simbolico emblema dell’incontro-scontro della vita. Pian piano la trama, sovrapponendo il senso della vita al pugilato, sviluppa il suo colto intreccio di sentimenti e azioni in una speciale atmosfera descritta con linguaggio chiaro e preciso. E sarà proprio la lineare forza della parola e del racconto a svelare alla fine tutta la verità.

Proposto da Ilaria Catastini al Premio Strega 2023 con la seguente motivazione:

«Corpo a corpo, di Elena Mearini, è un noir psicologico costruito come una sequenza di round, quasi fosse un incontro di boxe, sport che fa da sfondo e da elemento strutturale del romanzo e che lega l’allenatore di pugilato Mario, il protagonista Stefano e le due figure femminili, centrali nella trama ma di sfondo nel chiaroscuro della narrazione. Il ring che rappresenta la vita, con l’attacco e la difesa, lo stare in guardia, lo studio dell’avversario. Catturare il momento giusto per assestare il colpo, non fermarsi mai. Nel ring della vita si sfidano anche l’amore e la volontà di controllare l’altro; si sfidano il fato e la capacità di governare il proprio destino. È in questo ring simbolico della vita che Marta sfida in un corpo a corpo la sorella Ada, la ragazza perfetta e inarrivabile, andata incontro a un tragico destino. E un ring diventa il rifugio di Stefano dopo aver ucciso Marta; su quel ring altrettanto simbolico Stefano lotta con se stesso svelando al lettore, attraverso le pagine di un diario, il colpo di scena inquietante che metterà in luce la mente psicologicamente disturbata di Marta e il gesto sconsiderato e irreversibile di Stefano. Gli incidenti che cambiano il destino delle persone, individui che si crede di conoscere e che si rivelano diversi da come pensavamo: Corpo a corpo è un romanzo che riesce a cogliere una quantità di sfumature che non comprendono solo il noir, attraversando diversi generi letterari e che tiene il lettore sospeso in una condizione psicologica nella quale ognuno di noi potrebbe ritrovarsi.»

Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Dirige la Piccola Accademia di Poesia fondata nel 2020. Ha pubblicato una raccolta di poesia per LiberAria Editrice, Strategie dell’addio, e due per Marco Saya Editore, Per silenzio e voce e Separazioni. Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia (Excelsior 1881), cui ha fatto seguito A testa in giù (Morellini Editore), Undicesimo comandamento (Perdisa pop editore), Bianca da morire (Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello), e È stato breve il nostro lungo viaggio (Cairo Editore, selezionato al Premio Strega 2018 e finalista nella cinquina per il Premio Scerbanenco). Il romanzo I passi di mia madre è stato candidato al Premio Strega 2021 con la presentazione di Lia Levi. Nel 2019 ha pubblicato per Perrone Editore Felice all’infinito. Ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei, storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport (Morellini Editore) ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre e Lettere al padre (Morellini Editore) e Nel mare di Lombardia (Les Flaneurs Edizioni).

:: La scrittrice obesa di Marisa Salebelle (Arkadia Editore 2022) a cura di Patrizia Debicke

21 dicembre 2022

Da poco approdato in libreria, il nuovo libro di Marisa Salabelle, scrittrice che già abbiamo avuto modo di recensire nei precedenti romanzi da lei pubblicati. E proprio tornando al suo primo romanzo, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu, e alla sua protagonista donna chiusa, complessata e sgraziata, mi rendo conto quanto quel suo personaggio mi costringa a pensare a Susanna Rosso, la scrittrice obesa, tragico fulcro della nuova trama . Hanno tante cose in comune infatti Susanna e Efisia: la poca avvenenza, agli occhi della società fattore di emarginazione, le rare amicizie dovute al caratteraccio, una abitazione trasandata, oltre ogni possibile limite.
Anche Susanna come Efisia è un personaggio condannato a percorrere un buio tunnel emozionale infinito e del quale non riesce mai a intravedere la fine. Susanna dalla ragazza grassoccia di un tempo, si è trasformata ormai in una donna obesa, solo schiava della solitudine e della tristezza, ma è soprattutto sopraffatta e vittima di un pessimo carattere strettamente collegato e acuito dal suo stato di malessere.
Rimasta orfana in giovanissima età, chiusa in un ambito familiare soffocante, in rapporto conflittuale con la madre che, rimasta vedova, e unico specchio con cui confrontarsi, senza il controllo di freni educativi inibitori, quando le saltano i nervi (cosa che succede spesso) l’ha sempre trattata malissimo (finchè la povera donna è vissuta ).
Lo stesso atteggiamento negativo e scostante che ha riservato ai vicini di casa, ai pochi saltuari conoscenti, e persino alla sua migliore amica, Lorella. Amica che invano ha sempre cercato di distoglierla dalla letargia emozionale al di là delle sue pantagrueliche e croniche fissazioni. Sempre e comunque scontrosa, chiusa, Susanna, infatti, oltre al suo insano rapporto con il cibo, è preda di quello che, con espressione forse desueta, si potrebbe definire il sacro fuoco della scrittura. Coltiva infatti due passioni: leggere ( tutto il suo tempo viene dedicato ai romanzi dei quali si ingegna a scrivere appunti) e a mangiare, a dismisura e, in balia dei suoi deliri creativi che la inducono a mischiare realtà ed invenzione, non vuol ascoltare consigli né reprimende, anzi insiste nell’ampliare le sue fissazioni, in un mostruoso crescendo di dipendenza e di masochismo. La sua doppia bulimia, l’incontrollabile fame di frasi scritte e di cibo spazzatura, unita al suo brutto carattere e al suo crescente egocentrismo, che l’hanno portata a rinchiudersi in se stessa, ai limiti del patologico, finiranno con il condannarla all’isolamento e alla più brutale solitudine. A un livoroso silenzio accresciuto dalla continua rabbia di non riuscire, nonostante i continui e ripetuti sforzi, ad essere apprezzata e accettata come scrittrice dagli editori. Tutta la sua esistenza, imperniata sulla sua smodata passione per la scrittura, si è risolta nello sfornare senza posa, decine su decine di racconti. Ma i suoi tentativi di emergere e ogni suo sforzo per arrivare a pubblicare uno dei suoi romanzi, sono stati regolarmente frustrati. Sì ha preso parte e ha persino vinto, iscrivendosi a piccoli concorsi locali ma nonostante abbia un vero talento, è sottovalutata da chi le vive vicino e sistematicamente disprezzata dalle case editrici, che tormenta riempiendole di proposte e proteste. Unico suo sfogo: scrivere decine di lettere, probabilmente mai aperte o viste a scrittori, attori e cantanti di successo.
Il suo mondo pian piano, con il passare degli anni, si è ristretto al solo rapporto con i personaggi che riesce a inventare sulla carta, si commuove per le loro vicende, li immagina come persone vere. Nella vita reale, dalla scomparsa della madre, vede soltanto di tanto in tanto, l’unica vecchia amica, dai tempi della scuola, Lorella, Suor Maria Consolazione, una religiosa con cui prova a collaborare e una vicina di pianerottolo, la signora Lotti, che vorrebbe aiutarla ma…
Per mantenersi, ha lavorato saltuariamente per una piccola casa editrice della sua cittadina, e in seguito, con l’avvento della rete, si è accollata incarichi da home working: impegnandosi tra letture e valutazioni di manoscritti, traduzioni ed editing. La sua vita sentimentale sembrava avere trovato uno sbocco nella relazione con un poeta ma dopo una brevissima convivenza, anche quel rapporto si è spezzato. E benché le sue amiche tentino di tirarla fuori dal vortice di autodistruzione, Lorella coinvolgendola nella sua vita sentimentale, Suor Maria Consolazione nell’alfabetizzazione delle donne rom del campo vicino alla parrocchia, e persino la vicina provi a offrirle cibo sano e aiuto per ripulire l’appartamento, da lei ridotto a una specie di puzzolente porcilaia, Susanna si chiude come un riccio, considera i loro tentativi un’intromissione e le rifiuta al punto che tutte e tre finiranno con allontanarsi, abbandonandola al suo destino. Il tragico destino che conosciamo dal prologo: il ritrovamento del suo corpo senza vita e peggio in avanzato stato di decomposizione.
Ma la sua morte, la morte della scrittrice obesa, fa notizia. I suoi scritti snobbati dalle case editrici finché Susanna era in vita verranno, in virtù del dramma gonfiato dai media, pian piano uno dopo l’altro “riscoperti”, fino a farla diventare un’autrice ai primi posti nella classifica delle vendite.
Un’amara parabola raccontata con il solito savoir faire e con un certo compiacimento dall’autrice, che di questo mondo ben conosce i meccanismi e i retroscena, anche quelli tanto deleteri del mercato.
Marisa Salabelle tratteggia con amara ironia, una storia di emarginazione e solitudine ma approfitta dell’occasione per rivolgere una disincantata critica rivolta al panorama editoriale attuale: all’incontrollabile proliferare di premi… quanti poi davvero meritati? Alle troppo difficoltà di emergere e farsi accettare in un mondo difficile, poco obiettivo e troppo spesso legato a scelte pilotate . E il mercato italiano poi: strano panorama, un terno al lotto da giocare? Cosa conta davvero per un aspirante scrittore ? Cosa serve?
Una storia dura e cruda, che fa riflettere,

Marisa Salabelle è nata a Cagliari il 22 aprile 1955 e vive a Pistoia dal 1965. È laureata in Storia all’Università di Firenze e ha frequentato il triennio di studi teologici presso il Seminario arcivescovile della stessa città. Dal 1978 al 2016 ha insegnato nella scuola italiana. Nel 2015 ha pubblicato il suo romanzo d’esordio, L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu (Piemme). Nel 2019 ha pubblicato il suo secondo romanzo, L’ultimo dei Santi (Tarka). Entrambi i romanzi sono stati finalisti al Premio letterario La Provincia in Giallo, rispettivamente nel 2016 e nel 2020. Nel settembre 2020 è uscito il romanzo storico-famigliare Gli ingranaggi dei ricordi (Arkadia Editore) e nel 2022 Il ferro da calza (Tarka), un giallo con ambientazione appenninica. Suoi articoli e racconti sono apparsi su riviste online e antologie cartacee.

Source: libro del recensore.

:: Come una barca sul cemento di Roberto Saporito (Arkadia Editore 2019) a cura di Giulietta Iannone

4 dicembre 2019

copertina-saporitoSe Coleman Silk de La macchia umana di Philip Roth veniva allontanato dal suo prestigioso incarico universitario per un’accusa di razzismo, il protagonista de Come una barca sul cemento, nuovo romanzo di Roberto Saporito, il più postmodernista degli autori italiani di questo primo quarto del XXI secolo, vive un’esperienza simile anche se con risvolti del tutto singolari. Forse più simile al Humbert Humbert nabokoviano, il nostro professore di letteratura americana del Novecento è un predatore sessuale che quando viene allontanato dal suo personale parco giochi, inizia a cercare tramite (il temibile e spietato) social network più in voga di questi tempi, le donne del suo passato sfuggite alle sue mire di conquista. Un po’ per passare il tempo, un po’ per sopravvivere alla sua nuova (infelice) vita di guardiano di barche, porta avanti con meticolosa cura la ricerca di queste donne con cui il tempo non è stato sempre benevolo: prima c’è Flavia, vittima di violenze da parte del marito (e qui la storia prende un risvolto noir), poi c’è Linda, scrittrice rampante sempre in giro per l’Italia a fare presentazioni, che gli darà una (inaspettata) seconda occasione. Non voglio dire di più della trama, il romanzo è breve, si legge molto velocemente, i capitoli sono brevi e sincopati, tra autori e libri (da non perdere), riflessioni sul mondo letterario (non solo) italiano, e piccole epifanie su questo nostro mondo ipertecnologico ma ancora ostaggio di un male esistenziale antico che condanna quasi tutti all’infelicità. E l’infelicità sembra essere il convitato di pietra di questa storia in bilico tra l’assurdo e il probabile, tra le occasioni perdute e le ossessioni che sembrano cadenzare un destino tracciato al quale non si può sfuggire. Le storie che ci narra Saporito hanno questa cifra distintiva, sono ritratti amari e straniti di un’umanità inserita in un presente che gli sta stretto. Saporito è un autore elegante e raffinato, colto, dalle molte (buone) letture che trapelano con grazia dalla sua scrittura, conoscitore e appassionato di musica, oltre dell’arte in sé, declinata nelle sue mille facce. Dotato di grande sensibilità, quasi dolorosa, utilizza un registro stilistico rarefatto e minimale, che scolora in una certa universalità che lo rende un cittadino del mondo più che un autore italiano tout court. Molto apprezzata da chi scrive la citazione in esergo di Diario di lavorazione di Sam Shepard, accanto a Don De Lillo, Jay McIrney, Bret Easton Ellis, Jonathan Franzen e il nostro Pier Vittorio Tondelli. Colonna sonora (da ascoltare mentre si legge il romanzo) The Queen Is Dead THE SMITHS.

Roberto Saporito, nato ad Alba nel1962, ha diretto una galleria d’arte contemporanea. Autore prolifico è autore di racconti e romanzi: Harley Davidson (Stampa Alternativa, 1996), che ha venduto quasi trentamila copie, dei romanzi Il rumore della terra che gira (Perdisa Pop, 2010), Il caso editoriale dell’anno (Edizioni Anordest, 2013), Come un film francese (Del Vecchio Editore, 2015), Respira (Miraggi Edizioni) e Jazz, Rock, Venezia (Castelvecchi Editore, 2018). Suoi racconti sono stati pubblicati su antologie e su innumerevoli riviste letterarie. Ha collaborato con “Satisfiction” e, attualmente, scrive per il blog letterario “Zona di Disagio”.

Source: libro inviato al recensore dall’editore. Ringraziamo Tania dell’Ufficio stampa Arkadia Editore.

:: Stato di famiglia di Alessandro Zannoni (Arkadia Editore 2019) a cura di Nicola Vacca

19 aprile 2019

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Attendevo Stato di famiglia di Alessandro Zannoni, il primo libro di sideKar, una nuova collana di narrativa pubblicata da Arkadia editore.
Quando ho iniziato a leggere le prime pagine di questi racconti, che in un certo senso formano un romanzo, mi sono venute in mente alcune parole di Cioran in merito ai libri che devono frugare nelle ferite e che devono allargarle fino a diventare essi stessi un pericolo.
La scrittura di Alessandro Zannoni è arrivata come un colpo d’ascia che mi ha spaccato virtualmente il cranio.
Non abbandonando mai la letteratura, l’autore compie un indagine intorno al male, osando sempre chiamarlo per nome con tutto il suo sangue che ogni giorno versa nelle nostre esistenze.
Ogni racconto ha per titolo il nome del protagonista e inizia con un delitto efferato che egli commette in seno alla propria famiglia.
L’autore usa una tecnica di montaggio a ritroso e una scrittura crudele, asciutta e essenziale, che arriva diretta come una pugnalata che squarcia la carne, per ricostruire le cause che hanno portato il protagonista a compiere il gesto insano e omicida.
Le storie crudeli di Alessandro Zannoni si consumano tutte in famiglia e nei suoi racconti estremi troviamo rappresentato tutto il male che oggi la cronaca ci sbatte davanti agli occhi con tutto il suo carico di ferocia.
Mariti che picchiano e uccidono le mogli, donne che la fanno finita insieme ai loro figli perché non reggono più la violenza familiare, figli che massacrano i genitori perché hanno completamente perso la ragione, padri che sterminano l’intera famiglia.
Zannoni in questi racconti brevi, senza nessun filtro e a colpi di machete, ci rappresenta il nostro mondo familiare massacrato dalla violenza degli esseri umani.
Noi lettori lo percepiamo come un pugno allo stomaco perché la scrittura del suo autore si avvale del sanguinamento. Zannoni scrive per svegliare e quindi è consapevole che c’è un solo modo per raccontare il male che siamo capaci di fare.
Guardarlo in faccia e descriverlo con la stessa crudeltà con cui lui arma la nostra follia.
Lucio, il protagonista dell’ultimo Stato di famiglia, colpisce a morte Silvia, sua moglie. Lei, inciampando si rivolge al marito e chiede perché. Lui si spaventa e la colpisce ciecamente fino a che non smettere di dire perché.
Questo è uno dei brani del libro che più mi è rimasto impresso.
Alessandro Zannoni vuole dirci che al male che coviamo dentro non c’è un perché. Siamo maledettamente sedotti dal suo fascino sinistro e abbagliati dalla sua luce perversa non siamo mai lucidi da considerare i suoi effetti collaterali devastanti.
Stato di famiglia è un libro riuscito perché la scrittura nera e appuntita di Alessandro Zannoni si conficca come un chiodo nella nostra carne viva di uomini che (anche in chiusura il pensiero va a Cioran) sappiamo essere solo il cancro della terra.

Alessandro Zannoni scrive romanzi per adulti e per ragazzi, pubblica racconti su antologie e riviste di settore. Ha scritto i testi del fumetto “Il cugino” disegnato da Lorenzo Palloni. Nel 2002 ha dato vita al FestivalNoir di Lerici, che si è trasformato negli incontri letterari “Leggere fa male”. Nel 2018 ha organizzato “Mi piace corto”, primo festival Italiano dedicato al racconto. Dal 2017 scrive per il cinema. Conduce “Senzafiltro” un programma in diretta radioweb su www.radiorogna.it.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo Tania Murenu dell’Ufficio Stampa Arkadia Editore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Kaiser di Marco Patrone (Arkadia Editore 2018) a cura di Fabio Orrico

26 aprile 2018

1Il fatto che un lettore come me, del tutto estraneo a vicende calcistiche nonché impermeabile a qualunque mistica dello sport, ignorantissimo in materie sportive e agonistiche, abbia letto con passione e quasi in un’unica sessione questo romanzo la dice lunga sul suo valore o, più in generale, sulla capacità di Marco Patrone di rendere interessante la materia trattata.
Kaiser racconta l’incredibile storia di Carlos Enrique Raposo, calciatore brasiliano attivo fra la fine degli anni 70 e l’inizio dei 90. L’aggettivo “attivo” è però forse mal speso perché Raposo, soprannominato Kaiser per la somiglianza con Beckenbauer, non ha praticamente mai toccato un pallone (un solo goal nell’arco della carriera e non è un dato certo), riuscendo sempre a sfuggire allenamenti e, di fatto, restando in panchina mentre i compagni di squadra giocavano. Distorto, paradossale self made man, Kaiser deve la propria fortuna alla furbizia, alla faccia tosta e alla rete di amicizie che, per ragioni squisitamente extra sportive, è riuscito a crearsi. Patrone è capace di conferire al suo eroe una statura quasi wellesiana, seppure declinata secondo un’ottica canagliesca, assonante a certi ritratti da commedia all’italiana. Il richiamo a Welles viene spontaneo perché Kaiser si modella sull’archetipo narrativo di Quarto potere, quindi un giornalista che ricostruisce la vita / carriera di un personaggio esemplare. In questo caso il nostro referente è Marco, giovane cronista sportivo soprannominato Dosto (starebbe per Dostoevskij) per l’eccessiva preziosità verbale nell’esprimersi che riceve dal collega francese Francois l’imbeccata per occuparsi di Raposo. Stregato dalla sua vicenda non solo si mette sulle tracce dello sportivo ma in qualche modo, raccontandone (o meglio ancora evocandone) la storia, dà voce a una sorta di sociologia della truffa, un continuo, ostinato interrogarsi su menzogna e mistificazione che spostano Kaiser quasi verso i territori del romanzo-saggio. Anche qui c’è qualcosa di profondamente wellesiano: si veda la sardonica indagine di F for fake.
Kaiser è ripartito fra le voci di Dosto e quella del titolare del titolo in copertina. Da un lato la velocità, la precisione e la continua altalena di dubbi del giovane giornalista espresse da una lingua duttile e digressiva, dall’altro la ribalda assertività e l’umorismo deresponsabilizzante che caratterizzano l’oralità di Raposo. Alternate secondo un ordine fortemente idiosincratico e non manicheo, tra loro distinte ma sufficientemente consonanti da garantire coerenza e compattezza stilistica al libro, le due voci si saldano a creare un romanzo profondamente teorico. Infatti mentre Marco penetra sempre più a fondo nella vita di Kaiser diventa per lui impossibile non interrogarsi su modi e forme del racconto biografico, portando alla luce (o rigettando in un nuovo buio) anche una oscura storia sentimentale, vera e propria scatola nera del libro.

Marco Patrone si occupa di sviluppo di prodotti bancari, finanziari e assicurativi. Ha però una seconda vita, nella quale si fa chiamare Recensireilmondo e cura l’omonimo blog letterario, tra i più seguiti in Italia. Il suo romanzo d’esordio, Come in una ballata di Tom Petty, è uscito per Transeuropa nel 2015. Un suo racconto è compreso nella raccolta Monaco d’autore, pubblicata per Morellini Editore nel 2016. Il racconto L’estate del Pollo, uscito nel 2016 nella collana L’animale umano di Urban Apnea Editore, è stato finalista al Concorso Letterario Zeno.

Source: libro inviato al recensore dall’ editore. Si ringrazia Tania Murenu dell’ Ufficio stampa.

:: Invisibili di Vincenzo Soddu (Arkadia Editore 2018) a cura di Federica Belleri

14 marzo 2018

Invisibili

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Alessandro insegna a Cagliari. I giorni gli sembrano tutti uguali. Sua moglie ha chiesto e ottenuto divorzio e casa. Dorme poco e ha incubi frequenti. L’impatto con i suoi alunni è una continua lotta, fatica a comprenderli e ad entrare in sintonia con loro. Prova a preparare lezioni alternative, ma i suoi tentativi sono timidi e impacciati. È in grado di provare empatia? Riesce a dare la giusta importanza ai suoi ragazzi? Cosa sente davvero per la sua professione?
Si costringe a osservare meglio la sua classe e comprende di dover catturare i loro interessi. Nell’epoca dei social, del digitale a tutti i costi, Alessandro affronta il suo status di professore approcciando in modo diverso ogni singolo alunno. Ascolta le loro storie, le loro impressioni di adolescenti fragili. Cosa chiedono i giovani agli adulti?
Essere invisibili a volte è utile. Essere problematici può trasformarsi in una risorsa per gli altri. Perché spesso la responsabilità aiuta a crescere, e scontrarsi con la realtà è doveroso.
Invisibili è una pagina di registro scolastico, è la sensibilità di giovani che si nascondono dietro alle maniere forti. Due generazioni a confronto che in qualche modo si completano.
Insegnare e apprendere, un gioco di ruolo in una sorta di andata e ritorno. Per dare nutrimento a giovani meravigliosi ma complicati. Per risvegliare nei professori il desiderio di essere davvero parte della loro classe, senza pregiudizi o false aspettative. Uno spaccato di vita attuale e concreto. Una lettura molto interessante.
Ve lo consiglio.

Vincenzo Soddu, nato a Cagliari nel 1962, laureato in Lettere, nel 1987 inizia a lavorare nel mondo della scuola. Contemporaneamente si dedica a ciò che ama di più: scrivere. Spazia dai brevi saggi storici ai racconti della memoria. Nel 2011 ha pubblicato il saggio storico-narrativo “Una pergamena in sardo e latino”, in Templari, crociate, giudicati e ordini monastico-cavallereschi nella Sardegna medioevale, a cura di Massimo Rassu (Arkadia Editore). Dal 2012 gestisce il blog libriedintorniblog. Nel 2013 esordisce nella narrativa con La neve a Gaza (Caracò), libro incentrato sui difficili temi della guerra e dell’integrazione, romanzo che lo ha portato a lavorare a stretto contatto con le associazioni di volontariato. Nel 2015, per Cuec, ha pubblicato Un’isola da bere, sesto numero della Rivista “Mieleamaro”, un’avventura letteraria accompagnata dal profumo del vino, scritta insieme a Gianni Stocchino. Vive e lavora a Cagliari come insegnante in un Liceo.

Source: inviato dall’ editore al recensore.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.