
Il Manifesto di Venezia per il rispetto e la parità di genere
Fra un mese il Manifesto di Venezia, di cui GiULiA condivide la maternità, sarà una realtà; tanto più importante quanto maggiore sarà il numero di giornaliste e giornalisti che lo avranno sottoscritto.
Frutto di un’elaborazione partita dal Sindacato veneto dei giornalisti e fatta propria dalla Cpo Fnsi, coinvolgendo anche Cpo Usigrai e associazione GiULiA, il documento verrà presentato a Venezia nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Dalle 10 del mattino di sabato 25 novembre e per tre ore, sul palco del teatro La Fenice, la Commissione pari opportunità della Fnsi discuterà – con delegate di tutte le associazioni regionali e assieme a rappresentanti di Giulia, del sindacato Rai e con ospiti – sulla necessità di far fare alla cronaca giornalistica un passo avanti nel rispetto delle persone e della parità di genere. Un orgoglioso impegno, collettivo ma innanzitutto personale, per accrescere l’autorevolezza del ruolo dell’informazione e di conseguenza per la crescita sociale.
Le giornaliste e i giornalisti (e soltanto loro) possono aderire scrivendo a cpo.fnsi@gmail.com oppure a giuliagiornaliste@gmail.com.
Sul sito l’elenco aggiornato con le adesioni ricevute.
MANIFESTO DELLE GIORNALISTE E DEI GIORNALISTI
PER IL RISPETTO E LA PARITA’ DI GENERE NELL’INFORMAZIONE
CONTRO OGNI FORMA DI VIOLENZA E DISCRIMINAZIONE
ATTRAVERSO PAROLE E IMMAGINI
VENEZIA 25 NOVEMBRE 2017
Sistematica, trasversale, specifica, culturalmente radicata, un fenomeno endemico: i dati lo confermano in ogni Paese, Italia compresa.
La violenza di genere è una violazione dei diritti umani tra le più diffuse al mondo: lo dichiara la Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, che condanna «ogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica» e riconosce come il raggiungimento dell’uguaglianza sia un elemento chiave per prevenire la violenza.
La violenza di genere non è un problema delle donne e non solo alle donne spetta occuparsene, discuterne, trovare soluzioni. Un paese minato da una continua e persistente violazione dei diritti umani non può considerarsi “civile”.
Impegno comune deve essere eliminare ogni radice culturale fonte di disparità, stereotipi e pregiudizi che, direttamente e indirettamente, producono un’asimmetria di genere nel godimento dei diritti reali.
La Convenzione di Istanbul, insiste sulla prevenzione e sull’educazione. Chiarisce quanto l’elemento culturale sia fondamentale e assegna all’informazione un ruolo specifico richiamandola alle proprie responsabilità (art.17).
Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo.
Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto, ci impegniamo per una informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali, giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità.
Pertanto riteniamo prioritario:
1. inserire nella formazione deontologica obbligatoria quella sul linguaggio appropriato anche nei casi di violenza sulle donne e i minori;
2. adottare un comportamento professionale consapevole per evitare stereotipi di genere e assicurare massima attenzione alla terminologia, ai contenuti e alle immagini divulgate;
3. adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale;
4. attuare la “par condicio di genere” nei talk show e nei programmi di informazione, ampliando quanto già raccomandato dall’Agcom;
5. utilizzare il termine specifico “femminicidio” per i delitti compiuti sulle donne in quanto donne e superare la vecchia cultura della “sottovalutazione della violenza”: fisica, psicologica, economica, giuridica, culturale;
6. sottrarsi a ogni tipo di strumentalizzazione per evitare che ci siano “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi subisce e a chi esercita la violenza;
7. illuminare tutti i casi di violenza, anche i più trascurati come quelli nei confronti di prostitute e transessuali, utilizzando il corretto linguaggio di genere;
8. mettere in risalto le storie positive di donne che hanno avuto il coraggio di sottrarsi alla violenza e dare la parola anche a chi opera a loro sostegno;
9. evitare ogni forma di sfruttamento a fini “commerciali” (più copie, più clic, maggiori ascolti) della violenza sulle le donne;
10. nel più generale obbligo di un uso corretto e consapevole del linguaggio, evitare:
a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili;
b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento;
c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”;
d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via.
d) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza, nel rispetto della sua persona.
Sempre grazie a un nostro lettore (non sono fantastici i nostri lettori) ho scoperto un nuovo motore di ricerca (insomma è del 2009 ma io non ne avevo mai sentito parlare) molto speciale. Usa l’ 80% dei suoi ricavi pubblicitari per fare una cosa straordinaria: piantare alberi.
Troppo bello per essere vero? Forse, non so dire, so solo che l’idea è grandiosa. Di quelle che cambiano davvero la storia, e la vita delle persone. Il ricavato viene rinvestito per piantare alberi, per dare lavoro ai contadini dei paesi più poveri che riforestano terre dove ce ne è bisogno. Più alberi, più aria pulita, meno frane e smottamenti, maggiore biodiversità. Cioè una idea così semplice e uno strumento così efficace sono un connubio davvero incredibile.


Più ancora del petrolio, la nostra era sembra caratterizzata da un altro bene di consumo indispensabile e vitale: l’informazione. La trasmissione di notizie, che possono essere vere, false, distorte, travisate è sempre più veloce e alla portata di tutti. Non solo i mass media, le riviste, diffondono notizie e quindi l’esigenza di classificarle, catalogarle, si fa sempre più necessaria e vitale. Internet ormai è il nostro nuovo “guru” a cui affidiamo in pura buona fede qualsiasi nostro dubbio e lui subito ci accontenta. La dispersività dell’informazione è di certo inquietante e a questo proposito è interessante notare come la superficialità giochi un ruolo importante in questo valore aggiunto.
Vuoi lavorare nel campo dell’editoria? Ti sei chiesto se i gruppi editoriali italiani assumono ancora e con quali modalità? Serve ancora inviare il c.v.? I master in comunicazione fanno ancora la differenza? Quali sono le figure professionali più richieste? Ci sono ancora assunzioni dirette, magari a tempo indeterminato, o preferiscono assumere liberi professionisti con Partita Iva? Per rispondere a domande come queste ho deciso di scrivere questo breve reportage, non esaustivo certo, ma spero utile per aiutarci a fare il punto della situazione.























