Oramai è assodato: siamo nel vivo del dibattito sul Liberalismo e soprattutto sul suo inarrestabile declino. Si sprecano fiumi di inchiostro negli ultimi tempi, complice una crisi sottocutanea che ci si augura non sfoci in un virus di maleficio trasversale e incontrovertibile. Già, ma cos’è davvero questa icona concettuale che ci trasciniamo sulle spalle come mantello che non riesce più a proteggere? Innanzitutto, esiste davvero una distinzione tra liberalismo e liberismo? Il liberismo è una dottrina e una politica economica che considera come condizione ottimale di funzionamento del sistema economico quella risultante dalla libera iniziativa dei singoli individui, che nel perseguimento del proprio interesse non devono essere condizionati né ostacolati da nessun vincolo esterno imposto dall’interferenza dello Stato. Quest’ultimo infatti deve limitarsi a garantire con norme giuridiche la libertà economica e a provvedere ai bisogni della collettività soltanto quando non possono essere soddisfatti privatamente. In particolare, il liberismo si fonda sulla completa libertà di produzione e di scambio di merci e servizi. Esso difende cioè l’economia di mercato che significa innanzitutto proprietà privata dei mezzi di produzione e perciò garanzia di rispetto e di tutela delle libertà politiche e dei diritti individuali.
In questo compatto lavoro – Liberalismo politico. Liberalismo economico (Rubbettino) – ritroviamo masticate concezioni cardini del pensiero di Friedrich A. von Hayek e Ludwig von Mises riguardo il dilagare di aberrazioni socialiste, collettiviste e altri feroci spauracchi. In particolare, si approfondisce l’idea e la concretezza del pensiero liberale. Tre principi, strettamente connessi, caratterizzano, ad avviso di Hayek, la tradizione liberale Whig: la libertà di opinione, l’imperio della legge e la proprietà privata a cui è connessa l’economia di concorrenza. Il più importante di tali principi? Quello della libertà di opinione. Convincimento di fondo è che i problemi economici nascono sempre e solo in conseguenza di cambiamenti. La migliore soluzione dei problemi sociali non deriva perciò dal sapere di un individuo, quanto piuttosto “da un processo interpersonale di scambio delle opinioni, da cui emergerà un sapere migliore”. Afferma Hayek:
“Così come per la sfera intellettuale anche in quella materiale la concorrenza è il mezzo più efficace per scoprire il modo migliore di raggiungere i fini umani. Solo là dove sia possibile sperimentare un gran numero di modi diversi di fare le cose si otterrà una varietà di esperienze, di conoscenze e di capacità individuali tali da consentire, attraverso la selezione ininterrotta delle più efficaci tra queste, un miglioramento costante”.
Mises va più a fondo, è più radicale; per lui l’eliminazione della libertà economica trascina con sé la morte di ogni libertà politica:
“Solo l’individuo pensa. Solo l’individuo ragiona. Solo l’individuo agisce”.
E’ questo il principio cardine della dottrina liberale. Cosa sono allora le entità collettive come lo Stato, la nazione, il popolo, la classe o il partito? Che cosa corrisponde a questi concetti?
Afferma Mises:
“Non v’è esistenza e realtà al di fuori delle azioni dei membri individuali; la realtà di un tutto sociale consiste nelle azioni degli individui che lo compongono. Lo Stato non è né freddo né caldo, esso è un concetto astratto nel cui nome agiscono uomini viventi…”
Mises definisce l’economia di mercato come:
“Quel sistema di cooperazione sociale e di divisione del lavoro che è basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione”.
E aggiunge:
“La libera impresa costituisce la caratteristica tipica del capitalismo. Lo scopo di ogni imprenditore – sia industriale che agricoltore – di realizzare profitti”.
Ed è chiaro che in un’economia di mercato sovrani non sono gli imprenditori, sovrani sono i consumatori. Senza calcolo economico non è possible poi alcuna attività economica razionale. Ebbene il socialismo – vale a dire le società che hanno abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione – è la negazione del libero mercato. Negando il mercato, si arriverà ben presto alla negazione della libertà, anche di pensiero. Tutto questo è stato dimostrato, ma anche distorto nei nostri decenni di sbornia finanziaria. La coda del Secolo breve era dorata, oggi rischiamo di affogare se seguitiamo a non trovare soluzioni appropriate ai mali del nostro Tempo alieno, e profondamente opposto ad ogni blanda previsione. Forse il Liberalismo non morirà, ma adesso è così mutato che difficilmente riusciremo a coglierne i frutti del suo cambiamento. Lacerandoci il petto in ricordo del vecchio buon socialismo, ci feriamo col rasoio della storia. L’obiettivo del liberalismo per entrambi gli studiosi? Far rivivere l’ideale dello Stato di diritto. Oggi forti raffiche contrarie a questa tesi avanzano nella melma delle ideologie passate in giudicato.
Friedrich August von Hayek – Economista (Vienna 1899 – Friburgo in Brisgovia, 1992). Esponente di rilievo della scuola economica austriaca, ne ha sviluppato gli indirizzi teorici collegando le teorie dei prezzi, del capitale, del ciclo e della moneta in una visione integrata dei processi di mercato. Nel 1974 gli è stato assegnato, insieme a Gunnar Myrdal, il premio Nobel per l’economia. Direttore dell’Istituto austriaco di ricerche economiche (1927-31), poi emigrato, ha insegnato alla London school of economics (1931-50), su invito di L. Robbins, e nelle univ. di Chicago (1950-52), di Salisburgo e, dal 1977, di Friburgo. H. ha richiamato la centralità del problema del coordinamento intertemporale delle azioni individuali, che risulta dal decentramento delle informazioni e delle scelte e che può essere garantito solo da un sistema dei prezzi che funzioni quale canale di trasmissione delle informazioni da una parte all’altra del sistema. Lo sviluppo di una concezione del sistema economico quale realizzazione di un “ordine spontaneo” si snoda parallelamente alle intense ricerche nel campo della metodologia della scienza: approfondendo l’impostazione soggettivistica tipica della scuola austriaca, H. giunge al rifiuto del cosiddetto “metodo scientifico” applicato alle scienze empiriche e sposta sempre più l’ambito dell’indagine economica dall’oggetto (la teoria del valore, centrale per l’economia classica) al soggetto e ai suoi processi di valutazione della realtà circostante. Opere. Tra i suoi pubblicazioni si ricordano: Geldtheorie und Konjunkturtheorie (1929); Preise und Produktion (1931); Monet ary theory and the trade cycle (1933); Profits, interest and investment (1939); The pure theory of capital (1941); The road to serfdom (1944); Indi vidualism and economic order (1948); The counter-revolution of science/”>science (1952); The constitution of liberty (1960); Studies in philosophy, politics and economics (1967); The confusion of language in political thought (1968); Law, legislation and liberty (3 voll., 1973-79); Denationalisation of money (1976); Choice in currency: a way to stop inflation (1976); New studies in philosophy, politics, economics and history of ideas (1978); The fatal conceit (1988). Ha curato inoltre le edizioni di H. H. Gossen (1927), F. Wieser (1929), K. Menger (1933-36), H. Thorton (1939).
Ludwig von Mises – Economista austriaco naturalizzato statunitense (Leopoli 1881 – New York 1973), fratello di Richard; professore nell’università di Vienna (dal 1913), nell’Istituto superiore di studî internazionali di Ginevra (1934-40) e nell’università di New York (1945-65); fondatore (1926) dell’Österreichisches Institut für Konjunkturforschung. Seguace di E. Böhm Bawerk e di F. Wieser, ha rinnovato, insieme con H. Mayer, la scuola di Vienna, aprendole nuovi orizzonti d’indagine dinamica. È uno dei più noti rappresentanti del neoliberalismo e si è opposto a qualsiasi forma di interventismo. Op. princ.: Theorie des Geldes und der Umlaufsmittel (1912, ed. riv. 1924), dove è data una spiegazione monetaria del ciclo economico; Die Wirtschaftsrechnung in sozialistischen Gemeinwesen (in Archiv für Sozialwissenschaften, 1920; trad. ingl. in Collectivist economic planning a cura di F. A. von Hayek, 1935, a sua volta trad. in it., 1946) in cui è negata la possibilità di impostare razionalmente la pianificazione economica; Die Gemeinwirtschaft. Untersuchungen über den Sozialismus (1922); Liberalismus (1927); Geldwertstabilisierung und Konjunktur politik (1928; trad. it. 1935); Die Ursachen der Wirtschaftskrise (1931); Grundprobleme der Nationalökonomie (1933); Nationalökonomie (1940, in ingl. Human action. A treatise on economics, 1949); Bureaucracy (1944; trad. it. 1991); The anticapitalistic mentality (1956); Theory and history (1957); The ultimate foundation of economic science/”>science (1962).
Source: Libro inviato dall’Editore. Ringraziamo Antonio e Maria dell’Ufficio Stampa “Rubbettino”.
Francesco Saverio Nitti è al centro di questo ciclo di letture; spunti per osservare il passato con la lente del presente. Egli è stato uomo di Stato, Pensatore della libertà e della democrazia. Un uomo che, con l’esilio a Parigi e con la prigionia nell’ultima parte della guerra a opera dei tedeschi, ci ha detto che la libertà non si difende solo con la penna ma anche e soprattutto con l’esempio, con la testimonianza e quando è necessario anche con il sacrificio. Sue queste suggestive parole che denunciano il fascismo come un ritorno alla barbarie, al Medioevo:
Questo libro raccoglie contributi e ragionamenti di un esperto di relazioni internazionali, Giancarlo Elia Valori, il quale a proposito della Brexit – che nel libro è una opzione non ancora convalidata dal voto – scrive:
“Questo volume, organizzato dalla fondazione Masi, si pone l’obiettivo di fornire a studiosi e policy-makers un quadro, il più possibile esaustivo, sui principali cambiamenti in atto nell’economia mondiale e sulle conseguenti implicazioni per le politiche commerciali”.

Tutti i libri raccontano una storia. Questo lo fa attraverso i documenti. Documenti che muovono una grande curiosità di ricerca. Una ricerca che vuole rappresentare sulla carta il comprensorio soveratese. Curato da sei mani, quelle di Angela Maida, Manuela Alessia Pisano e Raffaele Riverso, con i contributi di Gioacchino Lena, Alfredo Ruga, Chiara Raimondo, Giuseppe F. Macrì, Stefano Mariottini, Gregorio Aversa, “Soverato tra mare e terra” è un libro che racchiude in sé la memoria dei luoghi e i luoghi della memoria, insieme ad un amore viscerale per questa minuscola perla del Sud. In quella parte d’Italia dove la Storia sembra essersi dimenticata di passare, anche solo per sbaglio, ci si accorge, invece, che basta guardare sotto i nostri piedi per trovare tracce di un passato lontanissimo. Si cerca e si scopre una prima parte “Saggi”, in cui si sono comodamente sistemati il torrente Beltrame, il fiume Ancinale, la spiaggia, le punte di freccia ritrovate in località Mortara, l’Antefissa in terracotta ritrovata in località Mangiafico, la torre posta a controllo della costa, il pontile in legno. Una seconda parte di “Approfondimenti” dove si sono sistemati i primi viaggiatori stranieri, le tracce di un’antica viabilità, l’antico porto. Per ultime le “Tavole”. La casa editrice Rubbettino decide di dare spazio ad una penna che descrive quello che, diversamente, sarebbe rimasto per sempre chiuso negli uffici. Riaffiora, tra i ricordi scritti, il sindaco della città Camiti che, in quegli anni bloccati tra le due Guerre, finanzia una campagna di scavi. Negli occhi, oggi, tanta cementificazione. Accanto ai resti della grande civiltà magnogreca, testimonianze di antiche produzioni di olio e carte nautiche realizzate sulla scorta dei portolani. E poi le foto aeree realizzate dagli aerei di guerra e i marinai che pescano due anfore antiche. In 173 pagine, pregiate finanche nella grafica, c’è l’intera Soverato. Il suo passato. Il suo presente. La sua storia. La sua memoria. La sua tradizione. Il suo sviluppo. E, sfogliando queste pagine, emerge la speranza degli autori di lasciare un contributo concreto alla comunità soveratese affinché l’interesse e l’amore per questo Sud, troppo spesso dimenticato, affiori, per primi, dagli stessi abitanti.

Di questo nuovo «Grande Gioco», l’ Ucraina è certamente la pedina più considerevole. Lo è per la ricchezza delle sue risorse minerarie (carbone, minerali di ferro, petrolio, enormi riserve non ancora sfruttate di gas metano e petrolio derivati dalla frantumazione del suolo, shale gas e shale oil) e agricole (soprattutto cereali). Risorse che avevano destato l’interesse di Pechino, dichiaratosi disposto nel settembre 2013 a siglare un accordo per l’acquisizione dello sfruttamento di tre milioni di ettari delle fertilissime «terre nere» ucraine e ora poco propenso a schierarsi nel fronte antirusso.























