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:: Un’intervista con il Prof. Eugenio Di Rienzo sulla crisi ucraina. Storia, analisi, previsioni a cura di Giulietta Iannone

13 febbraio 2022

Benvenuto professore Di Rienzo su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa nuova intervista. Tra le sue molte opere è anche l’autore di un libro uscito nel 2015, ormai sette anni fa, Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, edito da Rubbettino, di cui maggiormente ne stiamo scoprendo l’importanza in questi giorni difficili. Dunque le varie tregue, sempre tenuto conto del Donbass, non erano che il preludio dello stallo di questi giorni. Lei essenzialmente, professore, è uno storico, può ricapitolarci sotto il profilo storico la storia dell’Ucraina, per avere una visione di insieme più nitida e lucida?

Quando il territorio dell’Ucraina fu spartito tra l’Impero russo e asburgico, si ebbe una frattura all’interno di questo Paese, poiché la parte nord-est guardò a Kiev, all’Occidente, mentre quella sud-orientale guardò verso la Russia, e ospitò cittadini prevalentemente russofoni. Un altro discorso è invece quello della Crimea, russa dal 1792. Nel 1918, dopo il trattato di pace di Brest-Litovsk tra la Russia guidata dal governo rivoluzionario presieduto da Lenin e gli Imperi centrali, l’Ucraina di Kiev diventa indipendente de jure, ma non de facto, in quanto stato satellite della Germania guglielmina. Dal 1922, l’Ucraina divenne una Repubblica Sovietica, Crimea compresa, la più importante, forse, tra quelle che componevano l’Urss. Nella Seconda Guerra Mondiale, quando il territorio ucraino venne invaso dalle truppe tedesche, si replicò nuovamente questa divisione, l’Ucraina di Kiev tornò ad essere uno Stato satellite della Germania nazista. Addirittura venne formata una Divisione SS composta da cittadini ucraini che combatterono a fianco dei nazisti insieme con la Guardia Nazionale ucraina. È doveroso ricordare che questi due gruppi armati diedero man forte alla persecuzione degli ebrei. Dopo la morte di Stalin, nel 1954, Mosca cedette la Crimea all’Ucraina, che in quel periodo era ancora inglobata nel territorio russo. Fu come un regalo che si fa a una moglie. Tutto rimase in famiglia fino al dicembre 1990 quanto i leader di Bielorussia, Russia e Ucraina dissolsero formalmente l’Urss e costituirono Stati indipendenti insieme a sette altre Repubbliche sovietiche

Rileggendo la sua precedente intervista, (per chi fosse interessato questo è il link ), alla luce dei fatti odierni molte sue affermazioni prendono una nuova luce. Non si può parlare di Ucraina senza parlare di Crimea, e da storico sicuramente ha bene in mente il conflitto combattuto tra il 1853 e il 1856, tra l’allora Impero russo e l’Impero ottomano, la Francia, la Gran Bretagna e il Regno di Sardegna (con il ruolo attivo di Cavour). La vera paura di Putin, secondo lei, è perdere la Crimea (e il conseguente sbocco nel Mar Nero)?

I timori di Putin riguardano l’accerchiamento della Russia da parte della NATO, in gran parte già realizzato e in via di potenziarsi con il prossimo ingresso nell’alleanza di Svezia, Finlandia e Georgia. Naturalmente il Premier russo teme anche la perdita della Crimea, entrata a far parte della Federazione Russa dopo il referendum sull’autodeterminazione, vigilato da osservatori ONU, del 16 marzo 2014, e con essa quella della base navale di Sebastopoli che sola consente, attraverso gli Stretti Turchi, alla Voenno-morskoj Flot l’accesso al Mediterraneo, durante i mesi invernali, restando la gran parte dei porti russi del Mare del Nord e del Baltico gelati e quindi impraticabili in quella stagione. Vorrei ricordare che da Sebastopoli sono partiti truppe, rifornimenti, logistica che hanno consentito alla Forze armate della Federazione Russa di raggiungere la Siria e di spezzare, una volta per tutte, le reni all’autoproclamatosi Stato Islamico, mentre i contingenti americani e NATO si limitarono a osservare lo scontro dalla finestra.

Può parlarci più diffusamente del patto denominato “not one inch” e sulla sua reale tenuta, e sul fatto che nonostante rimase solo verbale (un “accordo tra gentiluomini” che davano valore alla parola data) dalla Russia fu sempre tenuto in seria considerazione e disatteso, nei fatti, dalla NATO.

Nel marzo 2004, l’Unione Europea festeggiò l’allargamento della sua sfera a ben dieci nazioni, di cui quattro (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria) ex membri del Patto di Varsavia e tre (Estonia, Lituania, Lettonia), già parte integrante dell’Urss sia pure per diritto di conquista. Questa espansione non avrebbe avuto nulla d’irrituale se, tra 1999 e 2004, questi stessi Stati, con l’aggiunta di Bulgaria e Romania, non fossero divenuti membri della NATO, un’alleanza che, in ossequio alla sua stessa primitiva ragione sociale, avrebbe dovuto essere sciolta dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Evidentemente Bill Clinton e George W. Bush avevano deciso di non onorare la promessa fatta da George Bush senior a Michail Gorbaciov, quando il Presidente statunitense lo persuase a consentire che la Germania unificata entrasse a far parte della NATO assicurandogli, come contropartita, che la coalizione atlantica non avrebbe esteso la sua presenza oltre la vecchia «cortina di ferro».

Quando cadde il Muro di Berlino e l’Europa orientale cominciò a emanciparsi dal regime comunista, il primo Bush incontrò Gorbaciov nel summit di Malta (2-3 dicembre 1989). I due statisti si accordarono per rilasciare un comunicato congiunto della massima importanza dove, sulla base degli accordi raggiunti durante i colloqui, si concordava sul fatto che l’Unione Sovietica dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun vantaggio strategico dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del Cremlino.

Si trattò di un gentlemen’s agreement che allora non fu formalizzato per iscritto, ma i cui contenuti si possono evincere dal verbale del colloquio tra i due premier, nel punto in cui Bush senior, garantiva il suo interlocutore che i profondi cambiamenti politici in corso non avrebbero danneggiato la posizione internazionale della Russia. L’esistenza del cosiddetto «accordo di Malta» fu poi confermata dalle dichiarazioni del Primo ministro inglese, del Cancelliere tedesco, del Presidente francese e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock.

Più di recente, dopo un lungo periodo di enigmatico silenzio, lo stesso Gorbaciov è tornato su questo punto. Rimproverandosi tardivamente per la passata ingenuità, il penultimo Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica ha espresso il rammarico che quell’impegno sia rimasto un semplice accordo verbale senza trasformarsi in un’esplicita convenzione diplomatica dove si sarebbero potute recepire anche le assicurazioni fornitegli allora dal segretario di Stato, James Baker, subito dopo la caduta del Berliner Mauer, secondo le quali «la giurisdizione della NATO non si sarebbe allargata nemmeno di un pollice verso Oriente». Come tutte le intese sulla parola, l’accordo stipulato nella piccola isola del Mediterraneo può essere sottoposto a molteplici interpretazioni ma non azzerato nella sua sostanza. Il significato storico del compromesso tra Urss e Occidente era tutto nelle parole pronunciate da Baker: da una parte, la Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa orientale e, dall’altra, gli Stati Uniti non avrebbero in alcun modo approfittato di tale concessione per allargare la loro influenza su quel grande spazio e minacciare la sicurezza strategica russa.

Lo spirito di Malta fu poi ancora più profondamente tradito dalle pressioni americane per l’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO, esercitate durante il vertice atlantico di Bucarest dell’aprile 2008, alle quali sarebbe seguita la guerra russo-georgiana. Alcuni governi europei si sforzarono di attenuare il clima di crescente tensione. Nella capitale romena, Berlino arrivò a ritardare la discussione sull’ingresso di Ucraina e Georgia nell’Alleanza Atlantica e più tardi, a Tbilisi, Parigi, dopo l’inizio del conflitto georgiano, riuscì a negoziare un armistizio che permise a Mosca di conservare il controllo dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia.

Nulla e nessuno poterono però impedire prima la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo da Belgrado (febbraio 2008), apertamente favorita da Stati Uniti e Cancellerie occidentali, che costituì un vulnus non rimarginabile per la Russia colpita nel suo antico, storico ruolo di protettrice dell’integrità della Nazione serba, poi l’adesione al Patto Atlantico di Albania e Croazia, che avvenne nel 2009 sotto la presidenza Obama, e infine la ripresa dei negoziati finalizzati a integrare Georgia, Montenegro, Kosovo, Moldavia nella NATO.

Dunque l’entrata dell’Ucraina nella NATO sembra la causa del contendere, mentre una sua neutralità o meglio finlandizzazione sarebbe la soluzione più auspicata. Perché l’Ucraina non abbraccia apertamente questa soluzione?

A mio avviso, Kiev sarebbe disposta ad accettare questa soluzione, a riconoscere l’autonomia delle Repubbliche filorusse del Donbass e a concedere un ininterrotto approvigionamento idrico della Crimea, più volte sospeso in questi ultimi anni, pur di evitare un conflitto con la Federazione Russa e il suo completo crollo economico. Se si analizzano i comunicati diramati dal Governo ucraino, in queste ultime settimane, si vedrà che quei comunicati stigmatizzano con grande decisione le esternazioni statunitensi e britanniche che danno per certa l’invasione russa, dichiarando che tali boatos hanno il solo scopo di innalzare il livello della tensione e rendere impossibile un accordo bilaterale russo-ucraino. Accordo al quale Parigi, Berlino e forse anche Roma stanno lavorando. Resta, però, il fatto che l’Ucraina, divenuta dopo il 2014 un Failed State, completamente dipendente dalle rimesse della finanza americana, è ormai divenuta una «Nazione marionetta», alla quale non è concesso prendere decisioni che non siano avallate da Washington.

In una sua recente intervista accenna alla cosiddetta Maskirovka, anche soprannominata “guerra delle ombre”, adottata dalla Russia, in contrapposizione a una guerra “calda” che gli risulterebbe fatale. Non pensa anche lei che Putin sia l’ultimo a volere una guerra aperta, insomma ha troppo da perdere? O pensa che sia così ingenuo da ritenere che occupando l’Ucraina NATO e Stati Uniti lo lascino fare?

A un osservatore superficiale Putin potrebbe sembrare una sorta di «apprendista stregone». In realtà, il Premier russo ha ben calibrato la sua linea d’azione. Non intende certo arrivare fino a Kiev e si accontenterebbe della neutralità dell’Ucraina, del riconoscimento formale del possesso della Crimea e dell’applicazione degli accordi di Minsk (settembre 2014-febbraio 2015), per quel che riguarda il Donbass dove da 7 anni infuria una sanguinosa guerra civile, del tutto ignorata dai media occidentali, che si è trasformata in guerra contro i civili filorussi. Se tutte le sue richieste saranno respinte, come ormai pare quasi certo, il Cremlino si limiterà, per così dire, a occupare militarmente il Donbass e forse la costa meridionale del Mare d’Azov che assicurerebbe il collegamento terrestre tra Federazione Russa e Crimea. Anche in questo caso la NATO probabilmente non interverrà direttamente in Ucraina. Si avrà solo un incremento delle sanzioni che, però, allo stato attuale, danneggeranno più Francia, Germania, Italia che la Russia. Ma queste sono supposizioni, fatte mentre la partita è ancora aperta. E io sono uno storico, non un profeta.

La Francia di Macron ha cercato una mediazione, e l’Italia, pensa che in qualche modo possa assumere un ruolo di mediatore? Sarebbe ascoltato?

Dato che ormai il Presidente del Consiglio Mario Draghi detta in completa autonomia anche la nostra politica estera, bisognerebbe girare la domanda a lui. Comunque dalle parti della Farnesina credo che qualcosa si stia muovendo, come dimostrano i colloqui tra Draghi e Macron. Anche se un Paese, come il nostro, che ha rinunciato ad avere un’autonoma politica estera dal 2011, non potrà certo essere l’attore principale della trattativa.

Quali sono le richieste russe, che il ministro degli esteri russo Lavrov ha detto che sono state disattese? Sono richieste fattibili?

Mi sembra di averle già elencate. Comunque, la finlandizzazione dell’Ucraina, già auspicata da Kissinger nel 2014, sarebbe del tutto fattibile, se non gli fosse d’ostacolo la hỳbris degli Stati Uniti.

Il fronte NATO e quello dell’UE è diviso, questo mi sembra un punto di debolezza difficilmente mediabile, la Russia in che modo approfitta di questa crepa?

I Big Three della NATO e dell’UE (Italia, Francia, Germania), sono contrari alla politica aggressiva contro Mosca a cui sono propensi invece, Stati Uniti, Regno Unito, Polonia e Stati baltici, sia perché la Federazione Russa è un loro importantissimo partner commerciale sia per la dipendenza energetica dalla Grande Nazione Euroasiatica sia ancora per le loro difficoltà interne. Ma lo sono anche, seppur in misura meno evidente, Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia. Mosca spera che questa crepa si trasformi in frattura. Si tratta al momento, però, di una speranza poco realizzabile considerata la forte egemonia politica, economica e finanziaria americana sul Vecchio Continente, e la presenza di un forte partito amerikano, in una parte delle classi dirigenti europee, fanaticamente atlantiste che scambiano ancora, per insipienza o per malafede, la Russia di Putin con quella di Stalin.

Come ultima domanda le chiedo che ruolo sta avendo la Cina in questa crisi? Sta a guardare per intervenire, magari, al fianco della Russia? Non è un pericolo troppo grande da non tenere in debito conto?

Se si arrivasse alla guerra guerreggiata in Ucraina, Pechino invaderebbe immediatamente Taiwan, il conflitto diverrebbe globale e gli Stati Uniti dovrebbero battersi su due fronti. In questo caso credo che Washington non si limiterebbe all’uso di armi convenzionali e si potrebbe arrivare (Dio non voglia!) all’Armageddon nucleare.

Grazie del suo tempo e delle sue risposte, invito i nostri lettori anche a leggere, se ancora non lo hanno fatto, il suo libro Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale per approfondire l’argomento.

Roma, 13 Febbraio 2022

:: Un’intervista con Eugenio Di Rienzo a cura di Giulietta Iannone

8 giugno 2015

conflitto russo-ucrainoBenvenuto professore Di Rienzo su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa intervista. È docente di Storia moderna alla “Sapienza” di Roma e direttore della Nuova Rivista Storica oltre che membro del comitato scientifico di Geopolitica. Ci parli del suo libro, Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, edito da Rubbettino, un testo breve se vogliamo ma denso di concetti e riflessioni. Ha sentito la necessità di fare chiarezza su un conflitto ancora in atto, nonostante la tregua, alle porte dell’Europa. Pensa abbia similitudini con la Guerra civile nell’Ex Jugoslavia?

Ormai purtroppo le similitudini sono evidenti. Siamo di fronte ad un conflitto intestino che si sviluppa in una delle aree-chiave dell’Eurasia. Una guerra fratricida aggravata dall’ingerenza di altre Potenze: Federazione Russa, Usa, Canada, il fronte nord-est dei Paesi Nato (Polonia, Repubbliche Baltiche, Danimarca, Norvegia), Regno Unito, e ora anche, potenzialmente, Nazioni non integrate nell’Alleanza atlantica, come Svezia e Finlandia. Una guerra civile che ha visto il prepotente ritorno sulla scena del combattente irregolare: guerrigliero, foreign fighter, contractor, terrorista. Una guerra che, come tutte le guerre civili, si è trasformata in una “guerra ai civili”, nel silenzio del sistema dei media occidentali.

La rivoluzione di Majdan Nezaležnosti evidenzia senza mezzi termini il tentativo degli Stati Uniti di spingere l’Ucraina verso la Nato, questa è la tesi che sostiene nel suo saggio, pensa che questo modo di agire sia vitale per gli USA e soprattutto condiviso all’interno dell’establishment governativo statunitense?

Il comportamento di Washington, per parafrasare una famosa frase di Talleyrand, è “peggio di un crimine”, è un “errore” che sarà fatale soprattutto all’Europa. Il tentativo di erigere un ordine mondiale unipolare, sbarazzandosi di un potenziale antagonista, come la Russia, prima di arrivare alla resa dei conti finale con la Cina, sembra l’unica ratio che guida l’amministrazione Obama. Si è ottenuto però l’effetto contrario: costringere Mosca ad un’innaturale alleanza con Pechino.

La deposizione del presidente filorusso dell’Ucraina Victor Janukovyč viene considerata senza mezzi termini da Putin un colpo di stato. Insomma rientra in un più ampio atto di aggressione contro la Russia da parte europea e americana. Crede possibile un ripristinarsi delle condizioni che hanno dato origine alla Guerra Fredda? A chi converrebbe davvero che si ripresentassero?

Con il sempre più forte processo di riarmo portato avanti dalla Nato, ormai in gran parte succube della strategia aggressiva degli Usa, e dalla Federazione Russa siamo ritornati apparentemente a una nuova Guerra fredda. Dico apparentemente, perché ora, diversamente che nel passato, Stati Uniti e Nato sono all’attacco, mentre la Russia è in difesa.  L’ingerenza russa nei fatti ucraini, incluso l’invio di militari “senza stellette”,  per appoggiare le milizie del Donbass, è un fatto indiscutibile ma si è trattata comunque di una reazione comprensibile e legittima, direi. Un’offensiva tattica che nasconde una difesa strategica (pensiamo al peso geostrategico della Crimea). Perché la Russia, dal crollo dell’Urss, è indubbiamente sulla difensiva nella politica mondiale. Troppo facile è accusare il revanscismo di Putin o l’imperialismo russo. A innescare il circolo vizioso della crisi e precipitare l’Ucraina in un conflitto fratricida è stato l’espansionismo occidentale. Quest’espansionismo, ingiustificato e animato più da hybris che reali necessità strategiche, rischia di portare il mondo a uno scontro tra Potenze nucleari. Cui prodest tutto ciò? A nessuno direi, e neppure all’incontrollata volontà di potenza americana. Non certo all’Europa che pagherà l’isolamento economico e diplomatico dalla Russia a un prezzo altissimo.

Uno dei punti nodali del suo saggio è l’estrema debolezza della politica estera dell’Unione Europea, ancora troppo condizionata dagli interessi e dalle decisioni USA. Si arriverà mai a un totale affrancamento, e soprattutto alla creazione di una reale politica estera condivisa, (ora sembra che la cancelleria di Berlino sia l’unico portavoce) ci sono tentativi in merito?

Esiste un fronte dialogante con Mosca, all’interno dell’Unione Europea e della Nato, costituito da Francia, Germania e Italia, che potrebbe attirare nella sua orbita anche altri Paesi dell’Eurozona (Spagna, Grecia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca), se solo Berlino si decidesse a prendere, di fatto, la guida dell’Unione. C’è urgente bisogno di un nuovo Bismarck che dica, a voce alta: “Mai contro la Russia!”. Purtroppo il ricordo dell’avventura nazista pesa ancora troppo sulla coscienza tedesca perché questo avvenga, mentre Parigi e Roma possano aspirare solo a ricoprire il ruolo di junior partner di Berlino.

L’epigrafe del libro, la citazione all’inizio del saggio, riporta le parole di Vladimir Putin espresse il 18 marzo 2014 sulla necessità di “rifiutare la retorica della Guerra Fredda” e soprattutto di considerare che la Russia  “ha i suoi propri peculiari interessi che devono essere tenuti nel debito conto e rigorosamente rispettati”, lamentandosi del comportamento di Stati Uniti e l’Europa occidentale che costringono le organizzazioni internazionali (vedi ONU) a “emettere risoluzioni che ne giustifichino le azioni, ma se queste non agiscono in loro favore, essi semplicemente ignorano le decisioni”. Affermazioni abbastanza esplicite, secondo lei quanto c’è di verità, oltre la retorica politica?

Molta più verità che propaganda.

La politica delle sanzioni in che misura danneggia realmente la Russia, o sono più le ripercussioni negative sulla gia affaticata economia europea? Gli USA da questo, secondo lei, ne traggono vantaggio?

Il crollo dell’economia russa, a causa delle sanzioni, non è avvenuto e anzi queste e le ritorsioni economiche russe hanno gravemente danneggiato l’Europa (in particolare Italia e Germania). Ciò detto, bisogna aggiungere che l’economia russa, ancora troppo dipendente dalla vendita di gas e petrolio, arretrata e sofferente nel settore agricolo e in quello dei beni di consumo, resta fragile. Per tornare ai danni subiti dall’UE a causa della politica sanzionista, è evidente che un’Europa debole, messa in stato di scacco e ostacolata dallo sviluppare tutto il suo immenso potenziale economico, da Lisbona a Vladivostok,  non può che convenire a Washinton.

La crisi ucraina è divenuta ora anche la crisi del fronte euro-atlantico, della lunga entente cordiale tra Vecchio Continente e Stati Uniti” dice in una recente intervista, può esplicitare meglio questo concetto?

Credo che i più forti e autorevoli partner politici e militari degli Usa, con l’eccezione di Londra, non abbiano nessuna voglia di “morire per Kiev”, dopo aver visto i loro uomini morire invano per Bagdad e Kabul. In Francia e in Italia, l’insofferenza degli ambienti militari per l’avventurismo statunitense è ormai è palpabile.

Nel suo saggio cita spesso Kissinger e la sua visione pragmatica e realistica dei rapporti internazionali.  Secondo il suo pensiero l’avventata profezia della “morte della storia” formulata da Francis Fukuyama si è rivelata senza fondamento ovvero la nascita di un “nuovo ordine mondiale”, improntato ai principi di una governance planetaria, democratica e partecipativa”, non si è avverata. Anzi ci orientiamo verso “un’ evoluzione della carta politica del pianeta in ‘sfere d’influenza’ egemonizzate da Stati diversi e da diverse forme di governo, ai cui margini ciascuna sfera sarebbe tentata di testare la sua forza contro altri soggetti ritenuti illegittimi”. Concludendo che c’è una differenza insopprimibile tra un ordine mondiale ‘eversivo dello status quo internazionale’, promosso oggi dal Global Democratic Revolutionary Power statunitense, e uno ‘legittimo’ che trova la sua ragion d’essere nel ripudio dell’uso della forza e che agisce nello spazio e nel tempo del possibile segnato dalla realpolitik, in nome del rispetto degli obblighi condivisi. Pensa che il suo pensiero sia tenuto ancora in debita considerazione almeno in qualche frangia dell’amministrazione Obama?

Kissinger, purtroppo, è per l’amministrazione Obama solo una fastidiosa Cassandra. A Washington sembra prevalere la lezione dei Falchi neoconservatori, troskisti in gioventù, che ora hanno rimodulato il dogma della “rivoluzione permanente” sotto il segno dell’interventismo democratico. Nell’imbroglio ucraino, me lo lasci, dire, solo i conservatori, nel campo intellettuale, hanno conservato un minimo di lucidità… e penso alle posizioni di Franco Cardini e Sergio Romano. Su quello politico di grande ragionevolezza e coraggio sono state le posizioni di Berlusconi, Napolitano, Prodi. Onore al merito!

Nel 2016 terminerà l’amministrazione Obama, si affaccia l’ipotesi Hillay Clinton. Se vincesse le elezioni pensa ci sarebbero le premesse per un reale mutamento della politica estera? O gli interessi USA sono troppo legati a un indebolimento della Russia? Che prospettive per la risoluzione della crisi russo-ucraina?

La politica Usa, come quella di tutte le Potenze imperiali, è sempre eguale a se stessa, a prescindere dagli attori che si muovono sul palcoscenico della politica internazionale. Detto questo, io temo che l’ascesa della Clinton possa portare a una politica estera ancora più assertiva di quella di Obama. D’altra parte la politica estera democratica è solo un mito, uno specchietto per le allodole inventato dalla parte più forte.

Recensione a “Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale“, Eugenio Di Rienzo (Rubbettino, 2015) qui

:: Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, Eugenio Di Rienzo (Rubbettino, 2015) a cura di Giulietta Iannone

7 aprile 2015

conflitto russo-ucrainoDi questo nuovo «Grande Gioco», l’ Ucraina è certamente la pedina più considerevole. Lo è per la ricchezza delle sue risorse minerarie (carbone, minerali di ferro, petrolio, enormi riserve non ancora sfruttate di gas metano e petrolio derivati dalla frantumazione del suolo, shale gas e shale oil) e agricole (soprattutto cereali). Risorse che avevano destato l’interesse di Pechino, dichiaratosi disposto nel settembre 2013 a siglare un accordo per l’acquisizione dello sfruttamento di tre milioni di ettari delle fertilissime «terre nere» ucraine e ora poco propenso a schierarsi nel fronte antirusso.
Lo è per il passaggio nel suo territorio di circa quarantamila chilometri di gasdotti che la collegano alla Russia e all’area del Mar Caspio (Turkmenistan, Kazakistan, Azerbaigian e Uzbekistan).
Lo è per la cruciale rilevanza della sua posizione geopolitica da cui dipende strettamente la sicurezza nazionale russa poiché lo spazio ucraino, insieme alla Bielorussia, costituisce l’intercapedine strategica che separa a occidente la Russia dal sempre più minaccioso schieramento dei Paesi NATO.

I fatti (recenti): dopo manifestazioni di piazza, iniziate in Ucraina la notte del 21 novembre 2013, (dopo la sospensione da parte del Governo Ucraino di un accordo denominato DCFTA tra l’Ucraina e l’Unione europea) il presidente Viktor Janukovyč, filorusso ma democraticamente eletto, tra la notte di venerdì 20 e sabato 21 febbraio 2014 fugge e lascia l’Ucraina rifugiandosi in Russia[1].  Deposto Janukovyč la notte del 22-23 febbraio 2014 viene in seguito istituito il governo del nuovo Primo Ministro ad interim, presieduto da uno dei leader delle proteste, Arseniy Yatsenyuk. Il governo locale della Crimea, la cui popolazione e a maggioranza di etnia russa, a seguito di questi fatti ritenuti illegittimi, rifiuta di riconoscere il nuovo governo. L’11 marzo Crimea e Sebastopoli si dichiarano unilateralmente indipendenti, con 78 voti favorevoli su 100 al Parlamento della Crimea. Il 15 maggio viene proclamato un referendum, il cui esito (che raggiunge quasi il 97% dei consensi), è a favore del ricongiungimento della Repubblica autonoma di Crimea con la Russia come soggetto federale della Federazione Russa. (Dal 25 maggio 2014 il Presidente dell’Ucraina è Petro Oleksijovyč Porošenko). E’ l’inizio di una sorta di guerra civile tra governativi e separatisti filorussi a cui gli accordi di Minsk-2 pongono il cessate il fuoco, valido dal 15 febbraio 2015, che tra alti e bassi regge fino a oggi.
Ecco in sintesi cosa è successo negli ultimi (confusi) mesi, tutto all’interno di un quadro geopolitico di grande instabilità, che sembra porre da un lato l’Unione Europea, (appoggiata dagli USA) e dall’altra la Federazione Russa. Tra i due l’Ucraina come oggetto del contendere. Assistendo ai telegiornali, leggendo i quotidiani, approfondendo notizie su Internet, il quadro che si delinea non è molto più chiaro.
Ma chi sono i cattivi, gli aggressori? Chi si sta difendendo? Cosa sta davvero accadendo e quali saranno le reali ripercussioni su di noi? (A molti di tutto ciò importa sapere se il prossimo inverno avremo ancora gas sufficiente, e non è una osservazione unicamente utilitaristica, ma sottolinea l’interconnessione tra Europa e Russia, e quanto questi legami siano non solo strategicamente rilevanti, ma anche vitali).
Per rispondere a queste domande, e per accrescere la nostra coscienza critica, vi consiglio la lettura de Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, del professore di Storia moderna alla “Sapienza” di Roma Eugenio Di Rienzo, edito da Rubbettino editore.
Un testo essenziale e se vogliamo anche breve, non più di un’ ottantina di pagine reali, alle quali si aggiungono note e apparato bibliografico. Un testo specialistico, scritto da un osservatore autorevole, ma non unicamente per addetti ai lavori, anzi il linguaggio chiaro e schematico lo rende allo stesso tempo anche un ottimo testo divulgativo.
Io dal canto mio non farò una recensione specialistica, rimando questo ad altre sedi, ciò che invece mi preme fare è un’analisi, la più chiara e semplice possibile, perché la politologia non è unicamente una scienza astratta, ma anzi ci tocca molto da vicino ed è bene assumere i giusti anticorpi per non essere manipolati o condizionati, quando in ballo ci sono bene o male anche i nostri interessi specifici.
Una guerra, (per di più nel cuore slavo dell’Europa orientale), le sanzioni, con i conseguenti danni economici con ripercussioni ramificate, l’ incertezza geopolitica che si ripercuote negativamente non solo sulle regioni e i paesi coinvolti, bene o male sono problemi di tutti, che incidono anche pesantemente sulla nostra vita quotidiana, in un mondo sempre più globalizzato e correlato.
In un quadro di crisi finanziaria e economica piuttosto diffusa, la rottura di rapporti commerciali significa debolezza per alcune aziende, (che prima esportavano quantità ingenti di beni e prodotti in Russia), le succitate limitazioni alle forniture di gas di cui l’Europa è debitrice (circa il 15% del gas consumato in Europa passa per l’Ucraina[2]) circa 40.000 chilometri di gasdotti la collegano alla Russia e alla zona del Mar Caspio e che soddisfano il 25-31% dei bisogni energetici dell’UE (e il 43% dell’Italia), la carenza di beni e servizi, anche solo l’insicurezza nei trasporti, insomma non solo teoriche problematiche astratte. E’ bene quindi capire a cosa andiamo incontro, con le nostre scelte e anche solo con le nostre (disinformate) opinioni.
Di Rienzo ha il pregio di non abbracciare una tesi a discapito di un’ altra, solo perché è la più diffusa (dai mass media) o conveniente, ma anzi si interroga, ponendo uno accanto all’altro i fatti, coadiuvato dalle riflessioni di importanti esperti di politica e economia, tra gli altri il pensiero di Henry Kissinger (non certo un sinistrorso) trova largo spazio a dimostrazione che la sua analisi non può essere tacciata di antiamericanismo o antioccidentalismo tout court. Anzi le conclusioni a cui perviene Di Rienzo sono relativamente condivise anche negli USA, e diffuse da riviste di settore.
Innanzitutto, scavando a fondo, per capire le origini, più o meno manifeste di questo conflitto, Di Rienzo sottolinea come origine di tutto sia individuabile nel tentativo degli Stati Uniti di spingere l’Ucraina nella NATO violando gli stessi accordi, (già ampiamente violati) di rinunciare formalmente a qualsiasi forma di espansione dell’Alleanza Atlantica verso est. Questa sorta di peccato originale ha prodotto a cascata tutta una serie di ripercussioni (negative) che inficiano anche oggi i pur sinceri e onesti sforzi intrapresi per la negoziazione di una pace duratura. Da guerra di aggressione quindi in giusta prospettiva può essere declassata a guerra di difesa? Difesa di interessi strategici, economici, politici da parte russa, opposti a quelli occidentali, in un tentativo, di quest’ultimi, quasi grottesco di ricreazione di una sorta di guerra fredda, anacronistica e inopportuna.
Si evincono poi altri punti nodali come la debolezza dell’Unione Europea in politica estera, (ancora troppo influenzata dagli interessi e dalle decisioni USA), fatto che di per sé può essere giudicato poco influente, quando invece mette a rischio gli equilibri generali in modo esponenziale, (pensiamo solo al fatto che Putin era pronto ad usare l’atomica durante la crisi in Crimea) e l’azione di movimenti nazionalisti di estrema destra tra le file governative ucraine, in funzione antirussa, (e qui pensiamo ai bizantinismi dell’Occidente, tesi a giustificarli in funzione democratica).
Insomma il quadro è complesso, ma meno oscuro. Rimando quindi alla vostra lettura del testo, e ai vari approfondimenti, suggeriti dalla abbondante bibliografia. Sarete, dopo, se non altro più consapevoli, e questo è già di per sé molto.

Intervista al professor Di Rienzo: qui

[1] http://tv.ilfattoquotidiano.it/2014/02/23/ucraina-fuga-in-elicottero-di-yanukovich-che-lascia-kiev/267182/

[2] http://www.unita.it/ambiente/russia-taglia-gas-all-ucraina-br-e-ora-trema-anche-l-europa-1.575257