Archive for the ‘Segnalazioni’ Category

:: Wang Yinglin – Il Classico dei Tre Caratteri

10 settembre 2025

Il Classico dei Tre Caratteri – che viene qui presentato in questa nuova traduzione dall’antico cinese a cura di Teresa Spada – rappresenta un unicum nell’ambito della letteratura cinese: dalla metà del XIII secolo fino agli anni Cinquanta del ’900, è stato usato come “la” guida per eccellenza per iniziare i bambini allo studio della lingua e ai fondamenti della cultura nazionale.

In queste 90 Rime – costituite da versi di soli tra caratteri – si trova sia un concentrato dei valori confuciani, fondamento della cultura cinese, sia nozioni storiche sul susseguirsi delle dinastie e aneddoti esemplari di buon governo, oltre a numerosi esempi di eccellenti studenti che si sono distinti per le loro buone qualità e per la loro perseveranza nello studio.

La tradizione orale di recitare e declamare ad alta voce Il Classico dei Tre Caratteri ne assicurò la straordinaria popolarità e la sopravvivenza attraverso i secoli interrotta soltanto durante gli anni della Rivoluzione Culturale (1966-1976 ca.), sulla scia dei movimenti per il rinnovamento della letteratura e dei moti rivoluzionari studenteschi; solo nel 1984 una commissione nazionale istituita con lo scopo di recuperare e ripubblicare i testi che sono parte del patrimonio culturale del Paese, ha restituito al Classico dei Tre Caratteri il suo antico valore.

Leggere questa nuova traduzione permette di cogliere aspetti millenari della cultura cinese, apprezzando al meglio le tante sfaccettature di una società continuamente in bilico tra passato e futuro, tradizione e modernità, nazionalismo e globalizzazione.

Wang Yinglin (1223-1296), proveniente da Qingyuan (oggi Ningbo, Zhejiang) è stato un autore poliedrico, letterato ed enciclopedista della dinastia dei Song Meridionali (1127-1279). Giovanissimo, si dedicò allo studio e iniziò una brillante carriera letteraria, superando con successo tutti gli esami imperiali e divenendo Ministro dei Riti e Censore imperiale nel 1256. A lui va il merito di aver compilato alcuni dei più importanti testi didattici dell’epoca e di aver commentato numerosi classici della letteratura cinese. Dopo la caduta della dinastia Song, deluso dalla situazione politica e sociale, si ritirò nella città natale dove continuò a insegnare privatamente. Molto di quanto ha scritto è entrato nel corpus letterario dell’ortodossia di Stato anche sotto le dinastie successive.

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:: Il canto dei cuori ribelli di Thrity Umrigar

6 settembre 2025

Aveva quattordici anni Smita quando con la sua famiglia ha dovuto lasciare l’India in circostanze drammatiche. Una volta al sicuro in America, ha scacciato dal cuore la nostalgia per i crepuscoli aranciati e il profumo inebriante dei cibi che il padre le comprava dai venditori ambulanti e giurato a se stessa che mai più sarebbe tornata in quei luoghi che l’avevano così profondamente ferita.
Ma anni dopo si ritrova a dover accettare con riluttanza l’incarico di coprire una storia di cronaca a Mumbai, per il suo giornale. Seguendo il caso di Meena – una giovane donna sfigurata brutalmente dai suoi fratelli e dai membri del suo villaggio per aver sposato un uomo di un’altra religione – Smita si ritrova di nuovo faccia a faccia con una società che appena fuori dallo skyline luccicante delle metropoli le pare cristallizzata in un eterno Medioevo, in cui le tradizioni hanno più valore del cuore del singolo, e con una storia che minaccia di portare alla luce tutti i dolorosi segreti del suo passato. Eppure, a poco a poco le sue difese cominciano a vacillare, i ricordi a riaffiorare e la passione a fare nuovamente breccia in lei…
Sullo sfondo di un meraviglioso Paese sospeso tra modernità e oscurantismo, in un crescendo di tensione, due donne coraggiose e diversamente ribelli si confrontano con le conseguenze di due opposti concetti di onore e di libertà, in una storia indimenticabile di tradimento, sacrificio, devozione, speranza e invincibile amore.

Thrity Umrigar è una pluripremiata autrice di bestseller, celebrata da icone come Salman Rushdie e Reese Witherspoon, e collabora con importanti testate come New York Times , Washington Post , Boston Globe . È inoltre docente di scrittura creativa e letteratura alla Case Western Reserve University. Pubblicato in dodici lingue, Il canto dei cuori ribelli è uno straordinario successo di pubblico e critica.

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:: Scrivere di Marguerite Duras

5 settembre 2025

Un testo introvabile, un libro cult per intere generazioni di scrittori: un vero e proprio testamento letterario in cui Marguerite Duras ci porta al cuore del suo immaginario, regalandoci una testimonianza unica sulla vita e la scrittura, il rapporto con i suoi libri e i film, la guerra e la solitudine.

Scrivere è urlare senza fare rumore, è solitudine, scrivere è soprattutto il dubbio. Mossa da questi pensieri, Marguerite Duras decide di ripercorrere le tracce dell’atto creativo, un atto che per lei è sempre stato ragione di vita. I cinque testi qui raccolti compongono un ritratto cangiante e frammentato, che rivela il nucleo della poetica di Duras: la passione per la parola, la meditazione sulla morte e, soprattutto, il desiderio di una purezza anelata, eppure così difficile da afferrare, perché la scrittura è emozione carnale, imprevedibilità. Intimo e militante, Scrivere è il testamento letterario di Duras. Un libro di culto, l’indagine artistica di un’autrice che fino all’ultimo interroga le ragioni che l’hanno condotta verso la pagina. E che, in un dialogo incessante con la propria sensibilità e le proprie aspirazioni, scopre un luogo dell’anima, un’attitudine, la postura esistenziale che ha riempito di senso ogni suo gesto.

Marguerite Duras (Saigon, 1914-Parigi, 1996) ha vissuto in Vietnam fino ai diciotto anni. Rientrata in Francia nel 1932, ha preso parte alla Resistenza e ha militato nel dopoguerra nelle file del Partito Comunista Francese, da cui è stata espulsa come dissidente nel 1950. È autrice di romanzi e sceneggiature, come quella di Hiroshima Mon Amour di Alain Resnais, e ha diretto numerosi film, tra cui India Song (1974) e Les enfants (1984). Con L’amante ha vinto il Premio Goncourt nel 1984.

In libreria dal 12 settembre con la nuova traduzione di Chiara Manfrinato e la prefazione di Gaia Manzini.

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:: Il sogno della camera rossa di Ts’ao Hsüeh-ch’in (Trad. Edoarda Masi)

4 settembre 2025

Una grande comunità matriarcale in cui si muovono, con l’eleganza di miniature, fanciulle fortunate o sfortunate, serve o padrone, mogli o concubine. Un’atmosfera rarefatta in cui, allegre o dolenti, fluttuano figure eteree, tra spettacoli e indovinelli, visite all’imperatore ed elaborati culti religiosi. Attraverso l’aura fiabesca il lettore occidentale però scopre attonito la realtà di una società complessa, imbrigliata dalla burocrazia, sottoposta a un rigido codice d’onore e vincolata a convenienze e usi immutabili, destinati a far soffrire. Fra i tanti personaggi a metà tra figurine e individui, compare Pao-yü, il protagonista, il “diverso”, che tira a sé le fila della narrazione e regge, come il principe Myskin nell’Idiota di Dostoevskij, gli equilibri precari dell’esistenza che, suo malgrado, si trova a vivere.

Un libro che nella Cina del 1765 riuscì a raccontare l’amore tra gli adolescenti; un libro che mise in scena idee che fondono pietre per riparare la volta celeste, fiori che promettono di restituire in forma di lacrime l’acqua con la quale sono stati coltivati, bambini che nascono con in bocca una giada. Questo libro, considerato uno dei massimi capolavori della narrativa cinese della dinastia Ching, è “Il sogno della camera rossa”. Con i suoi circa 450 personaggi che ruotano intorno al destino di Pao-yu, di sua cugina Tai-yu e di Po-ch’ai, in un mulinare continuo di sortilegi che attingono alla tradizione taoista, al sogno e all’allegoria metafisica, questo libro enciclopedico e commovente è un esempio di narrazione unica nel suo genere.

Edoarda Masi (Roma, 21 settembre 1927 – Milano, 5 luglio 2011) è stata una sinologa, saggista e traduttrice italiana, specializzata nella cultura della Cina e nella lingua cinese.

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:: La Cina è un’aragosta di Giada Messetti

4 settembre 2025

«Cinquant’anni fa sarebbe stato impossibile immaginare la Cina di oggi» sostiene Giada Messetti. E questo perché, come afferma un suo amico cinese, «la Cina è un’aragosta». L’immagine è particolarmente azzeccata perché come l’aragosta, che crescendo è costretta ad abbandonare il vecchio carapace e ad aspettare, vulnerabile, che se ne formi uno nuovo, anche la Cina di oggi sta vivendo una fase di muta faticosa e complessa. Dopo aver raccontato nei suoi saggi precedenti l’attualità e le dinamiche culturali del Celeste Impero, in questo nuovo libro Giada Messetti si concentra sulla società cinese. Durante i suoi ultimi viaggi, avvenuti dopo la riapertura delle frontiere, ha incontrato molte persone di diversa provenienza ed estrazione sociale. Ha così potuto appurare sul campo quante cose siano cambiate nella vita quotidiana dei cinesi: dall’atteggiamento dei giovani verso il lavoro e il loro futuro, alla nuova consapevolezza delle donne riguardo la famiglia e il loro ruolo tradizionale, fino alla voglia degli anziani di godersi gli anni della pensione. Ma non solo, statistiche alla mano, ha fotografato l’evoluzione di abitudini e stili di vita e ha potuto constatare quanto sia ormai generale l’attenzione all’ambiente: il cielo sopra Pechino è finalmente azzurro, segno di una vera svolta green. Una testimonianza di prima mano, non ideologica e quindi preziosa, proprio quella che serve per contrastare gli stereotipi ancora troppo diffusi in Occidente. Perché il Dragone, benché al momento soffra di seri problemi interni, come l’invecchiamento della popolazione, il rallentamento della crescita, la disoccupazione giovanile e la crisi immobiliare, è ancora in ascesa e capace di ridefinire le dinamiche economiche e geopolitiche del mondo. Perciò tentare di comprenderne le contraddizioni e le sfumature, in questo momento storico di grandi cambiamenti, è davvero cruciale.

Giada Messetti, originaria di Gemona del Friuli (UD), ha vissuto a lungo in Cina. Sinologa e autrice di programmi televisivi e radiofonici per Rai, Mediaset e La7, è divulgatrice e opinionista su temi relativi alla Cina in televisione, in teatro, in radio, in convegni e festival, su quotidiani e periodici. Ha ideato, scritto e co-condotto il programma televisivo “CinAmerica” sulla sfida tra Cina e Stati Uniti, andato in onda su Rai3 e ora disponibile su Raiplay. Per Mondadori ha pubblicato i saggi Nella testa del Dragone (2020) e La Cina è già qui (2022). Con La Cina è un’aragosta (2025) chiude un’ideale trilogia.

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:: Memoria rossa di Tania Branigan dal 10 settembre

2 settembre 2025

«Bello e illuminante. La Rivoluzione culturale di Mao viene rappresentata senza trascurare tutto il dolore e l’agonia che l’hanno accompagnata.» – Margaret Atwood

Carnefici e vittime, rancori irrisolti e colpe da espiare: è il lascito della Rivoluzione culturale, il movimento che, tra il 1966 e il 1976, sradicò tradizioni millenarie e diede vita alla Cina di oggi. Un decennio in cui nessuno rimaneva a lungo innocente o colpevole e l’unica verità, volubile e incerta, era il pensiero di Mao, che regolava ogni sfaccettatura della vita quotidiana. Tania Branigan ha incontrato e intervistato decine di sopravvissuti, pronti a ricordare ciò che lo stato cinese vorrebbe rimuovere. Un avvocato che da bambino denunciò la madre, colpevole di aver criticato Mao tra le mura di casa. Un compositore di Pechino deportato, torturato e poi riabilitato. Un’anziana di Chongqing che racconta la giovinezza che non ha mai vissuto, perché è stata costretta a trasferirsi nella miseria delle campagne. Il vedovo della professoressa Bian, uccisa dalle sue studentesse nell’Agosto rosso, e Song Binbin, la sua carnefice, che fu acclamata da Mao e oggi cerca di scagionarsi. Un coro dissonante di voci che ricostruiscono il passato e illuminano il presente della Cina di Xi Jinping: un regime prospero che mantiene il controllo assoluto sui suoi sottoposti, ma oggi alla delazione preferisce telecamere e software di riconoscimento facciale. E costringe i cittadini a ignorare le macerie della storia. Ma è possibile cancellare un ricordo traumatico? È sufficiente il benessere economico per dimenticare ferite così profonde? Unendo al rigore del grande reportage l’empatia della romanziera, Branigan racconta le derive pericolose di un paese che ha seppellito il suo passato: un destino da cui nessuno può sentirsi immune, nemmeno un Occidente che non vuole vedere lo sgretolarsi dei suoi valori democratici.

Tania Branigan è una giornalista britannica. Tra le voci più importanti del Guardian per gli esteri, si è occupata a lungo di Cina, paese in cui ha vissuto sette anni come corrispondente. Suoi scritti sono apparsi anche sul Washington Post. Memoria rossa, finalista al Baillie Gifford Prize, è il suo primo libro.

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:: “Una suora all’inferno – Lettere dal carcere a Gervasia Asioli” di Gabriele Moroni e Emanuele Roncalli in libreria dal 5 settembre

1 settembre 2025
Abbiamo celle da tre posti con dentro anche nove, dieci detenuti, è disumano. Io sono per l’indulto. Ci vogliono le pene alternative, altro che carcere! Ho conosciuto brigatisti, truffatori, ladri, assassini, pedofili, rapinatori, e io assolvo tutti, buoni e cattivi. A giudicarci ci penserà Gesù nell’aldilà suor Gervasia Asioli

Bologna, 27 agosto 2025 – Chi era davvero suor Gervasia Asioli, la “suora postina” di Rebibbia, la “mamma dei detenuti”, come la chiamavano in tanti? A rispondere è il nuovo volume in uscita per Marietti1820 venerdì 5 settembre, Una suora all’inferno. Lettere dal carcere a suor Gervasia Asioli, che raccoglie un’eccezionale selezione di lettere scritte da carcerati – pluriomicidi, ex terroristi, boss mafiosi, detenuti comuni – a una religiosa radicalmente diversa da ogni stereotipo.
Curato da Gabriele Moroni ed Emanuele Roncalli, con prefazione della magistrata e deputata Simonetta Matone, il libro apre uno squarcio inedito sulla spiritualità e sull’umanità reclusa nelle celle italiane tra gli anni Settanta e i primi Duemila. Nelle lettere, spesso strazianti, a volte poetiche o intrise di sarcasmo, emerge il ritratto di una donna capace di vivere il Vangelo accanto ai più dimenticati: non giudicava, non chiedeva cosa avessero fatto. Si preoccupava solo di alleviarne le sofferenze.
Religiosa delle orsoline, insegnante in scuole d’élite, Gervasia lasciò la cattedra per dedicarsi completamente a emarginati, tossicodipendenti, rom e detenuti. Ogni sabato si recava in carcere, spesso in autostop, per portare sigarette, vangeli, parole, abbracci. E riceveva centinaia di lettere: confessioni intime, racconti di disperazione, desideri di riscatto. A volte anche solo uno sfogo.
Tra i mittenti figurano nomi che hanno segnato la cronaca giudiziaria e politica italiana: Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Vincenzo Andraous, Gilberto Cavallini, Domenico Papalia, e molti altri. Ma accanto alle firme note ci sono le voci anonime dei “sepolti vivi” dei braccetti d’isolamento, dei carcerati di Trani, dell’Asinara, di Ariano Irpino. Dalle loro righe emerge un’umanità frantumata, in cerca di redenzione.
«Nelle lettere dei detenuti si leggono preghiere, riflessioni su Dio, sulla giustizia, sulla colpa, ma anche poesie, disegni, pensieri sulla vita fuori – spiegano i curatori Moroni e Roncalli –. Questo carteggio è il ritratto di una relazione potente tra chi ha sbagliato e chi non ha mai smesso di guardarli come persone». Una relazione fondata sulla fiducia e sulla misericordia, come testimonia una delle lettere-testamento di suor Gervasia: «Ringrazio tutti, chiedo perdono e perdono tutti. Viva simpatia e un po’ di umorismo che ci fa toccare e accettare i limiti. Credo che siamo più deficienti che cattivi: Dio ci vuol bene».
Tra i documenti più toccanti, le missive dal 41-bis, le lettere di chi ha partecipato agli scioperi della fame, i racconti dei suicidi in cella, le parole di chi ha perso tutto e trova nella religiosa l’unico appiglio. Fioravanti scrive: «Sicuramente quel ragazzo non conosceva una suora Gervasia…», dopo l’impiccagione di un giovane compagno di detenzione. E ancora: «Ogni alba che spunta è sempre una bella giornata. Anche nella peggiore delle carceri dell’uomo».
La prefazione firmata da Simonetta Matone magistrata di sorveglianza negli anni Ottanta offre uno sguardo diretto sulla relazione tra lei e suor Gervasia: «Fu lei a farmi conoscere storie estreme e drammatiche che mi hanno accompagnata per tutta la vita. Era una suora rivoluzionaria. Politicamente scorretta. Cristiana militante».
A 15 anni dalla sua morte, Una suora all’inferno restituisce voce e dignità ai detenuti e illumina la figura di una donna capace di vivere fino in fondo le parole evangeliche: “Ero carcerato e mi avete visitato”.  Il libro non è solo un documento storico e sociale, ma una testimonianza spirituale viva e scomoda, un invito a guardare oltre le sbarre.
 
Gli autori

Gabriele Moroni milanese della provincia, inviato del Giorno ha seguito molti dei più importanti avvenimenti di cronaca dagli Anni Ottanta a oggi. Ha pubblicato numerosi libri, fra cui Ustica: la tragedia e l’imbroglio (Edizioni Memoria 2004, con Sandro Bruni), Le Bestie di Satana. Voci dall’incubo (Mursia 2006), Il calcio malato. Indagini e segreti del racket delle scommesse (Mursia 2014). Ha curato l’autobiografia di Graziano Mesina Io, Mesina (Periferia 1993, con Gabriella Banda).

Emanuele Roncalli bergamasco, è stato per lunghi anni caposervizio dell’Eco di Bergamo, ha seguito dagli anni Novanta in poi i più importanti casi di cronaca nera e giudiziaria. Nel 2020 ha ricevuto il Premio Natale Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana) per l’intervista a Piero Nava, supertestimone dell’omicidio del magistrato Rosario Livatino. È collaboratore e commentatore di programmi Rai, Mediaset e Sky. Ha pubblicato, fra gli altri, Tutto il mondo è la mia famiglia. Lettere ai cari e risposte da cuore a cuore di Giovanni XXIII (San Paolo 2022), Santi insieme. Giovanni XXIII-Giovanni Paolo II (Cairo 2014).

:: “Lettere dal carcere (1927- 1928)” di Alcide De Gasperi, Marietti1820, in libreria dal 27 giugno

17 giugno 2025

Una voce che resiste alla prigione, un padre che scrive alla moglie e alla figlia, un uomo politico che si interroga sul destino dell’Europa. Le Lettere dal carcere di Alcide De Gasperi — raccolte in questa nuova edizione edita da Marietti1820 in libreria da venerdì 27 giugno — restituiscono l’umanità profonda, la fede incrollabile e la lucidità di pensiero di uno dei protagonisti della rinascita democratica italiana. Come scrive Angelino Alfano nella prefazione: «Queste lettere sono un atto d’amore verso la famiglia, ma anche una straordinaria lezione di educazione civica. Sono un’eredità morale per l’Italia di oggi e di domani».

Arrestato nel 1927 per la sua opposizione al regime fascista e rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, De Gasperi scrive in condizioni durissime, con pochissimi contatti con l’esterno, sotto censura e sorvegliato. Ma quelle lettere, rivolte soprattutto alla moglie Francesca e alla figlia Maria Romana, diventano testimonianza viva della sua dignità personale e della sua vocazione pubblica. «Le mie mani sono legate, ma il mio spirito resta libero. E libero vuole restare», scrive a poche settimane dall’arresto.

Il carcere non spegne in De Gasperi il senso della responsabilità. Al contrario, acuisce la sua sensibilità morale. «Non sono triste per me – scrive – ma per l’Italia che vedo addormentarsi nella paura». Nelle lettere trapela la volontà di non cedere alla disperazione, anche quando la salute vacilla e le notizie dalla famiglia si fanno scarse. «Mi mancano le tue parole, la tua voce – fa sapere alla moglie Francesca – . Ma soprattutto mi manca il tuo sguardo, che era per me come la luce del mattino».

Il tono non è mai lamento, ma riflessione. In un passo toccante scrive: «Sento che ogni ora qui dentro deve essere offerta, non sprecata – riflette – . Se non posso parlare, allora pregherò. Se non posso agire, allora penserò. Anche questo, in fondo, è un servizio».

A commuovere il lettore è la delicatezza con cui De Gasperi si rivolge a Francesca e alla piccola Maria Romana, cercando di proteggerle persino dalla propria sofferenza. «Di’ alla nostra bimba che papà la pensa ogni giorno, e che le manda un bacio con tutto il cuore», scrive in una delle prime lettere. E in un’altra: «La tua pazienza è per me come un mantello caldo in questa cella fredda. Ogni tuo pensiero mi arriva come una carezza».

Questa dimensione familiare si intreccia con la fede: «La mia consolazione è sapere che preghi con me. Quando il dolore ci separa, la preghiera ci riunisce». Le lettere diventano un vero e proprio “Vangelo laico”, dove ogni parola è pensata per custodire l’amore, l’onestà e la speranza.

La fede come forza morale

L’aspetto spirituale è centrale in queste lettere. Per De Gasperi, Dio non è una consolazione astratta, ma una presenza concreta che accompagna le giornate più dure. «Non ho paura, perché so che la mia croce ha un senso. E se anche non riesco a capirlo, continuo a portarla». In un altro passaggio, scrive: «Mi affido a Lui, e chiedo solo che mi dia la forza di non perdere la pazienza, la lucidità, la carità».

Questa fede si esprime in parole sobrie, mai enfatiche. È la fede di chi ha conosciuto il silenzio, il buio, il dubbio, e ha scelto comunque di restare saldo. «Il Vangelo non promette facilità», riflette De Gasperi «ma verità. E in questa cella, in questa solitudine, io cerco ogni giorno un po’ di verità».

Nonostante le sbarre, lo sguardo di De Gasperi resta rivolto al futuro. In molte lettere si avverte la sua visione di un’Europa nuova, libera e solidale. «L’Italia risorgerà solo se saprà ritrovare il senso del bene comune», afferma. E ancora: «La politica vera non è potere, è servizio. E anche nel silenzio del carcere, si può continuare a servire».

La sua idea di democrazia è radicata nell’esperienza personale del dolore e della dignità: «Chi ha sofferto l’ingiustizia, non potrà mai permettersi di infliggerla ad altri. Io voglio che la mia pena diventi seme di libertà per chi verrà dopo».

Lo stile delle lettere è essenziale, privo di retorica. Anche nei momenti di maggiore fatica, De Gasperi non rinuncia alla gentilezza, all’ironia, alla sobrietà. «In questa cella ho come compagni i libri, i pensieri e i ricordi. Non sono solo, perché il mio amore per voi due mi accompagna sempre». È una scrittura che consola e interroga, che illumina l’oggi attraverso le parole di ieri.

Le Lettere dal carcere sono un libro necessario per comprendere l’uomo De Gasperi, ma anche per riflettere su cosa significhi davvero libertà, responsabilità, testimonianza. In un’epoca in cui la politica rischia di perdere contatto con la vita reale, queste lettere ricordano che il servizio pubblico nasce, sempre, dalla coscienza individuale.

Come scrive in uno degli ultimi messaggi: «Se sopravvivrò, sarà per continuare a servire. Se non sopravvivrò, queste mie parole siano almeno una piccola luce per chi resta».

Alcide De Gasperi (Trento, 3 aprile 1881 – Borgo Valsugana, 19 agosto 1954) è stato uno dei principali artefici della rinascita democratica italiana nel secondo dopoguerra. Deputato al Parlamento austro-ungarico e poi a quello italiano, fu leader del Partito Popolare e successivamente fondatore della Democrazia Cristiana. Oppositore del fascismo, fu arrestato nel 1927 e incarcerato a Regina Coeli. Dopo la caduta del regime, guidò il governo italiano dal 1945 al 1953, promuovendo la ricostruzione economica, l’integrazione europea e l’adesione dell’Italia alla NATO. Uomo di profonda fede cattolica e di rigore morale, è considerato uno dei padri fondatori dell’Europa unita. Il suo stile politico sobrio e il forte senso del dovere ne hanno fatto un simbolo di etica pubblica. La figlia Maria Romana ha dedicato gran parte della sua vita alla conservazione della memoria del padre.

La Fondazione De Gasperi custodisce e promuove da oltre quaranta anni gli insegnamenti ideali, morali e politici di Alcide De Gasperi, padre fondatore dell’Italia democratica e dell’Unione Europea. Questa nuova edizione delle Lettere dalla prigione (1927-1928) è stata realizzata nell’ambito dell’Anno Degasperiano, il programma di celebrazioni promosso dalla Fondazione in occasione del settantesimo anniversario del-la scomparsa dello statista e leader politico, avvenuta il 19 agosto 1954.

:: “Canti dall’altrove. Poesie e scritti del Maestro di Providence” curato e tradotto da Emilio Patavini e Pietro Guarriello

20 aprile 2025

H.P. Lovecraft è conosciuto soprattutto per la sua narrativa dell’orrore cosmico, oggi parte dell’immaginario collettivo mondiale. Ma il Maestro di Providence non è stato solo un narratore; la sua produzione poetica, infatti, è stata costante, così come il suo ruolo di opinionista nel mondo del giornalismo amatoriale. Questo libro getta finalmente luce su aspetti poco noti dello scrittore statunitense, e ne rivela sfumature umane e autoriali inedite, grazie a un rigoroso lavoro di ricerca e traduzione. Ecco dunque che si svela un Lovecraft finora avvolto dal mistero: i precoci esordi nella poesia, i toni sognanti, nostalgici e a volte ludici, i pareri taglienti fioriti in articoli e saggi, ma sempre espressi con quella pacatezza per cui gli amici lo consideravano un gentiluomo d’altri tempi. Saggi introduttivi, traduzioni e apparati bibliografici dei curatori Pietro Guarriello e Emilio Patavini; cronologia della vita di Lovecraft di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco. A corredo dell’opera, un ricco apparato iconografico con fotografie, illustrazioni e materiali d’archivio dei primi decenni del Novecento.

Pietro Guarriello, considerato tra i massimi esperti italiani di Lovecraft, è fondatore della Dagon Press e curatore delle riviste «Studi Lovecraftiani» e «Zothique».

Emilio Patavini ha tradotto inediti di Leiber, Howard e Ashton Smith per Dagon Press e Yorick. Ha pubblicato saggi, interviste e recensioni su varie riviste del settore.

:: ORWELL – Una nuova collana diretta da Luciano Canfora, Edizioni Dedalo

11 aprile 2025

Per tutti quelli che desiderano comprendere
i retroscena del clima politico attuale
e la situazione di guerra che viviamo ogni giorno.

Come si è arrivati a questo punto? Se la NATO è in guerra lo deve alla sua sistematica violazione delle proprie regole e del Trattato costitutivo.
Con la fine dell’Unione Sovietica, ha cominciato a “giocare” con le parole del Trattato, poi a mistificarle e infine a tradirle. Ora la NATO non ha limiti di territorio e non ha un solo nemico. Ne ha molti, scelti con cura rispettando le priorità americane. E così ogni Stato membro deve vedersela con la Russia, la Cina, l’Iran, la Corea del Nord, l’India, i BRICS, gli Stati nuclearizzati, i terroristi, i criminali, gli scafisti, le organizzazioni umanitarie e perfino i pacifisti.
Questo libro individua i metodi, i pretesti e i trucchi che hanno portato la NATO e l’Europa alla frenesia bellica e verso l’autodistruzione, con l’auspicio che si torni a ragionare.

Fabio Mini è Generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano. Ha comandato tutti i livelli di unità Bersaglieri e ricoperto incarichi dirigenziali presso gli Stati Maggiori dell’Esercito e della Difesa. È stato direttore dell’ISSMI presso il Centro Alti Studi e ha prestato servizio negli Stati Uniti, in Cina e nei Balcani. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. Collabora con le riviste Limes e Geopolitica e dal 1989 al 2024 ha pubblicato e curato una ventina di libri sulla guerra con vari editori tra cui Einaudi, il Mulino e Paper First.

Per tutti quelli che desiderano comprendere
i meccanismi nascosti di manipolazione mediatica
connessi al “marketing” di ogni guerra.

Analizzando la guerra in Ucraina, Sara Reginella – psicoterapeuta e reporter, che documenta il conflitto dalle sue origini, con quattro spedizioni nell’arco di otto anni – ne scandaglia i diversi piani della manipolazione e della propaganda, mettendo in luce come il modus operandi connesso alla genesi e all’incedere drammatico dello scontro russo-ucraino sia generalizzabile anche ad altri conflitti. 
Fornendo al lettore strumenti utili per l’identificazione dei meccanismi all’origine degli scontri bellici, l’autrice analizza rodati modelli di ingerenza politica, svela metodi e strategie psicologiche proprie del “marketing della guerra” e offre antidoti di resistenza alla disinformazione che sottende ogni propaganda bellica.

Sara Reginella è psicologa e psicoterapeuta. Parallelamente all’attività clinica, ha coltivato in modo indipendente un percorso di studi nel ramo cinematografico, diplomandosi nel 2016 in Regia e Sceneggiatura presso l’Accademia Nazionale del Cinema di Bologna. Testimone del conflitto ucraino dalle sue origini, essendosi recata nei territori di guerra, dal 2015 è attiva in campo documentaristico. È autrice del reportage narrativo Donbass. La guerra fantasma nel cuore d’Europa (Exòrma Edizioni), oltre che dei documentari Start Up a War. Psicologia di un conflitto e Il fronte degli invisibili, che hanno ottenuto selezioni ufficiali in festival internazionali.

:: Poeti. Ventinove cavalieri e una dama di Angelo Gaccione

7 aprile 2025

A noi che non abbiamo 

altra felicità che di parole…

sia consentito scrivere versi
fino alla fine dei giorni.

Solo poveri versi 

che siano lievi al mondo
come il buongiorno al mattino.

E gentili al soprassalto del cuore 

che coglie gli amanti al primo istante.

Semplici come una parola buona 

a consolare il muto segno del dolore.

Fresco di stampa il terzo volume della collana “La carena”, diretta da Silvia Elena Di Donato per la Di Felice Edizioni. Si tratta di “Poeti. Ventinove cavalieri e una dama”, la nuova raccolta poetica di Angelo Gaccione che rende omaggio a trenta poeti scelti. “Pillole di vita e di saggezza, semi di un modo di percepire la propria esistenza che hanno messo radici e aspettano di rivelarsi e crescere come piante da frutto per le generazioni a venire: questo è il ‘nuovo’ Gaccione, che, come un’Araba Fenice capace di rinascere sempre dalle proprie ceneri, crede nella poesia come occasione per ridare alla vita il suo etimologico carattere di vitalis, di realtà cioè ‘degna di essere vissuta’, costi quel che costi.” Così scrive Guarracino nella nota al libro, seguita da quella di Alessandra Paganardi che fa notare come “il dialogo con la morte – apotropaico, teatrale, ironico o struggente, mai drammatico – è il vero leitmotiv di questa raccolta, interamente ispirata (forse non a caso) a poeti non più viventi”.

Angelo Gaccione è narratore, drammaturgo e poeta. È nato a Cosenza, ma vive a Milano, città a cui ha dedicato cinque libri di successo: Milano, la città e la memoria; La città narrata (tre edizioni); Poeti per Milano; Milano in versi; La mia Milano. Nel 2020 è uscita la raccolta Spore (finalista al Premio Viareggio, Ponte di Legno, Camaiore) con introduzione di Alessandro Zaccuri e una nota di Lella Costa.
Nel 2023 ha curato l’antologia poetica Piazza Fontana. La strage e Pinelli. La poesia non dimentica. Per il suo impegno civile gli è stato conferito il Premio alla Virtù Civica.
Da 22 anni dirige il giornale di cultura “Odissea”.
Con la Di Felice Edizioni ha pubblicato le raccolte di racconti L’incendio di Roccabruna (2019) e Sonata in due movimenti (2022).

:: DI CARNE E PAROLE di Roberta Russo Vizzino

14 marzo 2025

“Cara Margherita, permettimi, ti prego, di darti del tu. Non riuscirei a cominciare, altrimenti. Sono passati tanti anni prima che avessi il coraggio di parlarne. Dimenticare, certo, sarebbe stato più facile. Fingere che fosse mio dalla nascita. E basta. Bastava non riflettersi mai completamente. Bastava tenere alto lo sguardo e non toccarsi il solco sul petto: il suo nome scritto in quarantuno punti precisi. Se mi avessero dato i suoi occhi, avrei potuto scordarmene otto o nove ore a notte, sognando. Forse, con i suoi occhi, avrei trovato subito una ragione, una spinta esteriore per andare verso la bellezza: sapere di aver ricevuto un dono grande, ma non totale […]”.

Di carne e parole è una raccolta di racconti brevi che si intrufolano nelle parole delle donne e nelle pieghe più private di molteplici vite. Dall’aborto, alla donazione degli organi. Dalla sordità, al sentimento di impermanenza racchiuso in certi viaggi. Dal radicamento in una casa straniera, al non riconoscersi nei canoni di bellezza imposti dalla società dei consumi. Dall’affrontare il confronto con un figlio deviato, al restare senza fissa dimora, fino al sentimento di alienazione dell’incomunicabilità. Le eroine di questi racconti sono donne qualunque che esistono attraverso quello che dicono (o non dicono), quello che viene detto al posto loro, quello che viene supposto. Ma soprattutto: quello che vorrebbero davvero dire, mentre si portano dietro – giorno dopo giorno – il peso dei sensi, come zaini saldati ai corpi. Corpi normali, unici e sensibili, alla ricerca del loro equilibrio per stare al mondo.

Roberta Russo Vizzino è attrice, modella d’arte e scrittrice. Dopo un’esperienza di vita in Lettonia durata due anni, si è trasferita a Roma dove abita tuttora. Frequenta la facoltà di Discipline, arti e scienze dello spettacolo presso l’Università “La Sapienza”.

Nel 2023 ha pubblicato la sua prima raccolta “Io sono onda di mare”.
Nel 2024, il suo racconto “Le chiavi di casa”viene pubblicato nell’antologia “Lingua Madre Duemilaventiquattro, storie di donne non più straniere in Italia” con la casa editrice SEB27.
Nel 2025, con la casa editrice Dialoghi, pubblica “Di carne e parole”.
Collabora con la rivista online Vitamine vaganti.