Buon primo settembre, spero abbiate tutte e tutti passato buone vacanze, allora si ricomincia. Oggi a Torino piove ma questo non ci impedisce di fare programmi e migliorie. C’è una piccola novità, o meglio un esperimento: alcuni articoli saranno accessibili in anteprima solo agli abbonati. Abbonarsi è facile, e state tranquilli per ora gratuito, ma sono curiosa di vedere come funziona, e se la novità vi piace. Chi vuole sostenere il blog lo può sempre fare ma volontariamente non imporrò abbonamenti fissi. Liberi resterà sempre accessibile a tutti, questa è la filosofia per cui è nato, e cercherò di non derogare dai miei principi. Beh buona lettura, e voi abbonati fatemi sapere nei commenti se gradite la novita! Shan::
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:: E settembre è arrivato…
1 settembre 2025:: Come due fiori di loto di Jane Yang (Longanesi, 2025) a cura di Giulietta Iannone
1 settembre 2025
Canton, tardo Ottocento. Piccolo Fiore è una bambina di vivace intelligenza e dal formidabile talento nell’arte del ricamo. Ma nella Cina ancora semifeudale di fine Ottocento, le opportunità che le si aprono sono molto limitate. Per questo, fin da quando è piccola, la madre le offre l’unico privilegio possibile alle fanciulle del suo infimo rango, ossia un matrimonio vantaggioso grazie alla tradizionale e dolorosissima pratica della fasciatura dei piedi. Ma queste prospettive di riscatto sono destinate ad annullarsi alla morte improvvisa del padre: per lei ora l’unica strada possibile è quella della schiavitù presso una famiglia di più alto rango. È così che Piccolo Fiore fa ingresso nella casa di Linjing, sua coetanea e padrona. Da quel momento e per gli anni a venire la vita delle due giovani dovrà destreggiarsi tra gli alti e bassi della loro complicata amicizia e le millenarie tradizioni di una Cina sempre più attenta alle nuove tendenze che arrivano dall’Occidente. La storia di due donne molto diverse, delle immani ingiustizie che entrambe subiscono, degli amori e della loro incessante lotta per la libertà diventano in questo romanzo d’esordio la storia di un intero paese, la cui cultura sempre più ci interroga, ci inquieta e ci affascina.
Per chi ama la Cina di tardo Ottocento e le lotte istancabili che le donne hanno dovuto affrontare per ottenere la loro emancipazione e indipendenza è sicuramente consigliabile la lettura di questo bellissimo libro Come due fiori di loto di Jane Yang, edito in Italia da Longanesi. L’autrice ha riportato fedelmente molti racconti legati alle vite delle sue antenate, e questo realismo traspare in filigrana preziosa per tutto il romanzo che narra la storia di due personaggi femminili a tutto tondo: Piccolo fiore e Li Linjing, prima rivali, in un complicato legame di schiava e padrona, poi finalmente amiche. Jane Yang ha un talento naturale nella scrittura che sorprende soprattutto considerando che questo è il suo romanzo di esordio, che racchiude, come un tesoro prezioso, anche molti segreti e riferimenti simbolici nascosti nell’arte del ricamo cinese, come nei bellissimi romanzi di Lisa See, dove le donne si sono sempre ingegnate utilizzando linguaggi segreti per tramandare di generazione in generazione, matrilineare, la loro saggezza. Scritto benissimo, di piacevole e fluida lettura Come due fiori di loto è un romanzo che non si dimentica e permette di conoscere un mondo scomparso dove erano le donne, seppur nascoste all’interno di appartati ginecei, che governavano le famiglie e il paese, nell’ombra, nel segreto. Il periodo storico in cui è ambientata la storia è anche interessante perchè richiama il periodo in cui l’Occidente incontrò l’Oriente, con i suoi screzi, le sue rivalità, ma anche quella complementarietà che ha arricchito entrambi i mondi e le culture. La modernità dell’Occidente si incontrò dunque con le tradizioni millenarie dell’Oriente in un rapporto in cui entrambi i mondi avevano da imparare l’uno dall’altro.
Jane Yang Nata nell’enclave cinese di Saigon ed è cresciuta in Australia, dove vive tuttora. Nonostante gli studi e la carriera nel mondo scientifico, è sempre stata affascinata dalle storie e dalle leggende della Cina antica tramandate dalla sua famiglia. Come due fiori di loto è il suo romanzo d’esordio.
Source: inviato dall’editore.
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:: “I cristiani per davvero e l’odio del mondo” di Rocco Quaglia (Edizioni Segno) a cura di Daniela Distefano
1 settembre 2025
Cosa vuol dire essere cattolici cristiani nel 2025? Forse seguire quei trucioli di Pane che il Signore ci ha seminato lungo il cammino, a volte invisibile, avendo l’occhio assuefatto dalla voracità del mondo, ma poi tracce chiare, nette, man mano che ci avviciniamo alla meta, quella strada non stordita da neon e cartelloni pulsanti, spesso solitaria, e illuminata solo dalla fede che conduce alla porta stretta. Chi ci arriva sa che ha percorso un viaggio straordinario, ma non è detto che poi si riesca ad oltrepassare la porticina: è piccola, disagevole, ci entrano in pochi, quelli che il Signore aspetta da oltre duemila anni. Tutto questo porterebbe allo scoraggiamento, già San Pietro nel Vangelo era esterrefatto (“ se è così, chi si potrà salvare?”) poi però lo rassicura Gesù dicendogli che nulla è impossibile a Dio.
Ho letto questo questo libro con passione, con ponderatezza, e ho fatto una sintesi ossea di quello che mi ha trasmesso riportando brani di pagine pacate e placanti. Rocco Quaglia è un esperto di psicologia, forse non deve stupire che a parlare di Bibbia, Apocalisse, odio dei vignaioli omicidi sia un professionista della mente. “Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”.. E il Signore dice anche.. “con tutta la tua mente”. Siamo nell’era della esaltazione del tecno-pensiero umano. Poi interviene Dio come sempre: “I pensieri dell’uomo non sono che un soffio”. Buona lettura
Chi potrebbe essere motivato o invogliato a seguire Gesù di Nazareth che dice di essere figlio di Dio, nato da una Vergine e venuto per salvare gli uomini dai loro peccati? Dice inoltre che quanti crederanno in lui saranno odiati, perseguitati e uccisi. Gesù era consapevole non soltanto di essere malvisto da quelli di casa sua, ma anche che sarebbe stato odiato in ogni tempo da tutti gli uomini. A differenza dei seguaci di altre religioni, il cristiano non ha modo di mettere il proprio odio al servizio della causa di Dio: nessuna guerra può essere giustificata, nessuna uccisione e nessuna vendetta possono essere legittimate. La carriera che il discepolo compie in Gesù è una lenta discesa nell’umiliazione, nella spoliazione, nella reiezione. Gesù chiama beato quel discepolo oltraggiato, perseguitato, calunniato. Il tempo profetizzato da Gesù, tempo dell’apostasia della chiesa, del raffreddamento dell’amore, dello smarrimento della fede è giunto. Il tempo dell’odio per Cristo e per i cristiani sta esplodendo con sempre maggior virulenza. Il male signoreggia ovunque, la zizzania è matura e ormai ha colonizzato e infestato l’intero campo della Chiesa. L’inquinamento del pianeta è lo specchio dell’inquinamento morale dell’umanità.
Chi sono i discepoli? Che tipo di persone Egli sceglie?
L’apostolo Paolo viene in aiuto rivelandoci che Dio sceglie le cose folli del mondo, quel che è debole, ignobile, spregevole. Quel che non si comprende è che di fronte a Dio non esistono i forti, i saggi, i nobili; di fronte a Lui tutti gli uomini sono ugualmente deboli, corrotti, perversi: in una parola “peccatori”, ovvero “falliti”, privi di una gioiosa speranza, privi di uno scopo importante…. Gesù , dicendo che il regno dei cieli è per i fanciulli, dice in realtà che è per tutti, o meglio per quanti realizzano la propria incompiutezza, il proprio non finito. Solo il disperato è nella condizione di udire la voce di Dio. Ai discepoli, dunque, è destinato il regno dei cieli, ma per entrarvi bisogna rinascere bambini. Gesù esalta i bambini sapendo che “non contano” e che nessuno li conta; non hanno mai avuto diritti, oggi non hanno neppure il diritto di nascere, e Dio non li consegna più nelle mani degli uomini.
Del grande comandamento
I farisei pensavano di amare Dio mettendo in pratica la Legge; ma la Legge, come è scritto, fa desiderare il peccato e produce ira contro Dio. Per amare “qualcuno” bisogna conoscere non il suo corpo, gli anni lo disfano; non il suo carattere, mutevole in base alle circostanze; non le sue qualità, con il tempo svaniscono. L’amore per una persona nasce dall’amore che dimora in questa persona, poiché è dell’amore che s’innamora il vero amore. Ora, innamorarsi di Dio significa innamorarsi dell’amore che Egli prova per noi. A noi serve soltanto credere nell’amore di un Dio che dice di amarci, il resto viene da sé. Tutto cesserà! La giovinezza evapora, la bellezza si spegne, la forza svanisce, le conoscenze passano, i sogni si dileguano, << l’amore soltanto resta>>. L’apostolo Giovanni, con ragione, scrive:<<Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli (Gesù) ha dato la propria vita per noi>>. E’ questo l’amore che trasforma la ragione in follia e la follia in sapienza, nella sapienza di Dio. Senza questo amore chi potrebbe mettere in pratica il comandamento che impone al cristiano di dare la propria vita per i fratelli?. Il cristiano che ha conosciuto l’amore di Dio non può dunque amare sé stesso di più e l’altro di meno, poiché mediante Cristo si realizza un’ ineffabile unità in Dio, il Padre.
Conclusione
Senza una rivelazione dello Spirito che viene dal Padre, la via che Gesù indica fa inorridire l’uomo carnale. Per questo mondo, che celebra i suoi pride e si gloria delle proprie false libertà come fossero conquiste, nulla è più intollerabile, fastidioso e inopportuno della buona notizia del Signore. La spiritualità si esaurisce in opere di bene.. Tuttavia undici uomini inermi sono stati inviati come agnelli in mezzo ai lupi; portarono la Parola di Gesù fino alle estremità della terra. Hanno vinto il mondo, non con gli eserciti, ma con la spada della parola di Dio. Mai amico ebbe migliore amico di Gesù.
:: “Una suora all’inferno – Lettere dal carcere a Gervasia Asioli” di Gabriele Moroni e Emanuele Roncalli in libreria dal 5 settembre
1 settembre 2025| Abbiamo celle da tre posti con dentro anche nove, dieci detenuti, è disumano. Io sono per l’indulto. Ci vogliono le pene alternative, altro che carcere! Ho conosciuto brigatisti, truffatori, ladri, assassini, pedofili, rapinatori, e io assolvo tutti, buoni e cattivi. A giudicarci ci penserà Gesù nell’aldilà– suor Gervasia Asioli |

Bologna, 27 agosto 2025 – Chi era davvero suor Gervasia Asioli, la “suora postina” di Rebibbia, la “mamma dei detenuti”, come la chiamavano in tanti? A rispondere è il nuovo volume in uscita per Marietti1820 venerdì 5 settembre, Una suora all’inferno. Lettere dal carcere a suor Gervasia Asioli, che raccoglie un’eccezionale selezione di lettere scritte da carcerati – pluriomicidi, ex terroristi, boss mafiosi, detenuti comuni – a una religiosa radicalmente diversa da ogni stereotipo.
Curato da Gabriele Moroni ed Emanuele Roncalli, con prefazione della magistrata e deputata Simonetta Matone, il libro apre uno squarcio inedito sulla spiritualità e sull’umanità reclusa nelle celle italiane tra gli anni Settanta e i primi Duemila. Nelle lettere, spesso strazianti, a volte poetiche o intrise di sarcasmo, emerge il ritratto di una donna capace di vivere il Vangelo accanto ai più dimenticati: non giudicava, non chiedeva cosa avessero fatto. Si preoccupava solo di alleviarne le sofferenze.
Religiosa delle orsoline, insegnante in scuole d’élite, Gervasia lasciò la cattedra per dedicarsi completamente a emarginati, tossicodipendenti, rom e detenuti. Ogni sabato si recava in carcere, spesso in autostop, per portare sigarette, vangeli, parole, abbracci. E riceveva centinaia di lettere: confessioni intime, racconti di disperazione, desideri di riscatto. A volte anche solo uno sfogo.
Tra i mittenti figurano nomi che hanno segnato la cronaca giudiziaria e politica italiana: Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Vincenzo Andraous, Gilberto Cavallini, Domenico Papalia, e molti altri. Ma accanto alle firme note ci sono le voci anonime dei “sepolti vivi” dei braccetti d’isolamento, dei carcerati di Trani, dell’Asinara, di Ariano Irpino. Dalle loro righe emerge un’umanità frantumata, in cerca di redenzione.
«Nelle lettere dei detenuti si leggono preghiere, riflessioni su Dio, sulla giustizia, sulla colpa, ma anche poesie, disegni, pensieri sulla vita fuori – spiegano i curatori Moroni e Roncalli –. Questo carteggio è il ritratto di una relazione potente tra chi ha sbagliato e chi non ha mai smesso di guardarli come persone». Una relazione fondata sulla fiducia e sulla misericordia, come testimonia una delle lettere-testamento di suor Gervasia: «Ringrazio tutti, chiedo perdono e perdono tutti. Viva simpatia e un po’ di umorismo che ci fa toccare e accettare i limiti. Credo che siamo più deficienti che cattivi: Dio ci vuol bene».
Tra i documenti più toccanti, le missive dal 41-bis, le lettere di chi ha partecipato agli scioperi della fame, i racconti dei suicidi in cella, le parole di chi ha perso tutto e trova nella religiosa l’unico appiglio. Fioravanti scrive: «Sicuramente quel ragazzo non conosceva una suora Gervasia…», dopo l’impiccagione di un giovane compagno di detenzione. E ancora: «Ogni alba che spunta è sempre una bella giornata. Anche nella peggiore delle carceri dell’uomo».
La prefazione firmata da Simonetta Matone – magistrata di sorveglianza negli anni Ottanta – offre uno sguardo diretto sulla relazione tra lei e suor Gervasia: «Fu lei a farmi conoscere storie estreme e drammatiche che mi hanno accompagnata per tutta la vita. Era una suora rivoluzionaria. Politicamente scorretta. Cristiana militante».
A 15 anni dalla sua morte, Una suora all’inferno restituisce voce e dignità ai detenuti e illumina la figura di una donna capace di vivere fino in fondo le parole evangeliche: “Ero carcerato e mi avete visitato”. Il libro non è solo un documento storico e sociale, ma una testimonianza spirituale viva e scomoda, un invito a guardare oltre le sbarre.
Gli autori
Gabriele Moroni milanese della provincia, inviato del Giorno ha seguito molti dei più importanti avvenimenti di cronaca dagli Anni Ottanta a oggi. Ha pubblicato numerosi libri, fra cui Ustica: la tragedia e l’imbroglio (Edizioni Memoria 2004, con Sandro Bruni), Le Bestie di Satana. Voci dall’incubo (Mursia 2006), Il calcio malato. Indagini e segreti del racket delle scommesse (Mursia 2014). Ha curato l’autobiografia di Graziano Mesina Io, Mesina (Periferia 1993, con Gabriella Banda).
Emanuele Roncalli bergamasco, è stato per lunghi anni caposervizio dell’Eco di Bergamo, ha seguito dagli anni Novanta in poi i più importanti casi di cronaca nera e giudiziaria. Nel 2020 ha ricevuto il Premio Natale Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana) per l’intervista a Piero Nava, supertestimone dell’omicidio del magistrato Rosario Livatino. È collaboratore e commentatore di programmi Rai, Mediaset e Sky. Ha pubblicato, fra gli altri, Tutto il mondo è la mia famiglia. Lettere ai cari e risposte da cuore a cuore di Giovanni XXIII (San Paolo 2022), Santi insieme. Giovanni XXIII-Giovanni Paolo II (Cairo 2014).
:: Un’intervista con Mariachiara Lobefaro, autrice di Broken Moonlight, a cura di Giulietta Iannone
12 agosto 2025
Benvenuta Mariachiara su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa intervista. Ho appena letto il tuo ultimo libro in uscita per Gallucci e mi è piaciuto moltissimo, per cui iniziamo. Parlaci di te, presentati ai nostri lettori.
Ciao! Sono molto contenta che tu abbia apprezzato Broken Moonlight. Descriversi fa sempre un effetto bizzarro e incongruo, ma ci provo: insegno italiano alle superiori, e da sempre amo leggere, scrivere e viaggiare. Queste mie passioni non sono certo particolarmente originali, però le vivo visceralmente e spero di continuare a coltivarle sempre meglio.
Broken Moonlight è il tuo secondo romanzo, un young adult ambientato a Hong Kong che unisce il romance al fantasy. Ce ne vuoi parlare?
In realtà si tratta del terzo che pubblico, ma è il mio primo romantasy, quindi ha segnato un’incursione in un terreno parzialmente nuovo. È uno young adult, genere che amo perché secondo me trasversale, e ha come temi portanti l’incontro tra Oriente e Occidente, l’amore e la magia. In filigrana c’è un background storico che, da insegnante, mi è venuto spontaneo integrare.
La sedicenne Vicky Middleton si è appena trasferita nella frenetica metropoli di Hong Kong e chi incontra?
Vicky è un personaggio tormentato che si trasferisce a Hong Kong dopo aver vissuto un grave lutto. L’incontro con Sean Lau sembra quasi provvidenziale, perché lui incarna tutte le caratteristiche che potrebbero contribuire a distrarla: fascino, bellezza, mistero, dolcezza. Porta su di sé il peso di una maledizione antica, il che accentua la sindrome di crocerossina di Vicky. Il punto è che Sean è, almeno in apparenza, il ragazzo perfetto, uscito dritto dritto dai sogni della protagonista. Sembra quasi plasmato con la forza della sua fantasia, ma la realtà e i rapporti umani si riveleranno più complicati del previsto.
Un amore interetnico, tra una ragazza inglese e un ragazzo cinese, come hai costruito quest’amore adolescenziale, inserito in un fantasy.
In realtà mi è venuto quasi spontaneo, considerando il trascorso coloniale di Hong Kong e i suoi rapporti con l’Inghilterra. Vicky viene da una famiglia di professori innamorati dell’Oriente e Sean è bilingue, come molti a Hong Kong. Per il resto sì, senz’altro è un amore tra adolescenti, contaminato dall’idealizzazione e da un processo di scoperta reciproca.
Come ti sei documentata per quanto riguarda le credenze, le tradizioni, le leggende cinesi?
Alcune cose le ho apprese spontaneamente viaggiando, per altre ancora ho chiesto ai miei contatti, oppure ho utilizzato siti e libri. È stato un processo naturale e quasi fluido.
Sei stata davvero a Hong Kong o l’hai costruita solo con gli occhi della fantasia? Il tempio di Man Mo esiste davvero, l’hai visitato?
Amo moltissimo Hong Kong, e se non ci avessi vagabondato di persona questo romanzo non sarebbe mai nato. Avevo messo in conto di tornarci questa estate, ma non ne ho avuto il tempo. Comunque sì, l’ispirazione principale per il libro nasce proprio dalla visita al tempio di Man Mo. È un luogo straordinario, e visitandolo ho percepito che quelle atmosfere, quei manufatti e quei colori mi stessero trasmettendo qualcosa.
Per salvarsi il protagonista deve trovare un manufatto legato a uno dei beni più autenticamente cinesi come il tè. Ti piace questa bevanda, ricordiamolo ci sono infusi rari e tè più dozzinali?
Non sono una grande esperta o amante del tè, piuttosto negli anni ho sviluppato una dipendenza da caffeina! Durante il covid, complice il molto tempo libero, ho comprato un set per preparare il matcha…Il risultato non è stato dei più esaltanti. Quello che mi affascina, piuttosto, è il concetto di casa del tè – a Hong Kong ce n’è una piuttosto famosa che amo molto.
Le villain beater esistono davvero? Fanno parte del folclore di Hong Kong, come le chiromanti o i negromanti?
Sì, esistono realmente e operano alla luce del sole. Io mi ci sono imbattuta, ed è stata una grandissima sorpresa. Per noi occidentali è una nota di colore, per Hong Kong l’ordinario modo di coniugare le credenze alla quotidianità. È proprio questa disinvoltura che trovo affascinante.
Grazie, come ultima domanda mi piacerebbe conoscere i tuoi progetti futuri?
Ne ho diversi, almeno nella mia testa, ma preferisco non parlarne per scaramanzia… Forse la superstizione hongkonghese ha contaminato anche me. In futuro mi piacerebbe misurarmi con altri generi, come fantascienza e romanzo storico. Di sicuro le idee non mancano e spero di trovare le strade giuste per veicolarle al meglio.
:: Broken Moonlight di Mariachiara Lobefaro (Gallucci 2025) a cura di Giulietta Iannone
30 luglio 2025
La sedicenne Vicky Middleton si è appena trasferita nella frenetica metropoli di Hong Kong. L’incontro con Sean Lau – occhi a mandorla e capelli neri come la pece – è un colpo di fulmine. Affascinante e misterioso, Sean le rivela il suo segreto: il Dio della Guerra ha scagliato su di lui una maledizione, che lo trasformerà per sempre in una creatura della notte. L’unica possibilità di salvezza, secondo il negromante Fang-Shi, è ritrovare un antichissimo manufatto, andato perduto due secoli prima. L’amore spinge Vicky a offrire il proprio aiuto incondizionato, ammesso che Sean le dica tutta la verità…
Esce dopo domani, primo agosto, un young adult un po’ diverso dal solito, dedicato agli adolescenti dai sedici anni in su, dal titolo Broken Moonlight di Mariachiara Lobefaro con l’editore Gallucci. Ho potuto leggerlo in anteprima e mi ha subito incuriosito l’ambientazione Hong Kong, perla del magico oriente, luogo abbastanza originale per ambientare un romanfantasy, così viene definito questo genere letterario che unisce il romance (c’è una tenera storia d’amore tra adolescenti) e il fantasy (c’è magia, maledizioni, sortilegi, divinità vendicative). Oltre allo scenario esotico, di una Hong Kong contemporanea, perlopiù notturna, descritta nelle sue vie, nei suoi, mercati, nei suoi locali, la parte riguardante il folklore locale è molto accurata, segno che l’autrice ha fatto approfondite ricerche, tra leggende tradizionali cinesi, e divinità del pantheon cinese (il tempio di Man Mo esiste davvero e fu costruito intorno al 1847 da alcuni ricchi mercanti cinesi, durante i primi anni del dominio coloniale britannico di Hong Kong). Protagonisti sono due ragazzi Vicky Middleton, un’inglesina che ha appena perso il padre, e Sean Lau, un affascinante cinese che sfortuna volle si è trovato vittima di una maledizione scagliata niente di meno che dal dio della Guerra. Per salvarsi Sean Lau dovrà trovare un antico manufatto andato perduto due secoli prima. Manufatto anch’esso cercato da un boss locale anche lui vittima della maledizione dell’irascibile dio. Vicky innamoratasi a prima vista del ragazzo farà di tutto per aiutarlo. Ma siamo sicuri che Sean Lau le abbia raccontato davvero tutto? O nasconde altri segreti? In una labirintica Hong Kong inizia per ciò questa sorta di caccia la tesoro dai risvolti imprevedibili. Naturalmente non vi racconto il finale se no vi rovino tutto il divertimento, ma è davvero bello. La Lobefaro scrive bene e ha senso dei tempi e un amore sincero per l’oriente. Buona lettura e arrivederci a settembre.
Mariachiara Lobefaro è nata in Puglia, ha studiato a Bologna e vive a Firenze, dove insegna Lettere alle superiori. È stata finalista al Premio Strega Ragazze e Ragazzi 2024, nella sezione dedicata al miglior esordio. Con Gallucci ha pubblicato anche Diamond Palace ed è tra gli autori della raccolta Le farfalle nello stomaco.
Source: inviato dall’editore.
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:: Ospiti inattesi di Triona Walsh (Newton Comton 2025) di Patrizia Debicke
26 luglio 2025
Alice e Finn sognano un weekend romantico nella casa del guardiano del faro, affacciata sulle scogliere battute dal vento di Donegal. Una fuga segreta, solo loro, resa necessaria dal fatto che Finn è il capo di Alice, e il loro amore non può ancora essere rivelato.
Ma forse soprattutto, nessuno deve sapere il vero motivo per cui Alice ha voluto quel viaggio.
Tutta la sua vita ,fino a quel momento, è come se fosse da tempo appesa a un filo. E ora ha un piano.
Poi, qualcuno busserà alla porta.
Una coppia, fradicia di pioggia che sostiene di aver prenotato la stessa casa per lo stesso weekend. C’è stato un disguido parrebbe. Con il cattivo tempo che ha interrotto le comunicazioni, pur evidentemente irritato, Finn permetterà loro di entrare e fermarsi.
Insomma ci sono due camere da letto, si arrangeranno almeno fino alla mattina dopo.
Alice si innervosisce. Il suo piano rischia di andare in fumo.
Ma, a quanto sembra, anche gli ospiti inattesi ne hanno uno. Tanto che il cottage finirà con il trasformarsi in una specie di trappola.
Ben presto infatti, la tensione tra loro crescerà, mentre le maschere cadono.
Qualcuno mente. Chi? Oppure tutti. E a ben vedere nessuno è davvero chi dice di essere.
Tríona Walsh costruisce un thriller psicologico che cattura fin dalla prima pagina e gioca diabolicamente con le certezze del lettore, smontandole una a una.
“L’altra coppia” infatti. pagina dopo pagina, regge con un perfetto equilibrio tra suspense e introspezione, dove nulla è come sembra e ogni dettaglio conta, ha il suo peso .
La trama si muove su due binari paralleli: da un lato, il mistero dell’identità e delle vere intenzioni dei personaggi; dall’altro, la lenta e sofferta rivelazione di segreti sepolti, legami nascosti e vendette coltivate nel silenzio.
Alice è una protagonista ambigua, intrigante, sicuramente non affidabile come narratrice. All’inizio sembra fragile, quasi ingenua, e invece è diversa e molto di più.
Anche Vivienne, apparentemente dura e scostante, nasconde dentro dii sé più di quanto voglia lasciare intendere. Il loro diretto confronto si rivelerà il fulcro palpitante del romanzo.
Il ritmo alterna momenti di crescente tensione a riflessioni interiori dei diversi personaggi che amplificano continuamente il senso di claustrofobia.
La scrittura della Walsh essenziale ma tagliente, riesce a costruire atmosfere cariche di inquietudine e tenendo il lettore col fiato sospeso, lo sorprende con continui colpi di scena ben dosati e mai gratuiti, mentre ogni particolare e ogni svolta intrapresa segue una logica che si svela solo alla fine.
Ambientato in un paesaggio selvaggio e molto suggestivo, dove la natura diventa complice del mistero, il romanzo si inserisce perfettamente nel solco del domestic noir, ma con un respiro più ampio, quasi gotico, la casa ricavata nel faro si trasformerà in un’immagine di isolamento, che può condurre fino alla resa dei conti.
Un cottage ricavato da un faro sulla costa irlandese. Due coppie che s’incontrano e non per caso . E un fine settimana che nessuno potrà mai dimenticare …
“Ospiti inattesi” è molto più di un semplice thriller. Forse sarebbe più corretto definirlo un’esplorazione delle zone d’ombra della psiche umana e dei sottili confini che corrono tra vittima e carnefice, tra amore e ossessione.
A conti fatti un puzzle psicologico affilato come un coltello, dove amore, menzogna, vendetta e identità si intrecciano in un crescendo di tensione fino all’esplosiva rivelazione finale.
Tríona Walsh è una scrittrice irlandese, autrice di thriller e gialli ricchi di atmosfera e colpi di scena. Artista e graphic designer, si occupa anche dell’ideazione e realizzazione di copertine per diverse case editrici. Vive a Dublino con la sua famiglia. La Newton Compton ha pubblicato Notte di neve e sangue e Ospiti inattesi. Per saperne di più: http://www.trionawalsh.com
:: Georges Dumézil, Loki (Massari 2024) recensione a cura di Emilio Patavini
25 luglio 2025
Pubblicato nel 1948, questo saggio di mitologia comparata di Georges Dumézil analizza con rigore filologico una delle figure più affascinanti del pantheon scandinavo, Loki, ponendola a confronto con Syrdon, eroe degli osseti, popolazione del Caucaso discendente dagli antichi Sciti. L’autore de Gli dèi dei Germani (Adelphi 1974) e insigne indoeuropeista muove la sua ricerca dalle fonti germaniche in cui troviamo la figura complessa e ambigua di Loki, dall’Edda poetica all’Edda in prosa di Snorri Sturluson, dai Gesta Danorum di Sassone Grammatico alla ballata feringia Lokka táttur. Questo volume, pubblicato l’anno scorso da Massari editore con la curatela e traduzione di Massimiliano Carminati, colma finalmente una lacuna editoriale, permettendo al pubblico italiano di leggere questo prezioso testo in una edizione tascabile e ben curata.
Loki è un outsider, generatore di mostri, «personaggio bisessuale» – come l’ha definito il germanista Jan de Vries nel saggio che gli ha dedicato (The Problem of Loki, 1933) –, antieroico e metamorfico, contraddittorioper natura,amico e nemico degli dei, trickster menzognero e beffardo ma anche fratello di sangue di Odino e compagno di avventure di Thor.
Il suo grigiore morale lo ha reso uno dei villain più iconici dell’universo Marvel, anche se la sua trasposizione su carta e celluloide si discosta notevolmente dalla divinità della mitologia norrena. Infatti ha dato non poco filo da torcere agli studiosi, e le interpretazioni si sprecano. C’è per esempio chi lo ha identificato come personificazione di un elemento naturale come il fuoco, vista anche l’assonanza del suo nome con il termine norreno per “fiamma”, logi. L’ipotesi sembra rispecchiarsi nell’ambivalenza del fuoco, che può essere la tranquilla fiamma riscaldante del focolare domestico quanto un incendio distruttivo, come la fiamma di Surtr che arderà il mondo durante il Ragnarök. C’è anche chi lo ha visto come divinità ctonia e infera o persino satanica. La sua figura ha sollevato numerosi interrogativi, tanto da costituire un «problema», per tornare a citare lo scritto di de Vries. Per esempio, Loki è una figura importante all’interno del pantheon nordico, tanto da comporre (sotto il nome di Lóðurr) insieme a Odino e Hœnir una triade divina che dà vita ad Askr ed Embla, gli Adamo ed Eva della mitologia norrena, ma che è anche all’origine della maledizione dell’oro di Andvari e della vicenda volsungo-nibelungica; eppure, a differenza di altre divinità come Odino e Thor, è caratterizzato dall’assenza di culto e dalla mancanza di toponimi derivati dal suo nome.
Dopo aver passato in rassegna le testimonianze scritte della tradizione scandinava, la seconda parte del saggio è dedicata al confronto di Loki con Syrdon, personaggio dell’epopea narte degli osseti. Dumézil fu un attento studioso della mitologia e in più in generale della cultura e delle lingue caucasiche, cui dedicò diversi saggi come Légendes sur le Nartes (1930) e Textes populaires ingouches (1935). Dal 1925 al 1931 insegnò storia delle religioni all’Università di Istanbul, dove colse l’occasione per apprendere molte lingue caucasiche, come l’osseta, il circasso, l’ubykh e l’abcaso, diventando ben presto un esperto in materia. L’analisi comparativa arriva a toccare anche altri personaggi perfidi e mendaci, come Bricriu ed Evnyssen, seminatori di discordia tratti rispettivamente dalla mitologia irlandese e dal Mabinogion gallese, per arrivare infine a un confronto con il Mahābhārata, il poema più lungo mai scritto.
Questo Loki di Dumézil non è una lettura facile né per tutti, bensì un testo che appagherà solo gli specialisti ed esperti conoscitori di mitologia comparata e filologia germanica. Non è, per intendersi, un saggio divulgativo quanto Gli dèi dei Germani: qui l’autore non lesina riferimenti bibliografici e approfondimenti che potrebbero scoraggiare il lettore che è alla ricerca di un testo più leggero e accessibile, ma come ogni saggio di Dumézil resta una lettura imprescindibile per ampliare le proprie conoscenze di indoeuropeistica.
Source: inviato dall’editore.
:: Questo libro non esiste di Marilù Oliva (Solferino 2025) a cura di Patrizia Debicke
23 luglio 2025
Un manoscritto perduto: direte esistono problemi peggiori. Ma certo. Come magari ritrovarsi coinvolti in un’indagine per omicidio. Ma per Mathias, aspirante scrittore in bilico tra ambizione e precarietà, la perdita del suo romanzo è una vera tragedia. E se fosse stato quello giusto, quello capace di cambiargli la vita?
Il protagonista della storia è Mathias Onaru, un aspirante scrittore che perde il manoscritto su cui aveva proiettato ogni suo sogno. Basta un momento, un attimo di sosta davanti al chiosco per comprare delle margherite da portare al nonno al cimitero e la borsa con il computer e il suo libro, lasciata sul sedile posteriore della macchina sparisce. Un dramma, almeno per lui. Anche il file con il testo era nel computer. Non ha altre copie… Mathias è un esordiente, e come spesso accade, dimentica le regole più semplici: non si invia mai un manoscritto senza conservarne una copia. Unica speranza rintracciarne una tra le tante spedite alle varie case editrici. Non gli resta che provare a rintracciarlo.
Mentre contemporaneamente sarà costretto ad affrontare l’assurdità di un omicidio che lo ha subdolamente sfiorato da vicino e vagherà vanamente in una Roma luminosa e indifferente, tra surreali colloqui e scomodi ricordi.
Dallo sconforto più cupo, infatti riemerge la voce beffarda di suo nonno: figura autoritaria, incombente presenza nell’infanzia, però anche qualcuno in grado di trasmettergli la passione per il cielo e il tempo, l’idea di diventare un astrofisico. L’uomo burbero che coltivava un sogno utopistico ma poetico: costruire una macchina per afferrare i ricordi, fermare i dittatori, risuscitare la moglie. Rincorrere il tempo, forse cambiarlo.
Inseguiremo Mathias, che vaga semisperduto in una Roma luminosa e indifferente, mentre rincorre il suo manoscritto e, con esso, la propria identità. Immerso in umilianti colloqui surreali, angosciato dal terrificante sospetto di essere coinvolto in un delitto, mentre alza gli occhi al cielo notturno e lo interroga cercando risposte. Da sempre è abituato a paragonare le persone agli astri, è persino convinto che la volta celeste abbia il potere di ravvivare relazioni, amicizie e amori.
Ma ora? Ce la farà? Riusciranno le sue stelle ad aiutarlo?
Con questo romanzo, Marilù Oliva chiude la trilogia dedicata al tempo, dopo Le sultane (vecchiaia, diritto alla maturità) e Lo Zoo (il presente svilito e svenduto per l’effimero). Tre libri molto particolari, che pur sconfinando nel noir, vanno oltre i limiti di genere per trasformarsi in ragionamento, filosofia, denuncia sociale. Una trilogia che mostra una crescita evidente, anche nello stile: di volta in volta il linguaggio si fa sempre più raffinato, speciale.
Se Le sultane era un ode al diritto di vivere il tempo fino in fondo, e Lo zoo una denuncia del tempo, mortificato nella nostra società, con Questo libro non esiste Marilù Oliva allarga maggiormente il suo punto di vista: il tempo umano si collega al tempo universale, alla sua inavvicinabile impenetrabilità. “Questo libro non esiste” è come un romanzo giallo con quattro angolazioni: un viaggio nel tempo in tutte le sue forme: quello intimo, quello della memoria , il tempo della narrazione e quello cosmico, anche nelle oscure pieghe del suo significato più profondo. Ma cos’è veramente Mathis genio o follia
Il cognome stesso del protagonista, Onaru, che letto al contrario diventa Urano, il padre di Chronos nella mitologia greca. Mathis si innamorerà dell’unica donna che non lo vuole e lo respinge, si è fatto rubare il manoscritto in cui ha riversato le sue illusioni, le sue speranze: ma questo manoscritto esiste davvero?
O forse non è stato ancora scritto.
A ben guardare “Questo libro non esiste” è molto più di un giallo. La vicenda di Mathias si trasforma anche in pretesto per riflettere sulla scrittura, sul fallimento, su una certa deriva del mondo editoriale. Una scusa perfetta per introdurci quasi attraverso il buco della serratura nel farraginoso mondo dell’editoria, nei suoi acrobatici compromessi, nelle sue tante, troppe ipocrisie.
Non mancheranno ironiche allusioni al sistema: come la casa editrice Malbege satirica deformazione delle Malebolge dantesche, gli scrittori che si ritrovano al Don Juan in onore del massimo Cervantes e bevono un “mulino a vento”, le relazioni virtuali, i like gabellati come valuta di scambio. Con humour, intelligenza e forma inseriti vivacemente nella narrazione.
Non facile ma un bel romanzo da leggere.
Marilù Oliva, nata a Bologna, è scrittrice, saggista e docente di lettere. Collabora con diverse riviste ed è caporedattrice del blog letterario Libroguerriero. Per Solferino ha pubblicato i bestseller mitologici L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (2020), L’Eneide di Didone (2022), L’Iliade cantata dalle dee (2024), La Bibbia raccontata da Eva, Giuditta, Maddalena e le altre (2025), il romanzo Biancaneve nel Novecento (2021), il saggio I Divini dell’Olimpo (2022) e le riedizioni di due dei suoi noir di successo, Le Sultane (2021) e Repetita (2023).
:: La terra al di là di Gene Wolfe (Atlantide 2025) di Emilio Patavini
22 luglio 2025
Atlantide è una casa editrice dall’interessante catalogo, che comprende anche una oculata selezione di titoli fantascienza, da Amo Galesburg a primavera di Jack Finney a Il mondo sul filo di Daniel F. Galouye, da Riaffiorano le terre inabissate di M. John Harrison, a Godbody di Theodore Sturgeon. A queste opere si è recentemente aggiunto, ad aprile di quest’anno, il romanzo La terra al di là di Gene Wolfe (1931-2019), autore americano noto per il ciclo science fantasy del Libro del Nuovo Sole, edito da Mondadori. Uscito nel 2013, La terra al di là è il penultimo romanzo pubblicato da Wolfe e racconta di Grafton, un uomo americano che si ritrova a viaggiare in un imprecisato paese dell’Est Europa per scrivere una guida turistica. Del paese non ci verrà mai detto il nome, ma sappiamo solo che in questa «terra al di là della montagne» vige una dittatura post-comunista, mentre gli abitanti hanno nomi simil-greci. Come è stato notato, il titolo originale The Land Across sembra rimandare alla Transilvania, riferimento corroborato anche dalla presenza di una residenza estiva di Vlad l’Impalatore nel paese. Se anche di Transilvania si tratta, ne è comunque una versione alternativa e distopica, uno stato di polizia che sottrae il passaporto a Grafton e lo incrimina senza motivo apparente, affidandolo alla custodia di un uomo di nome Kleon, che fin da subito non mostra alcuna simpatia nei suoi confronti, e di sua moglie Martya, che al contrario è attratta dallo straniero e decide di aiutarlo. Grafton affitta poi una casa abbandonata, i Salici (nome che rievoca Algernon Blackwood), in cui si dice che sia sepolto un tesoro. Ma al suo interno trova invece il corpo mummificato di una donna, che sarà solo la prima di una serie di disavventure che lo porterà a essere rapito da una organizzazione antigovernativa di ispirazione religiosa, la Legione della Luce, e poi a essere incarcerato. Se le premesse fanno pensare a Il processo di Kafka o a Epepe di Ferenc Karinthy, il lettore viene progressivamente sviato dall’ibridazione di generi messa in atto da Wolfe. Il romanzo passa così dalla ghost story con presenze soprannaturali e tanto di casa infestata all’intricata spy story e al thriller metafisico: Grafton viene infatti coinvolto nello scontro tra la polizia segreta, la JAKA, e la setta satanista dell’Empia Via.
Non bisogna aspettarsi da questo romanzo la complessità postmoderna del ciclo del Nuovo Sole, ma una godibile lettura di intrattenimento che all’inizio sfiora l’inquietante, poi vira decisamente verso l’azione e infine sfuma in un finale parecchio sottotono. Anche stilisticamente la scrittura è scorrevole e colloquiale, e l’uso di strategie narrative come cliffhanger e colpi di scena tradisce una certa finalità tensiva che non riesce però a resistere fino alla fine, risultando poco convincente nell’ultimo quarto del romanzo. Il modo di parlare dei locali viene reso volutamente oscuro, involuto e non sempre chiaro da comprendere, immedesimandoci nello sforzo di Grafton di confrontarsi con un modo di pensare completamente diverso dal suo. L’elemento soprannaturale si palesa nella lotta tra magia nera e bianca ed è esemplificato dalla presenza di bambole vudù e di una mano della gloria dotata di vita propria e potenzialmente assassina che fa pensare a La bestia con cinque dita di W.F. Harvey, La mano scorticata di Guy de Maupassant, ma anche a Il cadavere del vescovo Louis, racconto dell’autore inglese di ghost stories Frederick Cowles che ho recentemente tradotto per la raccolta L’orrore di Abbot’s Grange uscita per Dagon Press.
Tuttavia questo La terra al di là è un romanzo che non convince pienamente. Da un narratore come Gene Wolfe era lecito aspettarsi qualcosa di più incisivo, di più stimolante per il lettore. Non che sia una lettura lenta o noiosa, tutt’altro, ma il problema è che spesso si incontrano elementi che mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità di chi legge. Per esempio, i personaggi agiscono alla cieca, guidati unicamente dal loro intuito, eppure riescono miracolosamente a imboccare sempre la via giusta e a non fare mai buchi nell’acqua. Dürrenmatt, per fare un nome su tutti, ci ha insegnato quanto spesso l’investigazione sia accompagnata dalla fallibilità, dimostrando come non sempre il raziocinio riesca a far luce su tutte le zone d’ombra. E di zone d’ombra in questo libro ce ne sono parecchie, forse non del tutto chiarite per volontà dell’autore, così come ci sono alcuni personaggi o entità che spariscono improvvisamente senza far più ritorno. Sembra quasi che la vena allusiva per cui l’autore è noto sia stata sacrificata ai fini della mera indagine spionistica, per quanto sia trascinante fino a un climax da weird menace anni ‘30 con la classica damigella in pericolo. La figura paterna (chi leggerà il libro capirà a cosa mi riferisco) e ambigua del dittatore del paese sembra aver imposto all’autore il dovere morale di includere una appendice in calce al libro in cui si ribadisce l’importanza della democrazia in opposizione alla fittizia autarchia descritta nel romanzo. Una scelta che appare a mio avviso pleonastica. Gene Wolfe ha la fama di autore difficile da leggere. Questo libro non è difficile da leggere né particolarmente complesso. A volte sembra solo confuso. Si avverte anche l’influenza di quell’autentico capolavoro che è L’uomo che fu giovedì di G.K. Chesterton, uno degli autori che più ha influenzato Wolfe, ma il cui genio rimane insuperato.
Gene Wolfe (1931-2019) è stato uno dei maggiori scrittori americani di fantascienza e fantasy del Novecento, vincitore di numerosi premi, tra cui quattro Locus e due Nebula. “La terra al di là”, pubblicato originariamente nel 2013 e avvicinato immediatamente alle opere di Kafka e Flaunn O’Brien, viene presentato per la prima volta in traduzione italiana.
Source: libro inviato dall’editore.
:: L’enigma Kaminski di Paolo Roversi (Mondadori 2025) a cura di Patrizia Debicke
21 luglio 2025
Milano, ancora euforica per il successo dell’Expo, si prepara alla consueta vivace esplosione di luci natalizie. Ma l’8 dicembre, una cupa ombra cala sulla città: Giovanni Ferri, noto e rispettato antiquario di Brera, viene ritrovato senza vita in un confessionale del Duomo, al termine della messa dell’Immacolata. A un primo sguardo, parrebbe un infarto. Ma Luca Botero, il commissario insofferente anzi allergico alla tecnologia e con uno spirito d’osservazione degno di un moderno Sherlock Holmes, ritiene invece che sia stato ucciso.
Quando l’autopsia conferma in pieno i suoi sospetti, l’indagine decolla. Molti, forse troppi, avevano un motivo per desiderare la morte di Ferri. E qualcosa di ancora più oscuro avanza minacciosamente : risorto dal passato torna a riaffacciarsi l’incubo peggiore del commissario — Jacek Kaminski.
Il criminale spietato che anni prima aveva quasi ucciso il commissario è tornato, e questa volta lo sfida apertamente.
Stavolta Botero dovrà mettere in gioco tutto: intuizione, coraggio, e forse anche la propria vita. Perché affrontare Kaminski sarà per lui come affrontare anche i suoi fantasmi. E non è detto che i cervellotici enigmi disseminati lungo il cammino non di rivelino l’ennesima trappola.
Con L’enigma Kaminski, terzo capitolo della serie con protagonista il commissario più analogico del noir contemporaneo, Paolo Roversi colpisce ancora nel segno. Il ritmo narrativo sempre serrato, la tensione costante e la trama si rivela densa di colpi di scena. Nulla è mai come sembra tanto che il lettore si sente in prima linea, costretto a indagare accanto a Botero, condividendone limiti e intuizioni, dubbi e folgorazioni.
Come nei precedenti romanzi, Milano è più di uno sfondo: è una presenza viva, quasi tangibile, palpitante, nervosa, apparentemente già pronta per il Natale ma attraversata da inquietudini sotterranee. Tuttavia, la caccia all’uomo porta Botero e la sua squadra anche fuori città: da Bologna alla Versilia, e persino fino a Macugnaga. Ogni diverso luogo diventa tessera di un puzzle complesso e affascinante.
Il passato si fa largo con prepotenza, e con questo la resa dei conti tanto attesa tra Botero e il suo nemico di sempre. Kaminski è la sua nemesi perfetta, capace di metterlo a dura prova sia sul piano investigativo che su quello personale. In un duello mentale all’ultimo respiro, in una partita senza esclusione di colpi.
Il commissario, fedele al suo Borsalino e al trench d’ordinanza molto americaneggiante, resta sempre coerente con la sua tecnofobia e il suo sguardo disincantato sulla realtà, chiuso in sé come un campo da biliardo all’italiana, anche se stavolta, Roversi apre qualche spiraglio sul suo mondo interiore, rendendolo più vicino al lettore, più umano.
Intorno a lui, la squadra Alfa, i “confinati” della Cortina di Ferro, l’ex caserma militare trasformata in base operativa. Al suo fianco il fedele cane meticcio Duca e l’amico Domenico, memoria storica e unica medicina alla ormai cronica insonnia che accompagna ogni indagine di Botero.
La scrittura di Roversi è rapida, diretta, quasi cinematografica. Fatta di : piani sequenza, zoomate, cambi di ritmo che mantengono costantemente l’attenzione al top. I dialoghi sono vivaci, i personaggi ben calibrati. E poi c’è Milano, sempre lei, a respirare contemporaneamente alla narrazione, a vibrare sotto la tensione crescente del racconto.
Gli enigmi lanciati da Kaminski saranno solo l’inizio di una vorticosa spirale che travolgerà Botero e i suoi. Il finale sarà da batticuore, con alla fine un colpo di scena che spalanca le porte a un nuovo capitolo. Perché, a volte, non è riconoscere il nemico la parte più difficile, mentre lo è il capire dove e come attaccherà la prossima volta.
Paolo Roversi, scrittore, giornalista e sceneggiatore, si è laureato in Storia contemporanea all’Università Sophia Antipolis di Nizza (Francia). Ha pubblicato romanzi gialli con protagonista il giornalista hacker Enrico Radeschi: Blue Tango – noir metropolitano (Stampa Alternativa), La mano sinistra del diavolo (Mursia) con cui ha vinto il Premio Camaiore di Letteratura Gialla 2007 ed è stato finalista del Premio Franco Fedeli 2007, Niente baci alla francese (Mursia), La marcia di Radeschi (Mursia), L’uomo della pianura (Mursia) e La confraternita delle ossa (Marsilio). Con Marsilio, nel 2015 ha pubblicato il dittico Città rossa, due romanzi sulla storia della criminalità milanese degli anni Settanta e Ottanta ecc. ecc.
:: Bracconieri di Reinhard Kaiser-Mühlecker (Carbonio Editore 2025) a cura di Giulietta Iannone
19 luglio 2025
Bracconieri di Reinhard Kaiser-Mühlecker, tradotto da Alessandra Iadicicco, e ora edito in Italia da Carbonio Editore, è un romanzo notevole, molto potente, che ho apprezzato davvero molto per l’abilità dell’autore sia di scandagliare l’animo umano sia di raccontare l’ambiente rurale dove il protagonista Jakob Fischer e la sua famiglia vivono. Con uno stile tagliente e puntuale, mai banale, Kaiser-Mühlecker racconta una storia tesa, corposa in cui si parla di amore, incomunicabilità e redenzione, senza scadere mai nel prosaico e nel didascalico, ma attraverso l’analisi dei moti più segreti dell’animo umano e di conseguenza dei suoi riflessi nella natura. Jakob è un ragazzo comune, ancora molto giovane ma già gravato dalle responsabilità della gestione di una fattoria al confine tra l’Alta Austria e la Baviera, vicino a un’autostrada. Vive ancora coi genitori ma è efficiente, economo, gran lavoratore e apprezza il suo mondo, ama forse più gli animali che le persone, perché meglio li comprende, ama il lavoro, ama l’odore e il calore della sua terra, e quando incontra Katja, si mettono insieme e hanno un figlio si illude che la sua incapacità di comunicare e di gestire alcuni lati del suo carattere sia come dire guarita ma altre difficoltà si presentano all’orizzonte. L’incapacità di aprirsi all’altro, frutto anche forse di un’educazione anaffettiva, lo tormenta e gli rende difficile anche solo fare chiarezza in sé stesso. Kaiser-Mühlecker gestisce tutto questo magma con piglio sicuro, senza sbavature e cedimenti, padroneggiando una prosa sobria e antica, con le difficoltà della modernità, telefonini, computer, Tinder, macchinari agricoli, escavatrici. Jakob ha un ricco mondo interiore che non riesce a far emergere in superficie, e questa difficoltà esistenziale si riflette nelle difficoltà che affrontano molti giovani, acquistando un valore universale.
Reinhard Kaiser-Mühlecker (1982), nato e cresciuto in Alta Austria, ha studiato Agricoltura, Storia e Sviluppo internazionale a Vienna. Dopo lunghi soggiorni in Argentina, Bolivia, Svezia e Germania, è tornato a vivere nel piccolo comune di Eberstalzell, dove tuttora gestisce l’azienda agricola di famiglia, affiancando l’attività di scrittore.
Ha vinto numerosi premi tra cui spiccano, nel 2022, il rinomato Bayerischer Buchpreis con Bracconieri e, nel 2024, l’Österreichischer Buchpreis, il maggiore riconoscimento letterario austriaco, con Campi ardenti di prossima pubblicazione per i tipi di Carbonio Editore.
È autore di dieci romanzi e di una raccolta di tre racconti lunghi.
Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo Costanza dell’Ufficio Stampa Carbonio Editore.
























