Terzo romanzo della serie con protagonista il procuratore legale Joe Dillard, Ingiustizia totale (Injustice for All, 2010) di Scott Pratt, tradotto da Carlo Vincenzi, ci porta nel profondo Sud degli Stati Uniti, più precisamente nel Tennesse, anima rurale delle Dixieland.
La serie in America è giunta al 9° episodio (nell’ ordine: An Innocent Client, In Good Faith, Injustice For All, Reasonable Fear, Conflict of Interest, Blood Money, A Crime of Passion, Judgment Cometh: And That Right Soon, Due Process). Solo i primi quattro titoli sono pubblicati in Italia da Fanucci, nella collana Time Crime.
Nel lontano 2009 intervistammo Scott Pratt, qui il link, per scoprire che non ha scritto solo libri di questa serie ma anche stand-alone.
Tornando al libro, Ingiustizia totale è un legal thriller che si differenzia un po’ dai classici thriller di argomento legale. Scott Pratt scrive infatti legal thriller molto particolari, più legati ai dilemmi etici, alle faccende private dei personaggi (non solo principali) che alla reale vita da tribunali con cavilli legali compresi.
Questa caratteristica è particolarmente accentuata in questo romanzo che inizia subito con l’esecuzione di Philip Johnson, e riflessioni etiche e morali sulla pena di morte, presente ancora in molti stati americani. L’efferatezza dei crimini, la quasi certezza delle prove, il dolore dei parenti delle vittime e della vittima stessa, giustificano questo omicidio legalizzato? Sembra chiederci il protagonista, anche lui combattuto tra dilemmi etici e la semplice e atavica vendetta.
Sull’effetto deterrente della pena di morte si è discusso in molte sedi, ma il tema non viene approfondito e invece l’autore ci porta nel cuore della trama del romanzo che si divide in due filoni: quello legato a Katie Dean (in che modo le vite di Katie di Joe Dillard sono legate lo scoprirete nel proseguo della lettura), e quello legato all’ omicidio, particolarmente efferato, del giudice Green, non esattamente una persona di specchiata moralità e integerrima condotta, a sua volta causa principale del suicidio del migliore amico di Joe Dillard.
Entrambi i casi si intrecceranno, rendendo ancora più complesso il dipanare degli eventi, in cui però c’è da dire tutto è consequenziale, e perfettamente credibile e verosimile.
Da avvocato penalista Scott Pratt conosce la legge, i diritti dei testimoni e delle persone coinvolte in fatti criminosi, i diritti degli stessi presunti colpevoli e inserisce queste informazioni nella narrazione senza apparire fastidioso o troppo didascalico, ma anzi accentuando suspense e colpi di scena, come si richiede da un vero thriller.
Quindi anche se non amate troppo le divagazioni legali, dovreste trovare ugualmente godibile questo romanzo, ricco anche di riflessioni umane e psicologiche, che vanno dall’assistenza di malati gravi, quando sono parte della nostra famiglia, al dramma di chi vive il suicidio di un genitore, a cosa vivono le vittime di stupri, aggressioni o sevizie di vario genere, a chi da innocente viene ingiustamente perseguitato dalla legge. Questa parte seppur trattata con una certa sensibilità, può in effetti essere non adatta a tutti, specie le pagine dove l’autore descrive le medicazioni che Joe Dillard fa alla moglie (malata di tumore al seno).
Insomma il romanzo è molto realistico anche psicologicamente, e sicuramente coinvolgente. Ho apprezzato l’abilità dell’autore nel far si che Joe Dillard resti un personaggio positivo, seppur affronti scelte e decisioni combattute, tra il suo conoscere la legge e perseguire la giustizia. Come sempre legge e giustizia possono viaggiare su binari separati, e spesso, bisogna fare ciò che è giusto, e tutelare i nostri cari, anche rischiando di persona, e salato. Decisamente notevole.
Scott Pratt, classe 1956, è nato a South Haven, nel Michigan. Laureato in giurisprudenza presso l’Università del Tennessee, ha svolto per diversi anni la professione di avvocato penalista prima di dedicarsi completamente alla scrittura. Vive nel Tennesse con sua moglie e quattro cani. Per Fanucci Editore nella collana TimeCrime sono usciti i romanzi Un cliente innocente, In buona fede e Ingiustizia totale, primi tre volumi del ciclo di libri che vedono come protagonista Joe Dillard.
Source: libro inviato dall’ editore. Ringraziamo Giulia Luciani Ufficio Stampa – Gruppo Editoriale Fanucci.

La prima regola a cui deve attenersi un avvocato difensore è non chiedersi mai se il proprio cliente sia innocente o colpevole. Una regola che non si impara sui banchi dell’università, una regola che Mickey Haller cerca di far capire alla sua giovane associata, ancora fiduciosa, forse ingenua, avvocato per la quale hanno ancora un senso parole come giustizia, innocenza, integrità, coscienza. Haller ha imparato la lezione, ha imparato a fare i conti con la realtà per fare al meglio il suo lavoro. Ma questa lezione l’ha imparata davvero? Il dubbio è legittimo, specie se consideriamo le difficili scelte che prenderà alla fine di Il quinto testimone (The Fifth Witness, 2011), ultimo legal thriller edito in Italia, tradotto da Mariagiulia Castagnone, di quel mostro sacro che è Michael Connelly.
La svolta (The Reversal, 2010) di Michael Connelly, tradotto da Stefano Tettamanti e Giuliana Traverso ed edito da Piemme, è il terzo romanzo della serie Heller, dopo Avvocato di difesa (The Lincoln Lawyer, 2005) e La lista (The Brass Verdict, 2008), questa volta con la partecipazione anche di Harry Bosch e Rachel Walling in ruoli un po’ defilati ma essenziali per la risoluzione del caso. Con il personaggio di Mickey Haller lo scrittore di Filadelfia ha fatto ufficialmente il suo ingresso nel legal thriller, privilegiando una prospettiva anche critica nei riguardi del sistema legale americano, e del suo stretto legame con la strumentalizzazione dei mass media per influenzare l’opinione pubblica e di riflesso anche la giustizia, e questa senz’altro a mio avviso è la caratteristica più interessante di questa serie. La svolta è un legal thriller puro, la maggior parte dell’azione è svolta in tribunale, nell’ufficio del giudice, o nella preparazione del processo; chi ha amato Presunto innocente di Scott Turow, Anatomia di un omicidio di Robert Traver o i romanzi di John Grisham sicuramente troverà questa lettura interessante, ma se gli interrogatori e i controinterrogatori vi annoiano, il mio consiglio è che leggiate le serie più d’azione con protagonista Bosch o Jack McEvoy. Essenzialmente ne La svolta abbiamo a che fare con un cold case, – termine abbastanza conosciuto anche grazie una serie televisiva di successo- ovvero uno di quei casi non risolti che anche a distanza di molti anni possono venire dissepolti se per esempio si trovano nuove prove, anche grazie alle sempre più moderne tecniche di laboratorio. Ed è così che accade questa volta: l’analisi del DNA condotto sulle vesti della vittima sembra porre dubbi sulla colpevolezza di Jason Jessup, che già da più di vent’anni è in carcere accusato dell’omicidio di Melissa Landy, una ragazzina di 12 anni. Grazie anche all’intervento di un’associazione di legali conosciuta come Genetic Justice Progject e l’ostinazione di Jessup, sempre impegnato nella sua cella a compilare ricorsi, istanze, denunce, la Corte Suprema dello stato revoca la condanna, il caso viene riaperto e si inizia un nuovo processo che se stabilisse l’innocenza di Jessup implicherebbe un clamoroso danno di immagine per l’intero dipartimento della polizia di Los Angeles, il sistema giudiziario e finanche la necessità di sborsare un ingente risarcimento di milioni di dollari che la città e la contea dovrebbero corrispondergli per ingiusta detenzione. Proprio a causa di queste ripercussioni, anche politiche, e della delicatezza della situazione, dovuta anche al grande clamore mediatico, il procuratore della contea di Los Angeles, Gabriel Williams, decide di affidare l’accusa ad un pubblico ministero esterno al suo ufficio e chi meglio di Mickey Haller è la persona giusta per questo incarico? Heller, fermamente convinto della colpevolezza di Jessup, accetta di fare da pubblico ministero, lui da sempre avvocato della difesa, e chiama accanto a sé la ex moglie Maggie McPherson come vice-procuratore e il fratellastro Harry Bosch nel ruolo di detective. Da questo momento in poi Heller si occupa della preparazione del processo e dell’impegnativo scontro con l’avvocato difensore Clyve Royce, abile manovratore dell’opinione pubblica e dei media, e Bosch delle indagini sul campo. Jessup viene rilasciato e proprio il suo pedinamento porta Bosh a sospettare che ci sia sotto qualcosa di non risolto e l’intervento risolutivo Rachel Walling profiler dell’FBI chiarirà a tutti gli errori commessi nel primo processo e la minaccia che Jessup rappresenta anche per Bosch e Heller stessi. Solitamente in questo tipo di legal thriller il dubbio sulla colpevolezza del presunto colpevole viene giocato in modo più ricco di suspense, Connelly no, sceglie un approccio molto meno ad effetto: sia Heller, che Maggie, che soprattutto Bosch sono certi della sua colpevolezza e si adoperano per assicurarlo alla giustizia. Questa scelta rende le sfumature thriller molto meno marcate a favore invece di un’analisi più accurata del sistema legale in sé. Si trattano temi come la pena di morte, il dolore dei parenti delle vittime le cui ripercussioni possono condizionare le intere loro vite, ( bellissimo a mio avviso il personaggio di Sarah Ann Gleason), gli scrupoli morali degli avvocati, in lotta tra cinismo ed etica, i rapporti tra media e giustizia, il rischio che errori giudiziari possano rovinare la vita di innocenti. Connelly resta uno scrittore notevole, per stile e struttura narrativa, autore di alcuni dei più bei thriller che abbia mai letto; se paragono i primi a questi più recenti noto una diversa prospettiva di analisi, come Connelly stesso ammise ad una presentazione a cui partecipai. Connelly è cambiato e così lo sono i suoi libri e i suoi personaggi. Da lettrice vorrei più spazio per Jack McEvoy, ma nonostante questo Bosch resta un personaggio che amo ritrovare di libro in libro, invecchiato, amareggiato, sempre più desideroso di fare bene il padre. Le sue priorità sono cambiate proprio come per Connelly, presumo.
Diciamolo subito La lista (The Brass Verdict) edito da Piemme non è una nuova avventura del detective della polizia di Los Angeles, Hieronymus ‘Harry’ Bosch, personaggio fondamentale della produzione letteraria di Michael Connelly. Bosch compare sì, più che altro per una sorta di passaggio di testimone verso il vero protagonista l’avvocato difensore Mickey Haller, entrato in scena per la prima volta nel precedente romanzo Avvocato di difesa (The Lincoln Lawyer) e destinato ad occupare un posto di rilievo nella futura produzione di Connelly. Lo so questo lascerà l’amaro in bocca a molti, ma se si supererà la delusione iniziale Connelly è sempre Connelly e il passaggio tra un police procedural e un legal thriller non è poi così drammatico.























