Posts Tagged ‘Elliot Edizioni’

:: Il gioco degli occhi di Sebastian Fitzek (Elliot 2011) a cura di Giulietta Iannone

5 giugno 2011

Il gioco degli occhi di Sebastian FitzekAlexander Torbach è un ex poliziotto. Ha lasciato la polizia in modo drammatico e da allora una specie di strisciante senso di colpa lo accompagna e gli avvelena la vita pure adesso che si guadagna da vivere come cronista di nera. Alexander Torbach tra i casi che segue è ossessionato da “Il collezionista di occhi”, un serial killer spietato che prima di uccidere si diverte a giocare a nascondino con le sue vittime. Si accanisce nel modo più efferato sui bambini, li rapisce, li nasconde, ne uccide la madre e lascia al padre quarantacinque ore di tempo per trovarli prima che muoiano e quando succede, perché sempre succede, li priva di un occhio e proprio da questo macabro rituale è nato il suo soprannome. Ecco in questo consiste il  gioco perverso che ha escogitato per nutrire i suoi demoni interiori che nascono da abusi subiti nell’infanzia. Alexander Torbach capisce ben presto che per prenderlo l’unico modo è stare al suo gioco, seguire le sue indicazioni, come in una macabra caccia al tesoro dove il tesoro da trovare è un inerme e indifeso bambino da liberare. Poi un incontro cambia le carte in tavola. Alexander Torbach conosce una fisioterapista cieca Alina Gregoriev, che ha un dono: le basta toccare le persone per vedere cosa hanno fatto. Alina sostiene che il suo ultimo paziente era proprio il Collezionista. Difficile da credere. Certo ma quando non si hanno altri appigli, altre tracce, ci si aggrappa pure ad una cosa così assurda, incredibile. In un susseguirsi di avvenimenti mozzafiato dove il passare del tempo accresce la tensione in modo spasmodico Alina e Alexander si impegnano nella angosciosa ricerca degli ultimi bambini rapiti anche se un dubbio inizia a farsi strada, il dono di Alina le permette davvero di vedere il passato? Alexander sente che qualcosa non torna e proprio nel modo più drammatico avrà la certezza di quanto si erano sbagliati. E il finale si scopre essere solo un nuovo inizio capace di gettare il protagonista nella più cieca disperazione. E la caccia continua.
Diciamolo subito Sebastian Fitzek non è un autore che ama il lieto fine. Immaginatevi dunque quando l’epilogo ve lo mette all’inizio e i capitoli vanno a ritroso. Una follia direte come quella di creare un personaggio che al semplice tocco vede le cose che succedono, un azzardo, per lo meno inverosimile e invece sembra che nasca tutto da un fatto reale. Nei ringraziamenti finali, che consiglio davvero di leggerli e non saltarli perché sono davvero divertenti, veniamo a sapere che principalmente l’idea per Il gioco degli occhi è stata data a Fitzek  dalla sua fisioterapista Cordula Jungbluth che davvero mentre manipola i suoi pazienti in complicate pratiche shiatsu sente le cose e Fitzek ne ha avuto la prova in svariate occasioni. Siete propensi a credergli? Non so, sono anche io dubbiosa come voi ma so per certo che la polizia americana si avvale di sensitivi nella ricerca di persone scomparse per cui un fondo di verità ci sarà senz’altro anche se sono scettica di natura. Ma torniamo a parlare del libro dopo questa piccola digressione che mi sembrava necessaria. Innanzitutto lo stile di Fitzek fluido e dinamico non è cambiato. Chi ha amato i suoi libri precedenti troverà un Fitzek in gran forma, amante della tensione, e del gioco psicologico portato all’estreme conseguenze. Il personaggio del serial killer che ha subito traumi e sevizie da bambino e per questo fa le cose che fa è un po’ abusato e tipicamente americano quindi l’originalità diciamo è quella di vedere all’opera un serial killer tedesco, decisamente propenso a dare troppe spiegazioni nell’email finale. Dunque vanitoso, egocentrico, sadico, affatto simpatico, un cattivo tout court senza spiragli di umanità. Forse è un limite, forse è necessario all’economia della trama, tutto dipende dai punti di vista. Va anche considerato che è difficile provare simpatia per un pazzo che toglie un occhio ad un bambino morto, anche se personaggi all’ Hannibal Lecter erano capaci di creare una sorta di empatia con il lettore pur dopo mille efferatezze. Fitzek preferisce concentrarsi nella creazione del protagonista dotandolo di varie sfumature e preso atto di questo la lettura scorre veloce e sicura. Si legge davvero in poche ore e arrivati all’ultima pagina si comprende con certezza che ci sarà una seconda parte. Fitzek ama giocare con i suoi lettori, e per divertirsi bisogna stare alle sue regole, accettato questo è un libro intrigante sicuramente di qualità superiore rispetto ai consueti thriller. Traduttore Claudia Crivellaro.

Sebastian Fitzek è autore di una serie di romanzi (genericamente definibili psychothriller) di incredibile successo. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo.
Tra i titoli in edizione italiana ricordiamo Il ladro di anime (Elliot, 2009), Il bambino (Elliot, 2009), La terapia (Rizzoli, 2007 – Elliot, 2010), Schegge (Elliot, 2010), Il gioco degli occhi (Elliot, 2011), Il cacciatore di occhi (Einaudi, 2012), Il sonnambulo (Einaudi, 2013) e Noah (Einaudi, 2014).

:: Recensione di The Rabbits di John Mardsen e Shaun Tan (Elliot 2010) a cura di Giulietta Iannone

3 febbraio 2011

The Rabbits di John Mardsen e Shaun Tan ElliotMesi fa avevamo recensito un esauriente saggio della studiosa Cristina Greco, che analizzava come il fumetto può non solo essere una forma di intrattenimento ma veicolare anche temi importanti rivalorizzando la memoria culturale con lo scopo più o meno esplicito di educare (qui). Mentre Maus raccontava la Shoa e Palestina parlava del conflitto arabo-israeliano, The Rabbits tratta il tema del colonialismo senza espliciti riferimenti a fatti storici precisi anche se sono più che evidenti le analogie con la storia del colonialismo in Australia. Più che un fumetto a dire il vero è un libro illustrato scritto da John Marsden e illustro da Shaun Tan, entrambi australiani e  pubblicato lo scorso ottobre da Elliot, una favola non destinata ai bambini dalle forti connotazioni simboliche raccontata dal punto di vista dei colonizzati. Un narratore invisibile infatti portavoce di un popolo oppresso e devastato racconta con tono epico da leggenda l’arrivo di misteriosi visitatori, dei conigli, non molti, molti gentili, che suscitano nei nativi curiosità non ostante l’avvertimento degli anziani di stare attenti. L’incontro in un primo tempo amichevole prende subito i connotati di una vera e propria invasione, a volte si combatte ma gli invasori sono troppi, i nativi perdono sempre. Il libro accusato di fare propaganda politica dalle frange più estreme della destra conservatrice ha vinto numerosi premi in Australia, negli Stati Uniti e nel Regno Unito ed è usato come testo di studio nelle scuole secondarie. Oltre che per il suo valore artistico di notevole pregio, le illustrazioni sono tratte da dipinti in acrilico, olio su canvas, inchiostro, l’opera racchiude un messaggio di immediata comprensione, pur nella sua drammaticità, e lascia nel lettore nuovi interrogativi che restano anche dopo che il volume sia chiuso.

The Rabbits di John Mardsen e Shaun Tan Elliot, Collana Scatti, Traduzione di Irene Pepiciello, 2010 32 pagine, illustato , rilegato, Prezzo 17,50 Età consigliata da 7 anni in su.

:: Recensione di Gratitudine di Joseph Kertes (Elliot 2011) a cura di Giulietta Iannone

25 gennaio 2011

Gratitudine di Joseph KertesNella mia vita mi sono documentata e ho letto numerosi libri riguardanti la Shoah, le persecuzioni antisemite, la questione ebraica, alcuni saggi, racconti biografici, libri fotografici, alcuni libri più spiccatamente fiction e sicuramente non posso dire di avere letto tutto. Le pubblicazioni sono smisurate e ogni anno escono sempre nuovi libri caratterizzati da un fatto irreversibile: chi li scrive è sempre più lontano dai fatti succeduti. I sopravvissuti dei campi, i testimoni di quegli anni, le generazioni che hanno vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale,  presto non saranno più in vita, non potranno più raccontare le loro storie. Oggi ci sono i loro figli, i nipoti, persone che hanno vissuto l’Olocausto in maniera riflessa e non per questo meno drammatica. La storia dell’Olocausto è un storia in cui il male ha mostrato la sua faccia peggiore, la crudeltà dei carnefici ha potuto causare tali sofferenze da essere difficilmente concepibili, però non dimentichiamolo non fu solo una storia di orrore ma anche di coraggio, di abnegazione, di uomini che misero a repentaglio le loro vite per salvare più persone possibili, di giusti tra le nazioni. Come non citare Schindler, conosciuto dal grande pubblico grazie al film di Spielberg,  Perlasca, Wallenberg, e i numerosi, che forse resteranno per sempre sconosciuti, che furono deportati e persero la vita nel tentativo di proteggere amici, o semplici estranei, di religione ebraica. Forse la storia delle persecuzioni degli ebrei ungheresi è la meno conosciuta, o almeno lo è per me. Gratitudine fa luce proprio su questo. Pubblicato per la prima volta in Canada del 2008 e vincitore del 59° “U.S. National Jewish Book Award for Fiction” e del “Canadian Jewish Book Award” questo romanzo spiccatamente corale unisce alla storia di fantasia, che drammatizza le vite di una ricca famiglia ebrea ungherese che visse durante l’ultima guerra, l’azione eroica di Raoul Wallenberg, personaggio realmente esistito, che salvò e protesse migliaia di ebrei ungheresi fornendogli falsi passaporti svedesi e case che non potevano essere violate, esattamente come fece l’italiano Giorgio Perlasca nella ambasciata spagnola a Bucarest.
La famiglia Beck, di cui Gratitudine racconta la storia, è una famiglia dell’alta borghesia, una famiglia facoltosa di professionisti, avvocati, medici segnata dagli stessi drammi di migliaia di famiglie ungheresi, accomunate tutte dai rastrellamenti eseguiti dai nazzisti che iniziando dai confini fino ad arrivare a Budapest deportavano tutti gli ebrei che riuscivano a stanare. I tre fratelli Beck Paul avvocato, Istvan dentista e la più giovane Rozsi, accomunati dal dolore, dal coraggio, dalla voglia di sopravvivere alla follia che li circonda danno vita a una saga familiare in cui anche i personaggi minori, come gli zii e i cugini, assumono un ruolo fondamentale nello svolgimento della trama. Storie private che si confrontano con la storia con la “s” maiuscola. Paul aiuta Wallenberg in tutti i modi strappando letteralmente gli ebrei in partenza dai treni che li portavano nei campi di concentramento. Istvan viene nascosto nelle cantine dalla sua assistente Marta che viene deportata ad Auschwitz proprio per averlo aiutato. Rozsi vive una bellissima storia d’amore con un fotografo che viene catturato e deportato. Finita la guerra dato che il fidanzato non torna per il dolore si suicida. La cura delle ambientazioni, lo scavo psicologico dei personaggi, l’abilità con cui l’autore alterna e amalgama storia e fantasia, fanno di questo romanzo un commovente affresco dell’Ungheria occupata, dando soprattutto grande risalto al senso di sgomento e vera e propria incredulità con cui gli ebrei vissero questo stato di cose, perfettamente integrati da secoli nella vita di un paese moderno, amante della pace e cosmopolita. Il lettore, come i personaggi, vengono chiamati in causa e ognuno deve prendere posizione, schierarsi, cercare di capire quali sono le radici del male e come queste radici si insinuinino nella mente degli uomini. La bassezza, la codardia, l’egoismo di coloro che approfittarono della situazione gareggiano quasi con la crudeltà di coloro che torturarono, depredarono, uccisero e non si può far altro che guardare in faccia cosa gli uomini furono capaci di fare per trovare la forza di fare tesoro delle esperienze del passato e cercare così di creare un futuro, se non più giusto, perlomeno più umano. Nonostante il volume sia piuttosto corposo, 530 pagine, si legge molto facilmente in un paio di giorni.

Gratitudine Joseph Kertes, Elliot Edizioni, collana Raggi,  530 pagine, 2011, Traduzione Cosetta Cavallante, Prezzo di copertina 19,50.  

:: Recensione di ¡Tu la pagaràs! di Marilù Oliva a cura di Giulia Guida

5 luglio 2010

“E’ nelle notti senza pietà che devi continuare a ballare.” [Rileggendo “¡Tu la pagaràs!”, M. Oliva]

Gabriele Basilica segue da lontano il contorno accidentato del suo viso. Nascosto in un angolo buio della sala da ballo, lascia scivolare il suo sguardo sul sorriso fiero della Guerrera, sui suoi capelli arrabbiati, sulle cicatrici inchiostrate a dovere che le rigano la pelle come trincee di una terra deturpata, abbandonata da tutti, su cui le piante crescono forti per sopravvivere all’orrore del ricordo. E non ha ancora incontrato i suoi occhi, due diamanti neri, spezzati nel mezzo, lucidati da una passione irrequieta, che non trova tregua. Se non quando pratica la capoeira, arte marziale brasiliana spesso scambiata per una forma di danza. Se non quando balla nelle notti di salsa, lasciando che le sue mani e le sue gambe disegnino traiettorie sempre nuove, sconosciute anche a lei stessa. Mentre il suo corpo si trasfigura, riesce a sentirsi al centro e alla deriva di ogni cosa, perde il contatto con la realtà che la circonda, sente il battito del suo cuore sempre più veloce, che le ricorda che non sarà mai viva come in quei momenti. Perciò si fa dea tribale, fenice immortale, amazzone rapace, grido di guerra. E balla. Sotto il sole artificiale di una discoteca di Bologna, mentre il tempo si scheggia, gli spazi si mescolano, i corpi si sfiorano, i ballerini in pista cambiano maschera, almeno per una sera avranno un altro nome, un’identità diversa, una storia da raccontare che non sia quella della propria vita. E la Guerrera cambia forma: i muscoli si distendono, i tendini si sfilacciano, il sangue diventa elettrico. Elisa è pura energia, Basilica ne è come aggredito. E’ più di una donna, è una forza primitiva, un terremoto delle viscere, è una femmina di lupo. Inavvicinabile.
E intorno a lei si dimena quel bollente e stravagante universo latinoamericano che brucia di gelosie, vendette passionali, amori alcolici usati e poi chiusi a chiave chissà dove. E’ l’unica parte di mondo in cui Elisa sente di potersi liberare dal peso della sua infanzia di orfana, dalle intermittenze grigie del presente, dalle giornate stinte passate dentro la redazione-garage del temibile Torinelli ad accatastare notizie su notizie per la sua sottospecie di giornale locale. La salsa è il regno della “regla de ocha”, la santerìa, la religione africana esportata a Cuba dagli schiavi del continente, con il suo complesso santuario “yoruba” e i suoi numerosissimi “orishas”, divinità immateriali, impercettibili per l’uomo. E’ l’unico luogo in cui Elisa non deve giustificarsi, perché niente del mondo fuori ha importanza lì dentro. Quella è la sua gente, quelle sono le sue divinità. Tra il bancone di Azùk e i divanetti dove sta seduta per ore a chiacchierare con la sua coinquilina Catilina, cartomante e visionaria, vede gravitare sotto i suoi occhi tutta quella vita che non può morire né temere niente fin quando ci sarà musica su cui ballare. C’è El Cubano, il ballerino pugliese che si spaccia per nativo cubano e nasconde la sua ossessione per le donne super- size, Princesa nella sua pelliccia bianca di ermellino, vanitosa salsera dalla pelle bruna divorata dal sole, Manuela, l’insegnante di danza che dirige il locale insieme al dj El Pony, e nonostante abbia già una figlia e troppi anni per non sentirsi sola, non vuole essere messa da parte, deve avere la certezza di riuscire a piacere ancora.

E poi c’è  Thomàs Delgado sulla pista, spietato don Giovanni dei bassifondi, con cui la Guerrera porta avanti da un pò di tempo una relazione di sesso. E poi c’è Thomàs nel bagno, gli occhi forati, due buchi vuoti senza più sangue, infilzati da un oggetto contundente a due lame.
Ed ecco apparire sul luogo del delitto il fedele Mussito al fianco dell’ispettore Gabriele Basilica, personaggio maschile di primo piano in questo secondo lavoro di Marilù Oliva, già presente, seppur come figura di sfondo nel romanzo d’esordio dell’autrice bolognese, “Repetita” (Perdisa Pop, 2009, finalista premio Camaiore), nominato solo attraverso articoli di giornale. Tra le pagine di “¡Tu la pagaràs!” “Basilica assume uno spessore psicologico diverso, a tutto tondo, quello di un uomo che attraversa una profonda crisi matrimoniale e assiste stordito al crollo di tutti i suoi punti fermi. Marilù Oliva riesce a tratteggiare abilmente le debolezze, le insicurezze e il senso d’inadeguatezza di quest’uomo incamiciato, tutto d’un pezzo, che si ritrova catapultato in una dimensione da cui non potrebbe essere più lontano. Imparerà a conoscerne i meccanismi, le dinamiche umane, i rapporti di sangue grazie all’aiuto della Guerrera, valida collaboratrice nel corso delle indagini, ma anche probabile indiziata dell’omicidio di Delgado.
Per il suo secondo romanzo Marilù Oliva sceglie un approccio più diretto, che ben si adatta al ritmo movimentato del  noir d’azione, con uno svolgimento dinamico, denso di avvenimenti, in un susseguirsi di storie sapientemente intrecciate e di incontri-scontri tra i personaggi. Un romanzo, dunque, che si discosta dalla tendenza all’approfondimento psicopatologico, dettata dalla natura stessa del personaggio di  Lorenzo Cerè, ma che permette all’autrice di dar prova di un aspetto diverso della sua scrittura, meno riflessivo e più narrativo, che non lascia spazio all’approssimazione e si accompagna ancora una volta ad un’accurata conoscenza delle ambientazioni e della materia narrativa di cui si sta parlando. Un noir con i crismi, come lei stessa l’ha definito, in cui tutti i personaggi vengono spinti a forza sotto i riflettori in un barbaro faccia a faccia contro la loro imperfezione.

Autore: Marilù Oliva
Editore: Elliot
Collana: Scatti
Pp: 275
Euro: 16, 50

:: Schegge di Sebastian Fitzek (Elliot 2010) a cura di Giulietta Iannone

18 giugno 2010

Schegge di Sebastian FitzekBerlino, tardo autunno, giorni nostri. Marc Lucas è un avvocato e assistente sociale, il suo lavoro consiste nell’aiutare gli altri: ragazzi sbandati per lo più abbandonati per strada, drogati, disperati. Marc Lucas ha un dono, è un sensitivo, può avvertire stati d’animo, provare empatia e compassione. Marc Lucas è anche fortunato, è felicemente sposato con Sandra, è in attesa di un figlio, è felice, nulla potrebbe andare meglio, poi all’improvviso la tragedia. A causa di un incidente stardale di cui lui si sente responsabile, Sandra muore e con lei il bambino. La vita di Marc Lucas diventa di colpo insopportabile finchè un annuncio su un giornale non gli ridà speranza, un’ ancora di salvezza alla quale aggrapparsi con tutte le sue forze:

“Avete subito un grave trauma e volete cancellarlo dalla vostra memoria? Allora rivolgetevi a noi tramite e-mail. La clinica privata Bleibtreu cerca volontari per un esperimento sotto stretto controllo medico.”

Marc Lucas senza pensarci manda la mail e viene contattato. Incuriosito, spaventato, pieno di speranza si reca alla clinica Bleibtreu, compila moduli, fa analisi poi all’ultimo non se la sente. Non firma il consenso e torna a casa. Ma qualcosa è cambiato, qualcosa non va. La sua auto non è più parcheggiata al solito posto. Sulla sua porta non c’è più il suo nome. Le chiavi non entrano nella serratura e quel che è peggio quando suona alla sua porta viene ad aprirgli Sandra la sua moglie morta che non lo riconosce. Lo shock è paralizzante. Come può essere posssibile? Ma questo è solo l’inizio. Il suo telefonino è privo di memoria. L’unico numero che ricorda è il proprio, lo chiama e gli risponde Marc Lucas… ma non è lui. Si reca sul suo posto di lavoro e vi trova uno sconosciuto. Disperato raggiunge la clinica Bleibtreu e al suo posto trova un cantiere e una voragine aperta. Cosa gli sta succedendo? Sta forse impazzendo? Più indaga, e più invece di sciogliere i nodi scopre cose ancora più inverosimili: una sceneggiatura che sembra ripercorrere tutta la sua storia e anticipare il futuro, un numero di telefono al quale non può fare a meno di chiamare. Benvenuti nel mondo di Marc Lucas. Benvenuti nel peggior incubo che vi possa capitare dove verità e menzogna si confondono, dove tutto sembra una gigantesca allucinazione e si arriva persino a dubitare di esistere. Ma a tutto c’è una spiegazione, una logica, plausibile, spietata, ogni tassello anche il più isignificante si incastra alla perfezione nel perfetto ingranaggio ideato da Fitzek. Schegge è senz’altro uno dei più avvincenti e spiazzanti thriller degli ultimi tempi. Geniale nel suo esordio, incredibilmente coinvolgente, si legge tutto di un fiato non dandoti il tempo di fare altro. La curiosità ti spinge a giarare le pagine, e a chiederti sgomento, come il protagonista, ma che cosa sta succedendo? Sta tutto capitando solo nella mente del protagonista o i fatti sono reali e poi alla fine si troverà una spiegazione per tutto? I capitoli sono brevi, nervosi, la scrittura è sincopata, travolgente, i fatti descritti agghiaccianti nella loro apparente assurdità. Fitzek con un talento del tutto raro crea un gioco ad incastri senza descrivere in realtà avvenimenti violenti o raccapriccianti la tensione è puramente psicologica, tutto accade nella mente del protagonista e la sua angoscia viene trasmessa al lettore con naturalezza come in un meccanismo di vasi comunicanti.

Sebastian Fitzek è autore di una serie di romanzi (genericamente definibili psychothriller) di incredibile successo. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo.
Tra i titoli in edizione italiana ricordiamo Il ladro di anime (Elliot, 2009), Il bambino (Elliot, 2009), La terapia (Rizzoli, 2007 – Elliot, 2010), Schegge (Elliot, 2010), Il gioco degli occhi (Elliot, 2011), Il cacciatore di occhi (Einaudi, 2012), Il sonnambulo (Einaudi, 2013) e Noah (Einaudi, 2014).