In un panorama piuttosto asfittico, conformista, quasi banale, dove leggi una storia e ti sembra di averle lette tutte, si differenzia per originalità l’opera di Paola Rambaldi, con “Brisa” al suo primo romanzo. Ma riflettevo che proprio i piccoli editori possono ancora permettersi il lusso di tradire le leggi ferree del mainstream e osare qualcosa di diverso e insolito. Che poi non è detto che non sia anche benedetto dal successo commerciale, e noi glielo auguriamo.
Tornando all’autrice è dunque un’esordiente, anche se definirla così non è proprio un termine appropriato, innanzitutto si è dedicata per anni alla critica cinematografica e letteraria, grazie alla quale ha affinato come dire i ferri del mestiere, poi ha vinto dei premi con i suoi racconti ed è già uscito di suo un bellissimo libro sempre di racconti, nel 2015 mi pare, Tredici storie d’Adriatico che ho anche avuto modo di recensire, se non li avete letti recuperateli, meritano, già allora ne parlai in tono abbastanza entusiasta con alcuni addetti ai lavori, anche se la critica ufficiale non mi pare le abbia dato grande spazio almeno fino adesso, e questo è un vero peccato.
Ma comunque la Rambaldi è una tosta, e si vede che ama proprio scrivere, e raccogliere storie, aneddoti dalla gente e questa sua passione si trasmette anche al lettore.
Allora Brisa, la protagonista di questo romanzo, è una stria come la chiamano in paese, una donna con un occhio di un colore e uno di un altro, con poteri paranormali: vede il futuro (e anche i morti). E questo dono- maledizione in un certo senso la isola; sì ne fa una persona speciale, ma nello stesso tempo un’emarginata, una donna che sembra avere tutto contro, a cui il destino sembra non volere donare un amore, una famiglia, dei figli, come era la norma per le donne della bassa ferrarese degli anni ’50.
La storia infatti è ambientata in un piccolo paese alle foci del Po, Gorino, tra il settembre e l’ottobre del 1956.
In realtà è una storia nerissima, tutte le peggiori efferatezze e perversioni arriveranno all’improvviso, ma l’inizio è allegro: sta arrivando il luna park in città, per la festa patronale, un complesso suonerà i successi di quell’anno, si ballerà, si farà festa, insomma la dura vita dei contadini e dei pescatori della zona avrà come dire una pausa, e invece niente, il destino implacabile tesse le sue trame e quando scompare un ragazzino, Lucianino, figlio di Smamaréla, la donna del fratello di Brisa, da quel momento in poi preparatevi al peggio.
Comunque già un articolo di giornale posto all’inizio tratto dal Resto del Carlino, vi dà una idea di cosa potete aspettarvi, poi come è collegato ai fatti che leggerete lo scoprirete alla fine.
Più di questo della trama non vi dico, ma mi preme evidenziare in cosa questo noir è così originale. Sappiamo tutti che di solito i noir hanno ambientazioni metropolitane, (tanto cinema noir ci ha educato in questo senso) invece in Brisa abbiamo la provincia italiana del dopoguerra, (al centro di molta letteratura narrativa o di tanto cinema neorealista ma non di noir); poi i personaggi son gente semplice, si chiamano per soprannome, sembrano innocui, dei bonaccioni, non ti immagineresti mai che possano nascondere tali oscuri segreti, se non proprio bestialità inaudite. E questo gioca molto a favore della suspense e dello straniamento che proverà il lettore una volta scoperti moventi, colpevoli e retroscena.
La bravura della Rambaldi e di ricreare quel mondo con spontaneità, anche con l’uso sapiente di termini dialettali locali senza risultare astrusa o incomprensibile, e quindi ha fatto proprio un approfondito lavoro sul testo, poi anche evocando nomi di detersivi, di medicine, di canzoni, di riviste.
Le forze dell’ordine in questo romanzo non brillano per acume e perspicacia, anzi son proprio dei posapiano che invece di indagare sui vari casi preferiscono andare a prendersi un caffeuccio al Trombini, il bar della zona.
Brisa è il cuore dell’azione, e lei che cerca (perquisendo la stanza di Lucianino, cosa che le forze dell’ordine non fanno convinti che sia solo una bravata e torni presto con le sue gambe) e lei che risolve in un certo senso il “caso”. Rischiando molto in prima persona ma vincendo l’amore di Primino, quindi riappropriandosi di tutto quello che la vita sembrava averle tolto. È un personaggio femminile molto forte, vincente, la scarsa avvenenza è compensata da un carattere ruvido ma dolce e sensibile, molto altruista, io non so voi ma io me la immaginavo come Rossy de Palma, la musa di Almodóvar, con i suoi occhi bellissimi. E se mai ci sarà una trasposizione cinematografica trovare un’attrice adatta sarà veramente complicato.
Allora che altro, è un libro che vi consiglio, poi mi saprete dire. Disegno di copertina Pompeo de Vito.
Paola Rambaldi, Originaria di Argenta (FE), attualmente vive a Castello di Serravalle (BO). Ha iniziato a scrivere racconti casualmente partecipando a concorsi letterari e vincendone una sessantina in quattro anni.
Ha pubblicato: Tredici storie di Adriatico (Edizioni del Gattaccio, 2014), Bassa e nera (Pontegobbo), La fudréra (REM) e decine di racconti in riviste e antologie (Elliot, Pendragon, MobyDick, Sperling & Kupfer, Laurum, Zona, Felici, Stampa alternativa, Echos, Edizioni della Sera e molti altri).
Scrive di cinema nella rubrica “La schermitrice” su Thriller Magazine e di libri su “Libroguerriero”.
Brisa è il suo primo romanzo.
Source: libro inviato dall”editore al recensore. Ringraziamo l’ Ufficio Stampa.
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