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:: Le pagine immortali di Marguerite Yourcenar: Moneta del sogno (Bompiani 2017) a cura di Nicola Vacca

11 dicembre 2017
moneta del sogno

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Sono passati trent’anni dalla morte di Marguerite Yourcenar, tra le voci più altre della letteratura del Novecento. Una scrittrice notevole di cui oggi si parla poco e niente. Ma sappiamo come l’oblio a volte è un carnefice spietato e soprattutto non perdona quando si tratta di grandi scrittori. È paradossale tutto questo, ma accade spesso.
Bompiani in questi giorni ripropone nei Classici contemporanei, in una nuova traduzione di Stefania Ricciardi, Moneta del sogno, il romanzo italiano di Marguerite Yourcenar. L’ idea di questo libro arriva nel 1922, durante il primo viaggio della scrittrice in Italia. La Yorcenar ha diciannove anni e assiste il 28 ottobre alla marcia su Roma. Il fascismo le appare grottesco.
Nel romanzo, attraverso una moneta d’argento che passa di mano in mano, vengono narrate nove storie che si intrecciano con altrettante narrazioni in cui i personaggi come in una messinscena teatrale, di cui Roma è il palcoscenico, vivono le loro storie nella tragedia che la Storia sta vivendo in quegli anni terribili.

«Avevo subodorato l’atmosfera di viltà, di compromesso o di prudenti silenzi da una parte di rudi abusi di forza, di una smania di arrivismo, di quella piatta demagogia accostata alla realtà dell’arbitrario dall’altra, che è, o finisce per essere, l’aria irrespirabile di tutte le dittature».

Così la Yourcenar parla del suo romanzo. Oggi, a trent’anni dalla sua scomparsa, è bello riscoprire Moneta del sogno e soprattutto rileggere questo libro importante in una nuova traduzione che ne restituisce tutta l’ influenza. Ma soprattutto ci fornisce l’occasione per parlare di una grande scrittrice a trent’anni dalla sua scomparsa e di riesumare dall’oblio la centralità del suo ruolo nella letteratura.
La lingua francese ha nella scrittrice Marguerite Yourcenar una grande voce. Nota al grande pubblico per il romanzo Memorie di Adriano, nella sua intera opera (romanzi, poesie, saggi, opere teatrali) ricostruisce l’animo umano attraverso i personaggi della Storia ma anche tramite i suoi fatti che ne hanno condizionato l’evoluzione.
La Yourcenar, nata a Bruxelles nel 1903 e morta negli Stati Uniti nel 1987, oggi è diventata un classico del nostro Novecento.
YourcenarCon uno stile limpido e particolare che sempre si immerge nella lingua della poesia, la Yourcenar nei suoi libri si è occupata dei valori essenziali della vita in cui il dolore, il sentimento religioso senza forme precise e il rapporto tra sogno e realtà sono alcuni dei temi che toccherà essendo sempre essenziale nella sua scrittura che mai ignorerà la vivacità della prosa classica.
Memorie di Adriano contiene tutte le idee e le intuizioni della sua poetica. Il libro  è considerato il capolavoro della Yourcenar. È allo stesso tempo romanzo, saggio storico, opera poetica e soprattutto biografia. La storia è costruita come una lunga lettera che l’imperatore Adriano ormai vecchio, scrive al nipote Marco, come pretesto per ripensare alla sua vita di uomo e alla sua opera di politico. Afflitto dall’idroposia che ormai lo sta portando alla morte, Adriano ripercorre le tappe del passato, rivivendone i momenti più incisivi, e in questa lettera sentiamo lo sfogo di un uomo che non ha più l’energia per applicarsi a lungo agli affari dello Stato; la meditazione scritta di un malato che dà udienza ai ricordi. I fatti sono illuminati dalla saggezza che viene dall’età, dall’esperienza e anche dalla condizione di malato prossimo a morire, e Adriano appare come il simbolo di ogni vita vissuta con nobili intendimenti e con attenta ricerca della felicità, di ogni vita che accetta l’impegno e il sacrificio pur di non trascorrere inutilmente.
Basterebbero le pagine straordinarie di questo romanzo per rendersi conto che Marguerite Yourcenar è una scrittrice accarezzata dalla grazia. In stato di grazia la sua scrittura è sospesa tra passato e presente, ma sempre attenta alla memoria e alla cura di quel passato che molto ha da insegnare al presente inquieto.
La sua voce sempre ispirata e l’originalità del suo valore intellettuale hanno fatto di lei una scrittrice libera che ha sempre visto e raccontato il mondo senza pregiudizi, ma ascoltando sempre e comunque la sua vocazione di testimone del proprio tempo.
Nel 1981 viene eletta tra gli Immortali dell’Académie francaise. Riconoscimento che non gli cambierà la vita. Lei continuerà con i suoi personaggi a girare il mondo.
Alle stanze dell’Académie preferirà l’esistenza errabonda insieme ai suoi pensieri, le sue intuizioni e il culto della memoria che terrà sempre vivo creando e inventando i suoi personaggi (come Zenone, il medico alchimista, filosofo del romanzo L’opera al nero che nel Cinquecento non rinuncia alla propria libertà e ai propri ideali nel nome della strada maestra della conoscenza).
Il viaggio, la storia e il tempo (da lei definito magnificamente il grande scultore) scandiscono sempre la scrittura della Yourcenar.

«Vi sono sempre state ottime ragioni per viaggiare, la più semplice delle quali consiste nel farlo per il guadagno e per l’avventura, due motivazioni difficilmente separabili […]. In altri casi per ritrovare, come Ulisse, una patria perduta o […] per cercare un’isola più favorevole di quelle che si lasciava. Molto presto, a tali motivi se ne aggiunge uno nuovo: la ricerca della conoscenza».

Questo scrive e vive allo stesso tempo la scrittrice nel labirinto intricato della sua creatività che la porta sempre da un posto all’altro del mondo per raccontare prima di tutto il viaggio nella storia e nell’interiorità dei personaggi dei suoi romanzi storici.
Così, come il suo Adriano, di racconto in racconto, anche lei è entrata nella morte «a occhi aperti» e a noi restano le sue pagine immortali, come grande viaggio nello scibile umano che non possiamo ignorare, né dimenticare.

Suorce: libro inviato al recensore dall’editore.

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:: Io e lui di Alberto Moravia (Bompiani 2000) a cura di Marcello Caccialanza

29 novembre 2017

io e lui“Io e Lui”, libro datato 1971, fu accolto dalla critica dell’epoca con un certo snobismo e pregiudizio immotivato, sicuramente a causa di una scabrosità di argomento.
Obbiettivamente parlando, quest’opera di Alberto Moravia non è di certo all’altezza dei suoi scritti precedenti, quali “La Ciociara”, “La Provinciale” o gli “Indifferenti”. Ma non ci si può esimere dal valutare questo romanzo alienandosi da banalità e da facili giochi di doppio senso di infimo gusto. Occorre quindi mantenere una certa lucidità intellettuale e prendere in considerazione l’originalità di questo contenuto. Ossia la conversazione freudiana, nell’umano inconscio, che intercorre tra il timido ed inetto protagonista (un regista da quattro soldi che cerca invano la vana gloria) e il suo tracotante organo genitale, sempre impegnato nella spregiudicatezza dei suoi atti libidinosi.
Tutto ciò diviene, quindi, uno spassoso ed ironico “j’accuse” sulla frivolezza di quell’individuo, avvolto nella sua mediocrità fisica e spirituale, che tenta di mostrare, al mondo circostante, la sua forza e la sua virilità; concentrandosi, non sulla bellezza del suo essere persona pulsante e pensante, ma puntando esclusivamente sulla potenzialità della propria prestazione sessuale, non accorgendosi in questo modo di sfiorare il ridicolo e di cadere nella peggiore forma di pietismo generale.
Nel 1973 il regista Luciano Salce ne trasse una divertente versione cinematografica, nella quale il ruolo del protagonista fu affidato all’attore Lando Buzzanca.

Alberto Pincherle Moravia (Roma, 1907 – 1990), è stato scrittore, giornalista, saggista, reporter di viaggio e drammaturgo. È uno dei più importanti romanzieri italiani del XX secolo.
Collaborò con giornali come “La Stampa”, il “Corriere della Sera” e “L’Espresso”. Tra i suoi libri più noti e tradotti in tutto il mondo ricordiamo Gli indifferenti, La ciociaraLa romana, Racconti romani e La noia.
Nel 1952 venne insignito del Premio Strega per I racconti, messi all’Indice dalla Chiesa. Dai suoi romanzi sono stati tratti numerosi film, tra i quali La ciociara di Vittorio De Sica, La noia di Damiano Damiani, Il disprezzo di Jean-Luc Godard e Il conformista di Bernardo Bertolucci.

Source: libro del recensore.

:: La luce dei giorni, Jay McInerney (Bompiani, 2016), a cura di Nicola Vacca

31 luglio 2017
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La luce dei giorni, il nuovo romanzo di Jay McInerney, lo attendevamo. Sono passati trentadue anni dall’ uscita di Le mille luci di New York, il capolavoro dello scrittore americano, e adesso la Grande Mela è una città diversa e decaduta.
McInerney torna nella città in cui vive e riprende la vicende di Corrine e Russell Calloway per chiudere con La luce dei giorni la trilogia iniziata con Si spengono le luci e Good Life.
All’interno della commedia matrimoniale lo scrittore americano racconta senza rinunciare al disincanto una New York che vive assediata sotto il peso dei giorni strangolati dalla crisi, depressa da una decadenza che affonda le radici nel radicale cambiamento di stili di vita dopo gli attentati dell’11 settembre.
McInerney non rinuncia all’ironia quando attraverso Russell, editor e editore innamorato dei buoni libri, denuncia il mondo intellettuale americano e la cultura newyorkese con tutti i colpi bassi e i tiri mancini che nascondono relazioni e intrighi in cui a vincere sono sempre il conformismo e l’ipocrisia.
Lo scrittore sa che le luci sulla sua New York si sono spente per sempre. Corrine e Russell, ormai cinquantenni, e con loro anche McInerney, rimpiangono con molta nostalgia la New York viva degli anni Ottanta. Vivono la loro storia nel tentativo di ritrovare quel tempo perduto, anche se sanno che questo non potrà mai accadere.
Lo scrittore sa che il sogno americano si è frantumato e che i due protagonisti non riusciranno a trovare l’esuberanza e l’entusiasmo del tempo in cui New York era illuminata dalle mille luci.
Corrine e Russell sanno che la Storia non è dalla loro parte. Il racconto della loro vita matrimoniale si incrocia, e non simbolicamente, con l’evento della grande crisi finanziaria del 2008 che proprio nella Grande Mela ha visto la luce.
Russell sa che si sono dissolti i tempi in cui giovani uomini e donne venivano in città perché amavano i libri e Manhattan era l’isola splendente della letteratura. Questi sognatori oggi coltivano solo incubi e non ci sono più ideali in cui credere.
Corrine e Russell saranno duramente mesi alla prova dalla nuova realtà in cui è piombata New York. Disillusi e realisti non rinunceranno al tentativo di ritrovare la vivacità della loro giovinezza e il senso della lotta dell’amore e degli ideali, anche se sanno che la città è cambiata e indietro è difficile tornare.
Jay McInerney torna nella New York degli anni duemila e si accorge che le luci si sono spente ed è calato un sipario sulla grande citta che una volta era il palcoscenico in cui l’ottimismo aveva fertili ragioni creative.
La luce dei giorni è il degno epilogo della trilogia di Jay McInerney.
Lo scrittore americano non poteva chiudere meglio e New York deve molto alla sua penna che ha raccontato tutto il suo splendore e la sua decadenza attraversando anni e epoche fino a giungere ai nostri giorni in cui la disillusione è intensa e il nuovo sogno americano attende di essere rivelato.

Jay McInerney nasce nel 1955 ad Hartford (Connecticut).
Allievo di Carver, vive a New York dove è considerato il miglior autore del Brat Pack.
Autore di racconti e sceneggiature, è passato successivamente ai romanzi, si va da “Le mille luci di New York” (il romanzo che ha imposto McInerney nel mondo a soli 29 anni), a “Professione: Modella”. A questi, hanno fatto seguito “Riscatto” (1987), “Tanto per cambiare” (1989), “Si spengono le luci” (1992), “L’ultimo dei Savage” (1996) e “Nudi sull’erba” (2000). Appassionato di vini, tiene una rubrica dedicata sul Chicago Tribune.

Source: libro inviato dall’ufficio stampa al recensore.

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:: Finché non saremo liberi di Shirin Ebadi (Bompiani, 2016) a cura di Irma Loredana Galgano

13 giugno 2016

EbadiFinché non saremo liberi dell’avvocato iraniano Shirin Ebadi, edito in Italia da Bompiani, è il libro-manifesto dell’impegno profuso dall’autrice a favore dei diritti dei più deboli, che nel suo Paese hanno coinciso nei tanti anni della sua attività con donne, minori e dissidenti politici.
Un impegno così determinato che le è valso, nel 2003, il Premio Nobel per la Pace. Un Premio e un introito di denaro che lei ha impiegato per rafforzare il proprio impegno a favore di coloro che, per mancanza di preparazione o di mezzi, hanno una voce talmente flebile da poter essere facilmente soffocata.

«Il mio scopo nello scrivere questo libro è rendere testimonianza a ciò che il popolo iraniano ha sopportato nell’ultimo decennio. Leggendolo, vedrete come uno stato di polizia può influire sulla vita delle persone e gettare le famiglie nella disperazione.»

Finché non saremo liberi di Shirin Ebadi è il racconto, intimistico, della vita pubblica e privata dell’autrice, del percorso che l’ha condotta verso il Nobel e la sua organizzazione, il Centro per la difesa dei diritti umani, che hanno preceduto e affiancato la fondazione dell’Associazione di cooperazione per lo sminamento, la prima ong iraniana che si è occupata attivamente del problema dello sminamento del territorio dopo la guerra con l’Iraq.
La scrittura e lo stile hanno dei toni molto personali, quasi come se il libro fosse la trascrizione del racconto orale fatto dalla Ebadi. Spesso la narrazione di un evento si interrompe bruscamente perché sovviene alla mente dell’autrice un aneddoto o una precisazione che vuole descrivere o fare per poi riprendere dal punto in cui aveva lasciato.
Il libro si rivela da subito interessante, non solo perché entra nel merito di fatti di stretta attualità come la sospensione delle restrizioni imposte dagli Stati Uniti all’Iran, secondo l’accordo siglato la scorsa estate tra Obama e Rouhani, che la Ebadi definisce “moderati”. Il testo consente al lettore di osservare l’estremismo religioso di matrice islamica attraverso gli occhi di una musulmana non estremista che ama il suo Paese, la sua gente e anche la sua religione.

«Un Iran che è diventato una delle più grandi prigioni del mondo per giornalisti, avvocati, attivisti dei diritti delle donne e studenti.»

Shirin Ebadi: Avvocato iraniano, premio Nobel per la Pace 2003. È nata nel 1947  a Hamadan ed è stata la prima donna iraniana a diventare magistrato nel suo Paese. Dal 2009 vive in esilio volontario per far conoscere al mondo cosa succede in Iran, attraverso un’intensa attività di propaganda e di battaglia legale. In Italia sono stati pubblicati anche Il mio Iran (2006) e La gabbia d’oro (2008).

Source: ebook inviato dall’editore, ringraziamo Frida dell’ Ufficio Stampa Bompiani.

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:: Shirin ʿEbādi, premio Nobel per la pace, in Italia

10 Maggio 2016

Sabato 14 maggio, ore 13.30 – Torino – Salone del Libro, sala azzurra
Con Concita De Gregorio e Piero Fassino

Lunedì 16 maggio, ore 11 – Milano – Università Bicocca
Auditorium U-2, Via Vizzola 5

Lunedì 16 maggio, ore 18 – Milano – Fondazione Corriere della Sera – Sala Buzzati
Con Barbara Stefanelli e Viviana Mazza

Martedì 17 Maggio, ore 18.30 – Ravenna – ScrittuRa Festival – Palazzo dei Congressi
Con Edoardo Vigna

Mercoledì 18 Maggio, ore 11.00 – Forlì – Auditorium Cariromagna
Con Monica Fantini

Shirin Ebadi, nata a Hamadan nel 1947, è stata la prima donna iraniana a diventare magistrato nel suo paese. Nel 2003 ha vinto il Premio Nobel per la Pace per il suo impegno nella difesa dei diritti umani e a favore della democrazia. Dal 2009 vive in esilio volontario per far conoscere al mondo ciò che succede in Iran, attraverso un’intensissima attività di propaganda e di battaglia legale. Tra i suoi libri pubblicati in Italia ricordiamo Il mio Iran (2006) e La gabbia d’oro (2008).

:: Central Park, Guillaume Musso (Bompiani, 2015) a cura di Micol Borzatta e Elena Romanello

22 settembre 2015
Musso

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Micol Borzatta

Alice è una poliziotta francese alle prese con delle indagini, svolte privatamente, per trovare un serial killer che due anni prima l’ha quasi uccisa facendole perdere il bambino al settimo mese di gravidanza e, indirettamente, ha causato nello stesso giorno la morte del marito.
Alice ha bisogno di svagarsi e decide di uscire a bere con tre sue amiche, beve davvero molto, ma quello che le capita ha dell’incredibile, la mattina dopo si sveglia su una panchina di Central Park, ammanettata a un uomo, con una pistola, la camicia insanguinata e nessun ricordo.
Inizia così per Alice l’indagine più importante della sua vita, scoprire cosa è successo la notte precedente, ma quello che scopre è shockante e la porterà a tentare nuovamente il suicidio.
Un thriller che in Francia ha venduto oltre un milione di copie. Un romanzo, a mio avviso, molto particolare e pieno di sorprese.
Iniziando la lettura si nota subito un andamento molto lento che diventa quasi piatto nella prima parte dei ricordi di Alice. Andando avanti a leggere si può notare che alcune descrizioni temporali sembrano non tornare, infatti la vicenda dovrebbe svolgersi tutta nell’arco delle 24 ore, ma in alcuni passi sembrano quasi 36 o 48.
Viene da domandarsi cosa ci abbiano trovato di bello i francesi, ma proprio in quel momento si arriva alla fine del romanzo con un colpo di scena che spiazza il lettore che a quel punto rimette in discussione il giudizio e l’impressione avuta fino a quel momento, capendo che lo stile particolare usato da Musso è un perfetto stratagemma per trasmettere la situazione mentale e psicologica della protagonista.
Un romanzo spettacolare che sa come stupire e che alla fine ha un unico difetto circoscritto in un lavoro di editing poco curato che causa la presenza di refusi e alcuni errori grammaticali, ma nonostante questo piccolo neo lo consiglio vivamente se si vuole una lettura che sappia travolgere la mente totalmente.

Elena Romanello

Alice, giovane poliziotta parigina, ricorda la sera precedente, ad una festa sugli Champs Elysées con gli amici, così come Gabriel, musicista jazz statunitense, sa di averla passata a Dublino a suonare in un pub: ma quella mattina loro due, due sconosciuti, si risvegliano ammanettati l’uno all’altra ad una panchina di Central Park, in piena New York, Alice tra l’altro con alcune macchie di sangue sulla camicetta. Superato l’inevitabile smarrimento iniziale, i due iniziano un’odissea in cerca della verità, che sarà quanto di più inquietante e spiazzante che si può pensare, in un microcosmo dove ci sono man mano che si va avanti sempre meno certezze.
Di che genere è un romanzo come questo? Verrebbe da dire un thriller, del thriller ha tutte le caratteristiche, a cominciare dalla ricerca di una verità in un contesto dove sono stati commessi dei crimini, anche se bisogna scoprire che crimini, quando e come. Ma Central Park è anche una storia psicologica, un viaggio nella mente umana, nei drammi della vita, negli imprevisti che capitano senza che uno li cerchi, un romanzo che si presenta con premesse e intreccio per poi stravolgere tutto nelle ultime pagine, e mostrando un’altra realtà, diversa da quella che si pensava fino a quel momento, dove tutto sommato sembrava abbastanza chiaro, con all’interno anche un vecchio caso di un serial killer che era stato uno dei maggiori successi ma anche dei peggiori drammi di Alice nel suo lavoro.
Vengono in mente film più che libri, titoli come Shutter Island di Scorsese o A beautiful mind di Ron Howard, anche se con ovvie differenze, con due personaggi che all’inizio sembrano cristallini e ben definiti ma che poi man mano cambiano, con tanti piccoli indizi che però non è facile individuare sparsi per le pagine del libro, e con quello che si può chiamare colpo di scena finale, non prevedibile se non a posteriori e con un lavoro di indagine a ritroso del lettore.
Come thriller Central park è efficace, con tutti i trucchi del genere, come viaggio nell’animo umano e nella ricerca di un antidoto al dolore è originale e spiazzante, attuale e inquietante, e alla fine il risvolto romantico non disturba poi più di tanto, anche perché pur essendo scontato alla fine fa parte di una trama che di scontato ha ben poco. Il tutto scritto da un autore francese ma che ha fatto suoi i meccanismi di azione tipici dei colleghi statunitensi, con in più però un’attenzione maggiore per la natura umana.

Guillaume Musso nasce ad Antibes nel 1974. Professore di Scienze economiche e sociali al Centro Internazionale di Valbonne e scrittore francese. Nel 2001 pubblica Skidamarink e nel 2004 L’uomo che credeva di non avere più tempo che diventa un best-seller e viene tradotto in più di venti lingue e ottiene un adattamento cinematografico.

Source: ebook inviato dall’editore, ringraziamo Frida dell’ufficio stampa Bompiani e prestito alla biblioteca Archimede di Settimo torinese

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