
“Huck Finn nel West” è il romanzo di Robert Coover con protagonista Huckleberry Finn, il personaggio nato dalla penna di Mark Twain, pubblicato in Italia da NN editore. Coover lo riprende e ce lo mostra adulto e quasi maturo alle prese con lo sviluppo della sua vita nel West. In questa nuova avventura esistenziale Huck è solo, perché Tom Sawyer, suo inseparabile amico, compare per poi defilarsi dalla dura vita del west e sposare la fidanzata di sempre (Becky Thatcher) e orientarsi verso uno stile di vita per lui nuovo, cittadino e diretto al successo. Huck invece è solitario come il classico personaggio dei romanzi o film western, e non sempre è accompagnato nel suo cavalcare in quella che è una terra dove compaiono cavalli selvaggi da domare, dove sullo sfondo riecheggiano gli spari della Guerra di Secessione e si intravedono diligenze in fase di attraversamento della terra americana. Tra i suoi amici (pochi e veri) ci sono le tribù di nativi americani – in particolare la figura di Eeteh- con i quali Huck instaurerà relazioni sempre più solide che gli permetteranno di conoscere la loro cultura, andando oltre le barriere e i pregiudizi che spesso hanno creato – e lo fanno ancora- conflitti. Coover porta il lettore a compiere un vero e proprio passo indietro nel tempo, in un’America in fase di evoluzione e trasformazione, nella quale il progresso e il “più forte” hanno la meglio su quelle che sono le minoranze. Altro aspetto interessante del libro è il modo in cui la vicenda è narrata, nel senso che è lo stesso Huckleberry Finn a raccontare a noi lettori il suo vissuto e il colpo di genio dell’autore è quello di riprodurre nello scritto la parlata sgrammatica del protagonista che sbaglia verbi, travisa e trasforma le parole inventandosi termini personali e del tutto originali che rendono strampalata la lettura del romanzo. Un esempio? Per Huck Finn “paradosso” diventa “para d’osso” o “apocalisse” diventa “poca lisse”. Coover recupera una figura delle letteratura mondiale nata dalla penna di Twain e gli dona nuova vita, mostrando il suo protagonista alle prese con cambiamenti epocali. Huck è attento osservatore e uditore e questo gli permette di comprendere quella che è la vera natura delle persone che incontra e di andare oltre le apparenze raggiungendo la vera sembianza dei fatti e delle cose spesso- come scoprirà lui stesso- carichi di contraddizioni. “Huck Finn nel West” di Robert Coover racconta in modo avventuroso -e a tratti crudo- l’America del passato (siamo nella seconda metà del XIX secolo) nella quale però si scorgono elementi di quella contemporanea dove gli americani vivono e provano a sopravvivere alle prove di un mondo in evoluzione. Traduzione di Riccardo Duranti.
Robert Coover (1932) è autore di romanzi e raccolte di racconti, ed è considerato uno dei padri del postmoderno americano. Ha insegnato per più di trent’anni alla Brown University, dove ha fondato l’International Writers Project, un programma rivolto a scrittori internazionali perseguitati per le loro idee e i loro scritti. Con il suo primo romanzo, The Origin of the Brunists, ha ricevuto il William Faulkner Foundation First Novel Award, e con The Public Burning (1977) è stato finalista al National Book Award. NNE pubblicherà anche il suo romanzo Huck Out West.
Source: richiesto all’editore. Grazie all’ufficio stampa NN editore.
Da colpevole semplificatore quale sono ho sempre pensato che la letteratura americana potesse essere facilmente (e banalmente) scissa in due macroaree. Da un lato autori passionali, viscerali, caldi, dall’altra scrittori mentali, azzimati, freddi. Da un lato una tradizione che potremmo far risalire a Hawthorne e alle sue indagini sulle origini di un paese che lui stesso vedeva assemblarsi, dall’altro una genia più complessa da definire e che può trovare padri spirituali in figure più asimmetriche come Washington Irving. In mezzo potremmo tranquillamente inserire la pietra angolare Hermann Melville, viscerale quant’altri mai ma anche capace di azzardi stilistici mai più ripetuti (salvo poi, in Mobydick, di fatto inventare il flusso di coscienza). Sono distinzioni pedestri e con le quali rivelo la mia fragilità di analisi di fronte a un gigante come Robert Coover da noi pochissimo tradotto (a memoria mia ricordo solo il bellissimo romanzo breve Sculacciando la cameriera) che, organico a un’idea di letteratura in cui possiamo incontrare John Barth e Kurt Vonnegut, William Gass e Donald Barthelme, brandisce la bandiera del post moderno ma da una prospettiva personalissima. Difficile, partendo da questa scelta antologica che abbraccia una produzione che, dal 1962 del primo racconto, arriva al 2016 de L’invasione dei marziani, immaginare uno scrittore meno propenso a farsi incasellare in un genere o anche semplicemente in un atteggiamento, in una propensione, in quel che volete. L’arte di Coover è doppia, tripla, prismatica. A dimostrarlo c’è il racconto che dà il titolo alla raccolta e cioè La babysitter dove l’alternarsi impazzito dei punti di vista detta il ritmo e determina la storia.























