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:: Il confine della vergogna di Michèle Pedinielli e Valerio Varesi (Edizioni le Assassine, 2025) a cura di Massimo Ricciuti

21 giugno 2025

Nello spicchio di Alpi Pennine situato fra Piemonte e Francia viene rinvenuto il cadavere di un uomo con il viso sfigurato. Su quelle strade impervie, in passato, si avventuravano gli italiani in cerca di lavoro (i cosiddetti macaronì) o in fuga dal fascismo. Adesso sono i migranti provenienti dall’Africa a cercare di entrare in Francia. Fra loro c’è Lassane, giovane del Burkina Faso, che viene salvato, prima di morire assiderato, da due montanari, Suzanne e Fabien. Nel frattempo, in un rifugio sono state ritrovate parecchie casse di sigarette provenienti dall’Albania. A questi trafficanti dà la caccia un ispettore della polizia di Lione che si reca sulle montagne italiane. Cosa lega tutti questi avvenimenti?

Il confine della vergogna è un romanzo scritto a quattro mani dalla francese Michèle Pedinielli e dal nostro Valerio Varesi, che si sono alternati nella stesura dei capitoli, raggiungendo un enorme risultato. Il punto centrale dell’opera è la disperazione che spinge tanti “disgraziati” a cercare di varcare il confine fra Italia e Francia, senza essere scoperti e respinti. Pronti ad approfittare di loro ci sono uomini senza scrupoli, che li spogliano di tutti gli averi con la promessa di portarli dall’altra parte. Cosa che non avviene quasi mai, perché i migranti vengono abbandonati o consegnati direttamente ad alcuni funzionari corrotti e compiacenti. Non mancano, fortunatamente, le figure positive, come i già citati Suzanne e Fabien. Il confine della vergogna è dunque un’opera che mischia elementi del noir e del romanzo sociale di denuncia. La parte prettamente noir è ben delineata, nonostante le varie vicende che s’intrecciano. Sia gli investigatori italiani che quelli francesi sono dotati di grande umanità e di profondo senso del dovere: grazie alla loro tenacia riusciranno a svelare i tanti misteri. Dal punto di vista sociale, il romanzo è di grande attualità, come dimostra una significativa frase del nonno di Suzanne, pronunciata anni prima.

Questa storia della frontiera tra esseri umani che ci hanno imposto, che stupidaggine, piccola mia.

Parole che non dovremmo dimenticare mai.

Michèle Pedinielli, nata a Nizza da un mix di sangue corso e italiano, è stata giornalista per circa quindici anni. Oggi collabora al sito retronews.fr, libri di storia, della BNF e al podcast “Séries noires à la Une”. Il suo primo romanzo, Boccanera, è stato premiato con il Lion Noir 2019 al Festival del Libro Poliziesco di Neuilly-Plaisance. Nel maggio 2019 ha pubblicato Après les chiens, un nuovo caso condotto da Ghjulia Boccanera. Seguono La patience de l’immortelle (Premio speciale della giuria dell’Évêché nel 2022), Sans collier (2023) e Un seul œil (2025).

Valerio Varesi, nato a Torino nel 1959, vive a Parma e lavora nella redazione de la Repubblica di Bologna. Romanziere eclettico, è il crea- tore del commissario Soneri, protagonista dei polizieschi che hanno ispirato le tre serie televisive Nebbie e delitti con Luca Barbareschi. I romanzi con Soneri sono stati tradotti in tutto il mondo e nel 2011 l’autore è stato finalista al CWA International Dagger, il prestigioso premio per la narrativa gialla. Nel 2017 ha vinto il premio Violeta Negra per il miglior romanzo noir.

:: Il fiore del male di Monica Campolo (Oakmond Publishing, 2025) a cura di Massimo Ricciuti

17 Maggio 2025

Viola Saggese è una giovane donna che vive a Torino, dove conduce un’esistenza ordinaria. Fidanzata con il ricco Cesare e prossima alle nozze, Viola lavora come grafica presso una casa editrice. Tutto scorre su un binario tranquillo, senza scossoni, con una monotonia di fondo che prevede alcune noiose cene con i suoceri e con coppie di amici. La giovane è consapevole di questa situazione, ma non riesce a tirarsene fuori. Un imprevisto sta, però, per cambiare ogni cosa: l’incontro con il musicista Christian è destinato a modificare in toto la sua esistenza, sconvolgendola sino a conseguenze estreme. Intanto dall’altra parte dell’oceano, precisamente in Virginia, Alessio Ungaro è detenuto nel braccio della morte del carcere di Sussex, condannato per il barbaro omicidio della fidanzata Elizabeth. Sottoposto a sevizie quotidiane da parte dei crudeli secondini, il ragazzo italiano può contare solo sul supporto di Gloria, suo avvocato. Due vite agli antipodi, non solo geograficamente, quelle di Viola e Alessio, eppure destinate a incrociarsi.

Dopo alcuni anni torna in libreria Monica Campolo con Il fiore del male. Un noir molto intenso la cui struttura narrativa è caratterizzata dall’alternanza di capitoli che raccontano le vicende dei due protagonisti: quelli dedicati a Viola sono scritti in prima persona, gli altri in terza. Il linguaggio, a volte crudo, usato dall’autrice rispecchia perfettamente l’andamento della storia e la cifra stilistica del romanzo. Le personalità delle varie figure sono scavate a fondo, con tutte le sfumature che nascondono o cercano di nascondere. A Viola basta poco per mandare in frantumi la propria esistenza borghese ed è facile comprendere come fosse proprio ciò che desiderava. Alessio, dal canto suo, compie un gesto estremo, consapevole che sia l’unico modo per uscire dall’incubo in cui è precipitato. Christian, invece, resta un punto interrogativo, spesso sfuggente e ambiguo nei confronti di una Viola che si è gettata a capofitto nella loro storia d’amore e sesso. Il tutto sullo sfondo di una Torino dalle mille sfaccettature, non ultima quella esoterica. Il finale del romanzo porta a una resa dei conti davvero sorprendente, ulteriore motivo per cui ne consiglio la lettura.

Monica Campolo, nata ad Alessandria nel 1963, vive in Versilia da quando era bambina.
Appassionata ed eclettica lettrice fin da ragazza, predilige il genere giallo-noir, perché ama il mistero, le sfide e l’analisi dei meandri della psiche umana.
Approdata alla scrittura in età adulta ha scelto di dedicarsi al suo genere preferito e ha pubblicato diversi romanzi e racconti.
Con la Oakmond ha già pubblicato il romanzo Amore d’inverno.

:: Le sorgenti della Moldava di Petra Klabouchová, traduzione di Raffaella Belletti, (Edizioni le Assassine, 2025) a cura di Massimo Ricciuti

11 aprile 2025

Nel piccolo villaggio di Františkov, situato all’interno della Šumava, ossia la Selva Boema, viene rinvenuto il cadavere di una tredicenne del luogo. A rendere la scena ancora più inquietante è il fatto che la ragazzina indossi un pigiama a righe su cui è stata cucita una stella di Davide. Il macabro ritrovamento avviene proprio nella Giornata Internazionale in memoria delle vittime dell’Olocausto. Solo un caso? L’indagine è affidata a un commissario, di cui nel romanzo non viene mai fatto il nome, coadiuvato dal giovane e inesperto poliziotto Sucharda. La Šumava è una terra “selvaggia” al confine tra Repubblica Ceca e Germania; all’epoca del Secondo conflitto mondiale vi si erano insediati i tedeschi, poi espulsi dopo la fine della guerra. Le questioni passate non sono mai state risolte del tutto e fanno ancora sentire il proprio peso. Si mormora, in particolare, di due luoghi che non sono mai stati trovati: un campo di concentramento in cui erano reclusi i prigionieri russi e una fabbrica fatta costruire da Hitler nei sotterranei di una montagna. Il commissario si scontra spesso con un muro di omertà, perché gli abitanti sono restii a riesumare il passato, che ha loro arrecato ferite di cui portano i segni anche nel presente. Quando il caso sembra risolversi con un arresto, tutto si ribalta, conducendo a un sorprendente finale.

Le sorgenti della Moldava è un romanzo ispirato ad avvenimenti reali e si basa su un capillare lavoro di ricerca svolto dall’autrice. La narrazione dei fatti è esposta attraverso continui salti temporali, ma la data di “riferimento” è sempre quella del ritrovamento del cadavere. Ogni capitolo riporta il punto di vista di uno dei protagonisti, le cui storie personali conosciamo un po’ alla volta. Apprendiamo, per esempio, che il commissario è in pessimi rapporti con la moglie Anna e che spera di riabilitarsi da un grosso errore, a causa del quale è stato allontanato da Praga. Il villaggio in cui è stato “confinato” si compone di poche case ed è abitato da uomini e donne abbrutiti dalle loro squallide esistenze. L’arrivo di una nota e spregiudicata giornalista televisiva contribuisce a riscaldare gli animi, compreso quello del commissario che ha un conto da regolare con lei. Il romanzo in questione, oltre a essere un valido noir, presenta alcuni tratti del saggio storico. Tanti sono i riferimenti alle vicende della nazione in cui si svolge, dall’occupazione nazista all’instaurazione di un regime comunista. Contro quest’ultimo si ebbero la cosiddetta Primavera di Praga, che fu di breve durata e poi la Rivoluzione di velluto, che portò alla caduta del comunismo e alla reintroduzione di un sistema economico capitalista. Per giungere, infine, alla dissoluzione della Cecoslovacchia e alla formazione di due Stati, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. In chiusura del romanzo troviamo le prime tre strofe della Preghiera della Šumava, di Josef Widtmann.

Petra Klabouchová è nata a Prachatice, nella Cechia del sud, nel 1980. Dopo avere studiato giornalismo, psicologia e relazioni internazionali all’Università Masaryk, a Brno, ha lavorato parecchi anni per la stampa locale e la televisione. Oltre a Le sorgenti della Moldava (2021), che ha riscosso molto successo in patria, ha pubblicato il romanzo La parete est (2023) e l’horror Ignis fatuus (2024), nonché alcuni libri per bambini. All’attività di giornalista e scrittrice affianca quella di manager di gruppi rock, dividendosi tra l’Italia, gli Stati Uniti e la Repubblica Ceca.

:: L’intruso, di Astrid Sodomka, Edizioni le Assassine (2024) a cura di Massimo Ricciuti

21 marzo 2025

Amir Moghaddam, giovane afghano che svolge attività di volontariato presso un prestigioso asilo di Vienna, viene ucciso durante la festa di compleanno di un bambino. Sebbene il suo corpo sia stato rinvenuto sul roof garden della struttura, nessuno ha idea di come la vittima sia arrivata lì. Trattandosi di un “semplice” volontario, per di più straniero, i responsabili dell’asilo decidono di mandare via i bambini, prima di chiamare la polizia. Sul posto giunge la squadra guidata dall’ispettore capo Giorgos Hansmann, cui viene immediatamente spiegato che quello è un asilo parentale, gestito direttamente dai genitori. La struttura si trova all’interno dell’altolocato quartiere di Josefstadt. L’ispettore incontra un po’ alla volta i genitori, ognuno dei quali si occupa di qualcosa all’interno dell’asilo. Emergono da subito i contrasti, le incomprensioni e le meschinità che caratterizzano un luogo tutt’altro che perfetto. Nel frattempo, una foto del cadavere viene caricata su Facebook. Chi è stato e con quale scopo? Sono solo due dei tanti interrogativi che dovrà risolvere la squadra guidata da Hansmann.

L’intruso è un romanzo particolare, a cominciare dalla sua struttura narrativa. I capitoli, infatti, sono costituiti da paragrafi, più o meno lunghi, che raccontano gli avvenimenti dalla prospettiva dei vari personaggi. Non mancano i flashback e i post presi direttamente da Facebook e Instagram, a sottolineare la grande importanza che da anni rivestono i social network. Siamo di fronte a un giallo di natura “sociale” in cui la ricerca del colpevole passa quasi in secondo piano. Emergono varie tematiche, soprattutto l’accoglienza riservata agli stranieri. Si avverte, infatti, un razzismo, neppure troppo latente, da parte di alcuni genitori che esprimono il proprio dissenso nei confronti di Amir e dei rifugiati in genere. La patina di perbenismo che circonda l’asilo è destinata a sgretolarsi ben presto e le indagini s’indirizzano verso gli ambienti dell’estrema destra austriaca. Per quanto riguarda un giudizio globale sul romanzo, all’inizio il lettore potrebbe trovarsi spiazzato di fronte alla particolare struttura narrativa. Una volta entrati in sintonia con l’autrice e il suo modo di esporre gli avvenimenti, la lettura procede spedita verso un finale sorprendente che non può lasciare indifferenti.

Astrid Sodomka è nata nel 1982 a Vienna, dove tuttora vive. Ha studiato Arti Applicate e dal 2009 lavora come artista freelance: ha esposto le sue opere in più di trenta mostre. Inoltre tiene workshop di introduzione alle arti visive per bambini e insegna in un ginnasio viennese. Nel 2021 pubblica il suo primo romanzo, Josefstadt, di cui sta curando la trasposizione televisiva.

:: La notte ha il suo profumo di Marco Azzalini, (Editore Laurana, 2025) a cura di Massimo Ricciuti

23 febbraio 2025

Il 12 dicembre del 1974, nel quinto anniversario della strage di Piazza Fontana, una bomba esplode nell’Aula Tre dell’Università di Padova, provocando parecchie vittime, fra cui l’attentatore stesso. Quasi 50 anni dopo, una runner trova, lungo l’argine di un canale, il cadavere di quello che sembra essere un clochard. L’uomo, in realtà, si chiama Piergiuseppe Gallini e ha lasciato un testamento che lo ricollega all’attentato del 1974. Del caso viene incaricata la squadra diretta dal vicequestore Carlo Oriani, professionista serio e tenace, abituato a non mollare di un centimetro. L’inchiesta si rivela subito complicata, perché sono tanti a non voler riesumare il passato, in particolare un gruppo di ex studenti del prestigioso collegio universitario Patavium, di stampo cattolico. Oriani si trova davanti a un vero e proprio muro di gomma e, inoltre, riceve pressioni da parte di un ambiguo funzionario del Ministero dell’Interno. Neppure un viaggio lampo in Sardegna, dove Gallini aveva aperto un ristorante, serve a qualcosa. Il vicequestore si focalizza allora sul Patavium e sugli ex frequentanti, coadiuvato da Sara, giovane e ambiziosa giornalista.

Fra passato e presente si snoda questo bel romanzo di Marco Azzalini, vincitore del Premio NebbiaGialla 2024 nella categoria degli inediti. La morte ha il suo profumo non è un giallo politico, come precisa in una nota l’autore stesso. Contiene sì elementi del genere crime, ma è incentrato soprattutto sulle esistenze dei personaggi e su come un avvenimento possa cambiare i destini di tante figure. Padova è ben più di un semplice sfondo: una città di provincia che non riesce a scendere a patti con il passato, in particolare con i cosiddetti anni di piombo. L’Università locale è stata un laboratorio, una fucina d’idee, alcune non proprio meritorie, anzi spesso dannose. Quella in cui si trova a indagare Oriani è una Padova svuotata dall’esodo estivo, ma non per questo meno oscura e pericolosa. Si verificano strani “incidenti” e vengono a galla tradimenti, di cui è vittima lo stesso vicequestore. La verità, o meglio le verità non possono non lasciare di stucco il lettore e ciò grazie alla bravura dell’autore. Quanto al titolo del romanzo, non dovrebbe essere difficile riconoscere un verso del meraviglioso brano Cara del compianto Lucio Dalla.

Marco Azzalini vive a Treviso con la sua famiglia. Professore all’Università di Bergamo, è autore di numerose pubblicazioni e di racconti gialli e noir. Ha vinto i premi I sapori del Giallo 2023 e Spoleto Noir 2023, ha ottenuto il secondo posto al premio Scerbanenco Lignano 2023, il secondo posto al premio Spoleto Noir 2024, ed è stato finalista al premio Gran giallo città di Cattolica. La notte ha il suo profumo ha vinto il premio NebbiaGialla 2024, sezione romanzi inediti.

:: Nella spirale di Fermat di Gianfranco Tondini (Fernandel 2025) a cura di Massimo Ricciuti

17 febbraio 2025

L’improvvisa morte del notissimo artista Reinhard Bohrst mette in moto una serie di avvenimenti che riguardano anche Wainer e Sara, i protagonisti di questo romanzo. Il primo è un piccolo gallerista che ha investito tutti i suoi averi in un’installazione del defunto Bohrst e ora si trova nei guai. Sara, invece, è una funzionaria dell’ICOM, un organismo dell’Unesco che si occupa, fra l’altro, della restituzione di opere d’arte sottratte e rubate, specialmente quelle depredate dai nazisti durante il secondo conflitto mondiale. I due hanno intrattenuto una lunga relazione, ma poi si sono lasciati a causa di una malattia che ha colpito la donna; nonostante ciò, il legame fra loro è ancora forte. Adesso vivono entrambi un momento difficile in ambito lavorativo. Wainer, in particolare, è sull’orlo del fallimento e si affida a personaggi equivoci che gravitano intorno al mondo dell’arte contemporanea. Dal canto suo, Sara è alle prese con il furto di un quadro di Rembrandt: questa vicenda la destabilizza al punto che decide d’intraprendere un lungo viaggio per tornare nella casa in cui ha vissuto con Wainer. Si ritroveranno oppure no?

Nella spirale di Fermat è il primo romanzo di Gianfranco Tondini. Al centro dell’opera c’è l’arte contemporanea, argomento che l’autore dimostra di padroneggiare. Attraverso le vicissitudini lavorative dei protagonisti, entriamo in contatto con un ambiente pieno di sfumature, non sempre piacevoli. Falsificazioni e contraffazioni sono quasi all’ordine del giorno, così come la presenza di figure alquanto discutibili. Anche le esistenze di Wainer e Sara sono tratteggiate in profondità, con tutte le debolezze, fisiche e non solo, che li contraddistinguono. Nel romanzo si avverte chiaramente il legame che li unisce, attraverso i loro pensieri e alcune loro azioni. Quello che appare soffrire di più è Wainer, anche se poi tocca a Sara compiere qualcosa di concreto che, forse, li aiuterà a ricongiungersi. Per concludere, una curiosità: il titolo del romanzo prende il nome da una scoperta del matematico francese Pierre de Fermat, vissuto nel XVII secolo.

Gianfranco Tondini, pigro per vocazione, ha lavorato per trent’anni come attore, regista e autore. Negli ultimi anni è entrato in confidenza col mondo dell’arte contemporanea. Vive a Ravenna. Nella spirale di Fermat è il suo primo romanzo.

:: Il portiere di Ceaușescu di Guy Chiappaventi (Bibliotheka Edizioni, 2024) a cura di Massimo Ricciuti

26 dicembre 2024

Per chi ha più o meno la mia età ed è appassionato di calcio, il nome di Helmut Duckadam evoca molti ricordi. Ci fa tornare, in particolare, alla calda serata del 7 maggio 1986, quando il Barcellona e la Steaua Bucarest scesero in campo a Siviglia per giocarsi la finale dell’allora Coppa dei Campioni. Duckadam era il portiere della squadra romena e questo libro racconta la sua storia o, meglio ancora, la sua parabola. Nato nel 1959 in un paesino della Transilvania ai confini con l’Ungheria, Helmut cresce in campagna, mentre la Romania, con il passare degli anni, diventa sempre più povera. Alla guida della nazione c’è il Conducator Nicolae Ceaușescu, feroce dittatore che governa con l’aiuto della Securitate, la temuta polizia segreta. Uno dei suoi due figli, Valentin, è il vero presidente della Steaua e segue sempre la squadra. Pochi giorni prima della finale di Siviglia, avviene il tristemente noto disastro di Chernobyl: una violenta esplosione si verifica all’interno di una centrale nucleare ucraina. La catastrofe porta la data del 26 aprile 1986, ma la notizia è comunicata in Romania solo sei giorni dopo, per non turbare i festeggiamenti del Primo maggio nei paesi comunisti. In quest’atmosfera la Steaua si reca in Spagna, dov’è destinata, secondo tutti, a subire una sonora sconfitta. Prima della gara l’allenatore romeno Ienei tiene alla squadra un discorso improntato più sulla psicologia che sulla tattica e le sue parole sembrano funzionare perché, dopo 120 minuti di gioco, il punteggio è ancora di 0-0. Si va dunque alla cosiddetta “lotteria dei rigori” e qui nasce la leggenda di Duckadam, che ne para 4 su 4 e trascina la Steaua alla conquista della Coppa, diventando l’Eroul de la Sevilla, l’eroe di Siviglia. Questa favola s’interrompe, però, quasi subito, perché, dopo quella partita, il portiere sembra svanire dalla faccia della terra. Cominciano a fioccare leggende metropolitane, la più ricorrente delle quali racconta che la Securitate gli avrebbe spezzato le mani con una sbarra di ferro. Helmut, in realtà, è malato da tempo, già da prima della finale. La dittatura di Ceaușescu, intanto, si avvia rapidamente alla fine a seguito dell’abbattimento del Muro di Berlino. Così il “nostro” portiere prova a rifarsi una vita negli Stati Uniti con la propria famiglia, ma resiste poco e torna, da solo, in Romania, dove si barcamena fra piccoli lavoretti.

Il 2 dicembre 2024 Helmut ci ha lasciati. Guy Chiappaventi, autore di questo romanzo, ha pensato di raccontare la straordinaria esistenza di un uomo “normale”, salito alle luci della ribalta per una manciata di minuti e poi tornato nell’oblio. Dall’altare alla polvere, insomma. La narrazione degli eventi è vista dalla prospettiva di Duckadam, come se fosse lui a parlare. La sua vicenda personale si affianca a quella della Romania di Ceaușescu, una nazione povera che la sera del 7 maggio 1986 si è stretta attorno a una squadra per ritrovare un po’ di orgoglio. Consiglio a tutti, anche a chi non sia propriamente appassionato di calcio, la lettura di questo gioiellino, pubblicato da Bibliotheka Edizioni e impreziosito da alcune pregevoli illustrazioni di Emanuele Palucci.

Guy Chiappaventi, giornalista, inviato del tg La7.
Dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia e la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni, negli ultimi anni ha seguito la cronaca a Milano.
Ha vinto il premio Ilaria Alpi, il Premiolino e il premio Goffredo Parise.
Ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca: il primo, Pistole e palloni sulla Lazio anni Settanta, ha avuto otto edizioni in quindici anni e ha ispirato la serie Sky Grande e maledetta.

:: Loro. Il primo caso del tenente Ludivina Vancker di Maxime Chattam (Salani 2024) a cura di Massimo Ricciuti

24 ottobre 2024

Alexis Timée, appartenente alla Sezione Ricerche della Gendarmeria di Parigi, si reca in un villaggio montano con la speranza d’incontrare Richard Mikelis, famoso criminologo in pensione. In Francia sono all’opera due efferati serial killer, che uccidono contemporaneamente. Uno è soprannominato la Bestia, l’altro il Fantasma e firmano i loro omicidi con lo stesso simbolo: *e, che incidono sulla carne delle proprie vittime. Alexis chiede aiuto a Mikelis, ma quest’ultimo rifiuta perché vuole godersi la famiglia, invece di rimettersi a caccia di criminali. Al gendarme non resta che tornare a Parigi e riprendere le ricerche insieme agli altri due componenti della ristrettissima squadra, Segnon Dabo e Ludivine Vancker. Non trascorre molto tempo quando, in una stazione ferroviaria di provincia, un ragazzo getta sotto un treno alcune persone, per poi fare la stessa cosa con sé. Poco prima aveva dipinto su una parete l’ormai noto simbolo. I gendarmi capiscono di trovarsi di fronte a qualcosa di enorme, ben più grande di due serial killer, anche perché gli avvistamenti del simbolo si moltiplicano. A sorpresa Mikelis si presenta a Parigi e decide di aiutarli: lui è un vero e proprio cacciatore di predatori, capace di immedesimarsi in Loro. Gli efferati omicidi continuano, intanto, diffondendosi anche nel resto d’Europa e la squadra stessa viene colpita al cuore. Ormai è chiaro che l’epidemia di violenza non si fermerà e l’unica possibilità è andare a monte e cercare di comprendere i motivi di tale follia.

Criminologo e psicologo forense, Maxime Chattam torna nelle librerie nostrane dopo una prolungata assenza. La sua scrittura è caratterizzata da descrizioni molto cruente, come ben sanno i lettori e come accade anche in questo romanzo, che risale al 2013 e viene ora pubblicato dalla casa editrice Salani. Il Male, di cui l’autore si è sempre occupato, è qui rappresentato da un insieme di persone, prive di sentimenti e di emozioni, che compiono omicidi di massa a livello mondiale. Dai primi due serial killer la caccia si allarga a macchia d’olio e serve qualcuno in grado di prevenire le loro mosse. Per questo è centrale il personaggio di Mikelis, così come, per diversi motivi, sono utili alle indagini tutti gli altri protagonisti. A cominciare da Ludivine Vancker, citata nel sottotitolo del romanzo e dunque, si spera, presente anche in altre opere di Chattam.

Maxime Chattam è nato a Herblay nel 1976. Da ragazzo ha vissuto a lungo negli Stati Uniti. Ha studiato Criminologia e Psicologia forense. In Francia ha un enorme successo di pubblico e di critica ed è considerato il maestro di tutti i più importanti scrittori noir. La stampa internazionale lo ha accostato ad autori come Stephen King, Michael Connelly, Joël Dicker.

:: Portami a casa di Sebastian Fitzek (Fazi, 2024) a cura di Massimo Ricciuti

22 ottobre 2024

Jules Tannberg è un uomo che ha trascorso tanti anni a rispondere alle chiamate telefoniche urgenti dei berlinesi. Dopo un drammatico evento che l’ha colpito personalmente, Jules ha deciso di lasciare quel lavoro. Un sabato sera, però, accetta di sostituire un amico che si occupa di una linea telefonica dedicata alle donne che tornano a casa di notte e vogliono essere sicure di arrivare a destinazione sane e salve. Mentre ascolta alla televisione le ultime notizie riguardanti il cosiddetto killer del calendario, Jules riceve la telefonata di Klara, una donna che afferma di aver chiamato per sbaglio. Dall’alto della sua esperienza, l’uomo capisce come la realtà delle cose sia ben diversa e chiede in tutti i modi a Klara di non riagganciare. Inizia così una lunga notte per entrambi, anche perché lei sembra proprio essere la prossima vittima del killer del calendario.

Portami a casa segna l’attesissimo ritorno nelle librerie italiane di Sebastian Fitzek. Nella premessa l’autore spiega di come, in Germania, una donna su quattro subisca violenza dal partner almeno una volta nella vita. In particolare, le donne vittime di violenza domestica durante l’infanzia hanno più del doppio delle possibilità di subire violenza anche da parte del partner in età adulta. Da questi dati Fitzek trae lo spunto per regalarci un intenso thriller. Nel corso della lettura assistiamo a colpi di scena e ribaltamenti dei ruoli, orchestrati dall’autore con la solita maestria. Chi dà la caccia a chi? Questo è solo uno dei tanti interrogativi che si dipanano lungo una trama cui bisogna prestare molta attenzione. Tutti i personaggi mentono e hanno qualcosa da nascondere, ma perché? Quando il lettore pensa di aver finalmente capito, la situazione si ribalta come in un gioco di specchi. Chi conosce il modo di scrivere dell’autore dovrebbe esserci abituato, eppure Fitzek riesce a sorprendere sempre, disseminando tracce e indizi. Sta a noi comprendere se siano veri o falsi.

Considerato uno dei principali esponenti del thriller psicologico, lo scrittore tedesco ci consegna un’altra, imperdibile lettura. Ciò accresce il rammarico per i titoli non ancora tradotti in italiano, con la speranza che la casa editrice Fazi continui nell’opera di “recupero” iniziata con Portami a casa.

Traduzione di Elisa Ronchi.

Sebastian Fitzek, nato a Berlino nel 1971, ha studiato Giurisprudenza ma non ha mai esercitato la professione, preferendo seguire una strada più creativa. Il suo esordio letterario risale al 2006, anno di pubblicazione in Germania di La terapia: il romanzo è stato accolto con grandissimo entusiasmo dai lettori, tanto da contendere al Codice da Vinci il primo posto nelle classifiche di vendita. In seguito ha pubblicato altri ventisette romanzi, che lo hanno confermato come esponente di punta del thriller psicologico. Da Portami a casa verrà presto tratta una versione cinematografica per Amazon International.

:: L’estate dei morti di Giuliano Pasini (Piemme 2024) a cura di Massimo Ricciuti

8 giugno 2024

L’estate dei morti è il periodo dell’anno racchiuso tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. In quei giorni del 1984 una ragazza di nome Sibilla annega in uno stagno in circostanze misteriose. Esattamente due decenni dopo, l’agente scelto Rubina Tonelli, di stanza al commissariato di Case Rosse, sull’Appennino emiliano, riceve una telefonata che annuncia il brutale omicidio di due uomini in un casale della zona. A effettuare la chiamata è una ragazza che dice di chiamarsi proprio Sibilla: secondo lei, le vittime sarebbero state uccise dalla Borda. Quest’ultima, nella tradizione dell’Emilia-Romagna, è una creatura leggendaria rappresentata come una sorta di strega che vive nelle zone paludose e uccide i passanti, soprattutto i bambini. Rubina, come spesso le accade, decide di fare di testa propria e si reca al casale senza il suo superiore, il commissario Roberto Serra. Sul posto trova, in effetti, i cadaveri di due uomini orrendamente massacrati. Il locale sembra appartenere a Luce, amica della ragazza morta nel 1984 e presente anche lei allo stagno venti anni prima. Di Luce, però, si sono perse le tracce da lungo tempo e la telefonata non può essere stata fatta dalla Sibilla del 1984. Sono solo due dei tanti misteri che Roberto e Rubina si troveranno ad affrontare un’indagine destinata a segnarli per sempre.

L’estate dei morti è il quinto romanzo del bravissimo Giuliano Pasini. Al sempre presente commissario Serra, si è aggiunta, dall’avventura precedente, l’agente scelto Tonelli, mandata a Case Rosse per “punizione”. Sono due personaggi complicati, ognuno alle prese con le proprie debolezze e con il proprio, ingombrante passato. Le cicatrici fisiche e morali che si portano addosso faticano a guarire e tutto ciò va a pesare sul loro rapporto, fatto di cose dette e, soprattutto, taciute. In questa indagine saranno costretti a confrontarsi con eventi che di naturale paiono avere davvero poco: Roberto è più scettico al riguardo, mentre Rubina si lascia trascinare da subito. Le tradizioni popolari sono dure a morire e gli abitanti di Case Rosse non fanno eccezione. Serra si sta facendo pian piano accettare, anche se resta comunque uno ed fòra, cioè non del luogo. Il commissario è segnato da una tragedia che l’ha colpito da ragazzo: l’assassinio dei genitori, avvenuto in sua presenza. I responsabili non sono mai stati individuati e lui si è imposto di trovarli. Nel romanzo ritroviamo alcuni personaggi ormai familiari, quali Vito Corazza della Squadra Mobile di Modena e il generale Minimo, comandante del RIS di Parma. Fa capolino una nuova figura, l’invadente giornalista Germana Prilli, che intreccia un inquietante rapporto con Rubina. Proprio quest’ultima assume una maggiore rilevanza, che la porta a essere una vera e propria coprotagonista. Non mancano momenti riservati alla buona musica, al buon cibo e al buon vino. Il tutto nel romanzo sicuramente più “duro” e più cupo dell’autore, una storia davvero forte che, agli elementi del thriller, aggiunge venature noir e soprannaturali.

Giuliano Pasini, nato a Zocca, è un orgoglioso uomo d’Appennino che vive in pianura, a Treviso. Socio di Community, una delle più importanti società italiane che si occupano di reputazione, è presidente del Premio Letterario Massarosa e in giuria di altri concorsi italiani e internazionali. Il suo esordio, Venti corpi nella neve (ora Piemme), diventa subito un caso editoriale. Seguiranno Io sono lo straniero e Il fiume ti porta via (entrambi Mondadori), tutti con protagonista Roberto Serra, poliziotto anomalo e dotato di grande umanità, in perenne fuga da sé stesso e dal male che lo affligge. È così che si muore ne segna il ritorno a Case Rosse dieci anni dopo il primo romanzo.

:: Gleba di Tersite Rossi (Pendragon 2019) a cura di Massimo Ricciuti

21 ottobre 2019

GlebaIn una grande città italiana s’intersecano le vicende di vari personaggi, destinati a incontrarsi in un unico e terribile disegno. Paolo, un diciassettenne insicuro, frequenta una scuola particolare, che spinge i frequentanti a una competizione senza scrupoli e ad annullare le proprie emozioni, controllate dall’amigdala. Amina, una ragazza marocchina, per un periodo è compagna di studi del coetaneo Paolo, ma poi prende una brutta strada e deve rivolgersi al fratello, fanatico religioso che ha scelto il Jihad. Adriana, impiegata modello, è, in realtà, un’aspirante brigatista che medita vendetta contro i “padroni”. Poi ci sono Valeria ed Enrico, moglie e marito, che portano avanti un rapporto precario tanto quanto le rispettive occupazioni lavorative. Queste sono le principali figure di Gleba, alle quali se ne affiancano tante altre, per comporre quello che è un vero e proprio romanzo corale. Numerose sono le tematiche affrontate dall’opera: su tutte spicca il lavoro, che è quasi sempre precario, insoddisfacente e alienante. Il termine “gleba” assume così un duplice significato: come terra che dà origine alla vita e come terra a cui essere asserviti. Altro argomento portante del romanzo è il terrorismo, nella doppia accezione di islamico e brigatista. Del primo è protagonista Kemal, il fanatico fratello di Amina, del secondo Adriana, entrambi guidati da figure superiori che hanno come obiettivo due attentati. Passando all’autore del romanzo, va detto che, in realtà, si tratta di un collettivo di scrittura. Il nome è un omaggio a Tersite, l’antieroe per antonomasia della mitologia greca, qui incarnato da Paolo. Gleba è la quarta opera di Tersite Rossi ed è di difficile classificazione: questo perché tratta parecchie tematiche, utilizzando generi letterari diversi. Fondamentali sono, comunque, i significati politici e sociali che caratterizzano anche i tre precedenti romanzi. Tutti si possono ascrivere alla cosiddetta letteratura impegnata: di volta in volta gli autori si sono occupati di mafia, politica, economia e tanto altro. Anche in Gleba s’intuisce la notevole opera di documentazione, così come l’indagine sulla realtà, da cui tutto prende avvio. Quanto al finale, lascia aperto uno spiraglio di speranza almeno per due dei protagonisti. A dominare resta, però, la paura di un futuro dominato sempre più dalle tecnologie, in grado di rendere schiavi gli uomini e annullarne i sentimenti e la volontà.

Tersite Rossi è un collettivo di scrittura.
Esordisce nel 2010 con il romanzo “È già sera, tutto è finito” (Pendragon), appartenente al genere della Narrativa d’Inchiesta e centrato sul tema della cosiddetta trattativa fra Stato e mafia d’inizio anni Novanta (finalista al Premio Alessandro Tassoni 2011 e al premio Penna d’Autore 2011).
Nel 2012 esce il suo secondo romanzo con le “edizioni e/o”, il noir distopico “Sinistri”, all’interno della collana “SabotAge” curata da Massimo Carlotto, ambientato in un futuro fin troppo prossimo, intriso di tecnocrazia liberticida e folli tentativi di ribellione.
Nel 2016 esce il suo terzo romanzo, il thriller economico-antropologico “I Signori della Cenere” (Pendragon), a chiudere la “trilogia dell’antieroe” avviata con i precedenti due, sullo sfondo della crisi finanziaria d’inizio millennio e delle sue ragioni più profonde, ancestrali.
Nel 2019 esce il suo quarto romanzo, “Gleba” (Pendragon), appartenente al filone della new italian epic e centrato sulla tematica del lavoro, sfruttato e vendicato, che segna l’ingresso nell’era del post-eroe.

Source: libro inviato dall’editore al recensore. Ringraziamo l’ufficio stampa.

:: Un tango per Victor, Lorenzo Mazzoni, (Edicola Ediciones, 2016) a cura di Massimo Ricciuti

23 Maggio 2016

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Denil è un ragazzo di origini italo-cilene che vive ad Amsterdam. Le sue giornate sono tutte uguali, divise fra il lavoro presso un coffee shop e le serate da DJ. La sua conoscenza della storia cilena è affidata ai racconti dello zio Victor, sottrattosi appena in tempo alla dittatura di Pinochet. La monotona esistenza di Denil è destinata a cambiare quando vede una ragazza improvvisare passi di tango per le vie della città. Incantato dalla sua bellezza e dalla sua grazia, il giovane cerca di rintracciarla, finché sarà proprio lei, Julia, a entrare nel locale in cui Denil fa il DJ.

Pubblicato una prima volta nel 2008, questo romanzo rivede la luce grazie alla volontà e al lavoro degli editori di Edicola Ediciones. Intriso d’ironia e di poesia al tempo stesso, il libro dà comunque ampio spazio alla drammatica storia cilena e rende omaggio al grande cantante Victor Jara, assassinato dagli aguzzini di Pinochet. La musica è centrale nel racconto, tantissimi sono i brani citati. Ed è fondamentale per l’incontro fra Denil e Julia, accompagnando anche la loro breve storia d’amore. Un tango per Victor è un gioiellino da (ri)scoprire, impreziosito dalla splendida illustrazione di copertina, opera di Francisca Yáñez

Lorenzo Mazzoni è nato a Ferrara nel 1974. Ha vissuto a Londra, Istanbul, Parigi, Sana’a, Hurghada e ha soggiornato per lunghi periodi in Marocco, Vietnam e Laos. Scrittore, saggista e reporter ha pubblicato numerosi romanzi, fra cui Il requiem di Valle Secca (Tracce, 2006; finalista al Premio Rhegium Julii), Le bestie/Kinshasa serenade (Momentum Edizioni, 2011), Apologia di uomini inutili (Edizioni La Gru, 2013). È il creatore dell’ispettore Pietro Malatesta, protagonista dei noir (illustrati da Andrea Amaducci ed editi da Koi Press) Malatesta. Indagini di uno sbirro anarchico. La trilogia (2011), La Tremarella (2012), Termodistruzione di un koala (2013), Italiani brutta gente (2014), Il giorno in cui la Spal vinceva a Renate (2015). Il suo ultimo romanzo, Quando le chitarre facevano l’amore (2015; Premio Liberi di Scrivere Award), è stato pubblicato da Edizioni Spartaco. Diversi suoi reportage e racconti sono apparsi su il manifesto, Il Reportage, East Journal, Scoprire Istanbul, Reporter e Torno Giovedì. Collabora con il Fatto Quotidiano. È docente di scrittura narrativa di Corsi Corsari. Nel 2015, insieme al fotografo Tommy Graziani, ha fondato IbnBattuta.viaggi, un contenitore culturale di esperienze umane che promuove workshop di scrittura, reportage e fotografia in giro per il mondo.

Source: acquisto del recensore.

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