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:: È così che si muore di Giuliano Pasini (Piemme 2023) a cura di Patrizia Debicke

7 febbraio 2023

Quando tutto il resto pare inaccettabile, l’unica salvezza potrebbe essere la certezza di un porto sicuro. Perché la solitudine è forse la vera condanna del principale protagonista dei romanzi di Pasini, il commissario Roberto Serra che crede di non aver più un posto dove ritrovare la sua pace. Aveva sperato perciò che, tornando dieci anni dopo a Case Rosse, paesino arroccato sull’Appennino dove la sua storia e la sua dannazione, erano ricominciate gli potesse servire. Proprio a Case Rosse, il borgo di mille anime arroccato sull’Appennino emiliano dove nel 1995 aveva trovato per la prima volta rifugio per fuggire da quelle indagini e da quegli omicidi che a Roma lo stavano distruggendo. Ma la notte di Capodanno , il 1 gennaio 1995, quando il suo pur fragile equilibrio pareva faticosamente riconquistato, aveva dovuto affrontare uno dei crimini più brutali della sua carriera. Uno spaventoso delitto commesso durante la notte in alto, al Prà grand, con due adulti e una bambina uccisi senza pietà. Un’ orribile rappresaglia che riconduceva alla sofferenza e all’orrore vissuti 50 anni prima in quel luogo, con il massacro commesso nel ‘45 dalle SS in ritirata e dai loro alleati repubblichini, decisi a far terra bruciata attorno a loro. L’inchiesta che l’aveva ghermito, l’aveva catapultato nell’inferno di un passato che pareva dimenticato e invece era ancora marchiato a fuoco nella memoria degli abitanti. E quell’ inferno era tornato a presentare il conto offendo spazio alla danza. Un dono o una maledizione?
Insomma aveva indelebilmente segnato anche lui. Il ritrovato rapporto con Alice, unico insicuro lumicino, appeso a nuove piccole sicurezze, pian piano si era fatto traballante. La sua vita, la sua non-malattia che era parte di lui, le sue fughe continue, che si accumulavano una sull’altra lasciando cicatrici, erano tutte intrecciate con il suo nome : Alice. Non era servito il suo trasferimento a Treviso come capo ufficio immigrazione e neppure il suo rifugiarsi a Termine , il paesino di vigne. Non gli avevano impedito di scontrarsi di nuovo e ferocemente con l’aberrazione del male. E neppure il ritorno a Bologna e la nascita di Silvia mentre era ancora sospeso dal servizio, l’avevano reso più sicuro.
Silvia era una bambina speciale, per certi aspetti, ma così forse come era speciale lui. E poco dopo il dottor Gardini, il medico che per tanti anni aveva tentato di trovare una spiegazione e curare la paurosa sindrome del commissario, era stato assassinato laggiù nella bassa, terra cara alla prosa di Guareschi, poco lontana dalle Reggia di Colorno. Anche senza l’appoggio della divisa si era sentito costretto ad andare. A far parte del ventaglio di detectives riuniti per uno strano e inesplicabile delitto: Massimo Minimo, comandante in capo del Ris, Mixielutzi capo della squadra mobile di Treviso in ferie e nume tutelare di Roberto Serra, commissario sospeso.
Poi però, tornato in servizio con encomio, la sua volontaria scelta di allontanarsi. Perchè? Inquietudine? Vigliaccheria?
Ha chiesto lui infatti tre anni prima di essere assegnato di nuovo a quel minuscolo commissariato di montagna. L’ha fatto perché forse lassù sperava di riuscire a chiudere con i fantasmi che l’ossessionavano e magari farcela a controllare in qualche modo la sua sindrome e la sua vita? Cosa tutt’altro che semplice. E fare il pieno di alcol di notte e poi correre come un pazzo chilometri su chilometri ogni mattina per sputare il veleno, non è la migliore scelta. Intanto il suo rapporto con Alice si sta avviando alla definitiva chiusura, lei ha ripreso la studio del padre, sta per sposarsi con un ricco coetaneo bolognese. Mentre lui annaspa inutilmente pare e la forzata e dolorosa separazione da Silvia, sua figlia, non aiuta.
Poi a maggio, in un giorno che sembra scorrere inutile , senza sorprese come tutti gli altri: la chiamata del vicesindaco con la richiesta di correre nella frazione di Ca’ di Sotto per un incendio che sta divorando una cascina. Una cascina dove abitano un uomo e la sua compagna.
Roberto Serra e l’agente scelta Rubina Tonelli, una romagnola dai capelli rossi giovane e stizzosa, mandata lassù, a Case Rosse, a scontare una punizione, devono raggiungere subito il posto sulla trentenne ma funzionante Campagnola del commissariato. I pompieri, chiamati per primi e già all’opera , stanno usando la schiuma per controllare il fuoco, ma la stalla con le bestie è già andata, solo una scrofa mezza arrostita è uscita ancora viva dalle fiamme. Tra i primi ad accorrere, per tentare di fare qualcosa, è stato Rigo Bagnaroli, il fratello maggiore di Burdigon, ex pugile , un omone di un metro e novanta che si è fatto medicare dai sanitari le ustioni per aver tentato invano di entrare.
Quando divorato dalle fiamme crollerà il tetto, il corpo di Eros Bagnaroli, detto il Burdigòn, lo scarafaggio, semi carbonizzato verrà estratto dai vigili del fuoco da quanto resta della casa, ma quando, su richiesta del dottor Cherubini medico condotto, il capo dei pompieri e uno dei suoi riusciranno a girarlo, apparirà lampante che la causa della morte non è stata l’incendio. Al Burdigon hanno tagliato la gola. Per fortuna il suo sarà l’unico cadavere ritrovato nella cascina perché la sua compagna, scesa poco prima con il motorino in paese, li ha raggiunti e sta piangendo disperata.
Il comandante dei vigili decreterà subito che secondo lui l’incendio è doloso e, per innescarlo , ritiene sia stata usata della miscela agricola.
Quando poi ormai sta per scendere la sera, ci sarà l’arrivo sulla scena del delitto, di una squadra di carabinieri del Ris e di una di poliziotti della questura di Modena, con al comando Vito Corazza, gigantesco e dimenticato amico d’infanzia di Roberto Serra e capo della squadra mobile. Arrivo quasi in contemporanea simile a una carica di cavalleria, provocato dalla telefonata del Commissario di Case Rosse a Massimo Minimo, generale comandante del Ris, erre moscia, quando parla, quasi sosia di Clint Estwood e ancora suo nume tutelare. Telefonata al di fuori dalle procedure che Serra ha fatto appena si è reso conto di trovarsi davanti a un omicidio.
Liquidati rapidamente dal collega di Modena, Roberto Serra e Rubina Tonelli credono di essere ormai tagliati fuori dal caso ma…
Il generale Minimo non la pensa così, ha passato la notte sul cadavere di Bagnaroli e decreta scannamento. Insomma qualcuno ha ammazzato il Burdigon come un maiale. Poi, visto che si è scomodato a fare tutto quel lavoro solo perché Serra gliel’ha chiesto, il giudice istruttore assegnerà l’inchiesta a lui e a Corazza.
Dopo dieci anni Serra ha un nuovo efferato delitto commesso a Case Rosse su cui deve indagare. Ma la gente del paese non collabora e lui si sente ingabbiato in un nuovo e insondabile muro di omertà, mentre la Danza, la sua complice e condanna, ricompare all’improvviso sempre pronta ad attaccare a tradimento… Con la falce della morte è già alzata per colpire ancora. Questa volta, però, Serra dovrà fare i conti anche sulla presenza della vivace, prepotente ma vulnerabile Rubina Tonelli, che, quanto lui, è costretta a confrontarsi con traumatici fantasmi. Un’improbabile aiutante ma forse per tutti e due arrivare a scoprire la verità potrebbe diventare il modo per darsi una meta, oppure farcela a superare le proprie dolorose ferite e in un certo qual senso persino pensare a sanarle. Chissà?
Un’indagine del commissario Roberto Serra e dell’agente scelto Rubina Tonelli, molto intensa e coinvolgente, con l’irrinunciabile scenario di un tempestoso Appennino primaverile. Un’ indagine poi che, lasciando alla fine una serie di interrogativi in sospeso, apre la strada a potenziali futuri sviluppi narrativi. Torneranno entrambi in scena? Leggeremo ancora di loro? Perché no?
Qualche commento: impossibile per me non citare il generale Minimo che definisce con malizia i poliziotti : figli illegittimi di Sherlock Holmes. E Ariston il ricchissimo, generoso ma forse inguaribile pasticcione padre di Rubina. Solo tenera e rassicurante invece la Nives coi suoi gatti, il suo sereno buon senso e le sue tagliatelle. E, a proposito di tagliatelle, per fortuna anche se ohimè molto più sfumato stavolta rispetto ai precedenti libri, con Serra e il suo creatore Pasini quando si mangia lo si fa e bene e Roberto Serra, quando trova la voglia di cucinare, resta sempre un mago ai fornelli.

Giuliano Pasini nato a Zocca, è un orgoglioso uomo d’Appennino che vive in pianura, a Treviso. Socio di Community, una delle più importanti società italiane che si occupano di reputazione, è presidente del Premio Letterario Massarosa e in giuria di altri concorsi italiani e internazionali. Il suo esordio, Venti corpi nella neve (ora Piemme), diventa subito un caso editoriale. Seguiranno Io sono lo straniero e Il fiume ti porta via (entrambi Mondadori), tutti con protagonista Roberto Serra, poliziotto anomalo e dotato di grande umanità, in perenne fuga da sé stesso e dal male che lo affligge. È così che si muore ne segna il ritorno a Case Rosse dieci anni dopo il primo romanzo.

Source: libro del recensore.

:: Intervista con Giuliano Pasini

29 gennaio 2012

Benvenuto Giuliano su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato la mia intervista. Racconta ai nostri lettori qualcosa di te, descriviti, anche fisicamente, non tralasciando pregi e difetti.

Accidenti, spiazzato alla prima domanda. Pensa che io descrivo pochissimo anche il mio protagonista, Roberto Serra, per lasciarlo immaginare ai lettori e fare in modo che ognuno ci possa trovare qulcosa di sé. Gli farei uno sgarbo descrivendo me stesso. Diciamo che c’è una bellissima foto sulla bandella di “Venti corpi nella neve”, posso rimandare a quella? Mi rende giustizia ben oltre i miei meriti oggettivi!

E’ una domanda che faccio spesso e sono sempre sorpresa dalle risposte che ricevo: come è nato il tuo amore per la scrittura?

Amore nato con me, direi. Ma la costanza per scrivere l’ho acquisita molto più tardi, solo quando ho conosciuto Sara, che poi è diventata mia moglie. Trovata l’altra metà della mela, mi sono sentito più completo come persona. In grado di affrontare una prova complessa come la scrittura di un romanzo.

E’ da poco uscito Venti corpi nella neve il tuo romanzo d’esordio un libro singolare per potere evocativo e struttura narrativa. La storia di una vendetta che si consuma in un borgo isolato dell’ Appennino tosco-emiliano tra Modena e Bologna e che trae le sue origini oscure in un passato lontano ma stranamente ancora vivo e doloroso. Ce ne vuoi parlare. Come è nata l’idea di scriverlo?

Io vengo da un paese dell’Appennino “sospeso” tra Modena e Bologna. Un paese che nell’ultimo inverno di guerra si trovò a essere sul fronte, quella Linea Gotica che costituiva l’ultimo baluardo del Feldmaresciallo Kesselring e delle truppe nazi-fasciste alla risalita degli alleati. Chi ha visto coi propri occhi quel che è accaduto in quel periodo ne parla malvolentieri ma non l’ha dimenticato. Impossibile dimenticarlo, proprio come per la gente di Case Rosse. E io ho voluto perpetrare questa memoria e con essa il dolore che si porta dietro.

E’ vero che Alfredo Lavarini direttore editoriale Fanucci ha chiesto di leggere il tuo manoscritto rispondendo a una tua semplice mail, come ho letto in una tua recente intervista sul blog  Sartoris di Omar di Monopoli. Senza agenti, senza un nome famoso conquistato frequentando talk show, un esordiente quasi assoluto in fondo. E’ proprio vero che quando una  storia deve essere raccontata trova le sue vie?  

E’ esattamente quel che mi è successo. Posso anche dirti che il mio… fondoschiena è proverbiale. E che nella mail c’era scritto che il romanzo era stato selezionato tra i trenta meritevoli di pubblicazione in ebook nella prima edizione del torneo Ioscrittore del gruppo GeMS, quindi c’era stata una sorta di prima scrematura. E questo è stato fondamentale. Ma fa bene al cuore che in una casa editrice di primo livello ci sia un direttore editoriale attento e scrupoloso che fa “cherry picking” tra le mail che arrivano. Uno degli innumerevoli meriti di Alfredo Lavarini.

Sempre in questa intervista citi i classici greci come maestri e ho subito pensato a Euripide, controcorrente, innovativo, radicale nel suo rifiuto della guerra e nella pietà per il nemico sconfitto. Sbaglio o anche per te le sue tragedie, su tutte Le troiane, sono estremamente moderne e rivoluzionarie?   

I classici greci sono stati la base su cui ho costruito tutta la mia formazione. Quando qualcuno sostiene che questa o quella trama non sia originale, spesso chiedo dopo Omero chi abbia saputo crearne. Venendo alle tragedie, Euripide (il più moderno, senza dubbio) fa vibrare le mie corde più profonde. Per “Venti corpi nella neve”, oltre  a lui ho avuto presente sia Eschilo che insegna che la conoscenza nasce dalla sofferenza, che – soprattutto – l’immanenza del fato di Sofocle. Roberto Serra scappa. Pensa di aver trovato un rifugio sicuro. Eppure, tutto gli torna addosso.

Uno scrittore porta con sé un bagaglio personale fatto di ricordi, sensazioni, insegnamenti. Cosa c’è di profondamente tuo in Venti corpi nella neve?

Il legame fortissimo con il mio Appennino. Una terra non facile, dove la gente ti accoglie con un sorriso ma prima te ne vai, meglio è. Dove ci sono bar di paese in cui, quando entra un estraneo (“un ed fòra” direbbero a Case Rosse) gli avventori abituali si fermano e lo fissano senza fiatare. Dove i ritmi sono scanditi dalla natura e dai suoi cicli.

E’ esistito un nonno, un vecchio zio, un amico di famiglia che ti ha tramandato vecchi ricordi della guerra, conservando così la memoria di fatti accaduti tanto tempo fa ma che costituiscono il nostro bagaglio morale e culturale permettendoti così di costruire il tuo forte senso civico e etico che rifugge da ogni violenza e vede nella pace il solo bene da difendere? Ho letto nei ringraziamenti che accenni a mamma Lina e alle zie, sono loro le depositarie di questa memoria?

Mia mamma aveva otto anni nel 1944, ultima figlia di una famiglia molto numerosa. Nell’ultimo inverno di guerra fu l’unica a restare con i genitori. Tutti gli altri fratelli e sorelle erano partiti per un qualche fronte, rapiti, improgionati, alla macchia. I ricordi sono i suoi, sono quelli di mio padre (classe 1927) che mi raccontò di un eccidio avvenuto a Boschi di Ciano (alle porte di Zocca) dove venti civili furono impiccati per ordine della “compagnia della morte” guidata da Enrico Zanarini. Lui aggiunse un particolare: i cappi sarebbero stati fabbricati con il fil di ferro che si usa per tenere assieme le balle di fieno. Non ho trovato riscontri nei testi, ma ho mantenuto quel particolare. Per chi viene da quella parte d’Italia, la memoria degli eccidi è davvero collettiva. O, almeno, lo sarà finchè ci sarà chi ha visto e vissuto e lo tramanda. Dopo, toccherà a noi fare in modo che non lo si dimentichi e che si pensi per qualche abominevole ragione che “la guerra è bella anche se fa male”.

Preferisci definirlo un noir o un thriller poliziesco e dimmi per te quale è la differenza principale tra questi due generi.

Nella mia testa era una sorta di ape: un giallo-nero. Noir per la centralità della psicologia di Roberto Serra e giallo che l’enigma di cui si cerca la soluzione. Lo vedevo meno thriller, visto che la parte di azione e “adrenalina” non mi sembrava così rilevante. E infatti timeCRIME lo ha indicato come thriller. Mai chiedere a un autore se ha capito cosa ha scritto…

Mi pare Piero Chiara dicesse che gli scrittori migliori ambientano le loro storie nella loro terra, nel mondo che conoscono, che sarebbe innaturale che so per un italiano ambientare i propri romanzi nella provincia americana, nelle nevi e i fiordi del nord, o in luoghi esotici che conosce solo per esperienza indiretta. La pensi anche tu così?

Hai citato lo scrittore italiano che più amo. Come potrei non essere d’accordo con lui? Credo che il noir italiano abbia ancora ancora tantissimo da dire, partendo proprio dalla nostra terra. Io mi sono sforzato di scrivere un romanzo italiano ma non “all’italiana”. Senza concessioni al folclore, insomma.

I francesi hanno una grande tradizione di romanzi noir in cui parlano della guerra, della Resistenza, e delle sue ripercussioni nel periodo post bellico, penso a Simenon, Helena, Fajardie. Sei stato influenzato da questa letteratura nella creazione e costruzione del tuo romanzo?

L’atmosfera opprimente, quasi claustrofobica di Case Rosse vorrei tanto somigliasse a quella del villagio in cui Philippe Claudel ambienta lo splendido “Le anime grigie”.

Parlaci del tuo protagonista Roberto Serra e del suo “Appennino”. Uno straniero infondo, un estraneo che turba gli equilibri di una comunità in un certo chiusa, gelosa dei suoi segreti, dei vincoli che li lega. Un elemento in un certo senso disturbante. Era necessario nell’economia del racconto, il suo essere altro?

Lo straniero ha due funzioni: ha una visione imparziale ed è la variabile impazzita che sconvolge i sistemi chiusi. Roberto fa esattamente questo, anche se non ne avrebbe l’intenzione. Non dimentichiamo che lui a Case Rosse va per nascondersi.

Un alito di pietà soffia durante tutta la narrazione, per le vittime, per i colpevoli, per chi ha colpe da scontare, per chi fugge da se stesso e da un passato doloroso. Questa forse è la componente più struggente, sincera. La bambina spinge il protagonista ad andare in un terreno pericoloso come le sabbie mobili. A guardare prima dentro di sé poi nel buio più profondo. E’ stato difficile?

Molto.  Se chi scrive comunque filtra il mondo che crea con la propria visione delle cose, in questo romanzo c’è molto di me. Nel bene e nel male. Ho odiato, scrivendolo. Ho amato, ma meno intensamente. E dopo la prima stesura, in un punto preciso della storia di Sfregio ho anche pianto.

Ti piacerebbe scrivere per il teatro?

A chi devo mandare il curriculum? Scherzi a parte, mi piace scrivere. Scriverei per il teatro, per il cinema…

Stai scrivendo un nuovo romanzo? Puoi anticiparci qualcosa? 

Ho pronto un secondo romanzo con personaggi, ambientazione e trama completamente diversi. Sempre un thriller ma se in “Venti corpi nella neve” il sentimento forte di fondo è il desiderio di vendetta, in questo nuovo è la brama di potere. Molto probabilmente, però, non sarà il prossimo a vedere la luce… da alcune settimane ho iniziato a stendere la seconda avventura di Roberto Serra. Perché io non ho ancora chiuso i conti con le pagine più nere della nostra storia, e Roberto non li ha chiusi col proprio passato.