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:: Un’intervista con Marina Visentin, autrice di A mani nude, a cura di Giulietta Iannone

1 novembre 2025

Bentornata, Marina, su Liberi di scrivere e grazie di averci concesso questa nuova intervista. Dopo Aurora, sei tornata a un tuo personaggio seriale, Giulia Ferro, di cui hai già pubblicato Cuore di rabbia e Gli occhi della notte, con SEM. A mani nude è il terzo episodio della serie che esce con Laurana editore, nella collana Calibro 9. Come è cresciuto il personaggio di Giulia? Sta facendo pace con il passato e con la figura del padre? C’è meno rabbia in lei, un’apertura verso una riconciliazione?

Sì, il personaggio di Giulia è certamente cresciuto, è cambiato, pur mantenendo ovviamente i tratti fondamentali della sua personalità. Ha cominciato a fare i conti col proprio passato e a esplorare, in qualche misura, la possibilità del perdono, nei riguardi degli altri – di chi le ha fatto del male – e soprattutto di se stessa.

Un percorso, un cambiamento che io avevo in mente fin dall’inizio. Perché Cuore di rabbia, Gli occhi della notte e adesso questo terzo episodio, A mani nude, nella mia testa sono nati tutti insieme alcuni anni fa. Poi ognuno di questi libri ha avuto bisogno del suo tempo di incubazione, naturalmente, e ognuno racconta una storia specifica, che ha un suo inizio, un suo svolgimento e una conclusione. Però ogni nuova indagine per Giulia Ferro vuol dire in qualche modo indagare anche su se stessa, sul proprio passato, sulla propria vita, sul senso da dare alle cose. Quindi, al di là dei singoli delitti su cui di volta in volta si appunta l’attenzione della nostra vicequestora e quindi del lettore, quello che viene raccontato nei tre libri è anche la storia di Giulia Ferro: una donna segnata da un passato molto complicato, che l’ha resa da una parte estremamente forte, abile nel suo lavoro, molto rispettata, forse anche un pizzico cinica, e dall’altra un’anima ferita che non riesce a trovare pace perché le ferite, i dolori, le sofferenze che hanno costellato la sua vita fin dalla prima infanzia sono ancora impressi nella sua carne, nel suo animo, come cicatrici che non si lasciano semplicemente cancellare con un colpo di spugna.

Gli anni di piombo, la lotta armata rivoluzionaria, il periodo delle stragi, sono una ferita ancora aperta della storia italiana, con cui forse non si è ancora venuti a patti. C’è stato come una sorta di oblio, quasi si facesse fatica a metabolizzare quel periodo. Perché hai scelto di parlarne nei tuoi libri e hai scelto un passato così ingombrante per la tua protagonista? Questo conflitto generazionale ti serviva anche per raccontare una pagina così tragica della nostra storia con più partecipazione emotiva?

Gli anni di piombo erano già presenti nel primo romanzo della serie, anche se là si trattava soltanto di un accenno. Quando ho immaginato la mia protagonista, ho avuto bisogno di immaginarla tutta intera, con tutte le caratteristiche, gli elementi, i dettagli della sua vita, anche quelli che nel primo romanzo non sarei riuscita a sviluppare. Però io avevo bisogno di averli già in mente tutti, di avere in mente tutta la sua storia, il suo passato, la storia della sua famiglia. Una storia pesante, proprio perché figlia di quell’epoca, dei drammi, delle ombre, delle contraddizioni di quel periodo storico. Un passato ingombrante, certo, e la protagonista ha bisogno di rielaborarlo, di affrontarlo e può farlo solo riprendendo i contatti con suo padre, affrontando quel conflitto che per molti anni è rimasto sepolto come fuoco sotto la cenere.  Posso aggiungere che questi argomenti non sono emersi casualmente in questi miei ultimi libri: sono temi per me importanti e sono anni che ci dedico tempo, leggendo e approfondendo. Si tratta di pagine drammatiche della nostra storia, come tu giustamente dici, ed è qualcosa di cui bisogna continuare a parlare. Perché noi tutti siamo in qualche modo figli di quell’epoca, di quel sogno rivoluzionario spesso tragicamente scivolato nell’incubo degli anni di piombo.

Ci sono spunti autobiografici, o storie che hai sentito raccontare che ti hanno influenzata?

No, di spunti autobiografici non ce ne sono in questo romanzo, e non ho nemmeno ricostruito casi o vicende particolari di quegli anni, però ho studiato in modo approfondito quel periodo storico e, per chi lo conosce, non sarà difficile ritrovare tutta una serie di dettagli storici specifici, dal rapimento di Carlo Saronio alla sparatoria alla cascina Spiotta durante il sequestro Gancia, giusto per fare due esempi concreti. Come dicevo, è un tema che da un punto di vista soprattutto etico mi interpella molto, quello della lotta armata, sono anni che ci dedico letture e riflessioni.

C’era chi ci credeva, e chi ha cavalcato l’onda per motivi che esulavano dagli ideali, e dalla fede politica. Senza entrare troppo nei dettagli della trama, come hai affrontato questo divario?

Mettendo in scena personaggi diversi, che hanno seguito a volte traiettorie esistenziali radicalmente diverse, pur avendo magari iniziato da giovani nello stesso identico modo. Anche qui non ho ricostruito specifiche parabole esistenziali, ma ho pescato qua e là elementi veri, storie reali e le ho cucite insieme immaginando personaggi che potessero rappresentare le diverse sfumature della cosiddetta militanza. Sfumature a volte anche radicalmente opposte, tra afflato ideale e mero opportunismo, assoluta onesta morale e bieca malafede.

Quanto c’è di Milano reale e quanto di immaginario nella rappresentazione dei suoi quartieri? Come hai scoperto l’utilizzo delle vie d’acqua per portare i marmi con cui è stato costruito il Duomo? Come scegli i dettagli storici da inserire senza appesantire la narrazione?

La Milano che racconto nei miei libri è assolutamente reale, sia la Milano di oggi sia la Milano del passato. Quindi la storia di Milano, l’utilizzo delle vie d’acqua per portare i marmi con cui è stato costruito il Duomo, è una notizia storica, come lo sono tutti gli altri dettagli che ho inserito dentro la narrazione, sia parlando dei navigli, sia parlando del cimitero monumentale, sia descrivendo altri scorci, altri quartieri, altre vie, piazze e palazzi di Milano. Io amo molto descrivere Milano e cerco di essere sempre molto precisa e documentata. Poi è chiaro che qualche libertà bisogna a volte prendersela. Faccio un esempio: al cimitero monumentale tutto quello che ci ho messo dentro, che trovate nelle pagine del mio libro, è assolutamente vero, reale, non ho inventato nulla. Però ho giocato un po’ con la topografia, spostando alcune tombe, collocandole più vicine di quello che sono nella realtà, semplicemente per riuscire a dare un’idea dell’atmosfera con un rapido colpo d’occhio, in modo che anche il lettore che non conosce il cimitero monumentale di Milano, perché non ci ha mai messo piede, sia in grado di cogliere le caratteristiche essenziali di questo museo a cielo aperto che in qualche modo si presenta come una città nella città. In generale, tutti i dettagli storici che si trovano nei miei libri e che riguardano Milano sono assolutamente realistici e autentici. Ma la scelta di utilizzare un’immagine invece che un’altra, di raccontare uno specifico aneddoto, di mettere in primo piano un dettaglio e magari un po’ in ombra un altro, non ha a che fare con il realismo ma con precise scelte narrative. Sono scelte chiaramente funzionali al racconto, al fatto di esaltare un certo tipo di atmosfera invece che un’altra. Insomma, come sempre nei miei romanzi, anche in questa terza avventura di Giulia Ferro la realtà si mescola con l’immaginazione.

Sei un’esperta di cinema, ci sono film che ti hanno influenzata nella stesura di questo romanzo? Sarebbe bello anche un parallelo tra la tua Milano e la Milano scerbanenchiana di Venere Privata (penso al film del 1970 diretto da Yves Boisset).

Sì, mi occupo di cinema da tanti anni e sicuramente la mia abitudine a consumare immagini in movimento influenza il mio modo di scrivere, e quindi ha influenzato questo romanzo come tutti gli altri romanzi e racconti che ho scritto nella mia vita. In specifico, devo dire che no, per quanto io apprezzi tantissimo i romanzi di Scerbanenco, non mi riconosco tanto in quel tipo di immaginario. Piuttosto, proprio nel periodo in cui stavo più o meno completando la stesura di A mani nude, ho riletto i romanzi di un altro autore milanese, che amo molto: Renato Olivieri. E ho deciso di rendergli omaggio ambientando una parte del mio romanzo esattamente in quella Milano borghese e sorniona tra via Bianca di Savoia, via Anelli e via Beatrice d’Este che fa da sfondo a Maledetto Ferragosto, un romanzo del 1980 che vede protagonista il commissario Ambrosio (portato al cinema da Ugo Tognazzi ne I giorni del commissario Ambrosio di Sergio Corbucci).

Tra tutti i personaggi secondari, c’è qualcuno che ti ha emozionato o divertito particolarmente mentre scrivevi? A me è piaciuto molto Vitalo (ma anche la sua ex, madre di suo figlio) e Alfio Russo.

Alfio Russo ormai non lo definirei più neanche un personaggio secondario. Certo, viene dopo rispetto alla protagonista, Giulia Ferro, ma è talmente presente da essere indispensabile.  E sì, parlare di Alfio Russo, immaginare i dialoghi fra lui e Giulia Ferro è sempre emozionante, sempre molto divertente. Parlando in specifico di A mani nude, forse è il personaggio di Vitalo quello che più mi ha coinvolto. Vitalo è un vecchio amico del padre di Giulia Ferro e, come Rino Ferro, ha avuto un passato nella lotta armata, anche se non ha ucciso nessuno, però ha creduto, almeno in quel particolare periodo della sua vita, che attraverso la violenza sarebbe stato possibile un cambiamento della società, un cambiamento positivo. Ha creduto nella possibilità di una rivoluzione in grado di eliminare le tante intollerabili ingiustizie che allora, come oggi, contraddistinguono la realtà che ci circonda. Vitalo è una persona che ha fatto tanti errori nella sua vita, ma è sempre rimasto un idealista, una persona estremamente buona, incapace di voltarsi dall’altra parte quando vede un’ingiustizia. Una caratteristica che finisce col metterlo nei guai, per l’ennesima volta della sua vita. Proprio questa ambiguità, questa doppia valenza – intenzioni buonissime che però possono dare adito a errori dalle conseguenze tragiche – era quello che mi interessava raccontare quando ho deciso di mettere in scena il personaggio di Vitalo.

Pensi che il noir possa essere uno strumento efficace per raccontare la memoria storica?

Sì, certo, il noir è uno strumento estremamente efficace per descrivere il mondo, la realtà che oggi ci circonda, ma anche il mondo da cui veniamo, la storia da cui proveniamo. Un delitto è in qualche modo una lente di ingrandimento che ci permette di vedere meglio tutto ciò che c’è intorno. Per questo un’indagine è sempre anche un modo per scavare nelle ombre, esplorare gli angoli non immediatamente visibili, scoprire ciò che a un primo sguardo può non essere evidente. E questo vale a maggior ragione se parliamo del passato, e quindi della memoria storica. Io credo tantissimo nell’importanza di coltivare la memoria, preservarla, rispettarla. Tenendo conto che senza memoria, sia come singoli individui, sia come società, rischiamo di perdere la nostra identità.

Quanto lavoro richiede la costruzione dei dettagli investigativi e procedurali nel romanzo? Ti sei avvalsa della consulenza di veri vicequestori, giudici, semplici poliziotti?

Sì, io cerco sempre di documentarmi il più possibile, ogni volta che scrivo un libro, anche “interrogando” amici poliziotti, giudici e avvocati. Però è vero che – e questo me lo ha detto un amico scrittore, ex poliziotto ormai in pensione – se tu metti in un libro un’indagine esattamente così com’è nella realtà, il rischio è che sia noiosissima. Nel momento in cui un’indagine la descrivi in un romanzo, devi per forza reinventarla, rimontarla, raccontarla tradendo in qualche modo la realtà. Però questo non deve voler dire tradire la fiducia del lettore. Insomma, se da una parte è giusto e sacrosanto prendersi delle libertà, perché sennò probabilmente il risultato sarebbe veramente indigesto per chi legge, al tempo stesso non si può neanche prendere in giro il lettore. Io non amo particolarmente, neanche da lettrice, le descrizioni dettagliate di autopsie e in generale vedere l’indagine dal punto di vista della polizia scientifica, quindi questo è un tipo di dettaglio che nei miei romanzi c’è abbastanza poco. Preferisco ragionare sui moventi dei personaggi, approfondire le psicologie, piuttosto che occuparmi di intercettazioni, impronte, balistica o esami del DNA. Tuttavia, se ho bisogno di inserire dettagli di questo genere, naturalmente faccio in modo che siano il più possibile realistici. E controllo tutto ricorrendo al parere di qualche esperto, tutte le volte che è necessario.

Hai mai pensato di scrivere un prequel su uno dei personaggi “del passato” degli anni Settanta? Magari proprio una storia incentrata sul padre di Giulia?

Sinceramente, più che a un prequel avrei pensato a uno spin-off, perché una delle cose che ogni tanto mi viene voglia di fare è prendere Alfio Russo e trasformarlo a tutti gli effetti nel protagonista di una storia. Certo, anche un romanzo incentrato sul padre di Giulia potrebbe essere estremamente interessante, però non lo so, sono ancora molto in dubbio. Quando ho iniziato a scrivere Cuore di rabbia avevo già in mente l’intera trilogia, sapevo già dove volevo arrivare, avevo in mente tutto il percorso che avrebbe dovuto fare il mio personaggio. E avevo anche preso in considerazione che questo fosse l’ultimo romanzo e la storia di Giulia Ferro finisse qui. Adesso sono un po’ incerta. In realtà in questo momento non mi sento pronta ad abbandonare questo personaggio e quindi vorrei continuare, esattamente in quale direzione è proprio il dibattito che ferve in questo momento nella mia officina di scrittrice.

:: A mani nude di Marina Visentin (Laurana Editore, 2025) a cura di Giulietta Iannone

26 ottobre 2025

Sono quasi arrivata a casa, nessuno mi aspetta e va bene così. Le otto sono passate da poco e il cielo sembra in fiamme, come se laggiù, sopra i tetti, si fosse aperta una fornace incandescente, rosso vivo. E tutt’intorno un blu profondo che mette quasi paura.
In bilico sul buio, in attesa della notte, la città respira piano. Aspetta la fine dell’inverno.
Io mi godo il vento. È come uno schiaffo in faccia l’aria fredda, ma il rosso del cielo mi tiene compagnia. Come un abbraccio che scalda. Nonostante tutto.

A un anno dall’uscita di Aurora, Marina Visentin torna al noir, questa volta investigativo, con A mani nude. Stesso editore, Laurana, stessa collana, Calibro 9, stessa città: Milano.

Un piacevole ritorno allo stile particolare con cui l’autrice interpreta il noir e trasforma Milano in uno scenario vivido e dolente, coi suoi Navigli, il Cimitero Monumentale, le vie borghesi, i palazzi eleganti, i bar-tabacchi di periferia, i cortili, le case di ringhiera. In questi luoghi scorre e si dipana una storia che intreccia presente e passato: il passato degli anni Settanta, quelli della lotta armata e degli anni di Piombo, che ultimamente sembra vivere una riscoperta dopo anni di oblio.

Protagonista è il vicequestore Giulia Ferro, donna con un passato ingombrante: una madre dedita all’eroina, un padre militante. Carattere difficile, tanto quanto competente e brava nel suo lavoro.

Il caso su cui indaga parte dal ritrovamento di due corpi: un ex terrorista rosso, Chicco Luini, con una fedina penale lunga e accidentata, annegato nei Navigli dopo essere stato pestato da tre ragazzi, di cui uno minorenne; e un appartenente alla Milano bene, Guido Andrea Del Corno, apparentemente morto suicida, impiccato nel Cimitero Monumentale, accanto al mausoleo di famiglia.

Due casi nati già chiusi, anche se il ritrovamento dei corpi avviene a un giorno di distanza l’uno dall’altro. Le vittime appartengono alla stessa generazione, ma sembrano provenire da mondi opposti. Tuttavia, qualcosa non torna: indagando, grazie soprattutto alle informazioni fornite spontaneamente da Vitalo, un amico del padre anche lui ex-militante, Giulia scopre un improbabile e torbido legame tra i due, che la conduce a un vecchio rapimento degli anni Settanta, che costò la vita al rapito, quando i militanti della lotta armata usavano i sequestri — come altri crimini — per finanziare la loro causa rivoluzionaria.

Marina Visentin scrive con precisione e sensibilità, sa unire i fili che legano il passato al presente, caratterizzando ogni personaggio con il suo bagaglio di sofferenza, difetti e pregi, senza calcare la mano sulla nostalgia. Delicato il legame tra la protagonista e il padre, a cui non smette di volere bene nonostante le sue scelte e i suoi errori, aprendo una strada verso la riconciliazione in un tenerissimo finale.

Ma è l’indagine l’ossatura portante della storia: l’interrogatorio dei testimoni, la ricerca degli indizi, i rapporti spesso conflittuali tra i colleghi della procura. L’autrice rende molto bene questa parte, con scrupolo e attenzione ai dettagli. Non è tanto la ricerca di un solo colpevole il punto centrale, quanto il capire cosa successe veramente: come si concatenarono gli eventi che portarono a tante altre vittime collaterali, quale fu la scintilla, come se il male si propagasse a onde e lasciasse dietro di sé una scia di morte.

Il passato non è idealizzato. Giulia è una poliziotta, una servitrice dello Stato — sebbene il termine sia desueto — e ha scelto una parte della barricata, nonostante le scelte del padre. Questo conflitto è una delle parti meglio descritte, con sensibilità e pudore.

A mani nude conferma Marina Visentin come una delle voci più solide e consapevoli del noir italiano contemporaneo. È un romanzo che unisce rigore investigativo e introspezione emotiva, storia collettiva e ferite private, in una scrittura elegante e mai compiaciuta. Non cerca il colpo di scena, ma la verità nascosta nelle pieghe della memoria.

Un noir intimo e civile, nel solco del noir civile di De Cataldo, ma con una delicatezza tutta femminile, attenta ai sentimenti, in cui il passato continua a bussare alle porte del presente e in cui la giustizia — come la vita — si compie solo a mani nude.

Marina Visentin è nata a Novara, da oltre trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista e traduttrice, una laurea in filosofia e un passato da copy-writer, ha collaborato con numerose testate scrivendo di cinema. Ha pubblicato saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia e costume (Filosofia Finalmente ho capito!, Vallardi, 2007; Raffasofia, Libreria Pienogiorno, 2021), romanzi gialli e noir (Biancaneve, Todaro Editore, 2010; La donna nella pioggia, Piemme, 2017; Cuore di rabbia, Sem, 2021; Gli occhi della notte, Sem, 2023; Aurora, Laurana Editore, 2024).

Source: libro inviato dalla casa editrice Laurana che ringraziamo, assieme all’autrice.

Consiglio di acquisto: https://amzn.to/4oss3aB se comprerai il libro a questo link guadagnerò una piccola commissione. Grazie!

:: Aurora di Marina Visentin (Laurana Editore 2024) a cura di Federica Belleri

26 novembre 2024

Chi è Gemma, chi è Vittorio? Chi è Aurora? Chi sono realmente i protagonisti di questa storia? Sono davvero quelli che impariamo a conoscere attraverso le parole dell’autrice o indossano una maschera? 

Queste sono solo alcune delle domande alle quali siamo chiamati a rispondere dopo aver letto questo libro. Domande complesse perché aprono scenari inquietanti, bui. La vita di Gemma, gallerista di successo, ad un certo punto si ribalta, si spezza.

 Qualcosa la sbatte al muro agendo  nell’ombra  e spaventandola.  Tutto si ribalta, si confonde e la confonde. Tutti sembrano puntarle il dito contro. Che fare, fuggire o affrontare? 

La trama è decisamente gialla con una tensione da thriller. I personaggi ruotano su se stessi cercando una spiegazione alla paura, che rasenta l’irragionevolezza. Perché non si può fuggire davanti alle proprie responsabilità, non si può incolpare gli altri per qualcosa che non li riguarda. Non ci si deve convincere di essere innocenti, perché ciascuno di noi ha un lato oscuro. Ognuno possiede un segreto. Ognuno è terrorizzato da ciò che vede o crede di vedere …

Aurora, di Marina Visentin, ci porta a Milano nel periodo natalizio. Dove i colori e gli addobbi lasciano il posto al mistero e alla crudeltà. Dove la ricerca della verità è impresa ardua, quasi impossibile. Oppure no? Magari, semplicemente, non è opportuno parlarne per evitare complicazioni. 

Ho apprezzato questo libro per la ricchezza di contenuti e l’ambientazione. L’intreccio misterioso è ben strutturato. Lo consiglio, buona lettura.

Fonte: omaggio dell’ autore.

:: Un’intervista con Marina Visentin, autrice di Aurora a cura di Giulietta Iannone

24 ottobre 2024

Benvenuta Marina su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa intervista. Giornalista, traduttrice, scrittrice, parlaci di te, dei tuoi studi, del tuo lavoro.

Non è semplice da sintetizzare la mia vita lavorativa. Ho studiato da filosofa e quello volevo fare da grande, invece mi sono ritrovata a fare la copy-writer in un’agenzia di pubblicità, non mi piaceva e mi sono messa a fare la giornalista. La cronaca mi stava stretta, ho pensato bene di lanciarmi nel mare tempestoso della critica cinematografica. Le parole mi sono sempre piaciute e quindi ogni tanto mi sono anche divertita a tradurle da una lingua all’altra. I romanzi sono venuti alla fine, dopo una lunga strada lastricata di saggistica, tra cinema e filosofia, ma mi hanno dato tra l’altro la possibilità di far rivivere il vecchio e mai dimenticato amore per le sfumature nere della cronaca e della storia.

Hai da poco pubblicato Aurora, un ottimo noir nella collana Calibro 9 di Laurana Editore. Ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

La prima idea è nata da uno spunto autobiografico: uno spavento che davvero ho provato alcuni anni fa. D’improvviso, senza alcuna ragione, avevo scoperto che qualcuno mi stava seguendo, prendeva informazioni su di me, mi sorvegliava. Per alcune settimane mi ero sentita vulnerabile, inspiegabilmente sottoposta a un controllo misterioso e inquietante. Come era iniziata, in modo altrettanto repentino, questa esperienza è finita. Non ho mai saputo a cosa fosse dovuta, probabilmente a uno scambio di persona. Da questa sensazione di minaccia, tanto inafferrabile quanto allarmante, è nato il primo nucleo di Aurora, che si è poi arricchito della mia passione per l’arte contemporanea e del mio desiderio di scrivere. Per raccontare delle storie, certo, ma anche e soprattutto per dare voce alle donne, alle loro paure, ai loro desideri, alle loro fragilità, alla loro forza, nonostante tutto.

Partiamo dall’ambientazione, una Milano invernale, grigia, fredda, con puntate al lago e a Venezia. Uno scenario malinconico, triste, come hai definito i contorni nelle cose, degli ambienti?

La vera protagonista di Aurora è l’acqua: acqua che ti avvolge, acqua che ti sommerge, acqua di cui avere paura. Acqua trasparente e al tempo stesso torbida. L’acqua di cui Gemma, la protagonista del romanzo, ha paura. Per un motivo ben preciso, che si ricollega al suo passato, a un evento traumatico che ha tentato di seppellire nel profondo della sua coscienza, ma che ogni notte ritorna sotto forma di incubo. Il lago Maggiore e Venezia sono i due scenari che ho scelto proprio per raccontare l’acqua nella sua dimensione calma – il lago, la laguna – e al tempo stesso minacciosa. E poi c’è Milano, ancora e sempre, la mia città, amata e detestata. E ho scelto di raccontarla in inverno, nelle giornate più corte dell’anno, perché proprio il buio è la dimensione che più di altre può descrivere la paura, il disagio, la vulnerabilità.

Gemma è la protagonista, una donna apparentemente forte, realizzata, anche benestante ma con un segreto che teme che tutti possano scoprire. Come hai costruito questo grumo nero di male, nel cuore di un personaggio per certi versi solare?

In qualche modo ho fatto appello all’ambivalenza che abita tante donne: forti, fortissime, capaci di affrontare a testa alta prove di ogni genere e però intimamente fragili, bisognose di sostegno, incapaci di emanciparsi davvero da una profonda sensazione di inadeguatezza. L’idea del segreto da nascondere nasce proprio da questa esperienza condivisa da tante donne: un senso di colpa che nasce prima di tutto dalla sensazione di essere deboli, dalla paura di non essere veramente all’altezza.

La protagonista è una donna forte, razionale, ma nei sogni torna al passato, alla fobia per l’acqua, a un senso di colpa che non l’abbandona. Molto freudiano non trovi? Quanto incide la psicanalisi nel tuo narrato?

Grazie di avermi fatto questa domanda! La dimensione psicologica per me è fondamentale. Più dell’intreccio mi interessano i personaggi, la verità delle relazioni che intrattengono con gli altri, con il mondo circostante. Gemma, la protagonista del mio romanzo, rivive ogni notte – negli incubi che turbano il suo sonno – un evento traumatico che ha segnato la sua vita, che ha costruito la sua personalità all’insegna della paura. Paura che si è cristallizzata in una sorta di corazza che serve a tenere a distanza il mondo, oltre che nel tentativo di rimuovere dalla coscienza tutto ciò che può infastidire e mettere in crisi. Quindi, sì, per rispondere alla tua domanda, direi che la psicoanalisi e in generale gli studi di psicologia hanno – hanno sempre avuto – un notevole influsso sulle mie riflessioni e quindi sulla mia scrittura.

Per un malinteso, non sto a spiegare cosa succede, incontra Vittorio. Ci vuoi parlare di questo personaggio?

Non vorrei parlarne troppo, perché non vorrei svelare troppo della trama a chi ci legge. Però mi sembra importante dire che Vittorio è un personaggio tridimensionale. Può sembrare semplicemente un “cattivo”, perché inizialmente è questa la sua funzione – diciamo così – all’interno dell’intreccio, ma in realtà è un personaggio pieno di sfaccettature. Il suo ruolo può rivelarsi negativo, ma forse più che altro è destabilizzante, rispetto all’iniziale equilibrio della protagonista. Forse incarna solo e semplicemente un’immagine di amore tossico, ma a me sembra importante parlarne, non smettere mai di interrogarci sui motivi che possono rendere un uomo come Vittorio tanto seducente.

Quali autori e opere d’arte ti hanno influenzato nella stesura del tuo libro?

Sicuramente una delle immagini iniziali da cui prende le mosse l’intero romanzo è Ophelia di John Everett Millais, un quadro celeberrimo, simbolo del movimento preraffaelita e perfetta rappresentazione di come bellezza e disfacimento, giovinezza e morte possono sovrapporsi in tanti modi, sotto il segno del fascino e dell’inquietudine. Se devo citare un libro, mi viene in mente Acqua nera di Joyce Carol Oates, che guarda caso, nella vecchia edizione che possiedo da tanti anni, ha in copertina proprio questo quadro che per tanti anni mi ha ossessionato.

Ci sono derivazioni cinematografiche? Film o telefilm che ti hanno dato ispirazione?

Tantissimi, naturalmente. Il mio immaginario si nutre di immagini in movimento da una vita intera. Però, per citare un solo titolo, ti direi Il segno del comando, uno sceneggiato degli anni Settanta che ho rivisto per caso proprio mentre stavo cominciando a scrivere questo romanzo, e a cui voluto in qualche modo rendere omaggio. Non tanto alla storia, quanto alla sua atmosfera – sospesa, inquieta, misteriosa.

Immaginati che una casa di produzione cinematografica ne compri i diritti. Hai carta bianca. Chi immagini potrebbe essere il regista e quali attori vedresti nelle parti principali?

Davvero difficile come domanda, soprattutto a voler tenere i piedi per terra. Allora forse meglio sognare: Roman Polanski come regista, Cate Blanchett come attrice protagonista.

Grazie della disponibilità, nel salutarti mi piacerebbe sapere quali sono i tuoi progetti futuri.

Sto lavorando al terzo romanzo della serie di Giulia Ferro, la mia poliziotta milanese, alle prese con un nuovo caso e con la voragine rappresentata dai complicatissimi rapporti con la sua famiglia. Spero di riuscire a vederlo pubblicato il prossimo anno.

E grazie a te!

:: Aurora di Marina Visentin (Laurana Editore 2024) a cura di Giulietta Iannone

12 ottobre 2024

Ma le ombre poi tornano. Tornano sempre. E diventa sempre più difficile far finta di non vederle.
Roberto continuava a dirle che l’amava, Gemma continuava a pensare che erano una coppia, nonostante tutto. Cercavano di passare del tempo insieme, ogni tanto a Milano, qualche volta in Val Cannobina, a turno, perché entrambi non volevano essere giudicati ingiusti.
Da un po’ avevano cominciato a essere infelici. Ma non avevano voglia di dirselo. Non ancora.

Sogni, incubi, ossessioni, fobie, di questo magma caotico e composito è fatto il noir Aurora di Marina Visentin edito da Laurana Editore nella collana Calibro 9, dedicata al giallo e al noir. Gemma ha un legame con Ofelia, il tragico personaggio shakespeariano morto annegato, a cui è dedicata una mostra nell’elegante galleria d’arte dove la protagonista lavora. Gemma ha un segreto, su cui ha costruito una vita perfetta, casa elegante nel cuore di Milano, lavoro prestigioso, fidanzato artista, ma di notte quando le difese si abbassano e il mondo onirico fa emergere il passato, ritornano ricordi, traumi insoluti.

Che cosa succede? Che diavolo sta succedendo? Qualcuno mi segue? Chi? Perché?
Qualcuno sa? Ha visto? Mi ha scoperto?
Davvero qualcuno può aver scoperto tutto?
No.
Non ha senso. Non ha alcun senso.

Tutto è in bilico, tutto scorre apparentemente in modo placido finchè un uomo entra nella vita di Gemma, prima chiede informazioni su di lei ai vicini e conoscenti, la pedina, la spia, la terrorizza, un uomo che si rivela essere un ex poliziotto, vittima anch’egli delle sue ossessioni. Gemma e Vittorio così si incontrano, per uno scambio di persona, si conoscono forse non così casualmente, e iniziano una relazione in un crescendo di angoscia e segreti taciuti che vogliono emergere.

La notte è una culla abitata dal vento, un incubo fatto di acqua scura. È la vita che si spegne, coscienza che sprofonda nell’incoscienza. Oblio e paura. Una bambina che affonda nell’oscurità. Piangendo.
Apro gli occhi. Vedo buio. Chiudo gli occhi. Non cambia nulla, vedo solo nero. Riapro gli occhi. C’è luce ora, un chiarore indistinto che avvolge ogni cosa come un bianco sudario.
È il bianco il colore della morte.

Riuscirà a salvarsi Gemma dalla spirale che sembra avvolgerla e trascinarla dove non vuole andare? Cosa nasconde il passato e soprattutto il minaccioso presente? Chi è Aurora, la piccola dolce Aurora che si chiamava come la principessa della Bella Addormentata? Queste sono le domande che scorrono nella mente del lettore mentre legge questo libro oscuro e inquietante, sorretto da una scrittura evocativa e onirica. Sarebbe piaciuto a Hitchcock per l’importanza dell’inconscio nella vita di una donna apparentemente forte e realizzata che nasconde le sue mille fragilità sotto una spessa scorza di razionalità e durezza e gravata da una minaccia esterna e interna. Una donna in pericolo che ci ricorda le tante donne in pericolo nella vita reale, dominate da meccanismi psicologici sempre uguali, la paura, il senso di colpa, l’incapacità di conquistarsi una reale autonomia, l’incapacità di costruirsi relazioni sentimentali sane, meccanismi che l’autrice indaga con sensibilità e acutezza.

Marina Visentin è nata a Novara, da oltre trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista e traduttrice, una laurea in filosofia e un passato da copy-writer, ha collaborato con varie testate scrivendo di cinema. Ha pubblicato saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia (Filosofia – Finalmente ho capito!, Vallardi, 2007), romanzi gialli e noir (Biancaneve, Todaro Editore, 2010; La donna nella pioggia, Piemme, 2017; Cuore di rabbia, Sem, 2021, Gli occhi della notte, Sem, 2023), il divertissement filosofico Raffasofia (Libreria Pienogiorno, 2021).

:: La donna nella pioggia di Marina Visentin (Piemme 2017) a cura di Viviana Filippini

26 settembre 2017

la donna nella pioggiaQuella di Stella Romano, protagonista di “La donna nella pioggia”, edito da Piemme, è una vita monotona, ripetitiva, fatta di una quotidianità a tratti quasi sfiancante. La donna si divide tra i viaggi di lavoro del marito Mattia; le diverse attività che praticano Alice e Sofia, le due figlie; Nina, la domestica ucraina che la aiuta nelle faccende di casa e il proprio amato lavoro di illustratrice di libri per bambini. Tutto assomiglia al ritratto della perfezione assoluta, ma in realtà sotto la superficie di belle apparenze, la vita della protagonista nasconde una serie di eventi e cose che le danno il tormento. Tanto per cominciare si scopre che l’infanzia di Stella è stata minata da un evento drammatico: la morte tragica della madre. Fosse solo questo! Stella non ha mai avuto notizie certe su chi fosse suo padre e il cognome che porta, Romano, è quello di Gabriele, il compagno della mamma che la allevata come una figlia. Questi sono i fantasmi del passato, ma nel presente dove tutto sembra perfetto, la caduta del vaso della madre (unico oggetto che manteneva il legame tra le due) e la sua completa rottura lanciano nel panico la donna. Stella si rende conto che non può più tenersi dentro quello che la tormenta e che la fa soffrire, perché solo affrontato ciò che la assilla potrà, forse, trovare un po’ di pace. La protagonista passa dalla calma apparente in una spirale di crescente ansia che le fa rasentare la pazzia, tanto è vero che ad un certo punto la donna inizia a prendere dei medicinali (ansiolitici), e soffre per il fatto che le due amate figlie sono in vacanza con i parenti del marito e lui, Mattia, ecco non è così fedele come vuole fare credere. Ognuno di questi elementi non farà altro che gravare in modo maggiore sulla stabilità psicofisica di Stella che, oltre a sentirsi sempre più oppressa, prova un senso di minaccia incombente. Marina Visentin porta noi lettori a seguire il cammino nella psiche della protagonista, la quale prende coraggio e decide di indagare il suo passato per capire cosa la tormenta, perché ormai lei ha capito che il suo malessere è legato a qualche evento traumatico accaduto tanto tempo prima. Alla Milano del presente, quella dove Stella di divide tra mondo borghese ed editori di qualità, si innesta ad un certo punto il passato. Un tempo andato dal quel emergono gli aspetti cupi e mai del tutto chiari dei tanti delitti violenti e molto spesso inspiegabili che segnarono l’Italia degli Anni di piombo. Stella fa una viaggio alla ricerca delle proprie radici e per compierlo mette in gioco tutta la sua forza in un cammino di ricerca della verità complesso e pieno di difficoltà che la metteranno a dura prova. Questo non importa a lei, perché sono passi vitali da compiere, per dare un senso al proprio vivere. “La donna nella pioggia” di Marina Visentin, attraverso la vicenda personale di Stella, ci presenta mondi diversi, fatti di contraddizioni e contrasti che influiscono sul singolo essere umano e che lo destabilizzano a tal punto da trovare il primordiale istinto di coraggio per mettersi in discussione e ricercare la verità sul proprio passato e sulla propria esistenza.

Marina Visentin è nata a Novara, ma da quasi trent’anni vive e lavora a Milano. Giornalista, traduttrice, consulente editoriale, una laurea in filosofia e un lontano passato da copywriter in un’agenzia di pubblicità. Ha collaborato con varie testate nazionali, scrivendo di cinema e altro; attualmente si interessa di scrittura autobiografica, organizzando laboratori a Milano e dintorni. Ha pubblicato testi di critica cinematografica, saggi sulla storia del cinema, libri di filosofia e psicologia. Dopo la fiaba noir “Biancaneve” (Todaro Editore, 2010), “La donna nella pioggia” è il suo primo thriller psicologico.

Source: inviato dalla casa editrice al recensore, si ringrazia Luigi Scaffidi dell’ ufficio stampa.