Posts Tagged ‘Classici’

:: Tre giusti, Nikolaj Leskóv (Marcos Y Marcos, 2016) a cura di Giulietta Iannone

22 aprile 2016
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Nikolàj Semënovicˇ Leskóv nacque a Gorohovo all’inizio del 1831. Sicuramente tra gli autori russi suoi contemporanei non ha mai raggiunto la fama di Tolstoj, Dostoevskij, o anche Čechov sebbene di alcuni anni più giovane, ma se si ha modo di leggere anche solo un suo racconto, si intuisce subito la grandezza e la profondità di questo scrittore, forse in anticipo con i tempi.
Si sa gli innovatori, i visionari, i precorritori dei tempi (e pensare che era considerato un conservatore) non hanno mai avuto vita facile, e se vogliamo forse proprio per questo motivo sebbene se ne intuisse la grandezza, (per lo meno i suoi colleghi illustri la intuirono bene), forse appunto i suoi lettori ideali siamo noi o i nostri figli e nipoti. Così almeno la pensava Tolstoj denominando appunto Leskov lo scrittore del futuro.
Non che naturalmente fosse considerato uno scrittore mediocre dai suoi contemporanei, era ben conosciuto e ammirato, ma non forse quanto avrebbe meritato. Siamo quindi ancora in tempo per tributare giusta fama al suo genio e rendere più noto e familiare il suo nome, da molti ancora ignorato.
Leskov fu un autore singolarmente prolifico, scrisse numerosi romanzi e ancor più racconti pubblicati su riviste, antologie, libri, e alcuni forse ancora oggi esistono solo squisitamente in lingua russa. Ettore Lo Gatto, insigne slavista, ho sicuramente studiato letteratura russa su un suo manuale all’Università, ha curato in lingua italiana Romanzi e racconti (di Leskov), Mursia, 1961, per chi fosse interessato.
Tre giusti, di Nikolaj Leskov, traduzione a cura di Paolo Nori, edito da Marcos Y Marcos è dunque un piccolo dono che troverete in libreria e che vi invito caldamente a leggere. (Se avete un piccolo budget per il libri questo mese, dedicatelo a lui. Non ve ne pentirete).
Ma veniamo a spiegare perché non ve ne dovreste pentire. Innanzitutto Tre giusti raccoglie tre racconti scritti da Leskov in periodi differenti: L’angelo sigillato, il più antico, è del 1873, A proposito della Sonata a Kreutzer, è stato scritto nel 1890 e pubblicato, postumo, nel 1899, e l’ultimo L’uomo di sentinella, è del 1887. Ma che appartengono tutti al periodo della maturità, (ricordiamoci che Leskov morì nel 1895 a 64 anni, e definisce noialtri scrittori anziani, sé stesso quando non aveva ancora compiuto cinquant’anni).
Due riflessioni mi sento di poter fare a proposito di questi racconti e della scrittura di quest’autore in genere. La prima è che indubbio scriveva per essere letto, ad alta voce. Il legame con la fiaba e l’oralità è fortissimo. E non lo dico per dire, ne ho le prove. In questo video Paolo Nori presenta il libro e legge alcune pagine dei vari racconti.  Beh prendono vita, letteralmente acquistano una forza espressiva che mentre li leggevo solo nella mia mente non mi ero manco accorta possedessero, sebbene li avessi trovati tutti e tre notevoli.
Un’altra riflessione, ruota intorno al concetto dei tre giusti. Trovare il giusto nei due ultimi racconti A proposito della Sonata a Kreutzer e L’uomo di sentinella è un gioco da ragazzi, spicca senza esitazione, ma provate a capire chi sia il giusto in L’angelo sigillato. Ho letto diverse recensioni e ogni recensore lo individuava in un personaggio diverso, chi nell’ isografo Sevas’jan, chi nello starec Pamva, chi addirittura in Pimen Ivanov, (non si contano quante specie di miracoli riesce a fare con la sua zoppicante intercessione) o nel narratore del racconto, (il tipo buffo con la barba rossa che crede di aver visto gli angeli).
Insomma ci vuole davvero uno stato di grazia per distinguere i giusti dai peccatori, e questo è senz’altro il messaggio sotteso che Leskov infonde ai racconti che avremo modo di leggere. Quello che è piaciuto più a me è senz’altro il secondo, A proposito della Sonata a Kreutzer, dove è evidente che chi si crede giusto raramente lo è, e proprio la donna che si crede una terribile peccatrice, (tra la Maddalena del Vangelo e l’Anna Karenina di Tolstoj) emerge come un personaggio moralmente titanico, al confronto per esempio del marito, che la società determina come l’offeso. Di questo racconto ho apprezzato l’ironia e il paradosso, la lievità pur trattando temi di per sé pesanti. Un bambino muore di difterite e come viene strappato brutalmente alla madre e sepolto in tutta fretta in una palude, sebbene per motivi igienici, ha un che di orrorifico. Più ancora forse del finale.
Insomma che dire, spero di leggere altro di Leskov, e sono certa che non mi deluderà.

Di Nikolàj Semënovicˇ Leskóv (1831-1895) è stato detto che “I russi riconoscono in Leskóv il più russo degli scrittori russi, e quello che meglio di chiunque altro conosce il popolo russo” (l’ha detto il principe e critico letterario Dmìtrij Petróvicˇ Svjatopólk-Mìrskij – 1890-1939).

Source: libro inviato dall’ editore, ringraziamo Roberta dell’ Ufficio stampa Marcos Y Marcos.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Shirley, Charlotte Brontë (Fazi, 2015) a cura di Elena Romanello

2 dicembre 2015
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Fazi editore continua la sua riproposta di classici ottocenteschi inglesi con un libro meno noto di Charlotte Brontë, Shirley, suo secondo romanzo dopo Jane Eyre, assente dalle librerie dagli anni Novanta, quando ci furono un paio di edizioni per gli Oscar Mondadori e per la Newton Compton.
Si tratta di una storia abbastanza diversa da quella di Jane Eyre, romanzo di formazione con elementi gotici: qui l’autrice abbraccia infatti un registro più sociale, ambientando la vicenda nello Yorkshire dell’inizio Ottocento, in piene guerre napoleoniche, e incentrando il tutto su Shirley, giovane ereditiera, che si trasferisce nel villaggio in cui c’è parte della sua ricchezza, tra terreni, casa, quote in un’azienda, un po’ come succederà ad un’altra famosa eroina inglese, la Bathsebea di Via dalla pazza folla di Thomas Hardy. Qui diventa amica di Caroline, orfana e piena di debiti, innamorata di Robert Moore, imprenditore in difficoltà e desideroso di riscattare il buon nome della sua famiglia. Robert non può permettersi, per motivi economici, di seguire il cuore e scegliere Caroline, mentre sarà attratto dai soldi di Shirley, che però preferirà qualcun altro, tra altri gentiluomini che si contenderanno i suoi favori, attratti comunque dalla sua insolita situazione che la rende la parte forte all’interno di una possibile coppia.
Shirley è un romanzo in cui tornano gli interessi femministi dell’autrice, visto che ancora una volta traccia due ritratti di donne anticonvenzionali, due amiche agli antipodi ma capaci di sostenersi a vicenda. Anche l’intreccio sentimentale non è melenso, ma realistico e soprattutto insolito, riproponendo di nuovo la ricerca di un sentimento moderno e maturo e non dettato dalle convenzioni sociali.
Quello che colpisce poi più di tutto è il contesto storico e sociale, che ricostrruisce un’epoca fondamentale come eventi esterni e interni della Gran Bretagna, alla base della costruzione poi di una società che durò per tutto l’Ottocento.
Per questo motivo Shirley è un classico da riscoprire, con forti elementi di modernità e di interesse, oltre che essere il libro a cui molte donne e ragazze, da allora in poi, dovettero il loro nome, ancora oggi abbastanza diffuso in ambito anglosassone.

Charlotte Brontë (1816-1855) è una delle maggiori personalità della letteratura inglese dell’Ottocento. Sorella delle scrittrici Anne ed Emily Brontë, compì studi irregolari e si dedicò quindi all’insegnamento. I suoi romanzi, dal celebre Jane Eyre al più tardo Villette, ottennero un clamoroso successo che dura tuttora.

Source: prestito bibliotecario delle Civiche torinesi.

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:: Classici al femminile per Neri Pozza a cura di Elena Romanello

27 febbraio 2014

Edith_WhartonLa casa editrice Neri Pozza presenta, in occasione dell’8 marzo, la nuova collana, Le Grandi scrittrici, dedicata ai classici della narrativa femminile, per leggere o rileggere opere entrate nell’immaginario e scoprire figure di donne in anticipo sui loro tempi, sia tra i personaggi proposti che tra le autrici.
Non si può non iniziare con Charlotte Brontë e la sua Jane Eyre, prototipo dell’eroina moderna, in contrasto con le svenevoli fanciulle dell’epoca vittoriana: una ragazza non bella, molto intelligente, che lavora per vivere ma anche per affermare se stessa e che trova l’amore in maniera totalmente anticonformista. Jane Eyre, uno dei libri più amati da Virginia Woolf, viene presentato nella traduzione di Monica Pareschi, con l’introduzione di Tracy Chevalier, una delle migliori autrici contemporanee di romanzi storici al femminile, a cominciare da La ragazza con l’orecchino di perla. Jane Eyre è stato l’alter ego di Charlotte Brontë, autrice che creò scompiglio con i suoi personaggi di donne nuove nella rigida società vittoriana, tanto che dovette in un primo tempo firmare i suoi libri con uno pseudonimo maschile. Sorella di Emily e Anne, anche loro scrittrici, Charlotte volle raccontare per la prima volta di donne che cercavano la loro indipendenza dallo sguardo maschile e dai ruoli familiari tradizionali: il libro Jane Eyre ha ispirato vari adattamenti cinematografici, tra cui quello del 1996 di Franco Zeffirelli con Charlotte Gainsborough e quello del 2011 con Mia Wasikowska e Michael Fassbender.
Da leggere o rileggere La casa della gioia di Edith Wharton, ritratto di Lily Bart, ragazza di buona famiglia nella New York di fine Ottocento, che resta vittima di un mondo in cui conta l’apparire e dove è facile rimanere vittime del sistema. Una storia attuale, tradotta da Gaja Cenciarelli e con l’introduzione di Benedetta Bini, che torna dopo quasi quindici anni in libreria, da quando uscì il bel film, da riscoprire, di Terence Davies con protagonista Gillian Anderson. Edith Wharton è stata una delle testimoni più interessanti e efficaci della vita delle classi agiate tra Otto e Novecento negli Stati Uniti: per molti la sua vera eroina è proprio Lily Bart, ma non si può dimenticare nemmeno Ellen Olenska de L’età dell’innocenza , portata sull schermo da Michelle Pfeiffer.
Il terzo titolo proposto di questo primo giro è La piccola Fadette di George Sand, apologo sulla diversità e sui pregiudizi sociali, ambientato nella Francia rurale dell’Ottocento, con al centro un’eroina che lotta per affermare la sua individualità, in un mondo che la discrimina in quanto donna e perché vive con la nonna accusata di essere una strega. Un alter ego dell’autrice, intellettuale anticonformista che creò scandalo nella Francia del XIX secolo, per i suoi amori sia maschili che femminili, per le sue idee sociali progressiste e per la sua abitudine di vestirsi in abiti maschili. La piccola Fadette rivive con una nuova traduzione di Alexandre Calvanese e l’introduzione di Daria Galateria.
Grazie a Neri Pozza quindi si potrà fare un viaggio tra classici e riscoperte scritti dalle donne sulle donne e per far nascere nuove consapevolezze nelle medesime. Un discorso quanto mai attuale oggi, particolarmente qui in Italia.

:: Segnalazione – Grandi attori leggono grandi classici (Emons:audiolibri, 2013)

16 gennaio 2013

emonspoesiedickinsoncopertinDa febbraio in libreria

GIOVANNA MEZZOGIORNO legge POESIE
di Emily Dickinson

Giovanna Mezzogiorno interpreta Emily Dickinson, la sua complessità, la sua sensibilità, la sua solitudine e la sua fierezza irriducibile inaugurando con la sua voce la collana Poesia di Emons:audiolibri.
Centoquattro poesie (magistralmente tradotte e curate da Silvia Bre per la collezione di poesia Einaudi nel 2011) in cui la Mezzogiorno ci dona perfettamente quel tono austero “che fa di ogni poesia dickensoniana un incontro non tanto mediato dalle parole, quanto immediato, nelle parole”. Il ritmo, la musicalità per cui la Dickinson è e sarà sempre uno dei massimi poeti di ogni tempo.

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Uscita: 14 febbraio

FRANCESCO DE GREGORI legge CUORE DI TENEBRA
di Joseph Conrad

Francesco De Gregori e Joseph Conrad. L’avreste mai pensato? Una delle voci più evocative della musica d’autore italiana, veterano delle sale di registrazione, vi entra, questa volta, prestando quel suo timbro unico alla letteratura. Niente musica, niente suoni, solo il ritmo della lettura (nella traduzione di Maria Antonietta Saracino, Frassinelli, 1996, “pensata per assecondare il ritmo della voce che parla”), con cui De Gregori abilmente scende a fondo nel testo, accompagnandoci e rendendo forse più dolce quell’abisso meraviglioso e controverso che è Cuore di tenebra.

Uscita: 20 febbraio

copertina-sostiene-pereirSERGIO RUBINI legge SOSTIENE PEREIRA
di Antonio Tabucchi

Lisbona, un fatidico agosto del 1938, la solitudine, il sogno, la coscienza di vivere e di scegliere, dentro la Storia. Dopo la straordinaria lettura di Cecità di Josè Saramago, Sergio Rubini torna in sala di registrazione, questa volta con un grande, grandissimo romanzo civile: Sostiene Pereira.

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Uscita: 20 febbraio

PAOLA PITAGORA legge TRA AMICI
di Amos Oz

La perfezione dell’esecuzione e la profondità di sguardo di quell’eccezionale scrutatore di anime che è Amos Oz danno vita a un affresco indimenticabile, popolato di personaggi che ritornano di storia in storia e che devono la loro forza a un’intensa, luminosa umanità.
L’eccezionale bravura di Paola Pitagora pennella tutto questo con la voce. Del resto, si tratta di una prosa del tutto “naturale” da leggere perché va al passo col respiro (Francesca Magni). “Una frase sale, inspirazione, una scende, espirazione. In mezzo un battito, un’irregolarità, un breve soffio. E si riparte. Il passo è quello giusto, non si sforza mai”.

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Uscita 20 febbraio

:: Le Troiane di Euripide a cura di Giulietta Iannone

13 giugno 2008

EuripideEschilo, Sofocle ed Euripide sono senz’altro i tragediografi greci che più hanno lasciato, grazie alla miracolosa conservazione dei loro testi, una porta aperta sulla vita del loro tempo.
E’ singolare come la vita si riflette nel teatro, e viceversa, ed è ancora più singolare analizzare come la psiche umana, ovvero i sentimenti, il modo di ragionare, nonostante secoli di “civiltà”, sia per lo più immutata. Certo lo sfondo delle tragedie di Euripide è un mondo pagano, in cui mito e religione si sovrappongono e gli dei camminano tra gli uomini creando più scompiglio che aiuto, nonostante questo l’uomo di allora rispecchia fedelmente la vitalità, le aspirazioni, la ricerca di felicità che caratterizzano ogni epoca e ogni paese.
Il mondo greco è senz’altro dotato di una cultura evoluta, di una nobiltà di sentimenti, di un raffinato sentire e percepire l’arte, la poesia e la musica. Atene in un certo senso rispecchia tutto questo, ma forse mai come allora l’orrore, la violenza che perde e strazia è esasperata e accentuata, lasciando però sempre la certezza che il bene, morale ed estetico, ha qualcosa di così sacro da meritare sempre l’alloro della Vittoria.
Euripide si colloca in una posizione singolare e anomala nella polis greca, fucina di libertà e di democrazia; ne incarna in un certo modo lo spirito più critico e non convenzionale. Non inserito nel suo tempo, piuttosto incompreso e avversato dai contemporanei, Euripide si isola e nel suo isolamento riflette e medita. C’è in lui sicuramente una tensione morale non comune e una sottigliezza che permea le sue tragedie di un bizzarro soffio anarchico contenuto in una prosa di posata compostezza.
L’anarchia di Euripide non ha niente di violento o sovversivo, si limita a dare spazio alle emozioni contraddittorie che molte realtà evocano, a sottolineare la stupidità di certi comportamenti velati dalla nobilitante patina del conformismo, a ribellarsi all’assurdo. Lo spiccato individualismo, di cui è più vittima che orgoglioso rappresentante, ci permette dopo tanti secoli di osservare il mondo di allora come da uno spiraglio privilegiato e in un certo senso di vedere noi stessi con le nostre debolezze, le nostre virtù e in ultima analisi il nostro immutato desiderio di capire e conoscere.
“Le Troiane” è sicuramente una delle tragedie più amare di Euripide, che analizza i meccanismi più nascosti che regolano l’esistenza umana. Tema centrale è la descrizione di cosa la guerra porta e di quanto il concetto stesso di “Vittoria” sia labile e fuggevole. Euripide stravolge tutti canoni e gli archetipi dell’epoca e porge ai suoi spettatori una riflessione amara, ma non priva di logica.
Gli sconfitti e i vincitori sono attori di uno stesso dramma, la realtà è tragica ed implacabile per entrambi e in un certo senso fa giustizia ai vinti, rendendo il trionfo dei nemici breve, provvisorio, se non inutile. I bottini depredati ai vinti sono in realtà niente, considerato che l’unica vera ricchezza è la “vita” e sia i vincitori che i vinti sono accomunati dal fatto di aver ucciso ed essere morti.
Tra tutte le opere dell’antichità sicuramente questa pone in risalto in modo compiuto il concetto di quanto “la pace” sia davvero l’unica dea del mondo pagano che vada onorata e la sola portatrice di benessere e di vera giustizia. Non c’è giustizia nell’umiliazione dei vinti, nel loro dolore, nel prendere schiavi, nel bruciare città, e lasciare solo rovine. Non c’è onore in una guerra, solo vittime, questo è ciò che ci dice Euripide, conscio di dire una verità scomoda e contraria alla morale corrente che vede nella guerra una scelta, anche se dolorosa, pur inevitabile.
Euripide utilizza le divinità pagane in un certo senso areligiosamente, unicamente come catalizzatori. Poseidone ci introduce nel vivo del dramma e ci pone di fronte una città, Troia, distrutta e saccheggiata; dove prima c’era una fiorente e gloriosa comunità, simbolo di tutto quello l’ingegno umano sa creare, ora c’è solo più cenere e polvere. La vittoria dei greci, così tanto decantata e cercata, non ha niente di nobile, è anzi frutto di un inganno, una trappola, un cavallo contenente soldati che i troiani introducono nella cinta delle mura come tributo, per una sorta di religiosa pietà.
Di qui l’origine della vittoria, non dettata quindi dal valore, dal coraggio, dalla superiorità morale o etica, ma da qualcosa di empio, meschino, perfino crudele. Il dio dalla parte dei perdenti si prepara ad andarsene provando ripugnanza per i festeggiamenti dei vincitori, che si spartiscono donne indifese portandosi via oro e bottino e arrivando pure, massima empietà concepibile, a depredare gli altari grondanti di sangue.
Il dio sconfitto sottolinea che la guerra è un atto tristemente irreligioso, un delitto contro la gioia degli affetti, che separa figli e madri, mariti e spose, e crea solo orfani e vedove e non trionfanti vincitori. Tra le lacrime e i gemiti dei sopravvissuti si compie un ennesimo strazio, un ampliamento dell’empietà, la totale profanazione di ciò che è sacro, giusto, e inviolabile, la totale soppressione della dignità del vinto.
Atena, la dea vincitrice, dal canto suo non festeggia neanche essa, troppo occupata a rendere amaro il ritorno in patria dei greci da lei difesi, che oltraggiando con la violenza i suoi altari hanno commesso, oltre ad un atto irreligioso, l’abominio dell’irriconoscenza. “Devono imparare a onorare gli dei” argomenta pianificando i suoi propositi di vendetta.
Che l’arbitrio della violenza richieda una punizione è appunto essenziale compito degli dei e un giusto castigo è l’unico mezzo per ristabilire giustizia ed equità.
Euripide utilizza il coro come forza narrante e il personaggio di Ecuba è senz’altro il più umanamente riuscito ed emozionante. Tra tutte le prigioniere, madri, figlie, mogli, l’antica regina, ormai in catene e vestita di stracci, mostra in sé tutta la tragicità di quella realtà. Un tempo madre felice di figli valorosi e di figlie sagge, ora non può più opporsi al destino e può invocare solo la rassegnazione a sua difesa. E’ solo più una schiava, vecchia, destinata alla solitudine e, massima pena possibile, alla privazione della libertà.
“Stesa su un letto di pietra”, molto simile all’alveo di una tomba, non le è concesso che piangere e lamentarsi. Ma in lei qualcosa ancora vive, il suo antico spirito non è spento del tutto e nella sua debolezza trova ancora la forza di un moto di ribellione avversando l’odiosa moglie di Menelao, la bella Elena, causa, o più che altro pretesto, di quella guerra.
Il rancore di Ecuba per l’odiata spartana è privo di riscatto, irrazionale in un certo senso, in lei non c’è perdono. Ecuba identifica in Elena il nemico, la causa della sua desolazione, e questo odio senza perdono rende la sua disperazione inconsolabile.
Ecuba pur tuttavia resta regina, senza bisogno di corona guida e incoraggia le altre prigioniere, e la sua dignità di sovrana spodestata la innalza in una posizione addirittura superiore a quella precedente. La sua nuova grandezza si nutre unicamente della sua forza morale, e non più nello sfarzo delle vesti, nel suo matrimonio prestigioso, nel suo potere dato da uno scettro. La sua regalità è essenziale e assoluta e si identifica nella vera nobiltà e ne fa una figura più grande dei vincitori che si appresta a seguire in catene.