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:: Un’intervista con il Prof. Gaetano Colonna, sulla questione Ucraina e il futuro dell’Europa a cura di Giulietta Iannone

28 febbraio 2025

Grazie professore di averci concesso questa intervista che si ricollega a quella che ci ha concesso nel marzo del 2023. Parleremo sempre di Ucraina, e più nello specifico delle conseguenze di questa guerra per l’Europa e più in generale sui cambiamenti, repentini e per un certo verso imprevisti, sull’Ordine Mondiale. Inizierei con il fare un bilancio su questi ultimi tre anni di guerra, a partire dall’ingresso delle truppe russe in Ucraina nella cosiddetta “operazione militare speciale”.

Dunque nell’ottica di Mosca l’Ucraina come ex repubblica sovietica rientrava a pieno titolo nelle sfere di influenza della Russia. Dal punto di vista russo era dunque più che legittimo intervenire per riportare all’ordine una “repubblica ribelle“, troppo protesa verso l’Occidente?

Non credo si debba parlare di repubblica ribelle. La preoccupazione della Russia è nata dalla ripetutamente minacciata adesione dell’Ucraina alla NATO. Poi dagli accordi economici tra Unione Europea e Ucraina sullo sfruttamento delle risorse minerarie dell’Ucraina: infatti, nel luglio 2021, l’allora vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič incontrò a Kiev il primo ministro ucraino Denys Shmyhal, per sottoscrivere il partenariato strategico sulle materie prime ucraine. Nel novembre 2021, ad esempio, la European Lithium Ltd. di Vienna (società di esplorazione e sfruttamento minerario) creava una joint venture con la Petro Consulting Llc (azienda ucraina basata a Kiev), che dal governo locale aveva ottenuto i permessi per estrarre il litio da due depositi (Shevchenkivske nel Donetsk e Dobra, nella regione di Kirovograd), vincendo la concorrenza della cinese Chengxin.

Uniamo a questo la discriminazione politico-culturale e la durissima repressione poliziesca attuate dall’Ucraina dal 2014 nelle are russofone orientali, che avevano provocato una situazione di conflitto civile, con migliaia di caduti, civili compresi: la Federazione Russa non poteva accettare quest’azione da parte del governo ucraino.

Questi tre elementi, uniti alle avventate affermazioni di Zelensky, alla Munich Security Conference (MSC) nel febbraio 2022, sulla sua volontà di cancellare gli accordi internazionali sulla denuclearizzazione dell’Ucraina, hanno spinto la Federazione Russa ad un’azione di forza che, come ho scritto su clarissa.it, non mirava all’invasione dell’Ucraina ma al rovesciamento di Zelensky ed alla sua sostituzione con un governo favorevole a Mosca: operazione fallita grazie, a mio avviso, ad una contromossa di deception (inganno) secondo me pilotata dai servizi di intelligence britannici – cosa al momento ovviamente non dimostrabile.

Trump, scavalcando l’Europa, e per chiudere al più presto questa guerra ha iniziato un canale diretto con Mosca. Abbiamo visto i colloqui di Riad, il voto congiunto con la Russia all’ONU, la firma di Zelensky sul trattato per la cessione delle terre rare come indennizzo dell’aiuto ricevuto (n.d.r l’accordo non è stato firmato dopo scontri verbali nella Sala Ovale). Tutto sta evolvendo molto rapidamente verso un cessate il fuoco, una tregua e l’inizio dei trattati di pace. Una pace “imposta” dagli Stati Uniti con queste modalità, ha speranza di essere duratura? Che scenari si aprono per il futuro?

Lo scenario è quello che caratterizza la storia europea dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Stati Uniti e Russia hanno di fatto dominato la storia del continente. Il crollo dell’Unione Sovietica ha messo in momentanea crisi la Russia, crisi di cui l’Occidente atlantico ha creduto di poter approfittare, allargandosi fino ai confini della Russia. Trump non sta facendo altro che provare a ricostituire il condominio USA – Russia in Europa, con la speranza di staccare la Russia dalla Cina.

L’Unione Europea sta dimostrando di essere quello che è sempre stata: un’entità nata ad opera di un gruppo di tecnocrati e finanzieri, che hanno concepito un progetto di natura economica, privo di una forza ideale condivisa dai popoli. Per questo è ridicolo, ad esempio, parlare di una difesa europea: per difendere cosa? La BCE? L’euro? La Commissione europea mai eletta democraticamente?

La conferma viene dal fatto che il Paese che in questo momento sembra avere assunto la guida della “opposizione” a Trump è la Gran Bretagna, che difficilmente arriverà ad un scontro con gli Stati Uniti d’America… Né Francia né Germania, a mio parere, hanno al momento classi dirigenti in grado di smarcarsi dagli Usa. Non a caso, quando si parla di difesa europea, si finisce poi nella NATO: una realtà che senza gli Usa non avrebbe alcuna consistenza sul piano militare, anche perché fin dal 2003 l’Unione Europea le ha delegato la propria difesa.

Dunque verranno progressivamente tolte le sanzioni, riaperte regolari relazioni diplomatiche, riaperte relazioni economiche stabili, revocati i mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale nei confronti di Vladimir Putin per crimini di guerra in Ucraina? Cioè con un colpo di spugna tutto verrà azzerato come se non fosse mai successo? Non le sembra piuttosto surreale? L’Europa è pronta ad accettare tutto questo? E soprattutto la popolazione ucraina?

Gli Stati Uniti non si sono mai fatti problemi del genere. Trump poi aveva mantenuto relazioni tanto strette con la Russia da rischiare un procedimento giudiziario a suo carico, nelle precedenti elezioni.

Gli Stati Uniti hanno spesso abbandonato alleati, che si erano spesi in termini di uomini e di sangue: Vietnam del Sud, Iraq, Afghanistan ce lo raccontano. Ho spesso detto ad interlocutori ucraini di stare attenti agli Usa, e loro ne hanno sempre convenuto con me. Ora, per Trump come per qualsiasi altro presidente statunitense, non sarà certo un problema imporre all’Ucraina condizioni giugulatorie per chiudere la partita.

Il problema semmai sarà per quei Paesi dell’Unione Europea, Italia in prima fila, che, forse ignorando la storia degli ultimi due secoli, si sono sbracciati in difesa dell’Ucraina: una difesa, non ci dimentichiamo, consistita in tante parole, tanti soldi e tante armi, ma nessuna seria iniziativa diplomatica per arrivare ad un accordo russo-ucraino – pur consapevoli che Donbass e Crimea sono storicamente e culturalmente russi.

Eppure gli Europei avrebbero dovuto pensare all’importanza di mantenere buoni rapporti con una Russia che, almeno dal mio punto di vista, è un Paese europeo prima che asiatico. Un corretto rapporto con la Russia non è quindi solo questione di risparmiare sui costi energetici, ma di realizzare una vera identità europea: una identità che storicamente accomuna genti neolatine, germaniche e slave. Perché allora dovremmo tenere fuori la Russia, considerarla il nemico, come si è predicato negli ultimi decenni?

La Germania, motore dell’Europa, è in recessione, alla luce delle ultime elezioni che scenari si aprono per la tenuta dell’Unione europea? Prevarranno gli interessi nazionali di ogni singolo stato con l’avvento di governi sempre più sovranisti? Il sogno europeo è definitivamente tramontato? Cooperazione, progresso comune, crescita condivisa sono concetti sempre meno popolari?

Il sogno europeo rimane tale fintantoché viene concepito non in relazione ai popoli ma viene evocato dalle classi dirigenti di obbedienza atlantista; quelle che hanno costruito una istituzione non democratica, verticistica e burocratica, che ha cercato di regolamentare tutto senza tuttavia essere mai riuscita nemmeno a varare una propria costituzione – un aspetto di cui ci si dimentica spesso.

Io mi auguro che, dalla scossa che l’elezione di Trump sta provocando, con la sua impostazione rozzamente mercantile, possa maturare una presa di coscienza dell’Europa: ma tale presa di coscienza presuppone la formazione di nuove classi dirigenti nei nostri Paesi, ispirate da ideali diversi da quelli del capitalismo finanziario occidentale, che ha impoverito famiglie e disseccato coscienze in tutto il mondo. Non vedo ancora all’orizzonte traccia di simili classi dirigenti di ricambio. Esse vanno costruite da zero.

Non può esistere infatti cooperazione fra i popoli e le nazioni dove solidarietà, equità e libertà di spirito sono soffocate.

L’Ordine Mondiale sta cambiando a una velocità vertiginosa, i conservatori stanno mietendo successi, l’ultradestra avanza, le sinistre sono in affanno. Come valuta questa congiuntura nell’ottica di una convivenza pacifica tra popoli e stati?

Francamente non credo che ci sia da preoccuparsi della politica, coi suoi schieramenti oramai intercambiabili. Abbiamo visto che le destre, i centri e le sinistre lasciano il tempo che trovano; i partiti non sono portatori né di idee né di ideali, ma al massimo di interessi.

Credo che si debba ripensare il cambiamento: questo non può venire dalla politica come oggi intesa, ma da una rivoluzione culturale, che presuppone la spinta di impulsi interiori nelle persone. È questa la sola speranza per avere una pace fondata sulla giustizia – non quella retoricamente predicata da decenni, mentre infuriavano i più brutali conflitti della storia: basti vedere cosa è successo in Palestina…

Da storico come valuta questo momento storico? Stiamo assistendo a un tramonto dell’Occidente, paventato da alcuni, in favore di economie e stati emergenti in un mondo multipolare sempre più frammentato?

L’Occidente del capitalismo finanziario è ancora egemone; domina il mondo, come se non più di prima. È riuscito a cancellare non solo il proletariato ma anche la borghesia (povero Marx!): lo sfruttamento oggi è talmente generalizzato e introiettato che vi partecipiamo attivamente, offrendoci spontaneamente al marketing globale che signoreggia incontrollato – basta pensare ai social, o allo spamming telefonico che ci bombarda quotidianamente.

Certo, emergono forze, per altro non nuove alla storia, come India e Cina, che, non lo dimentichiamo, ancora nel mondo del XVIII secolo erano le aree tecnologicamente ed economicamente all’avanguardia. Ma, per quanto siano in crescita, sono legate a doppio filo alle grandi forze finanziarie del capitalismo occidentale. Per cui andrei molto cauto nel parlare di multipolarità, in una globalizzazione economica controllata da una ristrettissima oligarchia di operatori mondiali, che non a caso chiamano se stessi master of the universe, cioè i padroni del mondo. Effettivamente lo sono.

La vera novità, mi sento di dire, è il livello di coscienza che tutti noi dovremmo conquistarci, per vivere ogni giorno consapevolmente nel mondo che ci circonda, ed agire per il cambiamento: un livello di coscienza che per esempio lo studio della storia potrebbe aiutare ad acquisire.

Invece tecnologia, sistemi educativi, media fanno sempre più solo puro intrattenimento: per farci dimenticare noi stessi, i problemi individuali e quelli collettivi. Posso ripetere anche qui allora quello che sono andato dicendo ai miei studenti: studiate la storia, siate consapevoli. Ma la consapevolezza raramente è divertente: e oggi sembra che l’unico diritto-dovere rimasto alle persone sia quello di divertirsi.

:: Un’intervista con Marta Ottaviani sull’epilogo della questione ucraina e il futuro dell’Europa, a cura di Giulietta Iannone

26 febbraio 2025

Benvenuta Marta su Liberi di scrivere e grazie di averci concesso questa intervista che verterà su argomenti che bene o male ci riguardano tutti. Inizierei con il chiederti una valutazione sul cambio di passo statunitense sulla questione ucraina. Trump tra le sue promesse elettorali aveva promesso ai suoi elettori che avrebbe chiuso la guerra ucraina in pochi giorni. In questi giorni ci sta provando, a modo suo, iniziando un canale di dialogo diretto con Mosca. Come valuti questa strategia, è in un certo modo concordata con il precedente governo Biden, un nuovo asse Washington – Mosca è fattibile?

Ne penso tutto il peggio possibile. Spero di potermi ricredere, ma la mia impressione è che l’Ucraina più che un Paese da aiutare stia diventando un bottino da spartire. In più, mi preoccupa fortemente lo smantellamento progressivo di un sistema multilaterale per gestire le relazioni internazionali, costruito in decenni, e al quale si sta sostituendo un modus operandi bilaterale, sostanzialmente basato sulla legge del più forte.

Diversi analisti, da più parti, ipotizzano che la mossa di Trump trascenda la questione ucraina e nasca per minare, o perlomeno creare crepe nell’asse Mosca-Pechino che davvero impensierisce Washington, avendo già dai tempi di Obama evidenziato nella Cina il maggior competitor a livello globale. Credi corretta l’analisi?

La Cina per Trump rappresenta sicuramente il nemico numero uno. Sicuramente l’avvicinamento alla Russia può essere in funzione anti Dragone, ma da qui a dire che ce la farà ce ne passa. La Cina si è da tempo impossessata indirettamente delle regioni del cosiddetto ‘Estremo est russo’. I legami fra i due Paesi sono fortissimi ed è sempre Pechino che sta acquistando, in parte, il gas che una volta la Russia mandava in Europa. Non dimentichiamo poi che Cina e Russia fanno parte dei BRICS, che da organizzazione di economie emergenti di sta trasformando in organizzazione politica, con una chiara impronta anti occidentale, almeno da parte di Mosca e Pechino.

La questione ucraina è a tutti gli effetti una tragedia, non si può non piangere per i morti, gli sfollati, i profughi, il paese devastato. Un paese fratello della Russia, i legami familiari tra russi e ucraini prima della guerra erano molto saldi, quasi in ogni famiglia c’erano ucraini e russi.  Le conquiste territoriali russe hanno violato i confini territoriali ucraini, e sebbene l’Ucraina non faccia ancora parte dell’Unione Europea, né tanto meno della NATO, i confini stessi dell’Europa sono stati violati. È un precedente che peserà come un macigno su un possibile processo di normalizzazione dei rapporti tra Europa e Russia. In che misura questa guerra ha minato le fondamenta della casa Europa?

Io credo che quello patito da Kiev dovrebbe rappresentare un punto di non ritorno fra l’Europa e la Russia. O almeno, questa Russia. Posto che non mi aspetto una virata democratica quando Putin deciderà di andare in pensione. Si tratta di un precedente pericoloso e personalmente ritengo che Mosca tornerà a minacciare i confini sia ucraini sia quelli europei, questa volta direttamente. Le fondamenta sono state scosse sicuramente in modo importante, ma è proprio dopo le scosse forti che si possono costruire fondamenta ancora più solide.

Un’ Europa unita, coesa, solidale è un’Europa che fa paura alle grandi potenze?

Sicuramente. Il problema è che l’Europa non ha alternative. Il baricentro del mondo si sta spostando nella regione indopacifica. Le proiezioni demografiche ci dicono che fra pochi decenni saremo un continente vecchio e molto meno attrattivo. Vorrei davvero capire dove speriamo di andare separati.

Trump sembra intenzionato a lasciare non solo l’Ucraina, ma anche l’Europa stessa al suo destino, per focalizzare i suoi sforzi sui problemi interni. L’Europa può continuare la sua esistenza anche senza l’alleanza e il sostegno degli Stati Uniti? È dal termine della Seconda Guerra Mondiale che questo sostegno era sempre stato garantito. Dal piano Marshall in poi, si può dire.

È venuto il momento delle scelte coraggiose. Mario Draghi, ma anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, hanno lanciato un messaggio molto chiaro. L’elezione di Merz in Germania mi fa ben sperare. Se la Germania torna a fare la Germania si potrebbero ricompattare le posizioni. Anche Macron è molto attivo. Non riesco a capire, invece, cosa stia facendo la nostra premier.

Alcuni analisti sostengono che sia più Putin ad avere bisogno degli Stati Uniti del contrario, per crearsi una sponda occidentale e non correre il rischio di vedere colonizzato il suo paese dalla Cina. Si sa la Russia è un paese continente con grandi risorse naturali, un sistema militare ipertecnologico, ma non possiede il potenziale cinese. La Cina rischierebbe di stritolarlo, o di utilizzarlo come mero braccio armato. Condividi questa analisi, e queste preoccupazioni? O sono infondate?

Avrei dei dubbi sul sistema militare ipertecnologico. La Russia, in questo momento, ha un serio problema demografico, aggravato anche dalle cospicue perdite al fronte. È un Paese che ha riconvertito tutta la sua economia in economia di guerra e che è rimasto parzialmente isolato per tre anni. Il suo PIL è quello di Belgio e Olanda. La Cina non è l’unica che potrebbe stritolarla.

Trump vuole chiudere la partita ucraina al più presto, Putin non è così propenso e vuole diciamo capitalizzare le vittorie che ha conseguito sul campo. Il processo di pace sembra comunque che sia stato avviato dai colloqui di Riad, in cui ricordiamo sono stati esclusi sia gli ucraini che gli europei. Ma essendo colloqui si può dire propedeutici, non ne intravedo ancora una criticità. C’è un incaricato europeo, delegato per l’Ucraina che possa partecipare alle trattative? È indubbio che spetterà a Zelensky di firmare il trattato di pace.

Il problema è proprio questo. Trump e Putin stanno risolvendo la questione fra di loro, tenendo Kiev e Bruxelles ai margini. E non è accettabile, sotto ogni punto di vista.    

:: Un’intervista con il Prof. Angelo d’Orsi sulla “crisi ucraina”, ultimo atto, i difficili negoziati di pace, a cura di Giulietta Iannone

24 febbraio 2025

Dopo l’elezione di Trump la posizione statunitense nei confronti dell’Ucraina di Volodymyr Zelens’kyj è nettamente cambiata, dal pieno appoggio del governo Biden siamo passati a varie manovre di disimpegno tra cui le trattative per la consegna di 500 miliardi (cifra sovrastimata) in terre rare di Kiev come indennizzo di guerra per il sostegno passato. Tutto si è svolto in pochi giorni lasciando le cancellerie europee sgomente. Dunque, la guerra è formalmente finita con la sconfitta dell’Ucraina e di riflesso dell’Europa a cui spetteranno tutti gli oneri? 

La sola certezza oggi, a mio parere, è la fine dell’Europa come unità di nazioni, come progetto politico, come ideale comune. E questo per me è un bene, perché nessun essere umano in buona fede e con capacità raziocinanti può essere fedele o peggio affezionato a questa Europa, a questa Unione. Il suo fallimento è assoluto, totale, e persino clamoroso. Se gli europei avessero voluto contare qualcosa avrebbero dovuto porsi subito come forza di interposizione, e come centro propulsore di pace, di accordi, di intese. Hanno fatto l’opposto, mossi da una russofobia che richiama l’antisovietismo dei decenni ante-1989. Ne hanno pagato il fio e la resa dei conti è appena iniziata.

Dunque Trump da sconfitto invece di raccogliere i cocci di una guerra che non avrebbe mai dovuto essere combattuta si sta improvvisando vincitore a cui spetteranno tutti i meriti di una prossima stipula dei trattati di pace? Secondo lei la Russia di Putin cosa vorrà in cambio? La spartizione dell’Ucraina per la ricchezza del suo sottosuolo sarà l’unico argomento sul tavolo delle trattive?

Trump è  un giocatore d’azzardo, persegue interessi propri e delle sue cricche multimiliardarie, ma ha promesso (ed è stato votato)  la fine del conflitto e la sta delineando a modo suo, dando uno schiaffo agli inetti europei. Ha il merito comunque di togliere di mezzo la retorica dell’ideologia democratica, e far cadere la politica dal cielo fasullo delle ideologie (mendaci) alla terra della concreta realtà. In fondo si tratta di un salutare bagno di Realpolitik. La Russia vuole soltanto non esser ostacolata nel suo tragitto verso il posto che le spetta e le compete nell’arengo internazionale, e non vuole un’Ucraina “spina nel fianco”. Putin non ha bisogno di conquistare l’Ucraina o di sfruttarne le ricchezze, ne ha ad abundantiam, piuttosto non vuole missili alle sue frontiere, né che la Nato abbai troppo vicina. Certo Putin considera ormai russe la terre de Donbass e la Crimea, e non escludo pensi di inserire nel “pacchetto” anche Odessa, città intrinseca alla storia e alla cultura russa. 

A Riad Stati Uniti e Russia si sono incontrati per un primo colloquio a cui seguiranno i previsti negoziati di pace. Né Zelens’kyj né inviati europei sono stati ammessi. Dunque, Trump vuole dare inizio ad accordi bilaterali per una possibile normalizzazione dei rapporti diplomatici, ed economici con Mosca. Come valuta nei fatti l’ininfluenza europea? Ci sono margini di manovra per un possibile riavvicinamento tra Russia ed Europa, a cui manca significativamente il gas russo per la propria crescita?

La UE si è auto-eliminata, e sono stati patetici i tentativi di rientrare in gioco di Macron e Starmer. Il gioco è completamente nelle mani del duopolio Trump/Putin. Agli europei, dentro e fuori la UE, è concesso soltanto il ruolo di spettatori. Credo saranno necessari anni, forse decenni per la normalizzazione Europa/Russia, ma nei prossimi anni e decenni l’Europa tutta e l’UE in specie saranno praticamente scomparse dallo scenario degli attori che contano a livello globale. Zelens’kyi è sul punto di essere buttato nel cestino dai suoi alleati/protettori e farà bene a dileguarsi prima di essere fatto fuori dai suoi stessi sodali (complici!) interni.

Il ritorno in Europa ai nazionalismi e ai governi sovranisti sta di fatto ponendo fine al sogno di un’Europa unita, solidale, e coesa. La guerra in Ucraina è stata per lei una leva, di riflesso, per interrompere questo percorso? O è un effetto collaterale non previsto?

Ripeto e ribadisco: la vicenda ucraina, dal 2014 in poi, ha segnato la fine del sogno europeo, e lo ha trasformato in un incubo. Ma ripeto ancora, questo non è di per sé un male, trattandosi di un inutile corpaccione burocratico, costoso, e politicamente irrilevante. Solo eliminandolo dalla scena si può pensare o di ricostituire un nuovo progetto unitario continentale, oppure sostituirlo con un progetto alternativo per esempio l’Unità euromediterranea o addirittura mediterranea tout court.

Secondo lei i tentativi di istaurare un dialogo diretto con Mosca da parte di Trump hanno lo scopo preciso di allontanare Pechino da Mosca rinsaldando alleanze economiche, politiche e militari che attualmente sono solo sulla carta? Secondo lei Mosca preferisce Washington a Pechino?

Sì tutti ripetono questa tesi, ma io sono assai in dubbio. Cina e Russia si sono assai rinsaldate in una unione che non è solo politica ma copre ogni ambito. Non vedo come Trump possa spezzare questo legame. Diciamo che anche se Trump avesse questo obiettivo, partirebbe troppo tardi, quando ormai il blocco russo-cinese è già di fatto costruito. E la Russia ha nella sua vocazione e nella sua storia un elemento ancipite: è europea e insieme asiatica. Se Putin riuscisse a conservare entrambe le relazioni (USA e RPC), farebbe un capolavoro: comunque vada, l’Europa è tagliata fuori, e non ha alcuna chance di rientrare in gioco e si sta prendendo ogni giorno giuste sberle dai russi.

Come valuta il futuro politico di Volodymyr Zelens’kyj? Anche lei ritiene che se anche solo non farà la fine di Saddam Hussein sarà fortunato? Non gli consiglierebbe di dimettersi per potere indire nuove elezioni politiche anche se difficilmente ne uscirebbe vincitore?

L’ex attore è ormai politicamente finito, non serve a nessuno e farebbe un favore a tutti (a cominciare dai suoi amici occidentali) a scomparire, e come ho accennato, personalmente non scommetterei un euro sulla sua stessa sopravvivenza fisica. Altro che elezioni. Ne uscirebbe travolto, se si svolgessero liberamente, cosa di cui c’è da dubitare, visto come si è comportato, mettendo fuori legge tutti i partiti eccetto il suo e tutti i giornali tranne quelli a lui fedelissimi.

Ricollegandoci alle nostre precedenti interviste sulla guerra ucraina, è triste dover dire che erano prevedibili gli esiti a cui stiamo assistendo in questi giorni. Come abbiano potuto far credere all’opinione pubblica che la Russia avrebbe potuto essere sconfitta militarmente (senza neanche la possibilità di un intervento diretto della NATO che avrebbe comportato il rischio di un reale scoppio della Terza Guerra Mondiale) è ancora un mistero, ci sono colpe e responsabilità precise per tutti questi anni di sofferenza. Che scenari ipotizza per il futuro? Sorgeranno in Europa politici illuminati capaci di ribaltare la situazione? O andremo incontro a derive antidemocratiche? Grazie.  

Mesta consolazione “l’avevo detto io!”, ma è proprio così. Mezzo milione di cadaveri, un Paese devastato, e pressocché oramai disabitato, un’abitudine alla violenza diffusa a livello continentale, la cancellazione di un tessuto di relazioni Est/Ovest in Europa faticosamente costruito lungo gli anni. E ancora oggi ci sono politici e opinionisti che continuano ad affermare che si può sconfiggere la Russia. Sono mossi, come l’intero Occidente (lo ha rilevato Emanuel Todd nel suo ultimo libro; La sconfitta dell’Occidente, Fazi editore) da una terrificante, insopprimibile spinta nichilistica. Quanto alle nostre classi politiche il panorama è deprimente. Bisogna immaginare un percorso di lunga lena, volto a formarne di nuove competenti, serie, e che abbiano a cuore soltanto gli interessi generali non quelli personali, di clientele, di famiglie, di partiti. Una prospettiva davvero lontanissima.

:: Un’intervista con Fabrizio Borgio a cura di Giulietta Iannone

26 dicembre 2024

Benvenuto Fabrizio su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa nuova intervista. Ho riletto le vecchie interviste che ti ho fatto per non rifarti sempre le stesse domande, che invito i nostri lettori a rileggere per approfondire la tua conoscenza. E inizierei con il chiederti un bilancio della tua pubblicazione con Segretissimo Green Stone. La vendetta di Alia andata in edicola lo scorso novembre e ancora disponibile in digitale negli store online.

Ti ringrazio ancora per l’ospitalità Giulietta, grazie. L’esperienza si sta rivelando molto positiva, la spy story è un genere molto vario e divertente, mi affranca dall’ossessiva schematicità del giallo ed è diventato anche un pretesto per approfondire le dinamiche internazionali della geopolitica. Certo, rapportarsi con un prodotto da edicola è leggermente diverso rispetto al mercato librario convenzionale; la vita del volume cartaceo è limitata al mese di uscita, non si può godere dell’appoggio delle librerie amiche ma si lavora comunque per un marchio storico della narrativa d’intrattenimento nazionale. La versione elettronica è sempre disponibile mentre per gli amanti della carta esiste il servizio arretrati di Segretissimo Mondadori. La percezione complessiva è quella di scrivere in maniera più professionale senza perdere il piacere e il divertimento di raccontare una, si spera, buona storia.

Ce ne vuoi parlare? E’ una spystory militare ambientata in Bosnia, di stretta attualità, con come sottotesto un’analisi geopolitica molto accurata.

Lo scacchiere balcanico è un’area di frizione storica e anche se l’attualità è fagocitata da una parte dal conflitto in Ucraina e dall’altra con l’ecatombe palestinese, questo non toglie che rimanga il cortile orientale, dietro casa, del quale, specie l’Europa e nello specifico l’italia devono tenere grande conto; a parte i sentimenti pan slavisti tipici della Serbia, un grande attore si sta muovendo sfruttando una grande capacità di mediazione e empatia in particolar modo con i musulmani bosniaci, ovvero la Turchia. Il quadro è talmente variegato che in poche righe è difficoltoso renderne un’immagine esaustiva, possiamo dire che, se da una parte abbiamo le mai sopite ambizioni di una Grande Serbia che non vuole rinunciare al ruolo di nazione egemone nell’area, dall’altra abbiamo le tensioni contrastanti che la Bosnia vive dalla fine della Jugoslavia: voglia di apertura a occidente ma senza rinnegare il polo orientale, ci sono poi le ferite mai cicatrizzate del conflitto negli anni ‘90 e l’ombra della Russia alla quale i serbi guardano come a un grande padre protettore. Le correnti sono tante e una forte scossa è sempre dietro l’angolo. Uno scenario sul quale è stato molto stimolante costruire questa storia di memorie, vendette e intrighi.

Scriverai altre storie con protagonista Greene Stone per Segretissimo?

Sì, le fonti d’ispirazione non mancano e ogni nuova storia che sto progettando è una scusa per approfondire gli studi della realtà che viviamo. Mi sto documentando sulla situazione del Niger dove, tra l’altro, il contingente italiano è l’unica presenza occidentale in quella nazione, un’occasione ghiotta per far muovere il mio maresciallo alpino attraverso una nuova avventura.

Questa è una domanda che ti avevo già fatto, ma forse sono cambiate le circostanze: Nuove proposte di traduzioni per l’estero?

Magari! No, attualmente non ho avuto modo di proporre ancora alcuni dei racconti tradotti che ho nel cassetto. Devo dire però che con grande cortesia istituzionale e correttezza, ogni rifiuto è sempre stato spiegato e circostanziato. Una cura alla quale, da autore italiano, non sono affatto abituato. Non demordo comunque.

La serie Martinengo con Frilli, continua? Ci sono nuovi episodi all’orizzonte?

Per il momento non prevedo altre storie di Martinengo; magari dispiacerà a qualche lettore ma per onestà intellettuale e correttezza proprio nei confronti di chi mi ha letto e supportato finora devo confessare che ritengo che tutto quello che Martinengo aveva da dire l’abbia detto poi, magari un giorno cambio idea e sentirò l’esigenza di far esplorare qualche aspetto inedito dell’investigatore delle Langhe ma attualmente sono consapevole che un’altra indagine sarebbe qualcosa di trito. I sei romanzi del ciclo sono sei storie completamente diverse, con struttura e schemi mai ripetuti proprio perché mi ero ripromesso di non presentare ai lettori lo stesso libro con qualche variazione sul tema. Voglio continuare così.

La tua carriera letteraria e partita in sordina ma piano piano, anche grazie al sostegno dei lettori, ti stai facendo strada anche nel mondo delle major letterarie italiane. Nuove proposte dai grandi editori per nuove serie?

No, continuo a essere un “pesce piccolo” e, in special modo per il mondo della major, un nome come il mio è davvero difficile che possa smuovere interesse. O sei un esordiente con l’agente giusto alle spalle o un vip con un seguito che possa far prevedere vendite forti a prescindere da cosa si scrive. Un mestierante come me si ritrova in una sorta di limbo dove riesce a stare sopra un basso livello di produzioni minori ma bloccato dal soffitto di vetro della grande editoria.

Hai mai pensato di scrivere un romanzo storico, anche avventuroso ma appunto ambientato nel passato?

Sì, l’idea di muovermi attraverso generi e ambientazioni lontane dall’ordinario delle mie storie é sempre attraente. Da tempo accarezzo alcuni progetti finora presenti, in stato di gestazione, come appunti e stralci sui miei taccuini. Ho davvero tante idee di questi tempi ma l’intento è ben vivo, in particolare l’idea di una storia di brigantaggio nel mezzogiorno raccontata utilizzando la struttura dei romanzi western e un drammone violento ambientato nel profondo Piemonte del dopoguerra.

E’ da poco mancato Davide Mana, scrittore, traduttore, studioso, erano davvero tante le sue qualifiche, a soli 57 anni, un outsider nel mondo letterario italiano. Era bilingue e pubblicava più che altro su riviste e con case editrici statunitensi e britanniche. Molti si dicevano suoi amici ma forse tu sei stato uno degli scrittori che gli è stato più vicino, che lo conosceva meglio. Sognavi di scrivere un romanzo d’avventura a quattro mani con lui. Com’era Davide Mana smessa la penna dello scrittore. Un ricordo.

Mi sembra che fosse stato Platone a definire un amico qualcuno col quale parlo come a me stesso. Ecco, con Davide era così. Avevamo il vantaggio della vicinanza geografica, ci separavano una trentina di chilometri da casa mia a Castelnuovo Belbo e ogni volta che era possibile era un lieto evento organizzare una pizzata a Nizza Monferrato e passare la sera tra una diavola e un kebab e litri di Coca cola a parlare delle cose che più ci premevano: le nostre visioni e letture in comune, il mondo della scrittura, dei nerd, le nostre delusioni. Con Davide si condivideva una certa amarezza nei confronti di un mondo che nonostante tutto amavamo alla follia. Per me era una persona cara, speciale, un intelletto raro al quale io mi abbeveravo. Come tutte le persone di straordinaria intelligenza e enorme competenza, in Italia aveva più detrattori che ammiratori; come diceva Ferrari: gli italiani ti perdonano tutto tranne il successo, nel caso di Davide non gli hanno mai perdonato la bravura, il sintomo di un ambiente soffocato dalla mediocrità. Al di là di queste considerazioni, delle quali mi assumo tutta la responsabilità, Davide era a un altro livello e l’essergli amico è sempre stato per me uno sprone a migliorare, a non badare agli altri ma scrivere. Al di là di tutto questo era una persona squisita, un torinese elegante e raffinato dai gusti altrettanto eleganti e raffinati, un torinese in ostaggio dell’astigianistan, ovvero uno dei lati più selvatici del Piemonte. Un uomo che trasformava ogni sua curiosità in un vero interesse, spesso in una passione. Un eclettico conoscitore dalle profondità enciclopediche e capacità di divulgazione degne di un Alessandro Barbero; un uomo capace di incantarti parlando di come si prepara una zuppa di cipolle, delle radici dello zen, delle bizzarrie di Harlan Ellison. Un uomo retto, di una onestà ferrea che ha saputo affrontare le bassezze della vita con puro spirito avventuroso. Un uomo che ogni volta che potevo stare con lui mi arricchiva. Nel suo bellissimo blog Strategie Evolutive, in un suo post si chiedeva cosa avrebbe fatto sapendo che la sua morte fosse stata imminente, la sua conclusione era stata “scrivere ancora di più”.

Puoi dirci a cosa stai lavorando in questo momento?

Ho tanta carne al fuoco, ho firmato il contratto per la stesura di un folk horror, mi sto documentando per il terzo episodio di Green Stone, sto scrivendo un nuovo libro di Stefano Drago e un noir di ambientazione piemontese inoltre ho il progetto di un romanzo mainstream per allargarmi, o almeno tentare, verso un’altra narrativa. Per inizio 2025 dovrebbe uscire un nuovo romanzo, riadattamento di un vecchio progetto. Per ora direi che basta.

Grazie per il tuo tempo e la tua pazienza, e auguri per il futuro.

Grazie a te per l’interesse, ne sono sempre lusingato. Buone feste!

:: Un’intervista con Daniela Pareschi, autrice di STRANO per Il Barbagianni Editore, a cura di Giulietta Iannone

13 dicembre 2024

Benvenuta Daniela su Liberi di scrivere, e grazie per aver accettato questa intervista.
Parlaci di te, dei tuoi studi e del tuo percorso artistico.

Grazie a voi per l’invito. Il mio percorso artistico ha avuto un inizio abbastanza tradizionale, nel senso che ho sempre disegnato sin da piccola. Ho frequentato il liceo artistico e poi mi sono iscritta alla facoltà di Architettura di Genova. Più tardi, mi sono trasferita a Roma con l’intento di intraprendere la carriera di scenografa, un lavoro che ho svolto come art-director per 25 anni, soprattutto nel cinema. È un lavoro che ho amato moltissimo e che mi ha formato. Tuttavia, a un certo punto della mia vita, intorno ai 45 anni, sentivo il bisogno di esprimere una parte più concettuale della mia creatività. Ho quindi deciso di lasciare la scenografia per dedicarmi completamente all’illustrazione. Da allora, la mia pratica artistica si è ampliata e diversificata, ma l’intensità e la componente creativa rimangono sempre il filo conduttore.

Come ti sei avvicinata alla narrativa per l’infanzia?

Ho sempre amato l’illustrazione. Quando sono diventata madre, il mio interesse per la narrativa per l’infanzia è diventato più mirato, sia per quanto riguarda gli argomenti che la scelta stilistica.
Amo il potere dell’illustrazione come strumento di espressione, capace di arricchire la narrazione e di coinvolgere emotivamente i lettori. È stato naturale, quindi, provare a cimentarmi in questo campo.

Sei l’autrice di un bellissimo albo illustrato dal titolo STRANO per Il Barbagianni Editore, un libro per bambini dai 4 anni in su, di cui sei autrice sia dei testi che delle illustrazioni.
Come è nata l’idea di crearlo? Qual è stato il punto di partenza?

Amo molto la letteratura per bambini, soprattutto quella che unisce illustrazione e divulgazione.
Strano, invece racconta una storia. Il mio obiettivo era affrontare un tema importante, ma in modo semplice: il cambiamento di punto di vista e la libertà di non giudicare in modo definitivo una situazione. Volevo raccontare questa riflessione con parole semplici ma cariche di significato, per poterla rendere accessibile sia ai bambini che agli adulti.

Protagonista del libro è un bambino di nome Antonio, che un giorno esce di casa con un buffo cappello con le orecchie da orso. Ci vuole un certo coraggio per manifestare la propria individualità, e Antonio non verrà subito compreso, vero?

Esatto, Antonio è un bambino che esce di casa con un cappello davvero speciale, che esprime la sua personalità. Come accade spesso nella vita, ci vuole coraggio per mostrare la propria individualità. Inizialmente, Antonio non viene compreso, ma la sua forza sta nell’ascoltare senza lasciarsi abbattere dalle critiche, trovando una strada alternativa per farsi accettare, senza rinunciare alla propria unicità.

La storia è semplice, accessibile anche ai più piccoli, e porta con sé una morale, giusto?

Sì, la storia è semplice e adatta anche ai bambini più piccoli. La morale non è moralistica, ma piuttosto un invito a riflettere su come affrontare le difficoltà legate all’accettazione di sé e degli altri. È una riflessione che può essere utile anche agli adulti, poiché parla di una realtà che spesso ci sfugge: il giudizio immediato e il cambiamento di prospettiva.

Affronti tematiche molto attuali, ma sempre a misura di bambino. Quali difficoltà hai incontrato nella creazione del libro?

Le tematiche trattate sono sicuramente attuali, ma il mio obiettivo era renderle comprensibili per i più piccoli. La parte più complessa per me è stata la scrittura. Non sono una scrittrice di professione, quindi il mio limite era trovare le parole giuste, poche ma precise, per esprimere quello che volevo comunicare.

Il libro è stato notato anche all’estero, vero? In quali paesi?

Sì, STRANO è già stato tradotto in russo, e ci sono altri sviluppi in corso con alcuni paesi. È un libro piuttosto semplice da tradurre, che permette di superare le barriere linguistiche senza troppa difficoltà.

In questo albo sperimenti la tecnica del collage, utilizzando carte colorate, stoffe e texture bidimensionali. Come hai progettato il libro?

Il collage è stata una scelta molto importante per me. Avevo bisogno di uscire dalla mia zona di comfort, che è l’acrilico, e confrontarmi con una tecnica che mi permettesse di esplorare nuove modalità espressive. Il collage mi ha dato l’opportunità di esprimere una parte diversa della mia creatività, mettendo in campo competenze nuove e producendo effetti visivi inaspettati. È una tecnica che libera dalla paura del foglio bianco e permette di sperimentare senza ansia. È stato un processo stimolante e arricchente.

Grazie Daniela, come ultima domanda, quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho un progetto in cantiere che spero uscirà presto, sempre con Il Barbagianni. Si tratta di un libro a cui tengo molto, che ha avuto una gestazione lunga, ma finalmente siamo arrivati a un punto in cui abbiamo trovato la giusta chiave. Il libro parla dell’osservazione, intesa in senso ampio, esplorata attraverso il disegno.

:: Un’intervista con Giorgio Ballario, autore de “L’equivoco del sangue” a cura di Giulietta Iannone

10 novembre 2024

Grazie Giorgio per avere accettato questa mia nuova intervista e bentornato su Liberi di scrivere. È appena uscito il settimo episodio della serie Morosini, intitolato L’equivoco del sangue, vuoi spiegarci il titolo a cosa si riferisce?

Grazie a te per lo spazio e la disponibilità. Il titolo prende spunto dal sangue di un delitto, ovviamente, ma anche da un tema che percorre l’intero romanzo, cioè le conseguenze, spesso negative, talvolta anche drammatiche, delle relazioni fra coloni italiani e donne indigene, in Eritrea come nelle altre colonie. Relazioni dalle quali potevano nascere figli che erano per l’appunto “mezzosangue” e poiché erano frutto di unioni clandestine non avevano gli stessi diritti degli altri bambini.

Siamo nel dicembre del 1937, ad Asmara viene aggredita e uccisa per strada la domestica di un’importante famiglia di coloni italiani, di origine piemontese e valdese. Così Morosini viene richiamato dalla sua licenza a Massaua per indagare sempre in compagnia del maresciallo Barbagallo e dello scium-basci Tesfaghì. Sarà un’indagine complessa con parecchie diramazioni. Importante indizio le impronte lasciate vicino al corpo della donna, vero?

Le impronte sono un indizio importante, ma siccome le indagini scientifiche all’epoca erano poco diffuse saranno altri elementi a mettere Morosini sulla strada giusta. Ma solo alla fine del romanzo, perché prima, a lungo, lui e i suoi collaboratori brancolano nel buio.

Puoi parlarci dei fatti riguardanti Debra Libanòs, una pagina davvero molto buia della nostra presenza in Etiopia, e quasi del tutto dimenticata.

È un brutto episodio della nostra storia coloniale avvenuto nel maggio del 1937. Non fa parte di questo romanzo ma compariva meglio in uno precedente della serie: dopo l’attentato dei Giovani Etiopi contro il vicerè Graziani di pochi mesi prima, nel quale il generale rimase ferito e ci furono alcuni morti, le forze militari italiane diedero il via a una repressione molto violenta dei “ribelli” etiopi, che culminò appunto nel massacro di Debra Libanòs. Decine di guerriglieri etiopi avevano trovato rifugio nel monastero copto e l’esercito italiano, dopo averlo accerchiato e conquistato con l’ausilio degli ascari somali e libici e di collaborazionisti etiopi di etnia Galla, fucilò sia i guerriglieri, sia centinaia di monaci considerati complici.

A seguito di questi sanguinosi fatti Graziani venne richiamato in Italia e il duca d’Aosta prese il suo posto come viceré, forse anche su pressione della chiesa copta. Nel tuo libro parli anche del coinvolgimento di missionari svedesi nel sostegno ai ribelli. In che misura anche i religiosi divennero strumento politico dei rispettivi governi? Ti sei fatto un’idea in proposito.

Non so se ci furono pressioni della Chiesa copta, non credo avesse la forza di farlo. Di certo c’era la volontà di ricostruire un sistema di relazioni più amichevoli con i copti e con le etnie etiopi che erano meno ostili all’occupazione italiana. E poi lo stesso Graziani aveva parecchi nemici “interni”, credo che lo stesso Mussolini lo considerasse adatto per operazioni belliche ma meno per governare.

In cosa consisteva la pratica del “madamato”, ed era così diffusa nella struttura sociale coloniale in Eritrea?

Il madamato era la consuetudine del concubinaggio, cioè della convivenza più o meno regolare tra un colono e una donna locale, una relazione non soltanto sessuale ma anche affettiva che spesso sfociava nella nascita di vere e proprie famiglie che però non erano unite dal vincolo del matrimonio.

Che libri o film ti hanno ispirato nella stesura del libro?

Non c’è stata nessuna ispirazione particolare che ha influenzato questo romanzo, almeno in modo esplicito. Poi è ovvio che tutto ciò che ho letto e guardato riguardo l’esperienza coloniale ritorna qui, come negli altri libri.

Sembra che un nuovo personaggio femminile abbia fatto capolino nel libro, la vedova Caterina. Prevedi uno sviluppo in questo senso o resterà un evento isolato della sua vita? Magari Erika o Lucilla sono donne più adatte ad alleviare la solitudine di Morosini?

Mai dire mai, però non credo che Caterina abbia le caratteristiche giuste per rappresentare una presenza fissa nel futuro di Morosini. Quanto a Erika e Lucilla, compaiono già da parecchi episodi e prima o poi bisognerà capire che cosa sarà di loro.

Ami inserire nelle tue storie personaggi storici realmente esistiti, in questo episodio è la volta di Comisso, giornalista e scrittore, vuoi farci un breve accenno a questo personaggio?

Giovanni Comisso è uno scrittore veneto ormai un po’ dimenticato (anche se adesso La Nave di Teseo sta ripubblicando alcuni suoi romanzi) che conobbe fama e successo negli anni Cinquanta e Sessanta. Ma aveva iniziato molto prima, con buoni risultati, tant’è vero che quando incontra Morosini in “L’equivoco del sangue” è già un autore affermato e collabora con importanti quotidiani italiani. In questo caso, ed è ovviamente tutto vero, si trovava in Eritrea per conto della Gazzetta del Popolo. Dopo l’esperienza nella Grande Guerra era stato volontario a Fiume con D’Annunzio e aveva visto di buon occhio l’ascesa del fascismo, ma verso la fine degli anni Trenta era ormai deluso dall’esperienza politica e in parte censurato perché accusato di aver scritto un libro “disfattista” sulla prima Guerra Mondiale.

A parte Lucarelli, e Cellamare, ancora pochi scrittori di narrativa trattano nei loro libri di tematiche legate al colonialismo in Africa e all’avventura coloniale italiana in genere. Passano gli anni è la tua serie resta ancora quasi un unicum nel panorama letterario nazionale. Da un certo punto di vista ti permette maggiore libertà e originalità, da un altro è sempre un segno di trascuratezza culturale. Pensi ci siano alcuni segnali che le cose cambieranno?

C’è stato anche qualcun altro che si è cimentato con il fenomeno coloniale, penso a Davide Longo con “Mattino a Irgalem” (che è più un libro sulla guerra, però), a Enrico Brizzi con il suo ucronico “L’inattesa piega degli eventi” e al romanzo storico “I fantasmi dell’impero” di Dodero, Panella e Consentino. E poi il capostipite, Ennio Flaiano con il capolavoro “Tempo di uccidere”, che però è un libro del 1947 ed è quasi autobiografico, perché lui stesso combatté in Abissinia. Per il resto è vero, il fenomeno coloniale ha prodotto poca letteratura ed è un peccato.

Hai avuto modo di presentare all’estero la serie? In che paesi preferiresti che venisse tradotto e distribuito? Ci sono novità in tal senso?

Purtroppo no, lo scorso anno è stato tradotto in Spagna un romanzo della serie contemporanea del detective Hector Perazzo, ma nulla più. Forse Morosini e l’ambientazione coloniale è troppo legata alla storia italiana, anche se penso che uno straniero la potrebbe comunque leggere come un’affascinante saga poliziesca ambientata in un luogo esotico.

Sei già all’opera per l’ottavo episodio del maggiore Morosini, puoi anticiparci qualcosa?

No, non ho ancora neppure l’idea. Nei prossimi mesi voglio dedicarmi alla promozione di questo romanzo, appena uscito, e a concludere un nuovo capitolo della serie di Hector. Poi vedremo, di solito faccio passare un paio d’anni prima di tornare in libreria con Morosini, quindi ne potremo riparlare nel 2026.

:: Un’intervista con Marina Visentin, autrice di Aurora a cura di Giulietta Iannone

24 ottobre 2024

Benvenuta Marina su Liberi di scrivere e grazie di avere accettato questa intervista. Giornalista, traduttrice, scrittrice, parlaci di te, dei tuoi studi, del tuo lavoro.

Non è semplice da sintetizzare la mia vita lavorativa. Ho studiato da filosofa e quello volevo fare da grande, invece mi sono ritrovata a fare la copy-writer in un’agenzia di pubblicità, non mi piaceva e mi sono messa a fare la giornalista. La cronaca mi stava stretta, ho pensato bene di lanciarmi nel mare tempestoso della critica cinematografica. Le parole mi sono sempre piaciute e quindi ogni tanto mi sono anche divertita a tradurle da una lingua all’altra. I romanzi sono venuti alla fine, dopo una lunga strada lastricata di saggistica, tra cinema e filosofia, ma mi hanno dato tra l’altro la possibilità di far rivivere il vecchio e mai dimenticato amore per le sfumature nere della cronaca e della storia.

Hai da poco pubblicato Aurora, un ottimo noir nella collana Calibro 9 di Laurana Editore. Ce ne vuoi parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

La prima idea è nata da uno spunto autobiografico: uno spavento che davvero ho provato alcuni anni fa. D’improvviso, senza alcuna ragione, avevo scoperto che qualcuno mi stava seguendo, prendeva informazioni su di me, mi sorvegliava. Per alcune settimane mi ero sentita vulnerabile, inspiegabilmente sottoposta a un controllo misterioso e inquietante. Come era iniziata, in modo altrettanto repentino, questa esperienza è finita. Non ho mai saputo a cosa fosse dovuta, probabilmente a uno scambio di persona. Da questa sensazione di minaccia, tanto inafferrabile quanto allarmante, è nato il primo nucleo di Aurora, che si è poi arricchito della mia passione per l’arte contemporanea e del mio desiderio di scrivere. Per raccontare delle storie, certo, ma anche e soprattutto per dare voce alle donne, alle loro paure, ai loro desideri, alle loro fragilità, alla loro forza, nonostante tutto.

Partiamo dall’ambientazione, una Milano invernale, grigia, fredda, con puntate al lago e a Venezia. Uno scenario malinconico, triste, come hai definito i contorni nelle cose, degli ambienti?

La vera protagonista di Aurora è l’acqua: acqua che ti avvolge, acqua che ti sommerge, acqua di cui avere paura. Acqua trasparente e al tempo stesso torbida. L’acqua di cui Gemma, la protagonista del romanzo, ha paura. Per un motivo ben preciso, che si ricollega al suo passato, a un evento traumatico che ha tentato di seppellire nel profondo della sua coscienza, ma che ogni notte ritorna sotto forma di incubo. Il lago Maggiore e Venezia sono i due scenari che ho scelto proprio per raccontare l’acqua nella sua dimensione calma – il lago, la laguna – e al tempo stesso minacciosa. E poi c’è Milano, ancora e sempre, la mia città, amata e detestata. E ho scelto di raccontarla in inverno, nelle giornate più corte dell’anno, perché proprio il buio è la dimensione che più di altre può descrivere la paura, il disagio, la vulnerabilità.

Gemma è la protagonista, una donna apparentemente forte, realizzata, anche benestante ma con un segreto che teme che tutti possano scoprire. Come hai costruito questo grumo nero di male, nel cuore di un personaggio per certi versi solare?

In qualche modo ho fatto appello all’ambivalenza che abita tante donne: forti, fortissime, capaci di affrontare a testa alta prove di ogni genere e però intimamente fragili, bisognose di sostegno, incapaci di emanciparsi davvero da una profonda sensazione di inadeguatezza. L’idea del segreto da nascondere nasce proprio da questa esperienza condivisa da tante donne: un senso di colpa che nasce prima di tutto dalla sensazione di essere deboli, dalla paura di non essere veramente all’altezza.

La protagonista è una donna forte, razionale, ma nei sogni torna al passato, alla fobia per l’acqua, a un senso di colpa che non l’abbandona. Molto freudiano non trovi? Quanto incide la psicanalisi nel tuo narrato?

Grazie di avermi fatto questa domanda! La dimensione psicologica per me è fondamentale. Più dell’intreccio mi interessano i personaggi, la verità delle relazioni che intrattengono con gli altri, con il mondo circostante. Gemma, la protagonista del mio romanzo, rivive ogni notte – negli incubi che turbano il suo sonno – un evento traumatico che ha segnato la sua vita, che ha costruito la sua personalità all’insegna della paura. Paura che si è cristallizzata in una sorta di corazza che serve a tenere a distanza il mondo, oltre che nel tentativo di rimuovere dalla coscienza tutto ciò che può infastidire e mettere in crisi. Quindi, sì, per rispondere alla tua domanda, direi che la psicoanalisi e in generale gli studi di psicologia hanno – hanno sempre avuto – un notevole influsso sulle mie riflessioni e quindi sulla mia scrittura.

Per un malinteso, non sto a spiegare cosa succede, incontra Vittorio. Ci vuoi parlare di questo personaggio?

Non vorrei parlarne troppo, perché non vorrei svelare troppo della trama a chi ci legge. Però mi sembra importante dire che Vittorio è un personaggio tridimensionale. Può sembrare semplicemente un “cattivo”, perché inizialmente è questa la sua funzione – diciamo così – all’interno dell’intreccio, ma in realtà è un personaggio pieno di sfaccettature. Il suo ruolo può rivelarsi negativo, ma forse più che altro è destabilizzante, rispetto all’iniziale equilibrio della protagonista. Forse incarna solo e semplicemente un’immagine di amore tossico, ma a me sembra importante parlarne, non smettere mai di interrogarci sui motivi che possono rendere un uomo come Vittorio tanto seducente.

Quali autori e opere d’arte ti hanno influenzato nella stesura del tuo libro?

Sicuramente una delle immagini iniziali da cui prende le mosse l’intero romanzo è Ophelia di John Everett Millais, un quadro celeberrimo, simbolo del movimento preraffaelita e perfetta rappresentazione di come bellezza e disfacimento, giovinezza e morte possono sovrapporsi in tanti modi, sotto il segno del fascino e dell’inquietudine. Se devo citare un libro, mi viene in mente Acqua nera di Joyce Carol Oates, che guarda caso, nella vecchia edizione che possiedo da tanti anni, ha in copertina proprio questo quadro che per tanti anni mi ha ossessionato.

Ci sono derivazioni cinematografiche? Film o telefilm che ti hanno dato ispirazione?

Tantissimi, naturalmente. Il mio immaginario si nutre di immagini in movimento da una vita intera. Però, per citare un solo titolo, ti direi Il segno del comando, uno sceneggiato degli anni Settanta che ho rivisto per caso proprio mentre stavo cominciando a scrivere questo romanzo, e a cui voluto in qualche modo rendere omaggio. Non tanto alla storia, quanto alla sua atmosfera – sospesa, inquieta, misteriosa.

Immaginati che una casa di produzione cinematografica ne compri i diritti. Hai carta bianca. Chi immagini potrebbe essere il regista e quali attori vedresti nelle parti principali?

Davvero difficile come domanda, soprattutto a voler tenere i piedi per terra. Allora forse meglio sognare: Roman Polanski come regista, Cate Blanchett come attrice protagonista.

Grazie della disponibilità, nel salutarti mi piacerebbe sapere quali sono i tuoi progetti futuri.

Sto lavorando al terzo romanzo della serie di Giulia Ferro, la mia poliziotta milanese, alle prese con un nuovo caso e con la voragine rappresentata dai complicatissimi rapporti con la sua famiglia. Spero di riuscire a vederlo pubblicato il prossimo anno.

E grazie a te!

:: Un’intervista con Cristina Pasqua e Alessandro Pera autori di “Forbici”

11 ottobre 2024

QM sono le risposte a quattromani.

Benvenuti Cristina e Alessandro su Liberi di scrivere. Grazie di avere accettato questa intervista. Inizierei con le presentazioni. Ognuno si presenti.

Cristina Pasqua: sono un’editor freelance, una redattrice, una correttrice di bozze. Non mi viene facile dire che sono una autrice, visto che ho pubblicato solo due raccolte di racconti, Diciassette (Odradek Edizioni, 2001) e, a distanza di oltre vent’anni, Fughe (pièdimosca, 2023). Oltre all’uscita di forasacchi (pièdimosca | glossa, 2024), una raccolta di microtesti, ho partecipato alle antologie multiperso (pièdimosca | glossa, 2022) e L’ordine sostituito (déclic, 2024). Credo che per definirsi scrittrice sia necessario essere letta e io penso di essere arrivata solo a uno sparuto gruppo di persone, agli amici. Sono un’appassionata di arte contemporanea e di fotografia, un’amante di cani abbandonati, una lettrice onnivora, mi piace camminare e lavorare a maglia, non ho la patente, detesto stendere lavatrici e ancora di più ritirare e piegare i panni.

Alessandro Pera: lavoro come operatore impegnato in percorsi educativi rivolti ai minori delle periferie romane. Sono attivo con la cooperativa Diversamente nelle scuole e nel territorio, proponendo soprattutto interventi di didattica innovativa e narrazioni didattiche. Nel 1999 ho pubblicato con Odradek Edizioni la raccolta di racconti Afa, tra i finalisti del premio Strega 2000, e nel 2014 In tempo di guerra e altri racconti con Lorusso Editore.

Siete gli autori a quattro mani di un romanzo Forbici edito da Lorusso editore. Descrivetemi il libro in modo personale e originale.

Come è stata l’esperienza di scrivere a quattro mani? Come avete proceduto?

Forbici lo possiamo definire un poliziesco, c’è un commissario, ma l’indagine procede in modo molto particolare. Come avete intrecciato i vari avvenimenti del presente e del passato?

Chi ha avuto l’idea di base, il soggetto iniziale?

Cristina Pasqua: Due teste, quattro mani. Forbici è nato da una nostra conversazione, nel lontano febbraio 2014, in coda alla presentazione di In tempo di guerra (Lorusso editore, 2014), raccolta di racconti di Alessandro. Era da un po’ che non ci vedevamo, è stata l’occasione per ritrovarci e l’iniziodi una sfida: riuscire a scrivere un romanzo. Ai tempi, praticavamo solo la forma breve, – a parte il mio avventato tentativo di trasformare in romanzo Carlotta dei miracoli, racconto cinematografico segnalato al Premio Solinas 2002. Ci siamo detti che provare a scrivere un romanzo di genere a quattro mani sarebbe stato divertente. Io, proprio in quel periodo stavo leggendo autori di romanzi di genere ‘seriali’, che seppur originali e molto diversi tra loro per personaggi e ambientazione, presentavano un curioso humus comune. Francisco Gonzalez Ledesma e il suo ispettore Méndez con le tasche delle giacche sempre sformate dai libri, il commissario Kostas Charitos di Petros Markaris, con la sua passione per i lemmi del vocabolario associati ai casi del momento; Lemaitre con il suo minuscolo commissario Camille Veroheven, praticamente un nano, figlio di una pittrice assassinata, che fa schizzi degli indagati durante gli interrogatori, ma anche, seppure di sguincio; il giornalista d’inchiesta Mikael Blomkvist creato dalla penna di Stieg Larsson. La cosa che ritrovavo in autori così diversi era l’ottica larga, non solo un giallo, non solo il genere, ma anche un’ analisi del contesto, un’ambientazione molto caratterizzata – le vie, le strade, i locali –, un protagonista con una passione particolare, una vena di critica sociale, a volte un taglio di sapore politico – penso alla Grecia dei Colonnelli dove Kostas era un questurino, al personaggio di Zisis per Markaris; all’interdizione e all’alienazione dei suoi beni di Lisbeth Salander di Blomkvist, all’interessante respiro politico di Ledesma.

Roma si può dire, o meglio il quartiere di Montesacro, è un “personaggio” importante del romanzo. È tutto nato da un luogo? Siete entrambi di Roma?

Quali sono i vostri autori preferiti? Chi vi ha principalmente ispirato?

Cristina Pasqua: Shirley Jackson, Irvine Welsh, Borges, Cortázar e Italo Calvino per formazione, Dino Buzzati. Anche Philip Roth e Vladimir Nabokov. Toni Morrison. E fra gli italiani Calvino e Buzzati.

Alessandro Pera: Per il libro Forbici Ledesma, Markaris, Lemaitre che abbiamo citato prima.

Ci sono derivazioni cinematografiche? Film o telefilm che vi hanno dato ispirazione?

Avevate già scritto testi a quattro mani?

Immaginatevi che una casa di produzione cinematografica ne compri i diritti. Avete carta bianca. Chi immaginate potrebbe essere il regista e quali attori vedreste nelle parti principali?

Grazie della disponibilità, nel salutarvi mi piacerebbe sapere quali sono i vostri progetti futuri.

Alessandro Pera: Anche io ho un libro nel cassetto, chissà…

:: Un’intervista con Daniele Cellamare, autore di Takeko – Storia di una samurai a cura di Giulietta Iannone

26 settembre 2024

Buongiorno professore, bentornato su Liberi di scrivere. Esce domani, per Les Flaneurs Edizioni, il suo nuovo romanzo Takeko – Storia di una samurai, ce ne vuole parlare? Come è nata l’idea di scriverlo?

Quando scelgo gli argomenti da trattare guardo sempre con attenzione le pagine di storia meno conosciute e la figura di Takeko rientra sicuramente in questa categoria.

Ci porta nel Giappone di metà ottocento. Un periodo storico molto particolare, ce ne vuole parlare?

Un periodo intenso e drammatico. Dopo quasi trecento anni di sistema feudale rappresentato dallo Shogun (dal 1603 al 1868), il Sol Levante cambia pagina con l’imperatore Meji che ripristina l’autorità imperiale e avvia il paese verso la modernizzazione.

Takeko, la protagonista, è una donna coraggiosa e determinata in un mondo in cui non c’era molto spazio per le donne. Come riuscì a farsi strada?

Per questa giovane donna non è stato facile, ha dovuto vincere le resistenze degli altri samurai ed è riuscita a farlo solo con una forza di volontà incredibile, un obiettivo raggiunto faticosamente con duri allenamenti e grandi sacrifici.

E’ un personaggio realmente esistito, ho trovato molto materiale in rete, lei come si è documentato? Su che testi?

Ahimè, gli autori di romanzi storici non amano svelare i loro piccoli segreti. Comunque ho utilizzato una storiografia (coeva e successiva) quasi completa su questo personaggio. Un lavoro durato un paio di anni.

Ha un’approfondita conoscenza della cultura e dei termini tecnici legati alle armi e ai testi poetici. Come è nato il suo amore per il Giappone e questa cultura così diversa dalla nostra?

Inutile dire che il Giappone è un paese misterioso e affascinante. I miei studi sull’Estremo Oriente, prima politici e dopo sociologici, mi hanno avvicinato a questa realtà così lontana e mi hanno spinto ad approfondire quella cultura.

Era usuale che i maestri adottassero i loro allievi? Perchè Takeko accetta nonostante sia molto legata al padre naturale?

Si, era una prassi molto consolidata e Takeko non ha fatto altro che conformarsi alla tradizione (ma sempre con l’approvazione del padre).

L’amore per il giovane Nakamura Yakumo è molto romantico e legato ai dettami di onore e di lealtà tipici del Bushido. Anche questo è un dato storico, era veramente il suo promesso sposo? E dove ha trovato la leggenda che narra come sono legate tra loro le anime gemelle?

Storicamente, il giovane è stato proposto a Takeko per un possibile matrimonio, ma lei ha rifiutato l’offerta. Non conosciamo ufficialmente i motivi, ma mi era piaciuta l’idea che la ragazza ne fosse innamorata e che avesse rifiutato solo per realizzare il proprio sogno di diventare una guerriera per difendere e salvare i suoi ideali. Il Giappone è pieno di leggende e questa dei fili d’oro tra gli innamorati mi è piaciuta molto.

E’ una storia di per sé tragica ma narrata con molta eleganza, competenza e anche poesia, perché non ha scelto uno stile più drammatico?

Proprio perché questa storia è drammatica. Ho preferito ingentilirla con i poemi epici, le leggende romantiche e i fiori di ciliegio. Se vogliamo, contrasti sempre ricorrenti in Giappone.

E’ una storia che anche i ragazzi possono leggere, caratterizzata da uno stile semplice e di piacevole lettura. Ha avuto contatti per traduzioni all’estero?

Ancora no, ma spero di averli presto. Il mio romanzo La Carica di Balaklava è stato già tradotto in Spagna e non escludo che anche Takeko possa essere apprezzata all’estero. Dita incrociate!

Grazie della sua disponibilità, come ultima domanda le chiedo se ha in progetto la scrittura di un nuovo libro, e se può anticiparci qualcosa?

Grazie ai lettori di Liberi di Scrivere, e solo per loro e in via eccezionale, posso anticipare che il mio prossimo romanzo sarà ambientato tra le fredde tundre della Siberia del Settecento.

:: Un’intervista con Caterina Mortillaro, autrice di Kali Yuga, a cura di Giulietta Iannone

23 settembre 2024

Caterina, grazie per aver accettato la mia intervista. Parlaci un po’ di te, dei tuoi studi, del tuo lavoro. È vero che vivi a Praga in questo momento?

Grazie a te per l’opportunità. Da ragazza ho studiato Lettere classiche: latino, greco filologia. Non ero una studentessa modello, ma amavo molto l’antichità. Poi ho iniziato a insegnare e siccome collaboravo con una rivista che si occupava di mondialità, mi sono iscritta ad Antropologia culturale. Mi è piaciuto così tanto che ho fatto persino il dottorato. Ho fatto anche un corso di sceneggiatura alla Luchino Visconti.

Sì, vivo a Praga. Sono qui con un programma ministeriale per insegnare l’italiano in un liceo bilingue statale ceco. Dovrei restare altri quattro anni. A volte ho una gran nostalgia dell’Italia, ma mi trovo abbastanza bene. Ci sono mille cose da fare, sembra di vivere in una cartolina e ho vari amici di nazionalità diverse. Ho avuto anche l’opportunità, grazie all’Istituto Italiano di Cultura, di conoscere artisti, scrittori, scienziati e persino quattro astronauti. Insomma, mica male.

Come è nato il tuo interesse per la scrittura e la letteratura in genere?

Probabilmente grazie al fatto che mia madre leggeva per me ogni sera. O forse perché avevo una prozia scrittrice. Mi affascinava, fin da bambina, l’idea di poter vivere molte vite con la fantasia, scrivendo. E leggendo. Sono stata una lettrice vorace.

Quali sono i tuoi scrittori preferiti, classici e contemporanei? Quelli che hanno influenzato maggiormente la tua scrittura.

Arduo a dirsi. Sono imbevuta di letteratura classica, ma mi sto impegnando a leggere i contemporanei. Non ho ancora deciso se ce n’è uno che preferisco in modo netto. Magari apprezzo delle cose e altre mi lasciano più fredda. Come membro della giuria dello Strega, quest’anno ho avuto una panoramica ampia di ciò che è ritenuto letteratura in Italia e sono rimasta un po’ delusa, ma ho anche imparato molto.

Hai pubblicato nel 2021 Kali Yuga, ora ripubblicato in versione digitale con Delos Digital, un thriller fantascientifico esoterico. Ce ne vuoi parlare?

Kali Yuga nasce da una conferenza cui ho assistito al Mufant di Torino in cui si parlava di un libro di “protofantascienza”, per così dire, della Belle Epoque. Un libro ritrovato fortunosamente nei meandri di una biblioteca. Ho cominciato a fantasticare sul fatto che un libro di allora avrebbe potuto descrivere davvero il nostro presente. Ci ho messo dentro la mia conoscenza dell’India e, paff!, ecco l’idea di Kali Yuga. Oltre ai miei studi sull’India, per il dottorato, mi ha aiutata molto il fatto che la maggior parte dei luoghi li abbia visitati nella realtà. Mi piace molto inserire dettagli olfattivi e visivi il più possibile vividi, che creino un effetto di verosimiglianza.

Tutto inizia con il ritrovamento di un libro in una bottega antiquaria. Ci vuoi parlare di questo testo? È pura fantasia o si basa su testi realmente esistenti?

Il libro di Ermes Anastasi è una finzione letteraria, ma sono sicura che esistono romanzi di fantascienza dimenticati molto interessanti. Se invece ti riferisci ai testi che cito, come i testi base della Teosofia, gli Atharvaveda e le loro traduzioni, o Sultana’s Dream esistono davvero. Tra l’altro Sultana’s Dream compare in DiverGender, l’antologia sul genere e la fantascienza curata da me e Silvia Treves. Quando scrivo sono molto attenta alla parte di ricerca. La fantasia si fonde con la realtà. Sta poi al lettore decidere se leggere il libro con Google a portata di mano per verificare se le citazioni sono vere o inventate.

C’è anche una storia d’amore. Puoi parlarci di Giulia e Florien?

Non vorrei che i lettori mi tacciassero di scrivere Harmony travestiti da fantascienza. Posso solo dire che Florien è piaciuto molto al pubblico femminile. È un uomo affascinante, razionale, profondamente onesto. Purtroppo, appartiene a due mondi: la Francia razionalista e l’India. Questo a volte lo pone in lotta con sé stesso e le proprie origini. Un altro aspetto importante di Florien è che non accetta di essere guidato dal Fato. Vuole essere il protagonista attivo della propria vita.

Quanto a Giulia, è una donna moderna, intelligente, innamorata del suo lavoro, disincantata relativamente all’amore. È più disposta di Florien a buttarsi nelle cose, a vivere le emozioni, ma con un gran paracadute pronto per ogni evenienza. Il loro rapporto è segnato dal destino, ma ha anche elementi di grande attualità, come la difficoltà a impegnarsi.

Il tuo rapporto con la critica letteraria è un rapporto conflittuale o pacifico? Noti una certa ritrosia da parte di blogger o critici a recensire donne che scrivono di fantascienza?

Noto una ritrosia generale nel recensire noi autori (uomini o donne) che pubblichiamo con editori… non grandi. Inoltre ci sono i gruppi, gruppetti, fratrie e sorellanze, che se la cantano e se la suonano gli uni con gli altri e ignorano quelli esterni al “clan”. Ma ormai sono giunta alla conclusione che scrivo perché ho voglia di farlo e perché ho delle cose da dire. Se non mi recensiscono, ci rimango male, ovvio, perché scrivere è comunicazione e un feedback è importante. Ma è inutile deprimersi. Certo, se la gente stronca per passare il tempo, allora un po’ mi vorticano le eliche.

Le donne stanno sbaragliando la fantascienza ormai. L’importante è che non debbano snaturarsi per piacere anche al pubblico maschile. A volte sento dire che le donne sono troppo descrittive, troppo attente all’interiorità, ai sentimenti, mentre i maschi sono più diretti e scrivono libri più veloci, più d’azione. Questa gente evidentemente non ha mai letto i grandi autori del passato. Ognuno scriva come vuole, secondo la sua sensibilità, quale che sia il suo genere. Non esistono regole di genere nell’arte.

Sono molto curiosa, cos’era la Società Teosofica Internazionale? Esiste ancora?

Certo! Esiste eccome. Hanno un sito, una newsletter, fanno incontri e corsi in molte città e convegni internazionali. È nata nei primi del ‘900 come filosofia capace di conciliare religioni diverse, misticismo e scienza. Tra i suoi affiliati ci sono stati personaggi molto importanti del panorama culturale dell’epoca: artisti, scrittori, scienziati, politici. Ha visto un declino perché molto osteggiata dalla Chiesa e dai benpensanti, ma non è mai morta.

Quanto ti ha richiesto il periodo di documentazione? Che testi hai consultato?

Di solito mi documento in itinere, quindi non saprei quantificare. Ho consultato di tutto. Molto utile è stata anche la mailing list di RISA, Religions of India and Southern Asia, un gruppo di studiosi di tutto il mondo. A un certo punto mi ero fissata che volevo la lista delle imprese italiane operanti a Chennai all’epoca di Anastasia Bagliotti, ma ho trovato solo indicazioni di massima. Lo stesso cognome Bagliotti appartiene a una famiglia nobile ormai estinta.

Il tuo amore per l’India è palese. L’hai visitata? Cosa ti ha colpito di più del paese indiano?

Sono stata in India tre volte, in posti non turistici, soprattutto per le mie ricerche accademiche, e vorrei tanto tornarci per un tour. L’India è un paese strano, che amo e al tempo stesso mi crea qualche problema per la mentalità di alcuni Indiani, per il grande divario sociale ed economico, per le caste, per una certa religiosità superstiziosa. Ci sono tante cose che non vanno, ma al tempo stesso ci sono cose di straordinaria bellezza e una cultura così ricca che non basterebbero tre vite per conoscerla tutta.

Ci sono scrittori esordienti che ti hanno particolarmente colpito?

Domanda difficile. Che intendi per esordienti? Mi sa che nessuno degli amici del mondo della fantascienza che stimo come autori possa essere definito esordiente. Se invece intendi scrittori emergenti, che pubblicano con piccoli editori, ce ne sono vari che stimo e non vorrei, citandone qualcuno, lasciarne indietro altri.

Cosa stai leggendo, in questo periodo?

Non ci crederai, ma in questo momento sto leggendo, per la prima volta (mea culpa) Solaris di Stanislav Lem. Poi, come dicevo, cerco di alternare un classico non di fantascienza e uno o due romanzi contemporanei di vario genere, italiani o stranieri. E qualche testo di amici, come Simonetta Olivo o Lorenzo Davia, per esempio.

Infine nel ringraziarti per la disponibilità l’ultima domanda: che libro stai scrivendo in questo momento? Puoi anticiparci qualcosa?

Eh… dunque, ti posso dire che ho tre libri pronti. Uno è uno storico, uno un giallo e il terzo è un post-catastrofico molto particolare, ambientato a Milano. I primi due non hanno ancora trovato un editore, mentre per il testo fantascientifico forse tenterò per la prima volta il Premio Urania. In questi giorni ho iniziato un nuovo progetto fantascientifico, ma ancora è informe. Ho buttato giù qualche brano, una trama, ma non so ancora che struttura gli darò. Altra roba che ho nel cassetto, smozzicata, chissà se vedrà mai la luce…

:: Un’intervista con Roberta Lepri, autrice de La gentile a cura di Giulietta Iannone

20 settembre 2024

Benvenuta Roberta sul blog Liberi di scrivere e grazie per averci concesso questa intervista. Parlaci di te dei tuoi studi e del tuo amore per i libri.

R: Grazie a Voi per l’invito.

Sono una scrittrice di lungo corso, ho pubblicato il mio primo romanzo nel 2003 e da allora i libri usciti sono dodici, inclusa una raccolta di racconti. Ho studiato Lettere Moderne a Siena e sono laureata in Filologia italiana con una tesi sulle Rime di Michelangelo Buonarroti. Ero una studente lavoratrice, per cui studiavo di notte: un allenamento che mi è stato molto utile quando ho iniziato a scrivere. Il mio amore per i libri è nato quando avevo dieci anni d’età. Un incidente automobilistico mi costrinse a trascorrere due mesi a letto e per farmi passare il tempo mi vennero regalati molti romanzi per ragazzi: Piccole donne, Dalla terra alla luna, I viaggi di Gulliver, Alice nel paese delle meraviglie. Un amore davvero grandissimo, mai andato in crisi.

La gentile, edito da Voland è il tuo nuovo romanzo. Vuoi parlarcene?

R: La gentile intreccia la storia di Alice Hallgarten – ricchissima ereditiera americana ebrea andata in sposa al barone Leopoldo Franchetti, filantropa, educatrice, prima sponsor di Maria Montessori e fondatrice di scuole per i figli dei contadini – a quella di Ester, una bambina povera incontrata per strada che diventa sua allieva. Il loro legame diventerà indissolubile, riuscendo a superare perfino la morte, e sarà fatto di speranza, dedizione, affetto ma anche di rancore sordo a causa di una grande occasione mancata.

Spiegaci il significato del titolo. Chi erano i gentili?

R: I gentili sono definiti anche nella Bibbia come non israeliti. Ester, i cui nonni ebrei già nel 1800, per paura di essere perseguitati, si erano convertiti al cristianesimo, si definisce così: una gentile. E dà a questa parola un significato dispregiativo, dal momento che si sente ancora profondamente legata all’ebraismo.

Che ricerche hai fatto per la stesura del romanzo? È basato su una storia vera? E quanto tempo ti ha richiesto la documentazione?

R: Conoscevo già la storia di Alice Hallgarten perchè sono nata a Città di Castello, il paese in cui la baronessa ha maggiormente avuto influenza con le sue opere. Il mio bisnonno era figlio di mezzadri e aveva frequentato la scuola della Montesca da lei fondata. La decisione di scrivere un romanzo che parlasse anche della sua incredibile e breve vita è nata sei anni fa, quando passando da Tela umbra (laboratorio tessile anche questo creato da Alice per dare lavoro alle donne, sopratutto alle ragazze madri) ho acquistato il libro della storica Maria Luciana Buseghin “Cara Marietta: lettere di Alice Hallgarten Franchetti”. Da quel momento non ho smesso mai di documentarmi e progettare questo romanzo, che ho scritto in circa un anno tra il 2022 e il 2023.

Alice Hallgarten, personaggio realmente esistito di cui a giugno si è festeggiato il 150° anniversario dalla nascita, e assieme alla protagonista Ester, un personaggio moderno se vogliamo che ha anticipato quello spirito assistenziale e filantropico teso al sostegno delle donne, fornendole un lavoro che le rendesse indipendenti dai mariti, e i bambini fornendogli scuole gratuite per imparare a leggere, scrivere e far di conto. Hai amato questo personaggio?

R: Non si può non amare Alice ma mi è piaciuto cercare di ricostruire la sua umanità e immaginarne i dubbi, mettendo in risalto anche la sua severità a volte ossessiva nell’imporre agli altri un certo modello di vita. Ha dato moltissimo all’Alta Valle del Tevere, cambiando per sempre il tessuto sociale di quella zona. Attraverso le vicende dei miei bisnonni e nonni, sono certa di doverle molto anch’io.

Il marito di Alice, il barone Leopoldo Franchetti, grande latifondista e deputato del Regno, condivideva lo spirito filantropico della moglie e morendo lasciò tutto ai suoi contadini. In che misura questo personaggio un po’ defilato influenza la storia?

R: Quella tra Leopoldo e Alice è stata una grande storia d’amore, fatta sopratutto di una perfetta comunione spirituale e di intenti. Lui era un serissimo politico della destra illuminata, già anziano, e lei una giovane ereditiera educata a fare del bene al prossimo. Era stata proprio la frequentazione di circoli dediti alla filantropia a farli conoscere e i due si adoravano: senza Leopoldo non si spiega Alice, e viceversa. Infatti, poco dopo la morte di lei, anche lui pose fine alla propria vita.

Ester è la protagonista, la conosciamo bambina, poi piccola studentessa, ombrellaia, e sposa. Rappresenta per te un’ideale femminile di emancipazione, con tutte le relative difficoltà, o nasce come personaggio a sé stante?

R: Ester incarna la capacità di resistere a qualsiasi traversia della vita, che poi è la grande disperata risorsa di quasi tutto il genere umano, sopratutto femminile. Ester combatte, si adatta, sopravvive, ama, spera, viene delusa, odia. Ed è – come lei stessa si definisce – dura come una sbarra di ferro. Non è un’ideale, per me Ester è la realtà: quella che io sono stata e che sono, e con me la maggior parte delle donne che conosco. Ester è insieme personaggio e persona.

La giovane Alice scorge per le vie di Roma dei bambini allo sbando, con tutti i pericoli che corrono soli sulla strada, magari di notte, e comprende l’importanza di creare luoghi sicuri dove possano studiare per apprendere una professione e salvarsi dal degrado e dallo sfruttamento. Come è nato secondo te in lei questo spirito filantropico?

R: Alice non era sola a rendersi conto di quanto fosse grave a Roma la situazione dei bambini abbandonati per strada. Il circolo di persone che cominciarono ad agire per porre rimedio a questa situazione si riuniva sotto la guida spirituale di Don Brizio Casciola, che ideò delle colonie agricole per i ragazzi, in modo da farli lavorare e studiare. In Alice lo spirito filantropico nacque in seno alla famiglia d’origine: i genitori erano ricchi ebrei americani che l’avevano educata a prendersi cura dei poveri con opere di beneficienza. Fu però sopratutto attraverso lo zio, un facoltosissimo banchiere tedesco che la accolse nella sua casa dopo la morte del padre , che imparò a fare del bene al prossimo. Non solo attraverso la carità ma fornendo alle persone bisognose istruzione e lavoro.

La sua scuola anticipava il concetto abbastanza recente dell’importanza del binomio studio-lavoro. Oltre che aule scolastiche erano anche laboratori artigianali?

R: A Montesca e Rovigliano i bambini imparavano a leggere e scrivere, studiavano storia e geografia, metereologia applicata allo sviluppo dei loro progetti negli orticelli. Poi avevano i laboratori in cui potevano mettere in pratica ciò che avevano imparato. Ed ecco che la geometria veniva applicata alla creazione di piccoli mobili, la scrittura declinata in modo pratico alla stesura di lettere che potevano essere inviate alla banca per chiedere un prestito, o al padrone del podere per domandare un rinnovo di affitto. Esperienze straordinarie per l’epoca, che valsero alla scuola e alle maestre dei premi di eccellenza a livello europeo. E che sfociarono in modo quasi naturale nella frequentazione di queste scuole anche da parte di Maria Montessori, di cui Alice Hallgarten fu prima sostenitrice.

Grazie per la tua disponibilità e come ultima domanda vorrei sapere se stai scrivendo un nuovo romanzo e se puoi raccontarci qualcosa a riguardo?

R: Proprio in questi giorni sto pensando a una nuova storia. Mi piace molto osservare e descrivere come i caratteri delle persone talvolta cambino radicalmente al mutare di alcune condizioni di vita, in apparenza piccole. Staremo a vedere.

Grazie a voi e a presto!

:: Un’intervista con Franco Forte, autore de L’alba di Cesare, a cura di Giulietta Iannone

16 settembre 2024

Benvenuto Franco, e grazie di essere qui per parlare del tuo nuovo libro, L’alba di Cesare, edito da Mondadori, basato interamente sul De bello gallico, e non influenzato da opere posteriori che altrettanto bene conosci, per rendere meglio il suo punto di vista e dare vita a un personaggio a tutto tondo, forse unico nella storia dell’umanità. Conoscendolo approfonditamente che idea ti sei fatto di Cesare come persona, lontano dagli intrighi, dalle battaglie, dall’agone politico? Era un persona di gusti semplici, o prediligeva il lusso e lo sfarzo?

R: Ciao e grazie per questa nuova chiacchierata. Giulio Cesare non è entrato nella Storia per sbaglio, ha fatto in modo, con le azioni, il pensiero, le strategie, le relazioni, l’intelligenza e la determinazione, di guadagnarsi un posto di massimo rilievo, che lo hanno fatto conoscere a tutti nel corso dei secoli. E direi che già questo non è poco. Dopodiché, dobbiamo dire che era un uomo del suo tempo, e dunque alcune sue azioni, alcuni suoi modi di conquistarsi fama imperitura possono sembrarci fin troppo severi, perfino spietati, eppure non fanno che inquadrare Cesare in un momento delicatissimo della storia di Roma, il passaggio definitivo dalla Repubblica alla monarchia imperiale. Repubblica a cui proprio Cesare ha dato la prima, poderosa spallata. L’ha fatto sfruttando una spedizione di conquista (in Gallia) per raccogliere consenso, trofei di guerra, ricchezze e la possibilità di mettersi alla pari, e poi superare, i suoi veri rivali del tempo, il ricchissimo Crasso e il celebre condottiero Pompeo, con cui condivideva uno scomodo triumvirato. Ogni sua azione era improntata a questo: guadagnarsi il trionfo militare per eguagliare Pompeo e portare le folle di Roma dalla sua, e accumulare abbastanza ricchezze da saldare i debiti che aveva con Crasso e diventare indipendente anche sotto questo punto di vista. Insomma, una strategia ad ampio raggio militare, politica, sociale e interpersonale con chiunque lo circondasse. Riuscire a governare tutto questo a proprio vantaggio mentre si conduce una spedizione di conquista difficilissima e feroce, non è da tutti. Forse solo da Cesare…

Pur basandoti per la stesura di questo romanzo unicamente sul De bello gallico, che altre opere posteriori hai consultato per costruire, almeno nella tua mente, il personaggio di Cesare? La storiografia, anche moderna, è stata equa nel giudicarlo? Che idea ti sei fatto?

R: Il De bello gallico è stata la traccia principale che ho seguito per costruire il libro, ma poi ho dovuto studiare gli storici antichi e moderni per cercare di mettere insieme l’intricata rete di relazioni, alleanze, contese politiche e personali in cui Cesare si muoveva come un saltimbanco da circo, spostandosi da un attrezzo all’altro con volteggi, balzi prodigiosi e prove “ginniche” di notevole vigore. Non solo Crasso e Pompeo, quindi, ma anche un personaggio scomodo come Cicerone, decine di senatori pronti a sfruttare qualsiasi segno di debolezza per ottenere un vantaggio personale, e tutta Roma alla finestra, con il popolo capace di sostenerlo ma anche di affossarlo da un momento all’altro. Questa capacità di muoversi sulla corda di rapporti personali, strategie politiche e militari e dell’eterno contenzioso con se stesso (lui che era chiamato marito di tutte le donne e moglie di tutti i mariti di Roma e soffriva di crisi epilettiche), lo ha reso sempre molto difficile da inquadrare in un contesto unico e delineato. Non ci sono riusciti gli storici antichi, non l’hanno fatto nemmeno i moderni, che si dividono in fazioni pro o contro questo gigante della Storia, pur avendone tutti sempre il massimo rispetto.

Qual è stato il punto di partenza nel processo di scrittura? Hai immaginato scena per scena nella tua mente ogni scena, costruendoti una sorta di film mentale, o vive tutta la scrittura solo sulla carta?

R: Io di solito scaletto i miei romanzi in un processo duplice, che in questo caso è stato fondamentale. Per prima cosa la trama generale, a grandi linee, in cui incastrare tutti i piani narrativi di cui dovrò occuparmi; poi scendo nel dettaglio e scaletto capitolo per capitolo, lasciando una certa “mobilità” in modo da poter spostare, aggiungere o cancellare scene/capitoli a seconda di quali idee emergeranno durante la fase di stesura vera e propria (perché molti guizzi narrativi arrivano quando uno meno se lo aspetta). A quel punto comincio a scrivere, con il “film” del libro ben chiaro in mente e nella scaletta, ma senza alcun vincolo imprescindibile e sempre pronto a ribaltare tutto, dovesse arrivare l’idea del secolo.

C’è il detto popolare che dietro a grandi uomini ci sono sempre grandi donne. In che misura Calpurnia, sua moglie, l’ha sostenuto e ha contribuito al suo successo? Era un personaggio altrettanto interessante quanto Cesare?

R: Ho cercato, per quanto possibile, di dare un ruolo anche a Calpurnia, perché quel detto che citi credo sia un’importante realtà di gran parte della Storia. Per tutti i personaggi storici di cui ho scritto, da Nerone a Caligola, da Carlo Magno a Gengis Khan, le donne non solo hanno svolto ruoli importanti dietro le quinte, ma spesso sono state il vero motore (emotivo, fisico, psicologico) che ha permesso a questi uomini di diventare dei Grandi della Storia, nel bene o nel male. Nel caso specifico di questo romanzo era un po’ più complicato dare il giusto peso alle donne di Cesare (non solo a Calpurnia), perché parlo essenzialmente di una spedizione di conquista in un territorio ostile, in cui Cesare era impegnato con l’esercito, però qualche scena importante sono riuscito a inserirla, soprattutto per mantenere un contatto diretto fra il Cesare guerriero e conquistatore e quello legato ai fatti politici, economici e relazionali che lo vedevano proteso verso Roma. Calpurnia, in questo senso, è stata preziosa.

Come è nato il tuo amore per la storia romana e in che misura ritieni il sogno di civiltà, di conquista e di progresso che incarnava siano sopravvissuti nel tempo?

R: Nasce dal fatto che ancora oggi è impossibile non rendersi conto di quanto siano stati avanti nei tempi gli antichi romani, sotto tutti i punti di vista: legislativi, militari, sociali, artistici, culturali. Un esempio fulgido di cosa, ancora oggi, potrebbe funzionare bene e cosa sarebbe meglio evitare, anche se ben pochi dei contemporanei, politici soprattutto, se ne rende conto. Faccio un solo esempio. Leggi questa frase: “I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di ben pubblici nelle ricchezze e negli onori”. Non è stata scritta da qualche giornalista per commentare i misfatti di Roma capitale o qualche magagna politica d’oggi, bensì da Catone duemila anni fa. Non è cambiato molto, mi pare…

Credo sia emerso anche dalla mia recensione, ho trovato il romanzo particolarmente riuscito e soprattutto sorretto da una idea precisa che lo distingue da altre opere, dare vita ai pensieri, alle emozioni, ai sogni, di un personaggio sicuramente unico nella storia romana che aveva intuito che la fine di Roma sarebbe arrivata dai barbari del nord. Precorse i tempi con la sua campagna che arrivò fino alla Britannia?

R: Da una parte sicuramente sì, perché ci vuole una mente aperta, una capacità di visione verso il domani che poche persone hanno, soprattutto quando calate in un contesto così stringente come quello delle epoche più antiche, in cui la lotta per la sopravvivenza quotidiana prendeva il sopravvento su possibili visioni per il futuro. Cesare aveva la sua visione, ma in realtà era molto legata a ciò che desiderava ottenere sul piano personale; se poi fosse anche in relazione con le “opere” che averebbe voluto mettere in campo per Roma, il suo popolo e il suo futuro, è un po’ più complicato da comprendere. Ma di sicuro non gli mancavano alcuni elementi fondamentali per distinguere l’uomo comune da quello che ha qualcosa in più: il coraggio, la determinazione, la curiosità, il desiderio di dominare il futuro, anziché lasciarsi sopraffare dagli eventi. Per questo quella che era cominciata come una campagna di difesa di alcune popolazioni alleate con Roma si trasformò ben preso in una delle più epiche campagne di conquista di tutti i tempi: perché le pulsioni che animavano Cesare lo spingevano ad andare sempre un po’ più in là, a spingere la testa oltre l’angolo per capire che cosa ci potesse essere, quale nuova opportunità un uomo con le sue capacità avrebbe potuto conquistare.

Cesare non fu solo un condottiero e uno stratega, si interessò di stilare mappe precise per i commercianti, conoscere dei popoli che conquistava usi e costumi, valutare risorse e ricchezze del sottosuolo, e amava l’avventura. Insomma aveva qualità che ne facevano anche uno studioso, oltre che un rozzo soldato temprato dalla dura vita militare?

R: Sì, come ho già detto era un uomo curioso, votato all’avventura, ma mai fine a se stessa. Così nel De bello gallico si trovano dei passi meravigliosi, in cui viene rivelata la flora e la fauna della Gallia e della Germania di quell’epoca, mischiando resoconti veritieri con altri più di fantasia, che trasmettevano quel senso del meraviglioso che duemila anni fa era all’ordine del giorno, visto che gran parte del mondo era del tutto sconosciuto. Diciamo che difficilmente Cesare ha sottratto tempo alle sue strategie militari e all’impegno profuso per tenere testa ai brutali galli, ai temibili germani e ai misteriosi britanni per mettersi a fare il cartografo e l’enciclopedico, però di sicuro è riuscito a raccogliere materiale interessante da trasmettere a Roma e ai posteri, per dare maggiore consistenza alla sua impresa e renderla indimenticabile per tutti.

Parlaci degli altri personaggi. Cesare se aveva un dono era quello di conoscere le persone e di circondarsi di fedelissimi che letteralmente lo seguirono fino in capo al mondo. Oltre che abile nel comando, sapeva farsi rispettare e amare. Era un dono naturale, dovuto alla sua personalità poliedrica, o era un qualcosa che aveva affinato nel tempo?

R: Credo fosse parte della sua natura, della sua personalità: riuscire a capire gli altri per portarli dalla sua parte, oppure per metterli spalle al muro quando non era possibile farseli amici. Nessuno ha potuto resistere alla sua ascesa anche per questo motivo. Sapeva circondarsi di persone valide che però lo rispettavano e riconoscevano il suo primato, e non aveva paura a mischiarsi con i suoi soldati, combattendo accanto a loro e chiamandoli commilitoni, per far capire a tutti che in battaglia non esistevano distinzioni di grado, se non per poter disciplinare la catena di diffusione degli ordini. E grazie a questo, al fatto che non ha mai esitato a mettere in pericolo la sua stessa vita pur di dare sostegno ai suoi uomini, è riuscito a legare a sé intere legioni, che poi gli hanno consentito di dare inizio alla guerra civile che l’ha portato a conquistare il potere assoluto.

Ci sono progetti di traduzioni all’estero?

R: Sì, come per tutti i miei libri ci sono già proposte che stiamo vagliando con il mio agente, Piergiorgio Nicolazzini. Quando arriveranno le versioni tradotte sarà mia cura darne notizia sui social.

Nel ringraziarti per la tua disponibilità come ultima domanda ti chiederei quali sono i tuoi progetti per il futuro? Stai scrivendo un nuovo libro?

R: Sì, in verità sono già immerso nel prossimo, che riguarderà ancora Roma antica, per la precisione il periodo appena precedente questa spedizione in Gallia di Cesare, in cui però i veri protagonisti saranno altri due uomini formidabili e controversi a modo loro: Cicerone e Catilina. Descriverò i subbugli dovuti alla famosa congiura nell’anno del consolato di Cicerone, che rivelò con chiarezza i sintomi dell’inevitabile declino della Repubblica romana.