Posts Tagged ‘TimeCrime’

:: Come uccidono gli Eredi di Jessica Goodman (TimeCrime 2025) a cura di Patrizia Debicke

4 ottobre 2025

Leggere “Come uccidono gli eredi” significa penetrare in un universo dorato e soffocante, dove il privilegio si veste di seta e gioielli ma odora di corruzione e paura. La prima sensazione che si prova è claustrofobia: giovani vite che “devono” apparire perfette, intrappolate in copioni imposti dalle famiglie e dalla società, e che invece sono soltanto pedine in una recita feroce.
E sarà proprio questa inquietudine tra libertà negata e bisogno di apparire che rappresenta il cuore del romanzo.
Il fulcro narrativo è il Club degli Eredi di New York, un esclusivo circolo che non si limita a garantire lusso e protezione, ma rappresenta una vera e propria consacrazione sociale. Entrarvi significa avere un futuro spianato, un lasciapassare per i piani più alti del potere economico e politico. È il regno dei “prescelti”, ragazzi che hanno respirato sin dalla nascita solo l’aria rarefatta delle élite, educati a non sbagliare ma anche a coprirsi sempre l’un l’altro pur di mantenere intatta la facciata.
I protagonisti riflettono le diverse sfaccettature di questo sistema. Bernie Kaplan è forse il personaggio più immediatamente empatico e la sua voce mette in evidenza la gabbia dorata in cui tutti si muovono. Dietro l’apparente sicurezza si nasconde il peso delle aspettative, il continuo timore che la verità possa emergere.
Isobel Rothcroft, regina di stile e perfezione, incarna l’ossessione per l’immagine, simbolo di una femminilità costruita a misura di copertina.
Skyler Hawkins, forse il più fragile, porta dentro di sé la contraddizione tra desiderio di ribellione e necessità di appartenere.
Ma la vera anomalia è Tori Tasso, l’outsider, sempre la migliore nei risultati scolastici, ma proveniente dal Queens. Lei è l’intrusa, la scheggia impazzita pronta a incrinare la simmetria del gruppo. La sua presenza non è solo un enigma narrativo, come ha fatto a ottenere un invito? ma rappresenta anche il confronto tra il mondo dei privilegiati e chi, come lei, conosce altre strade, altre possibilità di vita.
L’ambientazione è cruciale. Siamo nella Manhattan dei superattici e dei gala, un microcosmo che affonda le radici nell’eredità WASP, quel sistema di potere nato dai primi padri pellegrini e ancora oggi capace di imporre all’America regole invisibili. L’autrice non si limita a raccontare un delitto in un contesto mondano: porta in scena la sopravvivenza di un modello sociale che identifica la ricchezza come segno di predestinazione, il denaro come moderna grazia divina. La piramide sociale deve restare intatta e, per difenderla, ogni mezzo è valido: segreti, bugie, omissioni, silenzi compiacenti.
Il Ballo degli Eredi, a conclusione di un percorso scolastico superiore, è l’apice simbolico di questo meccanismo. Un’esclusiva festa scintillante, promessa di successo e visibilità, ma che può trasformarsi in un baratro. Dietro i sorrisi, gli abiti da haute couture e le coppe di champagne, serpeggiano rivalità, invidie e paure. Quando la tragedia sconvolgerà tutti, con una morte improvvisa, non sarà solo l’elaborato evento mondano a crollare: l’intero castello di apparenze verrà messo in discussione, rivelando la brutalità nascosta dietro quel patinato splendore.
Jessica Goodman costruisce la trama alternando i punti di vista dei protagonisti e crea un romanzo corale su due piani: la settimana prima del ballo e ciò che avverrà dopo la tragedia. Questo doppio binario narrativo accresce la tensione e la curiosità del lettore di scoprire come i pezzi possano andare a incastrarsi. Il delitto, se verrà riconosciuto come tale, diventerà non solo un enigma da risolvere, ma e soprattutto lo specchio di una società che si autodivora pur di mantenere il proprio potere.
Il vero motore del romanzo, infatti, non sarà l’indagine in sé, ma la critica sociale che vibra in ogni pagina. Gli Eredi sono ragazzi sacrificati al dio denaro, costretti a perpetuare un patto mai scelto, in una catena in grado di annientare ogni differenza e pensiero critico. Burattini scintillanti mossi da famiglie e istituzioni che temono il crollo del sistema più di qualsiasi scandalo.
“Come uccidono gli eredi” più che un romanzo di consumo è un pericoloso viaggio nei salotti dorati di New York, dove il lusso non è altro che una maschera. È il racconto di come quell’élite riesca a proteggere se stessa con spietata ferocia, fino a spingersi oltre il limite. Ed è soprattutto la storia di ciò che si è disposti a sacrificare: la verità, la coscienza e perfino la vita, pur di non scivolare fuori dalla piramide sociale.
Un romanzo incalzante, che parte in sordina ma accelera fino a un travolgente finale, dove i colpi di scena si susseguono senza tregua.
Jessica Goodman dimostra ancora una volta di saper trasformare un contesto scintillante in una intrigante trappola narrativa: perché in fondo, in quel mondo ovattato e crudele, il vero pericolo non è scoprire che ci sia un assassino, ma domandarsi quanti altri terribili segreti siano ancora sepolti sotto i tappeti dell’élite. Traduzione a cura di Emanuela Foglia.

Jessica Goodman è una caporedattrice di Cosmopolitan. Loro volevano essere noi è il suo debutto come autrice, seguito da They’ll Never Catch Us – Non ci prenderanno, ora pubblicato nella stessa collana. Dal suo romanzo d’esordio, HBO Max sta adattando una serie tv che vedrà protagoniste Sydney Sweeney, star di Euphoria, e la cantautrice Halsey al suo primo lavoro come attrice. Come uccidono gli Eredi è il suo nuovo thriller young adult a essere pubblicato nella stessa collana.

:: La Piccola Biblioteca del Crimine

3 marzo 2021

Prima uscita a marzo di una nuova collana dedicata da TimeCrime/Fanucci al Crime: la Piccola Biblioteca del Crimine. Dunque il Crime in tutte le sue facce dall’ hard boiled al noir, dal mystery alla detective story, senza dimenticare spy-story, whodunit o locked room e gialli polizieschi. Tutto il meglio della narrativa Crime in nuove traduzioni aggiornate e moderne e introduzioni delle penne più prestigiose. I grandi maestri americani, inglesi e francesi raccolti in un’unica collana da collezionare che presenta oltre a curate riedizioni addirittura inediti mai pubblicati. Per ora in programma 15 titoli: primo volume Caccia al ladro di David Dodge, per poi proseguire con Ti ucciderò di Mickey Spillane e Bersaglio mobile di Ross Macdonald, nelle nuove traduzioni rispettivamente di Luca Briasco e Raffaella Vitangeli. Poi a maggio Il misterioso crimine di Madison Avenue di John Coryell, il primo caso del detective Nick Carter. E infine la riedizione di Nove orchidee per Miss Blandish di James Hadley Chase con introduzione inedita di George Orwell. Che dire, auguriamoci che l’iniziativa abbia successo e sia l’inizio di una collana ricca di sorpese.

:: Recensione di Il burattino di Jim Nisbet (TimeCrime, 2013) a cura di Giulietta Iannone

6 settembre 2013

CopBurattino_lowSiamo a Dip, Stato di Washington, un’afosa località persa tra campi di grano e fattorie. Mattie Brooke, ragazza di campagna un po’ invecchiata ma ancora attrente, lavora come cameriera nella tavola calda di Morderai Sturm e intanto sente che la vita le sta scorrendo attorno, mentre sogna che Jedediah Dowd, proprietario di un ranch nelle vicinanze, un giorno la sposi, innamorata, più che di lui, delle lettere struggenti e poetiche che sua madre aveva scritto negli anni 40, prima di morire.
Poi un giorno entra nella sua vita un forestiero di passaggio, Tucker Harris, reduce del Vietnam, commesso viaggiatore, dedito all’alcool e alle anfetamine. Passano insieme una notte selvaggia di sesso e passione (più lotta all’ultimo sangue di pesci siamesi combattenti nell’acquario), così lontana dalla noia e il solitario trantràn a cui Mattie è abituata e il giorno dopo Tucker le lascia una poesia di Verlaine, Clare de lune, scritta su un velo di Scottex, dandole appuntamento tra un anno.
Così inizia Il burattino (Death Puppet, 1989) noir sulfureo e feroce scritto magistralmente da un Jim Nisbet in stato di grazia. Difficile credere che sia stato un americano ad averlo scritto, sebbene personaggi e ambientazioni più americani di così si muore, non tanto per la trama quanto per la scrittura così barocca, eccessiva, bizzarra, colta, ricca di citazioni letterarie (la parodia blasfema dell’incipit di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen è uno dei tanti esempi che mi vengono in mente) scevra dalla linearità ed essenzialità dei maestri del noir americano.
Tradotto da Jacopo Lencowicz ed edito da Fanucci nella sua collana TimeCrime, Il burattino, che ricordiamolo è figlio degli anni Ottanta, sebbene ancora inedito in Italia, fu infatti scritto da Nisbet nel 1989, in piena era reganiana, figli dei fiori, guerra del Vietnam e controcultura beat ancora un ricordo recente, (specie per uno scrittore di San Francisco), racchiude molta bellezza e qualche difetto, dovuto principalmente ad una certa disomogeneità e pesantezza quando descrive dall’interno, tramite un forsennato e debordante stream of consciousness, la follia di Tucker Harris, personaggio che vive con un ingombrante diavoletto nella testa che gli parla, lo sfotte, lo incita nelle sue nefande imprese.
Tornando alla trama: Mattie Brooke dopo l’incontro con Tucker Harris si trova ad un bivio, niente sarà più come prima. L’arrivo alla tavola calda di due hippy da San Francisco, che si mettono a litigare con un avventore e il proprietario, segna un suo crollo emotivo e una ribellione che la porterà ad essere licenziata in un’esplosione di caraffe di caffè e vetri infranti. Poi quando i due forestieri, Scott e Eddie, le chiedono di portarli da Jedediah, qualificandosi come suoi vecchi amici e compagni d’arme, Mattie, forse troppo fiduciosa, ma è un suo difetto o meglio parte del suo fascino, accetta e inizia un viaggio che la porterà a scoprire che Jedediah non è l’uomo che credeva che fosse, per non parlare dei due stranieri o dello stesso Tucker Harris, che a quanto pare non è andato lontano.
In un crescendo narrativo, che culmina in una ipercinetica resa dei conti nel ranch di Jedediah a base di marijuana, omicidi, esplosioni (e anticipa con un certo anticipo le derive iperrealistiche e splatter di alcuni narratori noir e registi contemporanei, in cui le esplosioni di violenza, con schizzi di sangue, corpi crivellati dai proiettili e cadaveri carbonizzati, si associano ad una graduale presa di coscienza e deframmentazione dei personaggi), Nisbet trascina il lettore suo malgrado in una vicenda al calor bianco in cui realismo e verosimiglianza vengono sospesi in favore di una accettazione quasi incondizionata di motivazioni e obbiettivi, giustificabili forse solo con la follia.
Ingenua, sensibile, fondamentalmente romantica, anche se si crede una ribelle, Mattie è senz’altro l’eroina principale del romanzo e la sua parabola discendente verso la dannazione e o la salvezza, (sta al lettore deciderlo in un finale quanto mai aperto), viene seguita dall’autore con partecipata tenerezza, lasciata sospesa come una promessa non mantenuta. Bellissimo.

Jim Nisbet è nato nel North Carolina nel 1947. Vive a San Francisco, dove costruisce mobili. Finalista al Pushcart Prize e all’Hammett Prize, è stato tradotto in dieci paesi. In Italia, sono già usciti per Fanucci Editore Prima di un urlo (2001), Iniezione letale (2009) e Cattive abitudini (2010), per TimeCrime I dannati non muoiono (2012).