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:: Un’ intervista con Laura Frausin Guarino a cura di Giulietta Iannone

25 gennaio 2019

“suite francese” di irène némirovsky (adelphi)Benvenuta professoressa Frausin Guarino su Liberi di scrivere, e grazie per avere accettato questa mia intervista, è davvero un onore poterla ospitare, lei è come la decana dei traduttori italiani. Menzione speciale per la migliore traduzione alla nona edizione del Liberi di Scrivere Award per la sua traduzione di Suite Francese di Irène Némirovsky (Adelphi). È risultato il libro più votato, e come tradizione siamo felici intervistare il traduttore. Naturalmente è un semplice riconoscimento di un blog, niente di istituzionale, lei sicuramente ha vinto premi ben più prestigiosi, ma è un’ occasione per conoscere meglio anche il lavoro del traduttore. La sua vita è affascinante come quella di un libro, ci parli della sua famiglia di cultura mitteleuropea, dove è crescita? che libri leggevano nella sua casa durante la sua infanzia e adolescenza?

R: Sono nata a Trieste, in una famiglia dalla mentalità molto evoluta e molto laica, ma tutta la mia vita e i miei studi si sono svolti a Milano. Ho fatto studi classici, e ho avuto la grande fortuna di essere allieva del poeta Vittorio Sereni, che fin dagli anni della maturità mi ha indirizzata alla traduzione letteraria.

Ci parli dei suoi studi. Come è diventata traduttrice? Che lingue ha studiato? Ha svolto tirocini all’estero, o ha studiato prevalentemente sui libri?

R: Ho amato e studiato subito il francese; contemporaneamente al liceo classico, ho passato quasi tutte le vacanze estive in Francia per conoscere meglio la lingua. A Grenoble ho frequentato l’Università estiva per stranieri. Intanto leggevo molta letteratura francese, che è una cosa diversa dallo studiare “sui libri”, molto più formativa.

Quali autori ha tradotto? Quali sono le sue traduzioni più importanti?

R: Ho cominciato a tradurre nel 1967 (!) e ho avuto la fortuna di tradurre subito grandi Autori per Case editrici importanti. La mia prima traduzione professionale è stata un romanzo di Simenon per Mondadori. Ho tradotto poi per Bompiani, Feltrinelli (molte opere di Marguerite Duras), MargueriteYourcenar, Michel Foucault e altri. Traduco molto volentieri saggistica filosofica e politica; per Adelphi ho tradotto anche Mauriac e molti romanzi di Simenon , ma sono onorata che Ena Marchi mi abbia affidato, un anno fa, il saggio di Marc Fumaroli “La Repubblica delle Lettere”. Lavoro anche per le Edizioni Henry Beyle: testi particolari di Voltaire, Dumas, Perec, Balzac, Stendhal. E per «Pagine d’Arte», Casa editrice svizzera.

Che esperienza è stata tradurre Irène Némirovsky? Cosa ha amato di più di questa autrice e del suo libro?, giunto miracolosamente fino a noi, seppure incompleto, l’autrice non ha potuto finirlo perché deportata nel Campo di concentramento di Auschwitz.

R: Tradurre Irène Némirovsky è stata un’esperienza esaltante, un’emozione costante che ho accompagnato con la lettura di alcuni saggi sulla sua vita e la sua terribile tragica morte. Di questo libro ho amato TUTTO.
Ed è stato bello tradurre anche gli altri suoi romanzi.

Insegna ancora presso la Civica Scuola Interpreti e Traduttori? Quali consigli darebbe ai giovani traduttori che si avvicinano a questa difficile ma affascinante professione?

R: Da due anni non tengo più il corso di traduzione letteraria, che ho tenuto per più di vent’anni, presso la Scuola Interpreti e Traduttori . Il solo consiglio che posso dare a chi comunque abbia una certa “stoffa”, una precisa sensibilità e una grande passione, è di LEGGERE, leggere buona letteratura, non solo per il piacere della cosa in sé, ma per capire, studiare e impossessarsi dei diversi registri di scrittura. E abituarsi a coltivare l’attenzione, il pensiero, e a non fare niente in modo affrettato.
Continuo a tradurre con passione; non è mai diventato un “mestiere”, nel senso di qualcosa che ormai si conosce e si fa con disinvoltura: ogni testo nuovo è ancora per me un affascinante mistero da scoprire, da portare alla luce.