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:: Le vie delle guerre di Andrea Santangelo (Il Mulino Bologna, 2025) a cura di Valerio Calzolaio

30 ottobre 2025

Europa. Dal principio e ancora in corso. L’Europa ha una storia piena di guerre e conflitti che ne hanno plasmato non solo le vicende istituzionali e sociali, ma anche i rapporti con il mondo; non solo la politica e l’economia, ma anche l’arte, la letteratura, la filosofia, l’urbanistica. Molte nazioni europee hanno, inoltre, un passato coloniale e imperiale che le ha viste esportare armi e violenza in ogni angolo del pianeta. La guerra è stata “fedele compagna” degli europei per millenni. Dalla nascita delle fonti scritte, cioè più o meno da 5.500 (cinquemilacinquecento anni), si calcolano circa 14.700 guerre. E tutti gli abitanti del Vecchio Continente, nelle varie epoche, l’hanno vissuta sulla propria pelle, sin dalla più tenera età. Non esiste frazione, villaggio, vico o borgo europeo che nella sua storia non conti almeno un fatto d’armi e martiri da piangere. Non c’è città o centro urbano, insediamento produttivo, convento o luogo di culto che per cause belliche non sia stato distrutto o danneggiato, poi ricostruito, almeno una volta. Gli scontri sul suolo europeo tra eserciti contrapposti (talvolta con la presenza di, o contro, individui e fazioni di civili armati) tendono a ripetersi con una sconcertante regolarità in ecosistemi strategicamente importanti, che spesso sono conosciuti anche come posti ospitali e paesaggisticamente molto belli, devastati da innumerevoli invasori aggressivi o da forze militari, certo da quando abbiamo memorie scritte e, ancor prima, da quanto attestano le fonti archeologiche: la Francia del Nord (comprensiva dell’attuale Belgio), la valle del Po in Italia, le pianure della Germania centro-meridionale … pure gli agglomerati urbani come per esempio Catania, Lubiana, Famagosta, Helsinki … quasi ovunque esistono molteplici tracce stratificate (non in pace) di popoli e civiltà successive (stili architettonici, toponomastica, odonomastica) ed esistono, dunque, tantissime vie delle guerre nella nostra Europa (da cui il titolo).

L’archeologo e storico militare Andrea Santangelo (Torino, 1970) è stato a lungo docente universitario di letteratura angloamericana e da decenni è un grande storico della letteratura di viaggio. Questo colto documentato testo fa parte di una bella fortunata collana editoriale (Ritrovare l’Europa), che esamina alcune vie europee indispensabili a conoscerci meglio, dalle monete alle capitali gotiche, dalle città romane ora alle guerre: strade e ponti, mura e fortificazioni, castelli e valli. Dopo l’introduzione sull’identità e sulla preistoria del Vecchio Continente, l’autore ci guida attraverso sette itinerari (capitoli, ciascuno di decine di pagine) in un percorso storico e cronologico: Dalla Scozia al Mar Nero, sulle tracce del limes romano (spesso montano); Da al Andalus a Balarmuth, le vie delle guerre arabe (pure in Spagna e Sicilia); Con la “fortificazione alla moderna” l’Italia conquista l’Europa (armi da fuoco a Sassocorvaro, Anversa, Ancona, Villefranche-sur-Meuse, Acaya, Terra del Sole, Palmanova, Pavia, Malta e via sparando); Nord sud ovest est, le vie delle guerre europee del XVIII secolo (fra l’altro Narva, Bonn, Guastalla); Da Valmy a Waterloo, le vie delle guerre di Napoleone (e della sua Grande Armata); Da Ypres all’Isonzo, le vie della Prima guerra mondiale; Urbicidi premeditati, le vie della Seconda guerra mondiale (fra l’altro Varsavia, Belgrado, Londra, Coventry, Lubecca, Amburgo, Dresda, Rimini). Nessuno, una decina di anni fa, avrebbe scommesso un centesimo sul ritorno al combattimento nelle trincee come invece sta accadendo sul fronte russo-ucraino. La brace (militare) sta aspettando il suo momento per ardere ancora. Purtroppo. Tutte queste “vie” hanno allora forse un futuro e sono in parte, ormai e comunque, anche attrazioni turistiche. In fondo troviamo una pertinente breve nota bibliografica, ma non un indice di nomi e luoghi.

:: Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l’Antropocene di Domenico Amirante (Il Mulino, Bologna, 2022) a cura di Valerio Calzolaio

10 febbraio 2023

Pianeta. Gli ultimi decenni. Il diritto deve contribuire in maniera decisiva a rafforzare e a dar corpo alle istanze di tutela ambientale, ormai sempre più presenti nelle società contemporanee, e a superare quell’impasse culturale, politica ed economica che le ha costantemente frenate. Finora non ha raggiunto i risultati sperati, in particolare quello ambientale, collezionando una serie di sconfitte sui piani sia della repressione dei comportamenti dannosi sia della delineazione di un quadro normativo efficace (anche nello stimolare comportamenti virtuosi). Per riuscirvi occorre recuperare la dimensione biologica ed ecologica della vita dell’uomo sulla terra e nella terra, partendo dai testi aggiornati o da aggiornare delle costituzioni, dalla trasformazione in senso ambientale degli ordinamenti giuridici nazionali, da una svolta nelle agende politiche di parlamenti e governi. La nozione di Antropocene comporta un superamento oggettivo della distinzione natura-cultura, non si può più aprioristicamente escludere la possibilità di conferire personalità giuridica a elementi naturali, passando dall’individualismo liberale di stampo sette-ottocentesco al concetto di autonomia cooperativa della persona. Ci si sta provando: nel 2022 più di tre quarti degli ordinamenti mondiali riconoscono testualmente la tutela ambientale nelle proprie costituzioni (grazie soprattutto alla spinta propulsiva di molti paesi appartenenti al sud del mondo), la maggior parte degli altri li tutela attraverso la giurisprudenza delle proprie corti supreme. Un nuovo integrale costituzionalismo ambientale non può che constatare che le tre nozioni connesse all’individuale, al sociale e al biologico sono indissociabili: è una bella sfida per tutti.

Il bravo docente universitario napoletano Domenico Amirante disegna un interessante ricco atlante costituzionale comparato di diritto ambientale, che mostra e analizza le più importanti tendenze in atto a livello globale. Nel primo capitolo del bel volume l’autore spiega la metodologia di diritto comparato come bussola per la rivoluzione copernicana imposta dalla nozione di Antropocene. Nel secondo delinea i fondamenti del costituzionalismo ambientale come disciplina multilivello, opzione che consente di evitare i rischi sia dell’approccio universalistico e unificante del diritto internazionale, sia dell’estremo particolarismo e tecnicismo del diritto amministrativo. Nel terzo affronta i relativi percorsi storici, segnalando come siano protagonisti dell’attuale fase adulta molti testi costituzionali di Africa, America Latina e Asia, promulgati o fortemente emendati negli ultimi trent’anni. Nel quarto, anche con l’ausilio di tabelle riepilogative, esamina dettagliatamente i dati quantitativi e qualitativi, globali e accorpati per continente. Il quinto e ultimo capitolo individua le prospettive più innovative, dalle teorie sul costituzionalismo ecologico al nascente costituzionalismo climatico, concentrando l’attenzione sui paradigmi economici, politici e giuridici basati sui concetti di responsabilità e interdipendenza tra l’essere umano e la natura. Si nota talora (anche nelle note bibliografiche e nell’indice dei nomi) una certa approssimazione nei riferimenti alla cultura scientifica proveniente da quello che Amirante chiama “il mondo delle cosiddette scienze esatte”, evidente per esempio nell’idea che “in epoche passate gli esseri umani hanno vissuto in modo sostenibile, in armonia con la natura, rispettando i limiti dei confini planetari e delle regole ecologiche”, in cui si confermano giustamente i danni del modo di produzione degli ultimi secoli ma si rintraccia ancora poco delle culture evoluzionistica, biologica, ecologica, antropologica e demografica che hanno descritto la vita bipede per i milioni di anni delle specie umane e i centinaia di migliaia dei sapiens, nelle nicchie dei vari ecosistemi, globale e specifici. Parziale ma utile l’accenno (nella postfazione) alle recenti modifiche costituzionali italiane degli articoli 9 e 41, anche sulla base di una personale esperienza e competenza.

Domenico Amirante insegna Diritto pubblico comparato e Diritto dell’ambiente nell’Università della Campania «Luigi Vanvitelli» e Diritto ambientale italiano e comparato nell’Università Suor Orsola Benincasa. È stato membro del Comitato internazionale di esperti del Global Pact for the Environment e della Commissione ministeriale italiana per la riforma costituzionale dell’ambiente. Tra i suoi lavori «Ambiente e Costituzione» (Franco Angeli, 2000), «Diritto ambientale comparato» (Jovene, 2003), «La forza normativa dei principi» (Cedam, 2007). Con il Mulino ha pubblicato «India» (2007).

Source: libro del recensore.

:: La Campagna di Russia 1941-1943 di Maria Teresa Giusti (il Mulino, 2016) a cura di Daniela Distefano

30 aprile 2019

LA CAMPAGNA DI RUSSIA -Maria Teresa GiustiLa guerra in Russia, soprattutto, era la prova dell’impreparazione italiana, della leggerezza con cui era stata condotta dal regime, le sconfitte, la delusione per il fallimento della propaganda fascista, che aveva evocato facili vittorie contro uno stato sovietico impreparato, compromisero gli entusiasmi iniziali degli ufficiali italiani e l’adesione al progetto del fascismo”.

La campagna militare italiana in Russia durante la Seconda guerra mondiale è stata oggetto di pubblicazioni sin dal momento in cui i soldati italiani partirono per il fronte.
I primi scritti sull’argomento – quelli di regime – risalgono al 1941, con il giornale “L’Illustrazione Italiana” che dedicò diversi numeri al Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR). Da allora, tra monografie, raccolte di atti, diari e memorie, articoli su giornali e riviste, film, relazioni e tesi di laurea, sono stati realizzati oltre 1.700 documenti divulgativi.
L’autrice di questo testo compatto ha integrato la principale bibliografia esistente con una portentosa ricerca archivistica: Archivio Centrale dello Stato, Archivio dell’Ufficio Storico dell’Esercito, Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, quello diaristico di Pieve Santo Stefano e quello dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, solo per quanto concerne la parte di ricerca svolta in Italia, per passare poi al National Archives di Londra, ma soprattutto all’Archivio Statale della Federazione Russa, all’Archivio Centrale del Servizio Federale di Sicurezza della Federazione Russa, all’Archivio Centrale del Ministero della Difesa russo per quanto riguarda la parte di ricerca svolta fuori i confini nazionali. Le fonti russe sono state fondamentali per far luce su particolari inediti e per comprendere il punto di vista dei sovietici, il loro atteggiamento verso la guerra e i nemici, nonché verso il regime di Stalin. La scrittrice, conoscendo la lingua russa, ha potuto tradurre personalmente la documentazione analizzata, interpretandola con gli occhi di una storica.
Maria Teresa Giusti parte da lontano, dalla descrizione della situazione politica post-Grande Guerra, per immergere il lettore negli avvenimenti dei mesi precedenti al patto Molotov-Ribbentrop che il ministro degli esteri Galeazzo Ciano descrisse come “un colpo da maestri” dei tedeschi. Come si arrivò allora alla strappo fatale? Alla guerra disastrosa per l’Italia al fianco dei nazisti e contro il colosso russo?
Lo studio minuzioso e i commenti dell’autrice si spingono oltre le già note problematiche della mancanza di materiali ed equipaggiamenti idonei per affrontare il clima russo, facendo trasparire le inefficienze e le responsabilità di alcuni uomini di vertice, come quelle del generale Cavallero.

Il 28 gennaio 1943, mentre si consumava la tragedia del corpo degli alpini sul Don, “Il Duce continua a vedere abbastanza ottimisticamente la situazione in Russia. Crede che i tedeschi hanno uomini, mezzi, energia per dominare gli eventi e forse per capovolgerli”. Tale visione errata era frutto di un’illusione e anche la conseguenza delle informazioni che arrivavano al duce da Cavallero.(..). Questi fu sostituito il 30 dello stesso mese da Vittorio Ambrosio come capo di Stato Maggiore generale”.

Le vicende del CSIR prima e dell’Armata Militare Italiana in Russia (ARMIR) poi non furono limitate a ciò che accadde sul Don o attorno alla città di Stalingrado. Come messo in evidenza da Maria Teresa Giusti, la campagna di Russia si svolse anche lontano dai campi di battaglia.
Una figura molto presente in questo volume è quella del generale Giovanni Messe. Assieme a Mussolini, Hitler e Stalin, è il nome più ricorrente e con il suo La guerra sul fronte russo e il fondo Messe presso l’Archivio Storico dello Stato Maggiore Esercito, costituisce un valido punto di riferimento per la storia non solo militare della campagna di Russia. “La Campagna di Russia 1941-1943” (il Mulino) è un libro succoso, documentatissimo, che aiuta il lettore nell’analisi di eventi tragici e ancora oggi imperscrutabili e fornisce anche interessanti osservazioni della storiografia russa permettendo di considerare gli avvenimenti da diversi punti di vista.

Maria Teresa Giusti insegna nell’Università “Gabriele D’Annunzio” a Chieti. Ha conseguito i seguenti titoli:
– Dottorato di Ricerca in “Storia politica comparata dell’Europa. XIX e XX sec.”, XIV ciclo, presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bologna il 10 febbraio 2003, con la tesi dal titolo Italiani e tedeschi nei campi di prigionia militare in Unione Sovietica. 1941-1946.
– Laurea in Materie letterarie (indirizzo storico), conseguita il 9 luglio 1998 presso l’Università degli Studi dell’Aquila con la tesi dal titolo Rapporti tra Italia e Unione Sovietica. I prigionieri italiani nell’URSS durante la seconda guerra mondiale: dalla propaganda antifascista nei campi al rimpatrio.
– Laurea in Lingue e letterature straniere (I lingua russo, II lingua inglese), conseguita l’11/03/1988 presso l’Università degli Studi dell’Aquila, con la tesi dal titolo Garšin e la letteratura del dolore.

Source: Libro inviato dall’Editore. Rngraziamo Cristina e Cinzia dell’Ufficio Stampa “il Mulino”.

:: La vita e i giorni. Sulla vecchiaia di Enzo Bianchi (Il Mulino 2018) a cura di Nicola Vacca

23 aprile 2018

La vita e i giorniEnzo Bianchi ancora una volta ci dona tutta l’immensa sapienza del suo cuore semplice.
È da poco uscito per i tipi de Il Mulino La vita e i giorni. Sulla vecchiaia. L’ ex Priore della Comunità di Bose si avventura in un faccia a faccia con l’ultimo tempo della vita e dei suoi giorni racconta tutta la piena intensità.
Pagine poetiche e bellissime in cui il coraggio di invecchiare trova la sua forza in un’autentica vocazione all’attraversamento dell’esistenza.

«Mi è dunque naturale riflettere, – scrive Enzo Bianchi riferendosi soprattutto della sua esperienza – parlare con altri e scrivere su questa età che ormai vivo da tempo, anche se è sempre difficile calcolare gli anni. Età della vecchiaia? Sì, l’età in cui ci si addentra come in un paese straniero, in una terra di cui conosciamo solo poche cose. Della vecchiaia può parlare solo chi ne sa qualcosa, chi la attraversa»

Bianchi mette a disposizione del lettore i suoi attraversamenti e si confronta con la vecchiaia, che per lui è un tempo pieno che ha bisogno di un ascolto.
La vecchiaia, scrive Enzo Bianchi, non è un territorio, non è una situazione, ma è un passaggio, un’evoluzione, un movimento e dunque anche un divenire.
In questa meditazione sulla vecchiaia e sull’invecchiare, Bianchi non dimentica gli insegnamenti dei vecchi della sua terra che ringraziavano il giorno appena trascorso perché è comunque una grazia essere ancora vivi.

«Vivere in pienezza è lo scopo sufficiente per esprimere la gratitudine di essere stato messo al mondo».

Bianchi, davanti al corpo che tradisce, con queste pagine di poesia, di filosofia, ma soprattutto di straordinaria immanenza, rivolge un invito preciso a noi che lo leggiamo e che come sempre siamo catturati dall’autentica sapienza del suo pensare.
La vecchiaia con tutte le sue grandi ombre non va separata dalla vita. Dell’esistenza forse è il tempo più pieno e maturo in cui lasciare la presa significa anche esercitarsi all’incompiuto.

«Lasciare la presa – scrive Enzo Bianchi – non è lasciar cadere dalle mani nel pozzo la corda del secchio, ma un lasciare alcuni fili per stringerne con forza altri».

La vecchiaia è aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita, ci dice con gande saggezza Enzo Bianchi, invitando tutti noi davanti all’enigma della morte a cercare l’eternità qui, ora e oggi.

:: E se non fosse la buona battaglia? Sul futuro dell’istruzione umanistica di Claudio Giunta (il Mulino 2017) a cura di Daniela Distefano

6 febbraio 2018

Claudio Giunta - E se non fosse la buona battaglia

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L’insieme di saperi che chiamiamo umanistici è un patrimonio del quale appare assurdo volersi privare. In uno dei saggi raccolti in questo volume ricordo la magnifica definizione che Guido Calogero ha dato della cultura classica, “questo formidabile strumento di vita”. Come rinunciare ai “formidabili strumenti di vita” che sono la letteratura, la poesia, l’arte e il pensiero del passato?

I saggi e gli articoli racchiusi in questo libro in parte sono inediti e in parte usciti negli ultimi anni in volumi miscellanei, giornali, riviste, blog. L’autore li ha insaporiti con qualche aggiustamento, qualche revisione, lasciando inalterato il profumo di una visione di insieme fresca e focalizzata. Al centro del suo ragionamento, il fluttuare delle più disparate opinioni in merito alla opportunità di dare ossigeno alla cultura umanistica, perché

la crisi che attraversiamo oggi non è tanto un fatto di quantità quanto un fatto di qualità, cioè un vero e proprio mutamento di paradigma: la scomparsa della poesia anche dai radar dei letterati, la sostituzione del pop alla musica classica, il primato delle lingue moderne sulle lingue classiche, delle scienze applicate su quelle teoriche, delle materie tecniche come l’economia e la giurisprudenza sulle discipline speculative.

Forse non si tratta di una vera e propria inversione di civiltà, quella di un tempo navigante nell’oceano letterario, quella attuale immersa nella Rete delle connessioni tecnologiche. Forse non è neanche un baratto, uno scambio, una sostituzione. Meglio non appesantire il già saturo brogliaccio delle prese di posizione, ci sono gli esperti, gli studiosi, c’è un mondo che si arrovella per far in modo che emerga una cosciente verità:

ciò che importa non è creare degli specialisti, ma comunicare una certa idea del sapere.

Come agire allora? Imporre un nuovo decalogo scolastico? Introdurre nei programmi annuali anche i fumetti? Le vite dei Santi? Tralasciare lo studio dei Secoli bui?

A scuola bisogna sì parlare della letteratura come del nostro patrimonio storico, ma bisogna anche usare la letteratura per ciò che essa ha da dire su come dovremmo vivere la nostra vita(..).”Il rosso e il nero”, o “Orgoglio e pregiudizio”, o “Il giorno della civetta” parlano alla coscienza di un adolescente con una immediatezza e una verità che i capolavori del Medioevo non possono avere.

E internet, come ha cambiato il difficile mestiere dello scrittore e il piacere irrinunciabile del lettore?

Scrivere per il web non è come scrivere un articolo per un giornale di carta, e scrivere un articolo per un giornale di carta non è come scrivere un libro: è comprensibile che l’attenzione e la cura aumentino progressivamente, dal primo all’ultimo passaggio, a mano a mano che aumentano il tempo d’esecuzione e l’ipotetica ‘durata’ del testo. E’ un fatto però che la gran parte dei testi che si scrivono e si leggono oggi si scrivono e si leggono direttamente su uno schermo.

Un testo lucido, coerente, rigoroso e insieme appassionante per chi vuole approfondire il ventaglio delle irregolarità mentali che sopraggiungono quando dobbiamo affrontare il delicato tema dell’istruzione, e di quella umanistica in particolare. I nostri giovani vanno rispettati nelle loro acerbe declinazioni, senza però rinunciare a dar loro un insegnamento da portare in valigia nel viaggio verso un mondo adulto e – si spera – saggio.

Claudio Giunta (Torino, 1971) insegna Letteratura italiana all’Università di Trento, ed è uno specialista di letteratura medievale (La poesia italiana nell’età di Dante, il Mulino 1998; Due saggi sulla tenzone, Antenore 2002; Versi a un destinatario, il Mulino 2002; Codici. Saggi sulla poesia del Medioevo, il Mulino 2005). Nel corso dell’ultimo decennio è stato visiting professor, tra l’altro, nelle università di Chicago, Tokyo (Todai), Sydney, Rabat, e ha insegnato come volontario alla Asian University for Women di Chittagong, nel sud del Bangladesh. È stato fellow dell’American Academy di Roma, dello Harvard Center for Renaissance Studies di Firenze e del Warburg Institute di Londra. Ha insegnato Didattica della letteratura nei corsi del TFA e del PAS organizzati all’Università di Trento; e insieme ad altri insegnanti del Trentino ha curato un seminario dal titolo Cosa insegnare a scuola. I suoi ultimi libri sono: un saggio sul mercato dell’arte e la retorica connessa (Come si diventa ‘Michelangelo’, Donzelli 2011); un commento alle Rime di Dante (Meridiani Mondadori 2011); una raccolta di saggi sull’Italia (Una sterminata domenica. Saggi sul paese che amo, il Mulino 2013); un reportage sull’Islanda (Tutta la solitudine che meritate. Viaggio in Islanda, Quodlibet-Humboldt 2014), un libretto su Matteo Renzi (Essere #matteorenzi, il Mulino 2015), un romanzo noir (Mar Bianco, Mondadori 2015), un manuale-antologia di letteratura per il triennio delle scuole superiori (Cuori intelligenti. Mille anni di letteratura, 4 volumi, Garzanti Scuola 2016). Collabora regolarmente al “Sole 24 Ore” e a “Internazionale”. Condirige la “Nuova rivista di letteratura italiana”.

Source: Libro inviato dall’Editore al recensore. Ringraziamo l’ufficio stampa il Mulino.

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