Posts Tagged ‘Giovanni Zucca’

:: Recensione di Viva la muerte! di André Héléna (Aisara, 2012) a cura di Giulietta Iannone

29 luglio 2012

Viva la muerte! (J’aurai la peau de Salvador, 1949) è un bellissimo e amaro noir di André Héléna, pubblicato da Aisara e tradotto dal francese da Giovanni Zucca.
Ambientato in Spagna durante la Guerra Civile, e subito dopo l’avvento di Franco, e scritto qualche anno prima di Massacres à l’anisette (1955), altro noir di Héléna con ambientazione spagnola, ha per protagonista Josè Ruiz un delinquente di strada abituato sin da ragazzo a cavarsela con espedienti, furti e piccole rapine.
Nel prologo assistiamo all’incontro di Josè con un uomo in un bistrot di esuli di Montmartre.
Sarà per nostalgia, sarà per l’alcool, Josè inizia a raccontare allo sconosciuto la sua vita, la sua giovinezza in Spagna, il suo amore tormentato per Conchita, il suo odio per Salvador, un ex complice di una rapina al Banco de España scappato con buona parte del bottino.
Viva la muerte! è infondo la storia di una vendetta perseguita come unica ragione di vita da un uomo che infondo ha perso tutto, non in ultimo l’amore di Conchita, suo grande amore adolescenziale, divenuta proprio la donna di Salvador.
E’ la storia narrata in prima persona di un uomo votato alla solitudine nella più autentica tradizione noir.

Ero come un lupo solitario che vaga, d’inverno, nei boschi ormai spogli. Non può avvicinarsi a niente e a nessuno. Qualunque essere incontri, è un nemico. E’ votato alla solitudine. Era proprio così. Ero condannato a restare solo. In trincea contro il mondo, un indesiderabile, un uomo da abbattere, un lupo rabbioso. Insomma, niente per cui essere contenti e rendere grazie al Cielo.

Amarezza, melanconia, disincanto si uniscono ad un soffio poetico che quasi stride con il linguaggio duro, basso, anche volgare sicuramente inconsueto per il periodo in cui fu scritto.
La modernità di Héléna è senz’altro la caratteristica più rilevante e quasi sconcertante. Pensare che questo libro fu pubblicato nel 1949 lascia in effetti una sensazione di stupore misto a meraviglia.
L’abilità con cui alterna il registro sentimentale e poetico a riflessioni amare e non prive di un certo cinismo, pensiamo solo alle considerazioni che fa fare al protagonista sulle donne, velate di pura misoginia, è senz’altro la cifra distintiva del suo stile personale e originale che gli ha fatto giustamente guadagnare il titolo di Prince Noir.
Non ci sono ideali politici a nobilitare i comportamenti dei personaggi: Josè quasi per caso si unisce a degli anarchici, Salvador per interesse diviene falangista.
Héléna non ammanta la storia di retorica comune, e lo si nota specialmente nel suo antimilitarismo dichiarato che gli fa dire frasi lapidarie come:

appena un uomo ha una divisa addosso, diventa un malvivente.

Per gli appassionati di Héléna e del noir, da non perdere.

André Héléna, autore maledetto, dalla personalità controversa, considerato uno dei maestri del noir francese, scrive centinaia di romanzi molti dei quali sotto pseudonimo. Nato nel 1919 a Narbonne, si trasferisce giovanissimo a Parigi, partecipa alla guerra civile spagnola e, sul finire della seconda guerra mondiale, nel 1944 si unisce per un breve periodo alla Resistenza. A causa di una banalissima vicenda di debiti e firme false finisce per qualche mese in carcere, esperienza che avrà una grande influenza nella sua produzione letteraria. Si guadagna da vivere passando da un lavoretto all’altro (non ultimo il rappresentante di insetticidi…) e, a quanto si racconta, vende anche i propri libri porta a porta. Nel periodo a cavallo fra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta raggiunge un considerevole successo. Nel 1972, minato dall’alcolismo, muore a 53 anni.

:: Recensione di La teoria dell’1% di Frédéric H. Fajardie a cura di Giulietta Iannone

18 dicembre 2011

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Se Parigi, con la sua gigantesca periferia grigia e anonima, faceva da sfondo ad Assassini di sbirri neo-polar di esordio di Frédéric H. Fajardie, in La teoria dell’1%,  seconda avventura di Tonio Padovani il commissario di origini italiane più improbabile di tutta la letteratura noir francese e non solo, ci troviamo nel bel mezzo del mese di settembre del 1979  in Normandia, nella quieta e amena campagna intorno a Pourceauville, terra del calvados, del livarot, della sigaretta papier mais che fa vomitare, delle vacche da latte e delle mosche da merda. Sopravvissuto quasi per miracolo al Grand Guignol di fuoco e proiettili con cui terminava il precedente romanzo il nostro anarchico commissario con il braccio sinistro semi-paralizzato, la gamba destra più corta di due centimetri, le decine di cicatrici e ovunque le schegge di vetro e di acciaio trascorre i suoi giorni a godere la pace della campagna con la sua Francine e il suo cane Tip-Toe quando all’improvviso si ritrova impantanato in una miserabile vicenda di delitti campagnoli. L’uomo nero, con il volto deformato da una calza di nylon, un mantello nero, un cappello simile a quelli usati dai filibustieri e dagli chouan del XVIII secolo e con sulla spalla, per colorire il quadretto, niente di meno che una falce si aggira per la campagna a mietere vite riproponendo un raccapricciante rituale che trae le sue origini, particolari macabri compresi, addirittura da fatti avvenuti al tempo dello sbarco del D day. Padovani si attacca al telefono, chiama lo Zio, chiede rinforzi e si fa spedire la sua sgangherata squadra al completo: Primmerose, un Pierre Bellemare ingenuo , un po’ minchione, allegro e sognatore: un Pierre Bellemare irreale insomma, Mamadou, una specie di Burt Lancaster africano, e in aggiunta Hautes Etudes, il mini commissario in prova di cui curare la formazione. Riuscirà il nostro commissario a risolvere il caso e a fermare questa strage che ha tanto il sapore di una vendetta? Non c’è manco da chiederselo. Fajardie costruisce una storia decisamente dissacrante, va a colpire proprio un nervo dolente della storia francese, le carognate e le codardie commesse durante l’occupazione nazista dai collaborazionisti che finita la guerra dettero alle fiamme gli archivi tedeschi che testimoniavano tutte le loro azioni per addirittura spacciarsi per appartenenti alla Resistenza. Su questo grumo oscuro Fajardie delinea un‘indagine poliziesca sui generis, con stile e ironia, riuscendo a divertire e sfiorando addirittura la comicità in alcune battute folgoranti che seppure con amarezza fanno ridere con le lacrime agli occhi. Grande traduzione di Giovanni Zucca. Imperdibile.

Frédéric H. Fajardie (nato il 28 agosto 1947 a Parigi e morto il  primo maggio a Parigi) è stato uno scrittore e sceneggiatore francese. Nell’ agosto del 1979 pubblica il suo primo romanzo  Assassini di sbirri, un adattamento molto libero dell’Orestie, un mito dell’antica Grecia. È all’origine di un nuovo genere letterario, il neo-polar, riconosciuto dal critico Max-Pol Fouchet.

Source: libro inviato dall’editore. Ringraziamo l’Ufficio Stampa “Aisara”.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: Recensione di Assassini di sbirri di Frederick H. Fajardie (Aisara Edizioni 2011) a cura di Giulietta Iannone

8 aprile 2011

1Me ne andrò a coltivare cavoli insieme a Francine e a Paic Lavatrice, lontano da questo disastro, lontano da quella che chiamano “felicità”.

Assassini di sbirri è il primo romanzo di Frédéric H. Fajardie scritto tra Mimizan e Parigi durante l’estate e l’ autunno del 1975. Breve e folgorante esordio di uno dei rappresentanti del cosiddetto neo polar francese, etichetta che si dice sia stata coniata da Jean Patrick Manchette per definire un vero e proprio punto di rottura sociale e letterario tra romanzo noir sociale e romanzo poliziesco e thriller tout court, Assassini di sbirri racchiude in sé tutti gli elementi che caratterizzano questo genere. Innanzitutto troviamo una forte critica sociale, un certo anarchico e sovversivo disincanto che fa da sfondo ad una storia in cui la violenza realistica e non mitigata da filtri emotivi e di intrattenimento acquista una valenza provocatoria e cattiva. La gente muore in questo romanzo, torturata, umiliata, colpita da armi di vario genere, le ferite vanno in cancrena, nello scontro a fuoco finale molto alla Apocalipse Now, anche i personaggi principali vengono colpiti da bombe molotov ed esplodono incendiandosi, o perdendo arti, crivellati di colpi, dilaniati. Spero con quanto detto di non dare una visione troppo cupa, del racconto perché così non è, un sottile umorismo e una satira feroce ci accompagnano per tutte le 125 pagine e in alcuni tratti l’umorismo tracima in vera e propria comicità, pensate solo alla descrizione pagina 101 di Padovani che va in casa della vecchia signora che lo crede un robivecchi e gli presenta la gondola di plastica da vendere. Ho riso con le lacrime agli occhi. La società e le forze di polizia vengono analizzate con occhio critico e nessuno sconto. Nella scena iniziale quando Padovani partecipa alla sua prima azione con ostaggi e riesce a parlare con l’uomo scatola di detersivo Paic, arrivando a farlo arrendere e a farsi consegnare l’arma, l’intervento ormai inutile e violento delle forze d’assalto che lo uccideranno provocando la rivolta del commissario e il suo scontro verbale con il superiore sono un esempio della critica di Fajardie contro arroganza e l’abuso del potere tema che occhieggia per tutto il libro anche se non arriverà mai a giustificare l’azione dei tre assassini di sbirri contro cui il protagonista si dibatte. Poi c’è Parigi come sfondo, la città con le sue strade, i suoi caffè, i suoi chioschi dei giornali, la sua periferia rumorosa in mezzo all’odore di cavoli e pollame, le grù, il cemento, i palazzi e le fabbriche. Infine emerge l’amore per gli emarginati. Il personaggio di Dugomier burp, il testimone, una via di mezzo tra gli ammutinati della Corazzata Potemkin e i barboni allucinati di Los Olvidados, strappa a Padovani un commovente e poetico elogio funebre sicuramente una pagina di alta letteratura. Raccontare più nel dettaglio la trama in questo caso mi sembra piuttosto superfluo, considerate che è un libro che si legge in poche ore e lascia un retrogusto un po’ amaro ma divertito. I giochi di parole sono tutti spiegati nelle note ed impreziosiscono uno stile  essenziale e secco, quasi tagliente e sincopato. Bellissimo. Spero che il bravo Giovanni Zucca a cui è affidata la traduzione possa tradurre altre opere di Fajardie, questa è la prima che leggo ma sono curiosa di leggere tutta serie di Padovani.

Assassini di sbirri di Frédéric H. Fajardie, Aisara Edizioni, Collana narrativa, Titolo origilane Tueurs de flics, Traduzione dal francese di Giovanni Zucca, pagine 125, brossura, Prezzo di copertina 14 Euro. 

:: Recensione di Divieto di soggiorno di André Héléna a cura di Giulietta Iannone

10 marzo 2011

1Cinematograficamente parlando André Héléna non fu quasi per nulla fortunato. Il suo amore per il cinema nato in un primo tempo dalle sue collaborazioni con la radio non fu ricambiato nonostante i suoi vani tentativi portati avanti quasi con disperata ostinazione. Non che non ci furono progetti cinematografici, anzi anche il grande Jean-Pierre Melville si interessò e progettò di girare alcuni film dalle sceneggiature che André Héléna avrebbe scritto tratte dalle sue opere ma per motivi oscuri, presumo per motivi di budget, ma non escludo anche divergenze artistiche tra il regista e Héléna,  tutto si impantanò e lo stesso avvenne con il meno famoso Jean Rollin.
Addirittura ci fu un adattamento del suo romanzo più famoso Il sapore del sangue di Marcel Blistène che rimase però unicamente sulla carta anche se erano arrivati a scritturare già il cast che comprendeva attori di prima grandezza come Alain Bouvette e Armand Mestral.
Unica eccezione fu Interdit de sejour di Maurice De Canonge uscito a Parigi il 26 gennaio del 1955 e in Italia con il titolo Aggressione Armata di cui André Héléna scrisse il soggetto e la sceneggiatura assieme a Simone Sauvage in collaborazione con il dialoghista Andrè Tabet. Non tutto andò liscio comunque e infatti la sceneggiatura originale fu rimaneggiata e adattata da Albert Simonin e Jean Rossignol che si occuparono di renderla più politicamente corretta e meno dura, per esempio il personaggio di Suzy che nella sceneggiatura originale era un prostituta venne promossa ad entraineuse, il linguaggio venne depurato.
Questa limitazione della sua libertà artistica fu accettata da André Héléna con una certa insofferenza ma non avendo scelta, viste anche le precedenti fallimentari esperienze, non si oppose più di tanto anche se l’anno seguente sempre con la collaborazione di Simone Sauvage, pubblicò la versione letteraria di Interdit de sejour e riprese molti elementi della sceneggiatura originale con alcune sostanziali modificazioni che resero la storia “indurita” e “incupita” come scrive Michel Marmin nella prefazione dell’edizione francese Laceranti istanti di felicità nella notte del destino che appare come postfazione nella versione italiana Divieto di soggiorno pubblicata nel maggio del 2010 da Aisara e tradotta da Barbara Anzivino.
La trama resta per lo più identica e incentrata su alcuni temi cardine come la polemica contro i metodi assai discutibili che la polizia utilizzava per combattere il crimine, il divieto di soggiorno, e il ruolo degli informatori che in un certo senso ne è conseguenza. E’ forse il romanzo più tragico e romantico di Héléna. Si narra infatti la storia di due giovani amanti parigini Simon Langlois e Suzy il cui amore sfortunato si scontra e inevitabilmente viene sconfitto dal Destino e dalle perverse leggi fatte di sopraffazione e violenza che regolano sia gli ambienti della Malavita che della polizia incaricata di perseguirla.
Simon e Suzy, che in maniera paradossale Héléna porta il lettore ad invidiare per la loro capacità di essere felici non ostante tutte le condizioni siano avverse, in fondo sono due anime semplici, hanno aspirazioni modeste, sognano un piccolo paradiso borghese, una guinguette in riva alla Marna, con una spiaggia davanti alla porta, una casa ammobiliata con sei stanze da affittare.
Il tema dell’innocente ingiustamente accusato e perseguitato dalla polizia viene portato alle estreme conseguenze e amplificato e reso più crudele dalla presenza costante di una felicità irraggiungibile che scintilla e quasi la si tocca, ma sempre sfugge.
Mentre il personaggio di Suzy, dolce, generosa, romantica, tenera, un po’ patetica conserva una certa immutabilità e mi ha ricordato il personaggio di Irma la douce (piece francese in due atti di Alexandre Breffort del 1956 praticamente lo stesso anno e ripresa poi nel 1963 da Billy Wilder non come musical ma come film con Shirley MacLaine come protagonista), quello di Simon si evolve durante la narrazione. Iniziamo infatti a conoscere un giovane timido, ansioso, sincero, innocente, ingenuamente innamorato di una donna che non sa essere una prostituta, con il suo onesto lavoro di incastonare in un laboratorio di orefice, orgoglioso dei suoi settanta bigliettoni al mese, cifra ridicola agli occhi di Paulo il corso, il delinquente, l’assassino, il tentatore che ha già in mente come utilizzare il giovane per uno dei suoi colpi.
Naturalmente il colpo va male e Simon viene coinvolto mentre inutilmente cerca di dimostrare la sua innocenza. E’ l’inizio della sua discesa all’inferno, forse veramente iniziata quando qualcosa era morto in lui nell’attimo che aveva scoperto quale fosse in realtà il mestiere della sua amata.
Da questi punti cardine la discesa è inevitabile, Simon perde la sua innocenza e si trasforma volente o nolente in un delinquente anche non essendolo e per lo più in un infame informatore, dopo il ricatto del commissario Chenier che del personaggio probo e difensore della legge conserva solo le spoglie.
L’epilogo tragico non può che essere un’inevitabile conseguenza. Sullo sfondo la Parigi dei bistrot, dei caffè, degli alberghi dimessi e nello stesso tempo dignitosi, descritta con lampi folgoranti e poetici nelle sue varie stagioni, nelle luci notturne e malinconiche, sotto la pioggia e sotto il sole.

André Héléna (Narbona, 8 aprile 1919 – Leucate, 18 novembre 1972) è stato uno scrittore francese. Nacque a Narbonne, nel sud della Francia, nel 1919. Nel 1944, a soli diciassette anni, pubblicò la sua prima raccolta di poesie intitolata Le Bouclier d’or e fondò la rivista di poesia «Le Poterne», ma a causa di alcune illegalità nella vendita degli abbonamenti finì in carcere. I sei mesi di reclusione saranno propizi per la stesura del suo primo romanzo, Les flics ont toujours raison, pubblicato nel 1949. Héléna scrisse poi undici romanzi nel 1952, diciotto nel 1953, dieci ancora nel 1954. In totale, in trent’anni di carriera, Héléna scrisse duecento romanzi. Tra questi si ricordano soprattutto Le goût du sang (1953) e Les clients du Central Hôtel (1960) che gli valsero i maggiori riconoscimenti. Nel 1955 dal suo Interdit de séjour viene tratto un film per il cinema diretto da Maurice de Canonge. Dimenticato dai contemporanei, Héléna morì nel 1972. (Fonte wikipedia).

:: Recensione di Vita dura per le canaglie di Andrè Héléna (Aisara 2010) a cura di Stefano Di Marino

30 agosto 2010

vita dura per le canaglieSembra di vederlo ancora Lino Ventura nei panni di Maurice, simpatica canaglia che per vendicarsi del tradimento della sua ‘bella’ spara a lei e al suo amante, facendo secco anche un altro personaggio che si trova sulla sua strada in piena Parigi occupata dai Nazisti. Disgraziatamente il ganzo della fanciulla è un collaborazionista e l’altro morto accoppato fa parte della struttura spionistica dei tedeschi. Così comincia una fuga disperata verso non si sa bene dove, sempre con la pistola in pugno, coinvolgendo un amico e altri personaggi incontrati per strada. Coincidenze, colpi di scena, un’azione che non si ferma mai e porta il nostro a diventare un sicario per la resistenza. Con una ambiguità personale di fondo che  porta Maurice a camminare sul filo della sua convenienza e il patriottismo scoperto. Conoscevo già Héléna, autore prolificissimo, forse a torto (o magari anche con qualche ragione…) accusato di non star troppo a lambiccarsi sulle trame o quantomeno sulla pagina pur di dar sfogo alla sua creatività. Siamo della stessa gang, alla fine… Scherzi a parte l’ottima traduzione di Zucca, appassionato cultore del filone, rende tutta la canagliesca energia di questa storia che, rispetto ad altre dello stesso autore, ha un respiro (e troverà anche un seguito di prossima pubblicazione… in Il festival dei cadaveri) che le conferiscono un sapore epico. Proprio come quei vecchi film che ci piacevano tanto anni fa… Un modo di scrivere il nero europeo con vigore, passione e una strafottenza buscaglionesca che se la ride di certe correttezze politiche che, oggi, non fanno altro che legare mani e piedi a eroi che hanno bisogno di sganassoni e faccia dura per sopravvivere e appassionare.

André Héléna, autore maledetto, dalla personalità controversa, considerato uno dei maestri del noir francese, scrive centinaia di romanzi molti dei quali sotto pseudonimo. Nato nel 1919 a Narbonne, si trasferisce giovanissimo a Parigi, partecipa alla guerra civile spagnola e, sul finire della seconda guerra mondiale, nel 1944 si unisce per un breve periodo alla Resistenza. A causa di una banalissima vicenda di debiti e firme false finisce per qualche mese in carcere, esperienza che avrà una grande influenza nella sua produzione letteraria. Si guadagna da vivere passando da un lavoretto all’altro (non ultimo il rappresentante di insetticidi…) e, a quanto si racconta, vende anche i propri libri porta a porta. Nel periodo a cavallo fra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta raggiunge un considerevole successo. Nel 1972, minato dall’alcolismo, muore a 53 anni.