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:: I vermi conquistatori, Brian Keene (Edizioni XII, 2011) a cura di Giulietta Iannone

22 marzo 2011

vermiRicordo una breve poesia di Robert Frost, forse tra le sue più famose, intitolata Fire and ice, Ghiaccio e fuoco, i cui primi versi dicono:

Alcuni dicono che il mondo finirà nel fuoco/ altri dicono nel ghiaccio.

Ecco a questi versi ho pensato iniziando la lettura di I vermi conquistatori di un maestro dell’ horror americano come Brian Keene, per la prima volta tradotto da Luigi Musolino e pubblicato in Italia da Edizioni XII.
Brian Keene per qualche imperscrutabile ragione è un nome che dirà a molti poco o niente, ma negli Stati Uniti è uno dei massimi autori del fantastico acclamato dalla critica e vincitore di due Bram Stoker Award e uno Shocker Award, erede dei vari King, Barker, Koontz, Matheson, Simmons.
Edizioni XII ha finalmente colmato questa colpevole lacuna segnalata da molti appassionati del genere che fino ad oggi potevano apprezzare il suo lavoro unicamente in lingua originale.
I vermi conquistatori è diciamolo subito un piccolo capolavoro venato di humour lontano mille miglia dal solito trash horror made in Usa. Prende sì a piene mani dal genere pulp o splatter ma evita accuratamente i cliché e gli stereotipi, per fare dell’ originalità un specie di emblema, inserendo tutti gli elementi dell’immaginario fantastico classico, nati dal folklore e dalla mitologia, e plasmandoli con audacia e inventiva.
Ritornando ai versi di Frost di apocalisse si parla. Di una fine del mondo segnata dall’acqua e dalle fantastiche creature marine che la popolano oltre che da giganteschi e voraci vermi mossi da una misteriosa sete di conquista incarnazione di tutte le più striscianti paure che si insinuano negli abissi dell’inconscio.
Keene non cerca una ragione scientifica per questa incessante pioggia che cade dal cielo come una maledizione portandosi via intere città, interi stati con i suoi inermi abitanti sopraffatti e annegati. Accenna sì al buco dell’ozono e allo scioglimento dei ghiacciai, ma non si preoccupa più di tanto di dare logica o verosimiglianza agli eventi. E’ un evento straordinario, quasi magico, forse evocato dalle potenze occulte e malvagie che dominano incontrastate questo mondo e ciò ci basta. Accettiamo l’inevitabile con una sorta di fatalismo e iniziamo a seguire le sorti dei pochi sopravvissuti domandandoci incerti per quanto tempo lo saranno ancora prima che l’ultimo uomo affoghi il suo grido disperato nelle acque nere e melmose che sommergono tutto e l’umanità diventi una razza estinta.
Protagonista principale e voce narrante è un arzillo vecchietto di campagna Teddy Garnett, vedovo ottantenne ancora innamorato della moglie Rose, morta di polmonite qualche anno prima. Dopo aver ostinatamente rifiutato l’invito della Guardia Nazionale a lasciare la sua casa a Punkin’ Center in cima agli Appalachi e i suoi ricordi vive solo in attesa della fine. Pian piano si uniscono a lui altri personaggi, sopravvissuti alla catastrofe, Carl Seaton il suo migliore amico, Earl Harper il vicino di casa pazzo come un cavallo, Sarah una ragazza dai lunghi capelli biondi, Kevin Jensen di Baltimora, del quale Teddy racconta la storia nel capitolo centrale del romanzo. E così veniamo a conoscenza di una setta di Satanisti, di un kraken, di una sirena, di giganteschi lombrichi che scavano voragini capaci far sprofondare case.
Nella disperata lotta per la sopravvivenza che ne segue i vermi assumono il ruolo principale strappandolo ai protagonisti umani che sbiadiscono quasi sullo sfondo. Sono loro gli eroi, forza cieca e imbattibile, dominatori di una natura ostile dove vige la legge del più forte e l’uomo non è altro che una tacca nello stadio evolutivo nulla più destinato ad estinguersi come i dinosauri. Che questi vermi siano il frutto di qualche manipolazione genetica, extraterrestri o esseri preistorici risvegliatisi dopo un letargo di millenni, non lo si saprà mai ma sicuramente focalizzano la paura atavica insita nell’ uomo per quanto civilizzato o capace di credersi invulnerabile.
La creatività di Keene spazia davvero senza limiti  e soprattutto il velo di umorismo è la parte che mi ha divertito di più, anche nei momenti più drammatici basta solo pensare a quando descrive l’uomo delle previsioni del tempo che si suicida in diretta durante la trasmissione che annuncia pioggia, pioggia, e ancora pioggia o a quando fa la stessa cosa Mark Berlitz il d-jey di una radio sgangherata.
Per darvene un saggio vi cito questo brano:

La stazione radio AM di Roanoke aveva continuato le trasmissioni all’incirca fino alla quarta settimana. Mark Berlitz, il conduttore maniaco di teorie della cospirazione e sempre pronto a discorsi di estrema destra, aveva vegliato in solitaria incollato al microfono. Devo ammettere che sono rimasto ad ascoltare in una sorta di orribile incantesimo la sanità mentale di Berlitz che si sgretolava a causa dell’isolamento in quella stanzetta. La sua ultima trasmissione finì con un colpo di pistola nel bel mezzo di Big Balls in Cow-town, una vecchia canzone bluegrass dei Texas Playboys ( un peccato, perchè mi è sempre piaciuta la loro musica). Il pezzo terminò due minuti dopo, poi ci fu solo silenzio.

I vermi conquistatori è sicuramente a buon diritto da inserire tra i capisaldi del genere. Consigliato anche a chi considera l’horror solo unicamente letteratura per ragazzi. Avranno di che ricredersi.

Brian Keene nasce nel 1967 e cresce in Pennsylvania e West Virginia, dove ambienterà la maggior parte dei suoi libri. Autore molto prolifico, ha pubblicato 14 romanzi e svariate antologie in circa dieci anni di attività. Ha vinto due prestigiosi Bram Stoker Awards: nel 2001 con Jobs in Hell e nel 2003 con The Rising; e uno Shocker Award, con  Sympathy for the Devil  nel 2004.
Edizioni XII è il primo editore a proporre una sua opera in italiano. L’autore ha fin da subito espresso il suo entusiasmo per il traguardo raggiunto.

I vermi conquistatori di Brian Keene, Edizioni XII, collana Eclissi, Traduzione di Luigi Musolino revisione di Daniele Bonfanti, titolo originale The Conqueror Worms, 2011, pagine 309, brossura, Prezzo di copertina Euro 15,00.

:: Intervista a Daniele Bonfanti editor-in-chief per Edizioni XII

22 Maggio 2010

Benvenuto Daniele su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato questa intervista. Come tradizione iniziamo con le presentazioni. Parlaci di te, dei tuoi studi, dei tuoi hobby, del tuo lavoro; raccontaci quali sono i tuoi pregi e i tuoi difetti.

Grazie mille dell’invito. Vediamo…
Vivo in un posto nascosto tra Lecco e Bergamo, con mia moglie (sempre il primo dei miei interessi), una figlia e mezzo, molti gatti, diversi rettili. Poi, a parte la lettura, che è comunque sempre e anche un hobby, oltre che un lavoro (per fortuna), mi piacciono alcuni videogiochi e alcuni serial, gli sport avventurosi, la montagna, la cucina, i viaggi. Poi c’è la musica – dall’opera, in particolare, al death metal – che fa parte di me e della mia vita in maniera viscerale.
Dopo il liceo scientifico ho frequentato filosofia, ma brevemente per chiara incompatibilità con l’ambiente universitario; nonché per altre scelte, per me prioritarie, che richiedevano tempo e dedizione. Ho svolto vari lavori “fisici” (dal muratore al saldatore al boscaiolo) e sono stato maestro di kayak; ho studiato e studio per conto mio dedicandomi agli argomenti che più mi interessano, dalla semiotica all’archeologia.
Il mio lavoro debbo ancora ben capirlo. In ogni caso direi che mi occupo di testi scritti, in maniera molto varia.
I pregi, be’, lasciamoli dire agli altri (ehi, cos’è questo silenzio?). Difetti: sono troppo perfezionista, faccio troppo, impiego troppo per alzarmi dal letto, sono pessimo a trovare le cose.

Vivi in una vecchia e strana casa, isolata nel bosco, infestata dai fantasmi a quanto ho sentito. Ti occupi di ufologia, hai un sesto senso per il mistero e le leggende. Sarai d’accordo con me che questo fa di te una persona per lo meno singolare. Coltivi questa passione per l’occulto fin da bambino o è una vocazione tardiva? In tutta sincerità pensi davvero che fantasmi e alieni esistano?

Sì, direi fin da bambino, sono sempre stato affascinato dai buchi nella scienza e nella storia, dai margini della conoscenza, dove diventa difficile distinguere la realtà; e occorre immaginare. Credo sia un’inclinazione naturale, per me. Curiosità. Se mi trovo a un bivio scelgo sempre la strada meno battuta (e più rischiosa, probabilmente).
Sono sicuro che i fantasmi esistono (anche per esperienza diretta), ma non credo siano le anime dei morti; sugli alieni, la probabilità che non esistano è scientificamente trascurabile, viste le dimensioni dell’universo (spesso, mi pare, guardando il cielo di notte ci si dimentica di cosa siano davvero tutti quei puntini luminosi). E la teoria della complessità. Sarebbe ingenuo (e presuntuoso) pensare che l’uomo sia l’unica forma di vita senziente. Molto più delicato e discutibile se gli alieni siano collegati al fenomeno degli UFO – ovvero se sono arrivati nelle vicinanze della Terra; anche se le prove a favore non sono poche.

Editor, scrittore, giornalista, pianista, compositore, campione di kayak e cultore di sport estremi, diciamo che sei una persona molto versatile e difficilmente ti annoi. Dove trovi il tempo e l’energia per fare tutto?

Bevo molto caffè.
E, a parte questo, credo abbia ragione Seneca, quando afferma: “Non é vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto”. Quindi cerco di “non perderne”; di concentrarmi solo sulle cose che mi interessano davvero, tagliando senza pietà tutto il resto. Molto difficilmente impiego tempo in qualcosa se non è (per me) importante. Poi è ovvio, non riesco a fare tutto ciò che vorrei avendo tanti interessi: ma pazienza. L’importante è riuscire a dare le giuste priorità, così se non riesco a fare qualcosa è perché ho fatto qualcos’altro a cui tenevo di più.

Sei tra i fondatori dell’associazione culturale XII. Puoi parlarci di questa associazione? Come è nata? Che progetti persegue?

L’associazione culturale XII è nata, in sostanza, come laboratorio letterario aperto. Lo scopo principale è portare avanti iniziative di scrittura e discussioni, e costituire un luogo d’incontro e confronto per autori, lettori e appassionati. È diventata la struttura alla base di Edizioni XII.

Editor-in-chief per Edizioni XII. In cosa consiste in effetti il tuo lavoro, di cosa ti occupi principalmente? Puoi raccontarci una tua giornata tipo in casa editrice?

In generale sono responsabile del processo di editing (che svolgo direttamente oppure supervisionando e organizzando il lavoro di collaboratori, ecco perché “in-chief”) di tutti i libri, ovvero il mio scopo è che dal dattiloscritto originale, così come viene proposto dall’autore, si ottenga il maggior potenziale possibile collaborando con l’autore stesso.
In pratica si assiste l’autore nel perfezionamento del suo lavoro, attraverso la discussione di interventi strutturali e stilistici.
Poi mi occupo dei testi di corredo (risvolti, quarte, che non necessariamente stendo io, ma coordino i lavori) e del coordinamento della realizzazione dell’oggetto-libro in generale, mettendo il naso in tutte le fasi del processo e interfacciandomi con i rispettivi responsabili.
Il mio è un po’ come il lavoro del meccanico (e infatti si parla di “revisione”), a cui porti l’auto prima di fare un lungo viaggio, perché si accerti che tutto sia in ordine, cambi l’olio, il liquido dei freni e tutto il resto. E magari gli dà anche una bella pulita.
Giornata-tipo (ma come puoi immaginare c’è moltissima elasticità, perché le scadenze cambiano, piovono addosso, si accumulano da un giorno all’altro): alla mattina mi occupo della corrispondenza (compresi social network e così via), dell’amministrazione di ciò che mi compete e del lato organizzativo. Oppure ci sono appuntamenti con autori, collaboratori, tipografo… Al pomeriggio lavoro sui testi dalle 14.00 alle 17.00, oppure studio, o scrivo articoli. Da lì in poi mi dedico a scrivere le sciocchezze mie di narrativa.

six-shots-cover-smallEdizioni XII è una casa editrice giovane molto interessante. Avete in catalogo nomi di tutto pregio. Come è nata Edizioni XII? Quali sono i suoi progetti per il futuro?

Nasce come naturale conseguenza dell’associazione, costituita com’era (e come è) da un gruppo di autori e giornalisti con esperienze molto diverse ma con l’idea condivisa di fare editoria di genere che mirasse alla massima qualità del libro senza trascurare alcun dettaglio; immune alle mode, puntando soprattutto su autori italiani, osando e cercando il nuovo. Dopo un rodaggio durato un paio d’anni, in cui ci siamo consolida
ti nell’underground e ci siamo creati una base di lettori fedeli, dall’autunno 2009 stiamo lavorando a pieno regime (in realtà, stiamo lavorando in overdrive, per costituire una base forte di catalogo). Per il futuro: continuare su questa strada, che ci sta dando grandi soddisfazioni, crescendo sempre più. Continuando sia a coinvolgere autori di grande prestigio, sia italiani che stranieri, così come giovani di talento e nomi noti nell’underground, e scoprendone-lanciandone di esordienti.

Cosa ne pensi nel mondo editoriale italiano? Pensi sia una realtà statica o in netta evoluzione?

Permettimi di riciclare senza pudore una risposta data in un’altra recente intervista, visto che la domanda è la stessa (e per fortuna non ho ancora cambiato idea!):
“L’editoria italiana è soprattutto troppa. Ci sono più scrittori e editori che lettori. A parte rare, pregevolissime eccezioni (che ci sono, sia tra i grandi che tra i piccoli editori; si possono elencare in pochi secondi, ma ci sono e sono tenaci!): la qualità media è infima; il mercato corrotto; la disonestà tentacolare; la serietà un optional; i professionisti malpagati; la professionalità rara; l’incompetenza un totem; la superficialità imbarazzante a ogni livello; i giovani sfruttati e ingannati; la progettualità una strana parola; la lungimiranza sconosciuta e forse anche un po’ temuta. Italian style, 100%”.
Aggiungo invece in senso positivo: che ho fiducia nell’ebook, come strumento che forse potrà dare una scossa; che abbiamo eccellenti autori (almeno nei generi di cui mi occupo, gli altri li conosco troppo poco); e che tra gli editori grandi si sta sviluppando vivace attenzione nei confronti degli autori italiani.

Collabori con vari portali e riviste, scrivi recensioni letterarie, curi rubriche. Cosa ne pensi della critica letteraria italiana. Ci sono punti di riferimento, indipendenza, obbiettività?

Premesso che ci sono, come il vostro, diversi ottimi siti e blog indipendenti, che fanno un lavoro onesto, competente e sincero.
Invece i siti più istituzionali e le riviste e giornali grossi, per non parlare di radio e TV, sono solo dei veicoli pubblicitari – pagati profumatamente – privi di obiettività.
C’è poi un’assurda suscettibilità da parte di molti autori, che di fronte a una critica attaccano personalmente il recensore, si scaldano, insultano, minacciano querele. Invece di riflettere o argomentare le proprie scelte, o incassare e starsene elegantemente zitti, visto che ogni critica è preziosa, che si condivida o meno. È sempre utile saggiare un punto di vista sul proprio lavoro, spesso anche da un parere negativo – da autore ne ho ricevuti, e ho sempre apprezzato la cosa – si può avere la conferma di aver raggiunto i propri obiettivi. E, in ogni caso, va rispettata la libertà d’opinione, perché la diversità di punti di vista è una delle cose più belle della letteratura. D’altra parte ci sono anche critici che invece di analizzare l’opera esprimendo un parere, si divertono a stroncare tutto e tutti per il gusto di farlo, per sfogare chissà quali frustrazioni o per mettere se stessi al centro dell’attenzione.
Oppure “si vendicano” se il recensore è autore a sua volta, stroncando di rimando.
Come i bambini.
Si creano di continuo buffi schieramenti posticci, sembra che si debba essere necessariamente a favore a spada tratta, o a tutti i costi contro qualcosa o qualcuno, tutto diventa sempre molto calcistico o politico. Questi sono solo giochini sterili, la discussione seria ha invece sfumature e tridimensionalità.
Oppure l’altra faccia della medaglia, anche questa purtroppo molto diffusa: chi recensisce esclusivamente recensioni entusiastiche, sperando di ritagliarsi un posto nel cuore di quell’autore o di quell’editore, con il secondo fine di piazzare poi un’opera o sfruttare l’amicizia giusta… Il che è piuttosto deprimente. Soprattutto perché ci sono persino editori che chiedono senza mezzi termini agli aspiranti autori di diventare PR dei loro libri, in cambio di un occhio di riguardo.
Così, è ovvio, non può funzionare.
Ma Internet aiuta. Moltissimo.

milanonera-gen10(priora-bonfanti-riva-mondini)Edizioni XII parteciperà  con uno stand al salone del Libro di Torino? Cosa ne pensi di questo genere di manifestazioni?

No, non siamo stati a Torino, né usiamo partecipare alle fiere librarie (salvo qualche eccezione, comunque eventi più piccoli). Le grandi fiere, Torino in particolare, sono molto utili come luogo d’incontro tra addetti ai lavori, questo sì, ma – per come la vediamo noi – non tanto come punto di contatto con i lettori. Troppo caotiche. Preferiamo appuntamenti più intimi, dove ci si possa conoscere davvero.
Inoltre, sono davvero costose, specialmente se vuoi uno stand decente e non una scatola per sardine (del tutto inutile); e gli investimenti occorre farli con la massima attenzione.

Brian Keene per la prima volta in Italia grazie Edizioni XII. Come è andata? Come avete convinto il maestro dell’horror a collaborare con voi?

Diversi di noi sono suoi lettori e lo ammirano, è un punto di riferimento fondamentale per l’horror internazionale contemporaneo e nuovo; è stato naturale pensare a lui quando abbiamo ritenuto di aver raggiunto una stazza tale da poter garantire di trattare come si deve un suo libro.
Gli abbiamo scritto, gli abbiamo proposto la cosa spiegandogli come volevamo portare avanti il progetto, e siamo andati subito d’accordo; anche la trattativa è andata molto liscia. È una persona molto disponibile, con i piedi per terra e alla mano, così come la sua agente.

Se un giovane che volesse diventare editore ti chiedesse consigli, tu cosa gli diresti?

Mah, ecco, glielo sconsiglierei…
Poi gli direi che non ho abbastanza esperienza per dare consigli.
Se poi proprio insiste, gli direi soprattutto di muoversi per piccoli passi, di non avere fretta e di non farsi tentare dalle scorciatoie, di rispettare sempre il lettore; e di non aspettarsi di diventare ricco.
Dopodiché cercherei di nuovo di dissuaderlo.

Cosa ne pensi dell’editoria a pagamento? Sei favorevole o contrario?

Penso che sia sbagliato, a monte, parlare di “editoria” in questo caso. Si dovrebbe parlare al limite di vanity press, perché si tratta di altro: un editore è qualcuno che investe su un autore. E queste aziende non lo fanno, l’autore è semplicemente un loro cliente a cui loro offrono un servizio. Che in sé, intendiamoci, è del tutto lecito e non ha nulla di male finché è spiegato in maniera trasparente e fin da subito al cliente stesso (perché esistono anche casi di raggiri disonesti, come in
tutti i campi – ma qui è peggio di tanti altri casi perché si specula sui sogni delle persone). Poi ognuno è libero di spendere i suoi soldi come crede, e ci sono modi ben peggiori di buttarli via.
Sarebbe anche importante che gli aspiranti autori si rendessero conto che se non riescono a pubblicare se non sborsando quattrini, forse occorre si mettano a lavorare duramente per migliorarsi, piuttosto che pubblicare con qualcuno che non crede nel libro che sta pubblicando. E che quindi non venderà, e non permetterà all’autore di essere letto.
Se proprio si vuole vedere il proprio nome su una copertina, c’è il print on demand.

torino-set09Quali sono i segreti per pubblicizzare correttamente un autore?

Magari li sapessi! Ogni giorno bisogna inventarsi qualcosa di nuovo, avere le antenne alzate e cogliere ogni opportunità che si presenta. Parlare del libro, questo senz’altro, e soprattutto stimolare la discussione attorno al libro.

Quali sono le novità  maggiori per i prossimi mesi di Edizioni XII?

Dal secondo semestre, e l’anno prossimo, pubblicheremo meno titoli rispetto a questo periodo, perché in questa fase era importante costituire una base di catalogo sostanziosa.
Il progetto più impegnativo per il secondo semestre è il nuovo titolo della collana Camera Oscura, che fa seguito a Archetipi: sarà una raccolta di racconti, con illustrazioni di Diramazioni per ogni racconto, incentrati sulle maschere tradizionali e sul carnevale di Venezia, tutti ambientati la stessa notte. Coinvolge autori affermati e nomi più o meno nuovi, tutti molto bravi, dalla forte personalità, e interessanti. Loro sono: Michael Laimo, Riccardo Coltri, Samuel Marolla, Marica Petrolati, David Riva, Alberto Priora, Stefano Andrea Noventa, Davide Cassia, Simone Corà, J. Romano, Gabriele Lattanzio, Zefiro Mesvell. La raccolta è curata da David Riva e me, e i racconti sono inseriti in una cornice scritta da Mario Cella e Ian Delacroix.

Parlaci del tuo lavoro di scrittore.

Ti dirò, la mia visione non credo sia molto “poetica”. Innanzitutto è appunto un lavoro. Di conseguenza, per quanto possa piacere, è faticoso, impegnativo, richiede molto tempo.
Io mi vedo come un artigiano, a cui chiedi di farti un tavolo. Cerco di consegnare un tavolo che sia solido, bello da vedere, e utile per mangiarci sopra o appoggiarci delle cose.
Non ho aspirazioni “artistiche”, non ho una vocazione, non sono in missione per conto dell’Altissimo come i Blues Brothers, non ho “bisogno/necessità di scrivere” e potrei benissimo non farlo e stare bene comunque.
Semplicemente ho scelto di scrivere delle storie perché è un lavoro che mi piace, che mi dà soddisfazione, e perché desidero comunicare ai lettori alcune cose. Per me il rispetto nei confronti del lettore, una persona che mi dedica le due cose più preziose che ha: tempo e immaginazione.
Nelle mie storie mi interessa quindi – come per il tavolo – la solidità della struttura, l’estetica, e che intrattengano. E per me è anche molto importante che vengano messe in gioco delle ipotesi attorno a qualcosa di inspiegato, misterioso, oppure attorno a un’eventualità che potrebbe verificarsi.

Quali sono i tuoi maestri letterari?

Cerco di imparare qualcosa da tutto ciò che leggo, che si tratti di un grande o di un nome nuovo. Quindi di maestri ne ho moltissimi. Te ne cito alcuni in ordine sparso, che sono sicuramente punti di riferimento, senza aver letto i quali probabilmente non mi sarei messo a scrivere.
Eco. Omero, Ariosto, Shakespeare, Wilde, Lovecraft, Machen, Howard, Poe, Reverte, Arona.

Attualmente stai scrivendo un libro? Puoi parlarcene?

Da inizio 2007 sto lavorando (come ormai tutti sanno, oserei dire) al romanzo Cenere, a quattro mani con Luigi Acerbi. Si tratta di una cosa con ingredienti di fantascienza dura e altri puramente survival horror. Qualche spunto fantarcheologico. Tanta azione, esplosioni, e gatti. A che punto siamo? Secondo me, a buon punto. Abbiamo sviluppato tutta la struttura, e tutto il soggetto della “metà di Luigi” (ci sono due macrotrame principali che si intrecciano); il soggetto della “mia metà” è quasi finito. Manca qualche elemento, ma niente di che. Ci sono la maggior parte dei personaggi. L’obiettivo è di portarlo a termine nel 2010.
In parallelo, sto lavorando a un altro romanzo con David Riva. Qui in ambito di thriller-horror alchemico: anche qui tanta azione (esplosioni, certo). Molta fantastoria e fantarcheologia, spionaggio e organizzazioni segrete. L’idea nasce dal libro Archetipi, anche se poi si è svincolata totalmente come spesso accade. All’inizio volevamo creare una sorta di background per la raccolta, rendendo la raccolta stessa parte di una storia. Ma i primi appunti che David ha buttato giù in proposito, già “chiamavano” a gran voce un romanzo che li sviluppasse. E si incastravano alla perfezione con un soggetto che avevo già pronto io, e che ne è diventato sottotrama. Abbiamo lavorato in maniera spedita, anche perché ci sono state sincronicità molto favorevoli, e abbiamo già steso quasi tutto. Si tratta di un lavoro molto complesso a livello strutturale (ci serve una mappa per orientarci, e non è una metafora) con tanti piani temporali, tantissimi scenari e un mucchio di personaggi. Praticamente questo è pronto e a brevissimo comincerà a cercare un editore.
E un altro paio di cose, ma ti risparmio…

:: Recensione di Opera sei di David Riva (Edizioni XII, 2010) a cura di Giulietta Iannone

14 Maggio 2010

Opera sei di David RivaFino a che punto può spingersi l’arte? Quali sono i confini che separano il lecito dall’illecito, la sete di gloria, di oro, il desiderio smodato di superare se stessi, di trascendere, di sconfinare al di là del possibile? Hao Myung è un chirurgo plastico cinese, un uomo pericoloso, un uomo che vuole trasformare il corpo umano in tante tragiche opere d’arte, forzandone i contorni, violentandone la natura, per accrescere la sua fama, il suo genio, per non avere limiti e imposizioni. Il suo progetto scellerato necessita di un appoggio, di finanziatori che diano concretezza ai suoi vaneggiamenti, di un mecenate, di una struttura che ne gestisca la logistica e Hao Myung è un uomo dannatamente fortunato e li trova, trova Metafisica, un’associazione internazionale che in cambio dell’esclusiva gli permette di creare la sua personale galleria d’arte o meglio dire galleria degli orrori. Hao Myung cerca i suoi corpi tra i suoi pazienti, tra persone che detestano se stesse e cercano il loro vero fine ultimo, la loro essenza. E così è Ester, la splendida e bellissima Ester, che accetta questo patto infernale, accetta di diventare l’opera numero sei. Ma qualcuno non ci sta, i suoi genitori vogliono salvarla, trovarla, riportarla a casa, così Ivan si mette sulle sue tracce, il temibile Ivan, una spia delle spie, un uomo solo contro tutti, ma la sua lotta è impari specialmente perché la ragazza non ha nessuna voglia di essere salvata e vuole sublimarsi, diventare arte. Opera sei, strano libro di esordio di David Riva, è un  ibrido, in bilico tra l’horror, la fantascienza, il thriller gotico, il saggio metafisico e ci porta in un mondo alternativo, un mondo dove l’orrore è voce del quotidiano e l’arte una quarta dimensione onrica e distorta. Edizioni XII ama rischiare, scommettere sui giovani, portarci in una terra di nessuno in cerca del fantastico, della meraviglia. Lo stile è crepuscolare, nero, pieno di sublimazioni distorte e tragiche. Si parla di bellezza e di percezione, di un qualcosa di effimero e nello stesso tempo terribilmente reale, di quel demone forse inconscio che spinge l’autore a creare una rivisitazione di Frankestein. Segnalo l’interessante copertina degli artisti di Diramazioni.

:: Recensione di Six Shots di Alfredo Mogavero (Edizioni XII, 2010) a cura di Giulietta Iannone

14 aprile 2010

Six shotsIl weird western è un western sporco, contaminato da altri generi come l’horror, o il fantasy, maestro indiscusso è Joe Lansdale che con la sua strabordante fantasia ne ha fatto un genere di culto con lettori famelici sparsi per i quattro angoli del globo. Dico questo perché è bene dare la giusta collocazione al libro che sto per presentare. Infatti Six Shots di Alfredo Mogavero edito da Edizioni XII è a tutti gli effetti weird western e per giunta di buona qualità cosa tutt’altro che consueta lasciatemelo dire. Non è un romanzo ma si compone di sei racconti, sei piccole storie compiute, nelle quali la fantasia di Mogavero cavalca e spazia dandoci la netta sensazione che ciò che leggiamo per quanto incredibile e bizzarro sia realmente plausibile e corrispondente al vero. Tutti i fatti si concatenano infatti con tale naturalezza e Mogavero scrive così bene da portarci a credere che mostri con sei braccia, maledizioni, spiriti senza pace, stregonerie  e via discorrendo esistano davvero e non siano solo leggende metropolitane da ubriaconi del west un po’ come le leggende e le superstizioni che i marinai di un secolo fa si raccontavano a bassa voce durante le notti di luna piena. Sfogliando le pagine leggiamo così le gesta incredibili di Patricia Hillwick un’anziana fuorilegge, un tempo bellissima, e dalla mira infallibile, ormai decisa a far parte dei buoni dopo una delusione d’amore; facciamo conoscenza con Twilight Jackson perseguitato dalla sinistra maledizione di attirare i fulmini durante i temporali e destinato a incontrare a Baton Rouge un eccentrico scienziato che ha inventato la macchina del tempo; ci perdiamo nelle nebbie di Cherokee Hill in compagnia di una strana coppia di becchini, di un plotone di soldati sterminato dagli indiani, di un superstite neanche tanto vivo con un duello in sospeso con un indiano;  facciamo visita al saloon di Moose pieno di puttane, ubriaconi e cowboy e assistiamo a una partita a poker molto, molto particolare;  siamo testimoni dei tormenti interiori di un giovane prete cattolico, padre Norton, che dopo aver resistito strenuamente alla tentazione, peccato dopo peccato, precipita verso la dannazione, innamorato perdutamente di Virginia Gilles; infine rincontriamo Patricia Hillwick decisa a fare i conti col proprio passato e a diventare una leggenda. La strepitosa cover sui toni del violetto è di Jessica Angiulli e Lucio Mondini di Diramazioni.