Tutto è nato per caso, anche se mi sembra che qualcuno abbia detto che il caso non esiste, quando mi hanno proposto di recensire Eurosia – Come un fiore di campo (Edizioni San Paolo 2018) di Paolo Rodari, vaticanista di Repubblica. Poi è successo che la prof.ssa Laura Dalfollo DE della Rivista «Beata Mamma Rosa. Madre di Famiglia e di Sacerdoti» l’abbia letta e mi abbia proposto di scrivere un pezzo per la loro rivista, ma non solo mi ha mandato anche un’altra biografia di Mamma Rosa, la prima biografia scritta da P. Bernardino figlio della beata ad oggi alla IX edizione riveduta e ampliata da P. Gianluigi Pasquale pronipote di Mamma Rosa. Da questo è nata l’idea di intervistare P. Gianluigi Pasquale, che gentilmente ha accettato ed infatti oggi è qui con noi e risponderà a qualche domanda per promuovere la conoscenza e la devozione verso la figura della Beata Eurosia, una beata molto speciale.
Benvenuto P. Gianluigi Pasquale su Liberi di scrivere e grazie di aver accettato questa intervista. Ci parli di lei dei suoi studi, del suo percorso vocazionale, della sua vita.
Volentieri profitto di questa intervista per collocare tra lo «scritto» quanto non ho mai rivelato di me, andando a ritroso tra i fotogrammi sequenziali della domanda. Sono nato in una famiglia profondamente credente e cattolica nella Città e Diocesi di Vicenza. Il babbo Silvio volò prematuramente in Cielo nel 2000, mentre nella casa «materna», vive mia mamma Giovanna e, sulla stessa viuzza, alla periferia est della Città Berica, le mie due sorelle Carla e Rosanna, sposate, che mi hanno reso felice con sei nipotini, tutti da me battezzati. Il desiderio di poter diventare sacerdote albergava nel mio cuore fin dalla più tenera età: il memorabile esempio del mio Parroco nel servire Dio e nel dedicarsi al prossimo fece breccia nel mio inconscio personale e, piano, piano, prese i contorni di un fascino irresistibile. Nell’estate del 1983, appena terminato il secondo anno delle Scuole Medie Superiori – con la vincita, tra l’altro di due borse di studio in simultanea – risultò decisivo per me l’incontro con un Frate Minore Cappuccino, P. Sisto Zarpellon (1931-2017), il quale, del tutto inaspettatamente, giunse al mio paesello per la predicazione di un «triduo» in preparazione della festa patronale. La chiarezza espositiva nel commentare la Sacra Scrittura, la folta e tipica barba bianca di un Cappuccino e, soprattutto, l’umiltà con la quale, terminata l’omelia, si inginocchiò dinnanzi al Tabernacolo, provocarono in me la decisione di voler parlare con lui. Gli esposi il mio desiderio e, in breve, il mese successivo entrai nel Seminario Serafico «Madonna dell’Olmo» in Thiene (VI), completando i miei studi. Tre anni dopo, nel 1986 nel nostro Convento di Lendinara, Provincia e Diocesi di Rovigo, iniziai l’anno canonico di Noviziato e l’8 Dicembre vestii il saio di San Francesco: non avevo nemmeno vent’anni, eppure quello fu l’anno più sereno e spensierato della mia esistenza, finora. Nel Settembre del 1987 emisi i miei primi voti di povertà, castità e obbedienza.
Trasferito a Venezia nel complesso palladiano del «SS. mo Redentore», iniziai il mio vero percorso accademico nell’annesso Studio Teologico affiliato «Laurentianum» ottenendo il Baccalaureato (1993) in Sacra Teologia [«Bachelor of Theology»], anno in cui fui anche ordinato sacerdote. Proseguii, poi, con la Licenza (1997) e il Dottorato di Ricerca (2001) conseguiti nella Pontificia Università Gregoriana a Roma, formandomi, così all’esigente Scuola dei Gesuiti. I quali hanno il merito indiscusso di avermi addestrato a un rigoroso metodo di studio, che consiste nel «Deum attingere» in qualunque cosa, anche nella pagina di qualsiasi libro. Nel frattempo, sempre a Roma, mi fu chiesto di avviarmi in un secondo percorso accademico all’Università Statale «La Sapienza», per un’altra laurea in Filosofia. Era il 1998. Riuscii a conseguirla soltanto nel 2003 all’Università Statale «Ca’ Foscari» in Venezia, dove nel 2008 ottenni anche il Dottorato di Ricerca in Filosofia Morale vincendo, l’anno scorso (2018), l’Abilitazione Scientifica Nazionale quale Professore Associato nella stessa disciplina concorsuale. Il motivo per cui dovetti rientrare nel Capoluogo lagunare fu dovuto alla nomina a Preside dello Studio Teologico affiliato «Laurentianum» (2001-2010), dove ero stato prima studente, mentre attualmente il mio impegno, come Docente, è a Roma nelle Pontificia Università Lateranense e Urbaniana e a Milano nella sezione parallela del «Laurentianum».
Noi ci occupiamo di libri, per cui non posso non chiederle qualche consiglio di lettura, anche che privilegi una dimensione spirituale, cosa che abbiamo sempre contemplato di presentare nelle nostre proposte di lettura.
Anch’io mi occupo di libri. Ne ho scritto molti finora, di vario genere, perché li considero la migliore forma di comunicazione. Per me anche una forma di ascesi – nel senso greco del termine – e di continua rigenerazione intellettuale. Chi scrive non si accorge che il tempo passa e che nel farlo, genera e rigenera relazioni. Tommaso d’Aquino ha dichiarato che ogni libro ha un valore in sé e per sé nel «suscitare domande essenziali, ed indicare sentieri per la risposta». Titoli di libri da suggerire ne avrei molti, di dimensione spirituale e non. Certamente varrebbe la pena leggere l’Epistolario di San Pio da Pietrelcina, il quale costituisce un’autentica miniera d’oro di mistica e di spiritualità, La leggenda dei Tre Compagni contenuta nelle Fonti Francescane, ossia tra gli Scritti su San Francesco, quattro libri di Teodorico Moretti-Costanzi La terrenità edenica del cristianesimo e la contaminazione spiritualistica, La donna angelicata e il senso della femminilità nel cristianesimo, San Bonaventura, Il senso della storia, uno di Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio e uno di G.W.F. Hegel, Mondo greco e romano. Fondamenti del cristianesimo. Mi permetto di suggerire questi titoli a partire dalla convinzione che vi sono libri, i quali godono di un’inaudita attualità anche se scritti alcuni anni or sono. Oltre a questi, ci sarebbero altri due titoli di libri contenenti un considerevole stigma spirituale e scritti da me quest’anno (2019): Angeli e demoni in Padre Pio. Il mondo interiore del santo stigmatizzato e San Francesco. La risposta alla domanda che nessuno pone, quest’ultimo redatto con lo stile di un romanzo e con la tecnica del «pace-turn-over» («una-pagina-tira-l’altra»): è il mio ultimo che esce il prossimo mese di Ottobre 2019.
Dunque è il pronipote di Mamma Rosa, al secolo Eurosia Fabris Barban, proclamata beata dalla Chiesa cattolica il 6 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI. Ci parli di lei, di come avete tramandato il suo ricordo nella vostra famiglia.
«Mamma Rosa», o «Rosina» – è questo il nome con cui ne ho sempre sentito parlare in famiglia – è effettivamente (stata) la nonna di mia mamma Giovanna, quindi la mia bisnonna materna. Dagli zii e dalle zie materni, sentivo fin da piccino, che era morta (1932) in concetto di santità, dato il notevole afflusso di persone accorse ai suoi funerali. Tuttavia, se ne parlava con molto pudore, vorrei dire con parecchia ritrosia. Oso presumere che nessuno di loro e di noi parenti abbia mai pensato che, un giorno, sarebbe salita alla gloria degli altari. A noi bastava sapere che in famiglia una nostra mamma, terziaria francescana, era riuscita a vivere semplicemente e con gioia il Vangelo di Gesù Cristo nella quotidianità più feriale. Il «processo di beatificazione» – a onor del vero – riprese slancio per la volontà determinata di San Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale riconobbe un miracolo concesso ad Anita Casonato (1922-2012) di Sandrigo (VI) per l’intercessione di Eurosia Fabris. Poi il Pontefice dei «Papaboys» salì al Cielo. Appena eletto Papa Benedetto XVI (*1927) volle, in breve, dichiararla «beata», di fatto la «sua prima beata» in Italia, fuori dalle porte di Roma («extra Urbem»), così come sono state, successivamente, tutte le altre beatificazioni, proprio a partire da questa. Questi, in breve, i suoi tratti biografici: Eurosia Fabris nacque a Quinto Vicentino, Diocesi e Provincia di Vicenza, il 27 Settembre 1866 e il 5 Maggio 1886 sposò eroicamente Carlo Barban – rimasto vedovo soltanto a ventitré anni con due bimbe orfane, Chiara e Italia. «Rosina», infatti, prima ancora del matrimonio si recava a casa di Carlo per accudire alle due piccine che non si resero conto del perché la loro mamma naturale fosse salita in Cielo così presto, perché morta prematuramente. Eurosia decise, dunque, di sposare Carlo, proprio per far loro «da mamma» e, pertanto, si trattò di un matrimonio eroico, dal quale, poi, nacquero altri nove figli. In questa famiglia ricca di fede e di santità sorsero varie vocazioni: tre alla vita consacrata, quattro al matrimonio, tra i quali mio nonno Luigi, di cui porto il nome, e tre al sacerdozio. Eurosia godette delle confidenze di Gesù, della Vergine Maria e delle «anime del Purgatorio», delle quali era devotissima: profetizzò il giorno della sua morte, come Gesù stesso le aveva rivelato, che avvenne l’8 Gennaio 1932.
Prima di leggere il libro di Rodari devo confessare che non avevo mai sentito parlare di questa beata, pensa anche lei che in questi ultimi tempi ci sia una riscoperta di questa figura femminile così carismatica?
Senza dubbio. È mia profonda convinzione che la scelta di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI di togliere la «polvere della storia» depositatasi sulla figura di Eurosia, sia dovuta alla dichiarata propensione di voler valorizzare, rivalutandolo, il ruolo della donna nella Chiesa, della sua femminilità, della qualità ad essa intrinseca di poter essere madre – e, quindi, di generare alla vita – di essere «apostola della buona notizia», come usa dire Papa Francesco (*1936), al quale ho personalmente donato copia della VI edizione della biografia ufficiale della Beata Mamma Rosa, quella precedente rispetto al libro di Paolo Rodari.
Donna, moglie, madre (di figli sia naturali che adottivi), catechista, sarta, terziaria francescana, Mamma Rosa rivestì tanti ruoli, sempre animata da una profonda fede, autentica e semplice. In che modo pensa che il suo esempio sia d’aiuto oggi, anche per le nuove generazioni?
Rispondo narrando un aneddoto, direttamente inerente le nuove generazioni. La traduttrice dall’italiano in inglese dell’VIII edizione della biografia della Beata, Dr. Katherine Hutton Mezzacappa, che vive e lavora in Toscana, essendo anche devota della Beata Eurosia – tradusse gratuitamente l’intera biografia –, nel 2011 volle recarsi in pellegrinaggio, assieme alla propria famiglia, a Marola (Vicenza), nel cui omonimo Santuario Diocesano sono custodite e venerate le sue spoglie mortali. Dal resoconto di Katherine si viene a sapere che quanto a seguire accadde in una soleggiata domenica di Settembre, un periodo non indifferente per la nostra Beata. Appena entrata in Chiesa, Katherine viene colta dalla sorpresa di vedere un folto gruppo di giovani soldati statunitensi – è risaputo che la Città di Vicenza ha un contingente di soldati americani con due Caserme. Tutti portavano in mano fiori bianchi nella prima Cappella laterale sinistra per chiedere, mediante l’intercessione della Beata Eurosia, la protezione delle proprie mogli e, anche, dei loro figli. Evidentemente si trattava di giovani soldati cattolici. Tuttavia, il dettaglio sta proprio nella richiesta della gravidanza per le loro spose perché uno dei più significativi miracoli riconosciuti a Mamma Rosa è quello di concedere il dono della maternità a quelle spose che desiderano essere anche mamme. La Beata Eurosia, infatti, è stata, per così dire, mamma in un triplice modo: di adozione, naturale e di affido, avendo, dopo il matrimonio con Carlo, accudito ad altre tre orfanelle del paese.
E qui sporge il secondo elemento di un’inaudita attualità appannaggio delle nuove generazioni: oggigiorno si può essere madri autentiche non soltanto per natura, ossia non generando, qualora ciò fosse impedito per infertilità o per età avanzata della sposa – come accade sempre più spesso – ma pure mediante adozione, laddove tale gesto sia motivato da amore cristiano per trasmettere la fede a quei piccoli di cui ci si prende cura, ovvero che ci vengono affidati se siamo educatori, o insegnanti o animatori. È questo, credo, quanto viene inteso con le prime parole con cui inizia il Breve Apostolico di Beatificazione firmato da Benedetto XVI il 6 Novembre 2005: «una donna può ritrovare se stessa solo donando amore agli altri».
Mamma Rosa sapeva leggere e scrivere, cosa non scontata, soprattutto per una donna, nelle campagne venete di fine Ottocento, e leggeva molto; secondo lei in che misura questa sua vivacità intellettuale ha influito nel suo percorso spirituale? Ha lasciato memorie di questo?
Questa domanda mi dà l’opportunità di chiarire alcuni dettagli poco conosciuti circa la biografia della Beata Eurosia Fabris Barban. In realtà, mia bisnonna, a differenza di tante altre donne a lei contemporanee, non solo venete, sapeva leggere e scrivere. Ciò le diede l’opportunità di cimentarsi con la meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, soprattutto nelle ore notturne, una volta terminati i lavori domestici. Sue letture preferite furono pure la Filotea di San Francesco di Sales, le Massime Eterne di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il Compendio della Vita Cristiana (Catechismo di San Pio X) e altri manuali di pietà. La lettura le offriva effettivamente una rara freschezza intellettuale e, soprattutto, la possibilità di discernere quali scelte compiere, distinguendo il bene dal male. Probabilmente per questa ragione, durante il processo di «ex-tumulazione» del feretro, assieme alla Commissione Diocesana e al medico legale, abbiamo rinvenuto il cerebro completamente intatto della Beata, ora conservato in un prezioso reliquiario d’oro e protetto da formalina. Mamma Rosa osservava scrupolosamente la virtù dell’onestà – appunto il saper distinguere il bene dal male – possibilità che, com’è risaputo, ci è offerta dall’uso corretto del cervello e della mente, oltre che da una retta coscienza. Leggendo molto, fu spinta anche a scrivere. Come di solito accade ai più. Conserviamo gelosamente un taccuino da lei cucito e ricamato con dei fiori, all’interno del quale sono stati rinvenuti delle «gemme spirituali» e delle «massime di vita», ora parzialmente pubblicate nell’immaginetta ricordo della Beata e nella biografia. Tuttavia, il dettaglio oltremodo più importante fu la scelta, compiuta nel 1906, di entrare a far parte del Terzo Ordine Francescano – oggi conosciuto come Ordine Francescano Secolare, voluto con l’insediamento di una «fraternità» nel paesello di Marola dal Parroco di allora. In questo modo, un padre francescano giungeva almeno due volte al mese dalla vicina Città di Vicenza per la catechesi e la formazione continua dei «terziari» e delle «terziarie». È questa la vera ragione strategica grazie alla quale mia bisnonna si formò sia alla scuola del Vangelo, che del Poverello, tanto da indurre il Parroco a nominarla catechista in Parrocchia, scelta piuttosto eccezionale in quei tempi per una donna, pur credente e «santa» come Eurosia. Non è, dunque, un caso se nel 2009 l’allora Arcivescovo di Vicenza Mons. Cesare Nosiglia volle dichiararla Patrona di tutti i catechisti e le catechiste della diocesi Berica e nel 2017 la Direzione dell’Ordine Francescano Secolare Veneto, realtà piuttosto capillare nel Nord-Est, la scelse quale propria patrona.
La prima biografia scritta da P. Bernardino figlio della beata ad oggi alla IX edizione da lei riveduta e ampliata è un testo molto ricco, e dettagliato, in cui sono presenti anche numerose foto. Quanto l’ha impegnata questo lavoro di ricerca, e come si è documentato, oltre alle memorie tramandate in famiglia?
Per rispondere è necessario compiere un passo indietro perché non tutto è merito mio. Anzi, forse nulla o poco. Nel 2003 San Giovanni Paolo II riconobbe l’«eroicità delle virtù» di questa umilissima e oltremodo generosa «mamma di famiglia». Nel 2004 venne riconosciuto il miracolo, il cosiddetto «super miro» e venne in breve fissata la data di beatificazione in Roma per la primavera del 2005. Come tutti sanno, però, il Santo Papa polacco volò in Cielo, anche se aveva fiutato la santità di «Rosina». Perché i Santi si fiutano tra loro. E, quindi, tutto rientrò nell’oblio precedente. Imparando dalla nonna di fronte a questo evento inaspettato, semplicemente circolò tra noi questo sentimento: «sia fatta la volontà di Dio». Non si trattava di rassegnazione, ma di serena accettazione. Quando, come accennato, nello stesso anno 2005 Papa Benedetto XVI, fece ben presto propria la causa di beatificazione – prova ne è il fatto che venne celebrata nella Cattedrale di Vicenza entro lo stesso anno – si presentò la necessità di ripubblicare la «biografia ufficiale» del figlio P. Bernardino Matteo Angelo Barban, frate minore francescano. Genuino figlio della propria mamma, si firmava soltanto – e umilmente – con lo pseudonimo di «Mariano Berico». Contattato da mia cugina Maria Carla Piccolo, la vera fautrice dell’iniziativa editoriale, risultò ad entrambi necessario ristampare la VI Edizione, oramai esaurita. Ci accorgemmo, dunque, che la biografia di Padre Bernardino conteneva un «atomo soprannaturale» – come dichiarano tutti i lettori e le lettrici – se aveva raggiunto in pochi decenni tale tiratura. L’impresa non fu facile, ma riuscimmo nell’intento grazie all’accoglienza trovata presso una prestigiosa Casa Editrice Cattolica, piuttosto conosciuta in Italia. Ovviamente la VII edizione del 2006 venne aggiornata con i dati di quanto occorso dalla morte di Padre Bernardino Barban (1980), corredandola di nuove foto – quelle dell’ex-tumulazione per esempio, delle dovute didascalie, dell’«Indice dei nomi» e di una mia lunga «Introduzione» storico-teologica. Nel giro di quattro anni le circa quattromila copie mandate in stampa vennero vendute piuttosto in fretta. Nel frattempo, nacque, come accennato, la VIII edizione in lingua inglese, quale traduzione della VII e nel 2014 fu necessario stampare la IX Edizione, per la quale mi sono impegnato aggiungendo due e inediti nuovi capitoli. Ciò ha richiesto approfondite ricerche negli Archivi Parrocchiali di Quinto Vicentino – dove Eurosia nacque e venne battezzata – e di Marola di Torri di Quartesolo (VI), dove si sposò e trascorse l’intera sua esistenza, oltre che altre ricerche di documenti e testimonianze presso la Postulazione Generale dei Frati Minori in Roma e la Vice-Postulazione degli stessi in Monselice (PD). Bisognava infatti, aggiungere anche i passi innanzi compiuti con affetto dalla Diocesi di Vicenza verso la propria Beata, che sono innumerevoli, tra i quali la dichiarazione a patrona dei catechisti, dei francescani secolari e l’elevazione della Chiesa Parrocchiale in Marola a Santuario Diocesano (8 Settembre 2014). Senza nulla togliere al volume di Paolo Rodari del 2018, che è scritto in tutt’altro stile, ho, tuttavia, lasciato inalterato quell’«atomo soprannaturale» che innerva tutta la biografia di Padre Bernardino.
Mamma Rosa era una donna forte, determinata, ha preso delle decisioni per quanto riguarda la sua vita anche difficili, perlomeno insolite, senza farsi influenzare dagli altri che la sconsigliavano. Sicuramente grazie alla sua fede che ha nutrito e coltivato la sua forza. Spesso si ha l’idea che i credenti siano persone ingenue, inesperte, un po’ credulone si può dire. Mamma Rosa sembra testimoniare che non è così, giusto?
Non solo i cristiani, ma tutti i credenti nelle altre religioni monoteiste, (ri)conoscono che la fede in Dio offre una «marcia in più» al vivere quotidiano. La fede cristiana consente, poi, di permettere addirittura che Gesù Cristo, il Salvatore del mondo abiti in noi (Col 3,16). Senza la fede, l’intera nostra esistenza sarebbe racchiusa in un grigiore e imprigionata in quella noia piatta e ingessata, che sbuca dai dispositivi della civiltà della tecnica, quella in cui siamo inabissati, nostro malgrado. Certamente la fede di cui Mamma Rosa si è nutrita leggendo la Sacra Scrittura e sentendola proclamare durante la Santa Messa – che frequentava, non va dimenticato quotidianamente – l’ha indotta a compiere scelte controcorrente. La fede cristiana, infatti, genera in noi l’energia dello Spirito Santo e produce almeno tre frutti: a) ci spinge a compiere scelte inaudite la cui sola certezza sta nel fatto che Dio non abbandona mai una propria creatura; b) conferisce una forza persuasiva a superare ogni difficoltà, sapendo che, dopo la Croce, scaturisce la gioia; c) pur nella banalità del quotidiano, la fede permette che la nostra storia della salvezza progredisca verso il nostro ultimo incontro con Gesù, donandoci quella serenità di sottofondo che nulla accade a caso e che nemmeno il luogo dove viviamo la nostra ferialità è uno qualsiasi, anzi. La fede ci insegna a «stare al nostro posto». Il che significa con Gesù. Questo è quanto si apprende dalla vita della Beata Eurosia, la quale, proprio per questo, visse all’insegna di un’esistenza tutt’altro che ingenua e inesperta. È mia profonda convinzione, piuttosto, che esiste una «storia agiocentrica», rispetto a quella universale e della cultura. Lasciamo aperto – per esempio – questo interrogativo: quale è la vera storia? Quella dell’arco di Costantino imperatore e dei suoi successori, quella della cultura, oppure quella dei santi? Detto altrimenti: quale è la storia viva, che non passa nel dimenticatoio?
Ormai è questione di tempo, c’è speranza che sotto il pontificato di Papa Francesco Mamma Rosa sia proclamata santa? A che punto è l’iter che porta a questa canonizzazione?
La Diocesi di Vicenza, l’attuale Parroco e Rettore del Santuario «Beata Mamma Rosa» don Dario Guarato e la Vice-Postulazione dei Frati Minori, cui è affidata adesso la «causa di canonizzazione», hanno già compiuto molti passi dalla beatificazione in qua. Oramai siamo prossimi ai primi tre lustri (2020). Con la collaborazione della Professoressa Laura Dalfollo di Roma nel 2016 è stata perfino fondata la Rivista di indole scientifica «Beata Mamma Rosa. Madre di Famiglia e di Sacerdoti». Durante il Pontificato di Papa Francesco – che sta valorizzando l’apporto del genere e del genio femminile della e nella Chiesa – siamo stati, poi, felici spettatori di fenomeni di devozione che hanno «estradato» la figura e la spiritualità di Mamma Rosa, per esempio in Pakistan, Paese a maggioranza mussulmana, in Polonia, negli Stati Uniti e in Canada. L’iter, pertanto, procede anche sotto il Pontificato di Papa Francesco, al quale, nel 2013 ho potuto donare la VI Edizione di Padre Bernardino. Vorrei, però, profittare di questa intervista per sottolineare due mie personali convinzioni inerenti la statura spirituale di Mamma Rosa, di cui sono pronipote: il valore insostituibile della preghiera assieme alla frequenza assidua dei sacramenti (Eucarestia e Riconciliazione) per santificarci e la strenua pazienza nel compiere la «volontà di Dio», senza fretta. Noi parenti non abbiamo mai avuto fretta per la beatificazione: se la Santissima Trinità vorrà che Mamma Rosa diventi «santa» i tempi sono nelle mani di Dio. A noi spetta, però, pregare e farla conoscere. Ma, sopra-tutto, pregare. Tutto il resto è rubricabile tra le congetture «umane».
La ringrazio per la sua disponibilità e come ultima domanda le chiedo se attualmente sta scrivendo un nuovo libro?
Come si sarà, forse, intuito a me piace scrivere. Sarebbe improbo, data la mia indole personale, percepire i battiti del cuore e vivere come francescano senza poter scrivere. In questo caso devo essere effettivamente riconoscente all’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, ai miei confratelli, che mi concedono tempo e possibilità per (poter) scrivere. Lo scorso Luglio 2019, per esempio sono riuscito a trascorrere tre settimane intere nella Biblioteca della Pontificia Università Gregoriana in Roma per un totale di dieci ore al giorno. Per scrivere un libro sono necessarie, a mio parere, tre condizioni: a) l’intuizione, che gli antichi denominavano la «mantica», di creare un’opera d’arte che, poi, uno non riconosce più come propria; b) i fondi librari delle Biblioteche, soprattutto se si devono scrivere libri di indole scientifica, come saranno i miei prossimi due; c) «dare tempo al tempo» – che è, forse, la più azzeccata tra le espressioni della nostra lingua italiana e, infatti, difficilmente traducibile – ossia molta pazienza e la capacità di lasciar «cadere la penna» sul foglio. Quando termino un libro, infatti, io provo la sensazione di essere esausto, come avessi partorito e mi fosse stato tolto un alcunché che era, prima, mio. Nel mese di Settembre 2019, dopo tre anni di ricerche, ho licenziato, come accennato, il mio ultimo 2019 San Francesco. La risposta alla domanda che nessuno pone (333 pagine). Nei prossimi anni devo scrivere altri due volumi: uno di Antropologia filosofica e uno di Teologia fondamentale, essendo anche due tra le discipline che insegno all’Università in Roma e in Milano. Sono commissionati, ma, grazie a Dio, senza scadenze. Spesso più di qualcuno mi chiede perché scrivo così tanto. Credo sia perché vivo molto in treno, il cui paesaggio visto dal finestrino mi ispira assai. Ricordo ancora – quasi fosse adesso – come nel 2006 non riuscissi a terminare la Conclusione del Il principio di Non-Contraddizione in Aristotele. Era uno di quei libri commissionatimi e, dunque, con la «data di scadenza». Sapevo io, però, come ne sarei uscito. Presi da Venezia la «Freccia Bianca» per Lecce, i cui vagoni ferroviari viaggiano sulla linea Adriatica – ovvero sul mare – e rientrai a Venezia il giorno dopo, a Conclusioni finite. Ringrazio il buon Dio di essere libero di scrivere perché alla pari di Italo Calvino considero «la mia operazione [come] una sottrazione di peso: ho cercato di togliere peso» (Lezioni Americane, p. 5). E ringrazio pure la Beata Mamma Rosa che lasciò scritto tra le sue «gemme spirituali»: «Io non desidero altro che l’amore di Dio e di crescere sempre più nel suo amore. Del resto non m’importa nulla». Anche questa è espressione della libertà di scrivere. Grazie.