:: Domande e risposte su San Francesco, un’intervista a P. Gianluigi Pasquale

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Perché Francesco d’Assisi continua  ad affascinare l’uomo del nostro tempo?

L’uomo e la donna contemporanei, quelli del XXI secolo, sono attratti da quei messaggi che godono di credibilità e da quelle persone che riescano a vivere la propria esistenza in modo essenziale, frugale e trasparente, cominciando dal rapporto con il creato. Non vi è dubbio che Francesco d’Assisi sia riuscito a espletare proprio questa modalità nel suo relazionarsi a Dio, al fratello e alle creature. Per questo, pur essendo vissuto nel XIII secolo, gode di un’inaudita attualità.

Francesco pensava che nel cuore dell’uomo esiste un «desiderio di fraternità»: visione all’opposto dell’ homo homini lupus.
Quel desiderio è presente nel cuore dell’uomo di oggi? Non prevalgono, invece, chiusura, polarizzazione e ostilità?

Nell’Etica a Nicomaco, già Aristotele (384-322 a.C.) scriveva che se nel mondo ci fossero soltanto relazioni di amicizia, non sarebbero più necessari i rapporti di giustizia. L’avvento del cristianesimo – occorso dopo Aristotele – ha inserito nell’intelligenza e nel cuore dell’uomo il valore della fraternità, perché rivelato dalla Bibbia, che supera quello di amicizia, saturandone il desiderio. In breve: un fratello o una sorella, anche «spirituali» valgono più di un amico. Da profondo conoscitore e lettore della Sacra Scrittura, Francesco aveva scorto questa fondamentale differenza, scoprendo che la fraternità è più che un desiderio: può essere una realtà. Il «desiderio», quindi, è connaturale all’uomo creato a immagine di Dio Amore. E necessita di essere superato. Ciò non toglie il triste fatto che oggi, dal XIX secolo in poi, l’uomo viva inabissato nell’età della tecnica. Si tratta di quel «fantasma» che, sorto per aiutare l’uomo – per esempio a muoversi tecnicamente con i veicoli – si serve adesso dell’uomo, e non lo serve più. Come tale, la tecnica imprigiona l’uomo dentro una solitudine, la quale è un perfetto generatore di ansia e di paura del futuro, perché trancia ogni relazione di fraternità, anche di natura sociale, portando addirittura l’uomo a rendersi ostile al proprio simile. I «social network» appaiono oggi la parabola, mandata a iperbole, di questa situazione che rasenta l’ossimoro. Francesco d’Assisi, se oggi potesse ancora parlare e scrivere – non va mai dimenticato che ha scritto molto, soprattutto Lettere – ci direbbe, invece, di uscire, così: avvicinando corporalmente l’altro e, nel mentre, fare di tutto per percepirlo come «l’altro-per-me»: appunto un fratello o una sorella. In realtà, oggi la Chiesa e le fraternità francescane attraggono se riescono a far trasparire proprio questo «ambiente»: star bene con l’altro, a cominciare da Dio, essendo una pura illusione la scelta forzata della solitudine.

Cosa ci insegna Francesco nell’incontro con il Sultano a Damietta, di cui ricorre nel 2019 l’Ottavo centenario?

Senza dubbio ci insegna il «metodo del dialogo», quello che ho cercato di evidenziare durante i tre anni di ricerche impiegati per scrivere questo libro su San Francesco. La risposta alla domanda che nessuno pone. Risulterà interessante venire a sapere dalle Fonti Francescane come il Poverello si addestrò all’arte del dialogo apprendendola dall’incontro con i ladroni a Montecasale (AR) e dall’ammansire il lupo di Gubbio, eventi, infatti, che occorrono prima dell’incontro con il Sultano Al-Malik al-Kāmil a Damietta, otto secoli fa nel 1219. Sintetizzandolo, in questo nuovo libro – per me il quarto dedicato a San Francesco – ho tentato di dimostrare che il metodo del dialogo da lui indicato consta di sei momenti: a) ritirarsi dapprima in preghiera con quella che ho chiamato la «svolta contemplativa»; b) essere presenti tra i credenti delle altre religioni, motivo per il quale il Poverello tentò per ben tre volte di recarsi tra i Saraceni; c) il terzo modo è l’esercizio della mansuetudine, quale capacità di essere «sottomessi» a Dio riconoscendosi creature alla pari di tutti gli altri uomini e donne; d) il quarto momento consiste, quando la circostanza lo permetta, nel prendere l’iniziativa per parlare all’interlocutore di «Gesù Cristo»; e) il successivo, nel saper vivere «in mezzo a» chi non crede nello stesso Dio; f) l’ultimo sta nel riporre fiducia negli altri, che si incontrano, l’esatto opposto del percepirli come «ostili». È ovvio a tutti che questa appaia un’impresa improba: non lo sarà, se si comincia, almeno, con la prima tappa: la preghiera rivolta a Dio con cuore puro (Sal 51,12).

Un Papa di nome Francesco, e che si ispira al Santo, contribuisce oggi a far amare ancor di più la figura dell’ Assisiate? E se è così:  perché sembra esserci, nella Chiesa (non fuori da essa), una fronda piuttosto rumorosa verso il pontefice?

Mario Jorge Bergoglio si ispira certamente a San Francesco. E non soltanto perché è stato il primo Papa della storia ad averne assunto il nome. Soprattutto per l’attuazione di un programma di riforma che trova le proprie radici e motivazioni dai Documenti del Concilio Vaticano II, finora non ancora sufficientemente approfonditi nel rinnovamento pastorale inteso da essi per la Chiesa. Non mi pare, poi, che vi sia quel tipo di fronda di cui si parla. La Chiesa – è bene ricordalo – rimane, innanzitutto, la Sposa immacolata dell’Agello (Ap 19,8), e qualsiasi vescovo di Roma, in questo caso il Papa, è il principio visibile di unità della Chiesa (Lumen gentium 25): chi vede questo Papa vede la Chiesa nella sua unità. Anche a motivo del mio attuale servizio presso la Santa Sede, nella Pontificia Università Lateranense, vorrei, invece, testimoniare circa la «moltitudine silenziosa» (Ap 7,9) che lavora «sub Petro» e «cum Petro»: intendo qui, con Francesco Papa. Se, per ipotesi, questa fronda esiste, allora essa è solo una indotta suggestione giornalista e, per questo, lumeggia di transitorietà e non ha nulla a che fare con San Francesco. Se vi è stato un punto sul quale il Poverello ha insistito senza sosta, questo è stato in merito all’obbedienza dovuta al vescovo della Chiesa di Roma. Chi obbedisce è in pace: sa di ver ascoltato Dio, nella voce del Papa di oggi.

Qual è il “nuovo modello di vita cristiana, all’interno della Chiesa di Dio” che Francesco d’Assisi indica all’uomo del terzo millennio?

Questa domanda è piuttosto legata alla precedente. Qui vorrei rivelare il gheriglio teoretico che dovrebbe sostenere ogni francescano/a. Esso fu intuito dal Cardinale Giovanni di San Paolo che, assieme al vescovo Guido di Assisi, con-vinse entrambi nel permettere a Francesco di incontrare Papa Innocenzo III. Perché? Perché si accorsero che San Francesco chiedeva di vivere il Vangelo proprio come lo aveva impersonato Gesù. Pensiamoci: se il Cardinale e il vescovo avessero interdetto la visita del Poverello al Papa o, peggio, questi avesse negato a San Francesco il suo «proposito di vita», ciò avrebbe significato dichiarare che è impossibile vivere da cristiani nel mondo, entrando in una plateale autocontraddizione. Appunto, questo è il «nuovo modello di vita cristiana»: la possibilità realizzabile di vivere il Vangelo oggi per essere felici in terra e beati in Cielo.

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