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:: “Ustica, ultimo volo”, il libro di Daniele Biacchessi (Jaca Book – Collana Contastorie) di Patrizia Debicke

23 febbraio 2025

“Ustica, ultimo volo”, il libro di Daniele Biacchessi (Jaca Book – Collana Contastorie) si fa carico di riprendere le  fila  e di riordinare i tanti tasselli di una storia mai davvero finita, mai del tutto chiarita.
“Ustica, ultimo volo” è anche e soprattutto un libro che Biacchessi,  nella sua inquietante rappresentazione, ha voluto dedicare  alla memoria di  un amico e grande  giornalista Andrea Purgatori.  Ma anche la puntuale ricostruzione di una tragedia che mira a  riportarne  minuziosamente i  fatti, proponendosi di incasellare le scottanti  tessere di un puzzle reso caotico da  depistaggi, occultamenti di prove, strane morti di testimoni, verità storiche e giustizia incompleta.
Spiega Biacchessi nella sua introduzione: l’unico collega che fin dall’inizio non si lasciò mai ingannare dalla versione ufficiale, ovverosia: cedimento strutturale dell’aereo, fu Andrea Purgatori, perché la sera stessa della tragedia, il 27 giugno, 1980  quando il DC-9 Itavia si inabissò tra Ustica e Ponza, un suo amico militare di Ciampino intorno alle 22:00 gli telefonò dicendo: «Andrea, hai sentito? È caduto un aereo. Non farti fregare, è stato abbattuto un areo civile.» Non si trattava quindi di un incidente ma il fortuito e disgraziato coinvolgimento di un aereo di linea in uno scenario bellico. Purgatori perciò sapeva e lo scrisse nel suo primo articolo pubblicato sul Corriere già la mattina  del 28 giugno 1980.
Oggi, ben  45 anni dopo, Daniele Biacchessi con minuziosa puntualità e accurato rigore riparte da quelle prime valutazioni  e le conferma, avvalendosi del corposo  materiale in suo possesso documenti giudiziari, sentenze civili e penali, perizie, controdeduzioni, relazioni delle varie commissioni d’inchiesta, e molto altro ancora. Ma soprattutto fa con questo suo libro una meticolosa ricostruzione punto per punto dell’esatto percorso dell’ultimo volo del DC-9 IH870 da Bologna a Palermo, via Firenze, Grosseto, lago di Bolsena, Roma, Ponza, Ustica, fino al “Punto Condor”, il luogo aeronautico in cui l’aereo è stato colpito. 
Già 25 anni fa,  nel 2000, Biacchessi e l’amico e collega Fabrizio Colarieti, avevano deciso di mettere in rete il primo sito su Ustica stragi80.it.
Il loro scopo era raccogliere e  pubblicare tutto ciò che sarebbe emerso dalle indagini, a partire  dalle registrazioni audio dei colloqui tra piloti e i vari centri di controllo, valutando accuratamente le riprese video delle successive operazioni di salvataggio e recupero  dei pezzi dell’aereo nei fondali del mar Tirreno, e tenendo conto  delle fitte telefonate tra operatori di Ciampino, Marsala, Licola e lo stato maggiore dell’Aeronautica e dell’ambasciata americana, conseguenti al disastro aereo.
Da questo materiale risulta chiaramente il fatto: tutti loro conoscevano la verità ma erano coinvolti in un’azione di depistaggio per nascondere le reali motivazioni di quella  strage. Quindi già precise prove, non indizi. 
I successivi capitoli ripercorrono il lungo cammino dell’inchiesta sulla strage di Ustica condotta da  Rosario Priore,  nella sua autorevole veste di Magistrato di cassazione. Priore  per le finalità di quell’inchiesta, aveva costituito ben  tre reparti di Ufficiali di Polizia Giudiziaria, dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza (circa venticinque persone), che operavano alle sue dirette dipendenze  e hanno stilato dall’agosto del 1990 3.681 rapporti, hanno sentito 3 050 persone, hanno eseguito 576 decreti di esibizione, 411  di sequestro e quasi altrettante perquisizioni, oltre ad aver dato appoggio in 138 commissioni rogatorie internazionali e per circa 400 missioni in Italia. L’inchiesta ha totalizzato 1.600.000 fogli, avvalendosi di 120 perizie e consulenze di parte. L’80% degli atti a contenuto tecnico-scientifico a disposizione sono in inglese e la maggior parte delle riunioni peritali sono state in inglese, come gli incontri con la NATO a Bruxelles e Glons per le necessità di indagini radaristiche. Il tutto riportato alla fine in ben 5mila pagine, oltre a migliaia di allegati.
Un’ inchiesta che ha messo insieme un corposo atto di accusa sulle cause dell’abbattimento del DC-9, sul ritrovamento del Mig libico sulla Sila, sulla gravità dei depistaggi, delle omissioni.  Le indagini di Rosario Priore si conclusero il 31 agosto 1999, con l’ordinanza di rinvio a giudizio-sentenza istruttoria di proscioglimento. Priore escludeva le ipotesi di una bomba a bordo del DC-9 e di un cedimento strutturale, circoscrivendo le cause della sciagura a un evento esterno al velivolo civile. Non si indicava tuttavia un quadro certo. E purtroppo mancavano gli elementi per individuare  con sicurezza i responsabili.  
Il libro riporta anche il relativo processo del 2005 a Roma contro i vertici dell’Aeronautica, dei servizi, terminato con l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Ma dopo altre sfibranti e negative vicende giudiziarie – e Biacchessi cita, esaltandone il costante impegno: l’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica presieduta da Daria Bonfietti, significativo e commovente modello di importante impegno civile  che ha avuto il suo peso-  finalmente il 10 settembre 2011 arrivò invece una vera svolta. La sentenza del giudice civile di Palermo, Paola Proto Pisani, condannò i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di centinaia di milioni di euro in favore di 81 familiari delle vittime della strage. Le conclusioni del giudice di Palermo escludevano l’esplosione di una bomba a bordo del DC-9, affermando invece che l’aereo civile era stato abbattuto durante un’azione di guerra. «Tutti gli elementi considerati consentono di ritenere provato che l’incidente occorso al DC-9 si sia verificato a causa di un intercettamento realizzato da parte di due caccia, che nella parte finale della rotta del DC-9 viaggiavano parallelamente a esso, di un velivolo militare precedentemente mimetizzato nella scia del DC-9 al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell’esplosione di un missile, lanciato dagli aerei inseguitori contro l’aereo nascosto, oppure di una quasi collisione verificatasi tra l’aereo nascosto e il DC-9», Un sentenza  quindi a conferma di ciò che già si sapeva: l’aereo fu abbattuto in uno scenario di guerra… 
Ma in Italia la verità storica non sempre viene accompagnata da una verità giudiziaria. “Ustica ultimo volo” ci spiega che pur conoscendo  la verità, la giustizia civile, nel 2013 nonostante i ricorsi ministeriali , ha condannato definitivamente il ministero dei Trasporti e della Difesa a risarcire i parenti delle vittime perché  “non hanno visto, hanno depistato e hanno distrutto le prove”. 
 Ma per la  vera verità  forse «Manca l’ultimo miglio»  come diceva Andrea Purgatori in una puntata di Atlantide.  E manca anche il coraggio . Dopo le dichiarazioni  infatti di Giuliano Amato  nel 2023 alla Repubblica su  una responsabilità francese della strage non risultano nuove rogatorie presentate dal Governo di Giorgia Meloni rivolte al suo omologo Emmanuel Macron.
Ci sarebbero nuovi indizi che portano a ipotizzare anche una mano francese, nell’incidente.  Ma spesso in Italia per arrivare alla verità… È ancora tutto sempre troppo in salita”.

:: Mediorientarsi – Hotel Madrepatria, Yusuf Atılgan, (Ed. Jaca Book – Calabuig, 2015) a cura di Matilde Zubani

24 luglio 2015

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Gestire un hotel e gestire un’istituzione, una grande impresa, un paese erano in fondo la stessa cosa. Quando un uomo comincia a conoscere se stesso, a rendersi conto delle proprie possibilità, quando capisce quali sono le vere responsabilità, vacilla, non ce la fa. È una fortuna che i governanti dei paesi non lo sappiano, altrimenti qui, in questo mondo, farebbero molti più danni di quanti ne può fare il responsabile di un hotel.

L’Hotel Madrepatria è un konak (una vecchia costruzione ottomana) di tre piani, vicino alla stazione ferroviaria di una cittadina dell’Anatolia che fu vittima, nel 1922, di uno spaventoso incendio appiccato dai greci in ritirata. Il gestore dell’Hotel, Zebercet, è un personaggio solitario che conduce una vita monotona fatta di gesti sempre uguali, clienti poco interessanti e un rapporto-abuso con la cameriera.

Una notte arriva al konak una donna scesa dal treno, in ritardo, proveniente da Ankara, nessuno sa chi sia – non ha con sé la carta d’identità – né dove sia diretta, ma la sua apparizione – di cui resterà soltanto qualche traccia: due sigarette fumate a metà e un asciugamano a righe – è destinata a lasciare un segno indelebile nella vita di Zebercet. Il ricordo di questa donna e l’attesa di un suo improbabile ritorno si trasformeranno presto in un’ossessione totalizzante e irrazionale che trascinarà il protagonista fuori dal tempo e dallo spazio, stritolandolo in un vortice di follia.

La tecnica linguistica usata da Atılgan è interessante: lunghi periodi si alternano a frasi lapidarie e digressioni racchiuse tra parentesi. L’uso della punteggiatura è fortemente evocativo, tanto da rendere quasi difficoltoso il dipanarsi del discorso – proprio come se seguissimo le torsioni di una mente tormentata. Il flusso di coscienza evoca gesti, ricordi, frammenti di dialoghi e illusioni. Quello che conta sembra non essere tanto la trama, quanto il modernismo stilistico; citato dal premio nobel Pamuk tra i suoi maestri, Atılgan viene spesso accostato a William Faulkner, traslandone però l’esperienza nell’ambiente narrativo turco.

Il romanzo si pone al lettore come un’esperienza innovativa e disturbante, sia stilisticamente sia contenutisticamente. Come è evidenziato nella postfazione, il protagonista è circondato dalle cose della vita, ma è estraneo a tutte; patisce uno spaesamento mentale che contrasta col radicamento e l’immobilità delle sue giornate. Allo stesso tempo il pathos cresce in una contrazione prospettica sempre più soffocante.

Pur non essendo un’amante di questo stile modernista, ho apprezzato Hotel Madrepatria per la sua carica emotiva che mi ha ricordato le tinte cupe dei racconti di Poe (tipo Il cuore rivelatore) e il clima di attesa de Il deserto dei Tartari. Indiscussa è la buona riuscita della traduzione, forse resa ancora più efficace dalla collaborazione di due madrelingue: italiana e turca. Mi è piaciuto molto anche il glossario alla fine del libro, che non solo traduce, ma cerca di spiegare e raccontare i termini che sono stati lasciati in lingua originale.

In Turchia, Hotel Madrepatria si è ritrovato spesso al centro del dibattito critico-letterario a causa delle implicazioni politiche, culturali e psicologiche sollevate dai temi trattati: Anayurt Oteli (titolo originale) enfatizza gli aspetti alienanti della vita nella società moderna attraverso un ritratto convincente di un anti-eroe guidato da impulsi arcaici e da una sessualità ossessiva. Viene ritenuto un romanzo “di rottura” con la tradizione letteraria turca e oggi è considerato un classico moderno.

Per chi fosse curioso di approfondire, nel 1986 dal romanzo è stato tratto anche un omonimo film diretto da Ömer Kavur con Macit Koper e Serra Ylmaz.

Yusuf Atılgan (1921-1989), uno dei maestri della letteratura turca contemporanea, ha raggiunto la celebrità grazie a due soli romanzi, Aylak Adam (L’indolente) del 1959 e Hotel Madrepatria del 1973, ai quali si aggiungono alcuni racconti e un terzo romanzo incompiuto e pubblicato postumo. Tradotto in diverse lingue, Atilgan viene qui presentato per la prima volta in italiano.

Rosita D’Amora insegna Lingua e Cultura Turca all’Università del Salento. Ha tradotto in italiano Sabahattin Ali e Mehmet Yashin.

Semsa Gezgin ha tradotto in italiano Orhan Pamuk, Nedim Gürsel, Oguz Atay, Esmahan Aykol, e in turco Italo Calvino, Cesare Pavese, Umberto Eco, Alessandro Baricco.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Simona dell’Ufficio Stampa Jaca Book.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.

:: La cameriera era nuova, Dominique Fabre, (Jaka Book, 2015) a cura di Giulietta Iannone

28 marzo 2015

indexAsnières, alla periferia di Parigi. Pierre, cameriere di un bar accanto alla stazione, ama lo spettacolo della vita che si srotola davanti ai suoi occhi: i primi clienti arrivano la mattina presto, insonnoliti; una bella donna si ripara dalla pioggia sotto un ombrello rosso; uno studente legge “Se questo è un uomo” di Primo Levi. La cameriera si ammala, e una cameriera nuova arriva a sostituirla, proprio quando il matrimonio dei titolari del bar sembra franare. Mentre i rapporti si scompigliano e si riannodano, scorrono le ore sotto il cielo di Parigi, grigio e terso. Pierre partecipa a distanza delle vite degli altri, riflette sulla propria, accoglie la malinconia luminosa dell’autunno, e la lenta dolcezza della fine che si avvicina.

Dominique Fabre, parigino, classe 60, (da non confondere con l’omonimo scrittore, autore di Un beau monstre) è l’autore del romanzo breve La cameriera era nuova, (La serveuse était nouvelle, 2005) pubblicato in Italia da Calabuig, Jaka Book. Primo romanzo di Fabre edito in Italia, dopo essere stato pubblicato in Spagna nel 2006 con il titolo La Mesera Era Nueva, tradotto da Laura Masello per Beatriz Vierbo Editora, e in America nel 2008 con il titolo The Waitress Was New, tradotto da Jordan Stump, per Archipelago Books, è un delicato ritratto umano, un soffio di poesia persa nella vita quotidiana di un vecchio cameriere quasi in pensione, sul punto di essere licenziato. Una storia minima, narrata con accenni lirici e composti, in cui la tragedia appare a tratti senza mai manifestarsi apertamente. Una storia di sguardi, di accennati sorrisi, di amicizia, di solitudine, di coraggio, coraggio nell’affrontare ogni giorno le stesse sfide, compiere gli stessi gesti, in un microcosmo rarefatto, velato di malinconia e indifferenza. Parigi sullo sfondo, con i suoi cieli grigi, screziati di pioggia, malati d’autunno, le sue stazioni ferroviarie, i suoi caffè come Le Cercle, nel sobborgo di Asnières, appare e scompare perché il vero protagonista è lui, il vecchio Pierre, Pierrounet, un uomo gentile, benvoluto da tutti, rispettato dai colleghi come il cuoco Amédée, sempre circondato da cugine o la cameriera nuova arrivata all’improvviso in sostituzione della precedente malata. Non succede molto, anche il tempo è dilatato verso una fine inesorabile, ma lieve, educata, confondendo il sonno con la morte. Un piccolo dono insomma, una lettura umanamente ricca e nello stesso tempo leggera, impalpabile, come il tempo che passa. Un libro piacevole, narrato con sensibilità e eleganza, ma non priva di disincanto. Una penna felice quella di Fabre, felice davvero.

Dominique Fabre nasce a Parigi nel 1960. Scoperto in Francia nel ’95 dal grande editore Maurice Nadeau, è autore di una dozzina di romanzi. Nel novembre 2014 ha vinto il Prix Eugène Dabit. La cameriera era nuova, già tradotto in inglese e in spagnolo, è il suo primo libro a essere pubblicato in italiano.

Yasmina Melaouah si è laureata in letteratura francese moderna e contemporanea. Insegna traduzione letteraria all’Istituto Interpreti e traduttori di Milano. Ha tradotto, fra gli altri, Daniel Pennac, Patrick Chamoiseau, Fred Vargas, Colette, Jean Genet, Andrei Makine, Laurent Mauvignier, Mathias Enard. Nel 2007, in occasione delle Giornate della traduzione di Urbino, ha ricevuto il premio per la traduzione del Centro Europeo per l’editoria. Attualmente lavora alla ritraduzione de Le GrandMeaulnes di Alain Fournier.