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:: Il dio della bicicletta, Marco Ballestracci (Instar Libri, 2014) a cura di Alessandro Morbidelli

15 aprile 2015

cop dio della biclettaForse dovrei lasciar decantare con i tempi giusti la sensazione che mi accompagna dalla fine della lettura de “Il dio della bicicletta” di Marco Ballestracci, uscito l’anno scorso per Instar Libri, ma letto da me solo qualche giorno fa. Le analisi migliori hanno bisogno di tempo e di sedimentazione dei pensieri. Eppure non mi importa. Anzi, mi sento di scattare in avanti, in fuga. Quelli più bravi di me, quelli che sanno scrivere di sport e sanno riconoscere chi di sport sa scrivere, potranno riprendermi e dirmi: “Ma dove volevi andare?”. Io, al momento, non riesco a fare a meno di sentirmi dire, da una voce lontana “Coza t’hoi dit? Va’ giù, Fausto. Va’ giù!“, anche se non mi chiamo Coppi, anche se non c’è nessuno, dietro di me che bestemmia contro una foratura.
Così parto. Con un certo anticipo. Pedalo. Certo, già altri sono arrivati al traguardo.
Ma chi se ne frega.
Perché io sono uno di quelli che arrivano sempre con qualche minuto di ritardo. A parte rare volte, di sicuro quando vado al cinema, ché non voglio perdermi nemmeno un minuto di pubblicità, mi capita di correre. Per recuperare tempo. Per fare in modo che il ritardo non sia troppo. E ho una macchina a metano. Quindi, quando mi immetto per la Statale, con l’occhio fisso all’orologio, tutto vorrei, tranne incontrare loro, in gruppetti più o meno folti: i ciclisti.
Ecco, io sono il Nemico, quello che venerava volentieri un dio a forma di spazzaneve anche d’estate, quello che annuiva soddisfatto per la vittoria della civiltà ogni volta che incontrava, sempre per caso, in tv, una competizione ciclistica in velodromo, quello che sorrise di gusto quando la Fiat se ne uscì con la pubblicità della nuova Palio, quella in cui un ciclista si appoggiava per due volte al cofano dell’auto ferma al semaforo: alla terza l’autista ingranava la retromarcia togliendo il punto d’appoggio all’altro, proprio mentre la mano cercava il sostegno. Sì, io ridevo.
Quindi il fatto che oggi proprio io mi trovi a scrivere di questo libricino dedicato alla bicicletta e al dio che a volte muove i pedali, soffia i venti e via i destini, in qualche modo, dovrebbe avere un valore in sé diverso. Anche per tutti quelli che, come me, ridevano alla pubblicità della Palio.
Capiamoci: questo non è un manuale che insegna ad andare d’accordo con i ciclisti. No, è qualcosa d’altro, di cui voglio scrivere. E lo faccio per due motivi. Il primo è che se non me ne avessero parlato, non avrei mai comprato questo libro. L’avrei relegato, sbagliando, a semplice opera di cronaca sportiva. Quindi, se è vero che i caproni seguono il belare più alto, magari qualcuno mi verrà dietro. Il secondo è che qui c’è letteratura. Nascosta nella forma del racconto che è un po’ resoconto, un po’ pagina di diario, mai cronachistico. Qui ci si siede e si inizia ad ascoltare un uomo che regala storie. E che lo fa portandoci lontano, nei luoghi adatti agli eroi, quelli che Roland Barthes chiama “Dio del Male al quale bisogna sacrificare“, quelli dove muoiono corridori come Tom Simpson e dove vanno a morire quelli come Pierre Kraemer. Fa così, Ballestracci, ti dà l’impressione di uno che ti offre da bere mentre parla. Ti accompagna a un raduno dove vecchi corridori recitano Dante a memoria, ti tiene col fiato sospeso quando a prendere la parola è Alfredo Martini, senti la vertigine della discesa di Gastone Nencini e sì, insieme a Roger Riviere ci vai a finire pure tu, oltre il limite, giù per la scarpata di venti metri. Poi ti rialzi e vai avanti. Perché tu che leggi sei immortale, come gli eroi, quelli che in qualche modo vengono evocati da queste figure in sella che combattono contro se stessi, ma anche contro il Destino. Eccola, l’epica della sfortuna che rivive con Imerio Massignan (a cui Ballestraci ha già dedicato “Imerio” sempre per Instar Libri) le vicende del condottiero tessalo Protesilao. Eccoli Charly Gaul-Achille e Bartali-Aiace Telamonio e, come scrive Buzzati, Ettore, sconfitto dagli dei. Eccolo, il più grande di tutti per controllo della sfida, rapporto con i compagni e gusto dell’impresa, Fausto Coppi, l’Agamennone del ciclismo.
Marco Ballestracci sente la presenza di qualcosa che va oltre, che si appiccica ai pedali, ma anche agli occhi di chi colleziona biciclette, di chi vince il Tour De France da outsider e per questo non viene festeggiato, di chi mette in moto una squadra di muratori per facilitare una tappa di montagna. È questo il dio della bicicletta di cui parla. Attraversa, con la sua scrittura, la Storia. Perché gli uomini che passano lasciano sempre ai lati della strada altri uomini e le strade solcano città, sfiorano paesi, attraversano montagne, segnano epoche.
Chiaro esempio di quella disomogeneità narrativa che, come scriveva Angelo Marchese, avrebbe messo in crisi la concezione della narratologia come metodo, sono racconti costruiti in maniera tale da non lasciare punti deboli, ponti termici tra i dentro la vicenda e il fuori.
Non ho mai assistito allo spettacolo che lo stesso Ballestracci ha allestito partendo da questo piccolo bagaglio di narrazioni. Visitando il suo blog personale marcoballestracci.blogspot.it si può incontrare un calendario ricco di appuntamenti. Un tour, da vero bluesman. Mi piacerebbe, un giorno, vederne uno. Sempre che non si faccia troppo tardi, sempre che la mia auto a metano mi ci porti in tempo. Sempre che per strada non incontri un ciclista. A quel punto mi chiederei, senza ombra di dubbio, se per lui il dio della bicicletta non abbia in mente qualcosa di particolare.

Marco Ballestracci nasce in Svizzera, ma vive e lavora in Veneto. Con Instar Libri ha pubblicato “L’ombra del Cannibale“, “La Storia Balorda” (Premio Selezione Bancarella Sport 2012) e “Imerio“. Ha scritto anche un libro di racconti sul calcio: “A pedate. 11 eroi e 11 leggendarie partite di calcio” (Mattioli 1885). È cantante e armonicista blues.

:: Recensione di Troppo Piombo di Enrico Pandiani

5 aprile 2010

troppo piomboIn una Parigi fredda e plumbea, addobbata con luci e luminarie come un gigantesco luna park in attesa di accogliere i turisti per Natale, un killer violento e feticista inizia a uccidere le giornaliste della redazione di “Paris24h”.
Chi meglio del manipolo superstite di eroi conoscriuto in Les Italiens e delle nuove reclute unitesi strada facendo, può mettersi sulle sue tracce e risolvere il caso?
Questa volta però il nostro commissario Jean-Pierre Mordenti di cui finalmente conosciamo nome e cognome dovrà vedersela soprattutto con se stesso e andare contro alla pericolosa abitudine che ha di innamorarsi sempre di donne fatali e misteriose con molto da nascondere e poca voglia di collaborare.
L’inizio è di quelli che non si dimenticano, violento, sgradevole, un pestaggio che risulta un pugno nello stomaco anche per il lettore e farà arricciare non pochi sopraccigli, ma non lasciatevi spaventare, continuate a leggere e non ve ne pentirete.
Sin da subito Mordenti inizia a sospettare una vendetta maturata all’interno della redazione ma c’è dell’altro, qualcosa che ancora gli sfugge, l’odio che ha generato tanta violenza non poteva che aver avuto origine nel passato e per scoprirlo non si poteva far altro che scavare nella storia personale della prima vittima, certo una giornalista rischia di irritare parecchia gente dentro e fuori dal giornale ma per causare una reazione così esagerata doveva essersi macchiata davvero di qualche colpa davvero grossa.
Poi una foto attrae la sua attenzione, una foto in cui la prima vittima Therese Garcia è ritratta sorridente in redazione con alcune sue amiche giornaliste, subito avverte che in quella foto è racchiuso un mistero, la chiave di volta del caso e infatti quando le donne ritratte iniziano a morire con le stesse modalità Mordenti ha la certezza che quelle donne in un certo senso erano complici di qualcosa di davvero terribile. E non sarà facile capire cosa.
Mordenti e i suoi uomini infatti si troveranno a barcamenarsi tra sfilate di moda alternative, rivolte delle banlieues, e i veleni della redazione del giornale parigino, scansando questa volta invece che le pallottole, ma non dubitate che non mancheranno anche quelle, falsità, colpi bassi e pettegolezzi di un mondo pieno di invidie, slealtà carrieristiche e veri e propri odi mortali. Ma i nostri ragazzi sono dei veri duri, non si faranno certo impressionare e pagina dopo pagina ci accompagneranno rivelandoci il volto dell’inatteso colpevole e le sue agghiaccianti e ferree motivazioni.
E’ un noir duro e con venature più splatter e cupe del precedente anche se non privo di ironia e di romantiche digressioni molto chandleriane. Le atmosfere ricordano se vogliamo la Parigi di Leo Malet il capostipite del noir francese pur tuttavia mantengono un’ unicità e un’originalità davvero non comuni. Chi ha amato Les italiens non potrà che divertirsi leggendo Troppo Piombo, confermando la certezza che Les italiens non era solo un fuoco di paglia o una meteora estemporanea destinata a spegnersi. Pandiani è bravo e gli amanti del noir possono stare tranquilli ci regalerà ancora splendidi libri.