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:: Un’intervista con il Professore Francesco Anghelone, curatore assieme ad Andrea Ungari dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo a cura di Giulietta Iannone

10 marzo 2025

Buongiorno professore, lei è stato docente di Storia delle Relazioni internazionali alla Sapienza di Roma e da diversi anni cura la pubblicazione dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo, giunto all’edizione 2024. “Il Mediterraneo ha sempre occupato un ruolo centrale nelle dinamiche geo­politiche globali, un crogiolo di civiltà che ha plasmato la storia, la cultura e le economie di ben tre continenti. Questa regione assume oggi una rilevan­za ancora maggiore, rappresentando il cuore di cruciali questioni geopolitiche, economiche e ambientali che influenzano direttamente e indirettamente il fu­turo di molte nazioni al di là delle sue coste” cito Paolo de Nardis nella prefazione dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2024. Il Mediterraneo mai come in questi anni si può dire sia un sorvegliato speciale. Perlomeno gli stati che si affacciano sulle sue sponde. Sebbene le previsioni sembrino voler far ritenere lo spostamento del baricentro geostrategico globale verso l’indopacifico, il Mediterraneo riveste ancora il suo ruolo di ponte per una composizione pacifica delle frizioni e criticità di questi anni?

R: Il Mar Mediterraneo si conferma un’area di cruciale importanza nelle dinamiche geopolitiche ed economiche internazionali, e tale centralità è destinata a perdurare nei prossimi anni. Pur rappresentando soltanto l’1% della superficie marina globale, il Mediterraneo riveste un ruolo di primo piano nel commercio marittimo mondiale. Secondo il Rapporto Italian Maritime Economy 2022 del Centro Studi SRM, attraverso questo bacino transita circa il 20% del traffico marittimo globale. Inoltre, il Mediterraneo è attraversato da circa il 27% delle rotte commerciali containerizzate e gestisce il 30% dei flussi di petrolio e gas, inclusi quelli trasportati tramite oleodotti, lungo le principali direttrici nord-sud ed est-ovest. Tuttavia, negli ultimi quindici anni, la regione mediterranea è stata teatro di numerose crisi che ne hanno compromesso la stabilità, tra cui il conflitto libico, la guerra in Siria e, più recentemente, l’inasprimento delle tensioni nel contesto israelo-palestinese. Questi eventi non solo hanno avuto ripercussioni socio-economiche significative sui paesi della sponda sud, ma hanno altresì inciso profondamente sugli interessi strategici dell’Europa, esponendone le vulnerabilità in termini di sicurezza e approvvigionamento energetico. In questo contesto, si rende necessaria un’azione più incisiva da parte dell’Unione Europea, al fine di riaffermare il proprio ruolo storico nella regione e contrastare l’influenza crescente di attori esterni con rilevanti interessi economici e strategici, in primis Cina e Russia. Un rinnovato protagonismo dell’UE nel Mediterraneo appare essenziale non solo per la stabilità dell’area, ma anche per la tutela degli equilibri geopolitici globali.

Alcuni analisti addirittura azzardano di rifondare l’Unione Europea in favore di un’unione dei paesi del Mediterraneo. Come valuta questa ipotesi?

R: L’ipotesi in questione appare altamente improbabile. Le recenti dinamiche della politica internazionale evidenziano in maniera inequivocabile come l’Unione Europea necessiti di un significativo rafforzamento della propria capacità di azione politica. Tuttavia, tale evoluzione risulta spesso ostacolata dalla diversità degli interessi nazionali dei suoi Stati membri, che ne limitano la coesione e l’efficacia decisionale. In questo contesto, l’idea di un’unione tra i paesi del Mediterraneo, o addirittura di un’integrazione tra l’UE e gli Stati della regione, si configura come un’ipotesi ancor meno realistica in termini di concreta fattibilità politica. Ciò che appare invece imprescindibile è la necessità per l’Europa di ricostruire un dialogo strutturato con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, ridefinendo le basi su cui si fondano le relazioni tra le due rive del bacino. Risulta evidente, infatti, che l’Unione Europea non rappresenta più l’unico interlocutore possibile per i paesi della regione, i quali hanno progressivamente diversificato le proprie partnership economiche e strategiche, in particolare con la Cina, per quanto concerne gli investimenti e il sostegno finanziario, e con la Russia, in termini di cooperazione in materia di sicurezza. Alla luce di tale scenario, appare imprescindibile adottare un approccio innovativo nei rapporti tra l’Europa e i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, basato sulla creazione di progetti di sviluppo condivisi e sulla convergenza di interessi strategici, tenendo conto delle specificità e delle priorità di ciascun attore regionale. Solo attraverso una politica fondata su cooperazione paritaria e obiettivi comuni, l’UE potrà ambire a esercitare un ruolo realmente incisivo nel contesto mediterraneo, contrastando al contempo l’influenza crescente di attori esterni alla regione.

La recente guerra in Ucraina ha destabilizzato l’Europa e l’Occidente tutto, rendendo necessaria la riorganizzazione di strutture politiche e militari come la NATO e l’Unione Europea, che mai come in questi frangenti stanno testando i limiti della loro tenuta. C’è speranza di riprendere una strada di cooperazione e sviluppo, della cui necessità hanno capito l’importanza, per esempio, i paesi aderenti ai BRICS, o ci avviamo verso una crescente militarizzazione penalizzando welfare, e benessere dei cittadini comunitari?

R: Il piano recentemente proposto dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, volto a rafforzare la difesa comune europea, avrà inevitabili ripercussioni sulla spesa pubblica, incidendo in particolare sulle risorse destinate al welfare nei paesi che decideranno di aderirvi. Tuttavia, l’attuale scenario geopolitico internazionale e la recente postura assunta dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, impongono all’Unione Europea un incremento significativo delle proprie spese per la sicurezza e la difesa. In un contesto globale caratterizzato dall’emergere e dal rafforzarsi di nuove potenze internazionali, l’UE non può più permettersi di delegare la propria sicurezza a soggetti esterni, come è avvenuto negli ultimi ottant’anni. Gli Stati Uniti, del resto, sollecitano da tempo l’Europa affinché aumenti il proprio impegno finanziario in materia di difesa, una richiesta motivata anche dalla necessità di concentrare le proprie risorse sulla crescente competizione strategica con la Cina nella regione del Pacifico. Tali pressioni non sono un fenomeno recente, ma risalgono almeno alla presidenza di Barack Obama, segnalando un cambiamento strutturale nella politica di sicurezza statunitense. L’Unione Europea, pertanto, non può ambire a essere un attore globale credibile né a tutelare efficacemente i propri interessi senza dimostrare una reale capacità di gestire in autonomia la propria sicurezza e difesa. L’attuale fase storica, segnata da profondi mutamenti negli equilibri internazionali, impone una rivalutazione delle priorità politiche e finanziarie dell’Europa, con un necessario bilanciamento tra esigenze di sicurezza e sostenibilità economica.

Sarà il Mar Nero il possibile casus belli di un ipotetico, e si spera remoto, scontro diretto tra Europa e Russia, che alcuni analisti russi addirittura fissano per il 2027 se non si perviene a una risoluzione diplomatica? È in previsione di questa eventualità che l’Europa sta serrando i suoi ranghi chiedendo agli stati membri, anche a costo di un pesante indebitamento, di investire maggiormente nella difesa? Studiando l’area approfonditamente in questi anni con il suo Centro di ricerca quali sono le criticità che ha evidenziato? E c’è ancora margine di trattativa per evitare uno scontro armato tra Europa e Russia, tenendo anche conto del disimpegno statunitense?

R: Le potenziali aree di tensione tra l’Unione Europea e la Federazione Russa si configurano come nodi strategici in un contesto internazionale complesso e in continua evoluzione. Un esempio emblematico è rappresentato dalla regione della Transnistria (Repubblica Moldava di Pridniestrov, PMR), un territorio separatista situato nella parte orientale della Moldavia, lungo il confine con l’Ucraina. La Transnistria si autoproclamò indipendente nel 1990, in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, ma non ha mai ottenuto riconoscimento ufficiale da parte della comunità internazionale, rimanendo, di fatto, annessa alla Moldavia ai sensi del diritto internazionale. Nonostante ciò, la presenza di truppe russe e il sostegno economico e politico offerto dalla Federazione Russa consolidano il ruolo di questo territorio come possibile fonte di instabilità regionale, fungendo da potenziale punto di contesa nelle relazioni tra l’UE e la Russia. Parallelamente, un’altra area di particolare interesse e criticità è costituita dalle Repubbliche Baltiche, dove la presenza di una significativa comunità russofona ha alimentato, nel corso degli anni, dibattiti interni ed esterni in merito all’identità nazionale e alla sicurezza regionale. Le dinamiche in queste aree sono ulteriormente complicate dall’evoluzione del contesto geopolitico, in cui la recente aggressione russa nei confronti dell’Ucraina ha acuito le preoccupazioni dei paesi confinanti. In risposta a tale scenario, paesi come la Svezia e la Finlandia hanno intrapreso percorsi di integrazione nell’alleanza atlantica, sottolineando l’urgenza di un rafforzamento dei meccanismi difensivi e della cooperazione militare all’interno dell’UE. La questione della sicurezza e della difesa europea, pertanto, assume una rilevanza strategica non solo dal punto di vista militare, ma anche in termini diplomatici. Una capacità difensiva insufficiente incide direttamente sulla credibilità dell’Europa come attore globale, limitando le possibilità di negoziazione e di equilibrio nei confronti di una superpotenza come la Russia. In tale prospettiva, il rafforzamento delle capacità militari e la costruzione di un assetto difensivo più robusto appaiono indispensabili per consentire all’UE di esercitare una politica estera autonoma e credibile, capace di tutelare efficacemente i propri interessi e quelli dei paesi membri. In conclusione, il rischio di conflitti armati e di escalation delle tensioni nel bacino eurasiatico impone alla comunità europea di investire nella costruzione di un sistema di sicurezza integrato e multilaterale, che sappia coniugare gli interessi economici, politici e strategici. Solo attraverso un rafforzamento sia militare che diplomatico l’Europa potrà ambire a stabilire un equilibrio di potere che riduca le possibilità di crisi e garantisca la stabilità nell’area, in un’epoca in cui l’emergere di nuove potenze e il riposizionamento degli attori internazionali rendono il panorama globale sempre più incerto e competitivo.

State lavorando all’Atlante del 2025, può anticiparci qualche linea guida del prossimo testo e quando si prevede la pubblicazione?      

R: Speriamo di vedere l’Atlante 2025 nelle librerie già nel mese di aprile. Stiamo concludendo il lavoro che, come ogni anno, è reso complesso dalla rapida evoluzione degli eventi nella regione. In questa edizione analizzeremo, come sempre, gli undici paesi della sponda sud del Mediterraneo, e proporremmo un’analisi delle politiche di Cina e Stati Uniti nel bacino. Non mancherà poi un approfondimento sulla caduta del regime di Assad e sugli effetti che ciò ha prodotto su alcuni paesi molto coinvolti nel dossier siriano.

:: Un’intervista con Francesco Anghelone, curatore assieme a Andrea Ungari dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2022

26 aprile 2022

Buongiorno professore, siamo arrivati all’edizione 2022 dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo, un libro sempre più prezioso per analizzare la storia e la contemporaneità dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo nella sua sponda sud (al limite sud-est). Otre a questi profili paese, molto utili ed essenziali, il volume è arricchito da alcuni saggi di esperti e studiosi, quest’anno su: primavere arabe, energia e sicurezza, e scenario israeliano. Con una guerra in corso che infiamma un territorio sulla sponda opposta del Mar Nero rispetto alla Turchia, che scenari si aprono per i difficili equlibri della regione?

R: L’attacco della Russia all’Ucraina apre scenari complessi e al tempo stesso imprevedibili. La Turchia è certamente uno dei paesi del Mediterraneo più interessati al conflitto e alle sue evoluzioni. Non solo perché affaccia sul Mar Nero e controlla gli Stretti, ma anche perché i suoi rapporti con Mosca sono stati caratterizzati, nel corso degli ultimi anni, da rotture e riavvicinamenti tattici. In Siria Turchia e Russia giocano partite differenti e anche in Libia i due paesi appoggiano fronti contrapposti. Erdogan ha spesso usato Mosca come contrappeso alla Nato e ai paesi europei, cercando così di ritagliarsi una sorta di autonomia strategica che le permettesse di agire più liberamente quale potenza regionale. Tuttavia nella fase attuale la Turchia, quale membro della Nato, vede ridotto il proprio spazio di manovra. Un confronto duro, come quello che si sta prefigurando tra Russia e Occidente, rende più complesso tenere un atteggiamento ambiguo da parte di Ankara.

Secondo lei c’è una possibilità concreta che il conflitto si estenda nelle regioni a sud del Mediterraneo?

R: Allo stato attuale delle cose è difficile fare previsioni. Una cosa è certa: si sta prefigurando una sorta di Nuova Guerra Fredda e ciò significa che ogni paese sarà chiamato a prendere, prima o poi, una posizione rispetto allo scontro attuale. In un certo senso, dunque, anche se non dal punto di vista bellico, lo scontro tra Russia e Occidente per portare dalla propria parte il maggior numero di paesi è già cominciato e coinvolge certamente anche il Nord Africa e il Medio Oriente. È interessante, da questo punto di vista, notare le posizioni di Marocco e Algeria in occasione del voto all’Assemblea dell’Onu, lo scorso 5 marzo, sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa in Ucraina. Il Marocco ha deciso di non partecipare al voto, mentre Algeri ha deciso di astenersi. Sono segnali che non devono essere assolutamente sottostimati.

L’Ucraina è un paese ricco di risorse, (è il granaio dell’Europa), materie prime, km di gasdotti che l’attraversano e danno energia all’Europa. Secondo lei è stata l’avidità a innescare il conflitto nel 2014? L’Europa, poi, che errori ha commesso, perché ha esitato così tanto a far entrare l’Ucraina nell’Unione europea? Non rispettava alcuni parametri? O c’è dell’altro?

R: Il conflitto, iniziato nel 2014 con l’occupazione della Crimea da parte della Russia e con la destabilizzazione del Donbass ha ragioni politiche e geopolitiche. Mosca da anni non nasconde il fatto che voglia ricreare una sorta di zona cuscinetto, composta da Stati che da lei dipendono e a lei rispondono, la quale possa garantirle la sicurezza rispetto a presunte minacce provenienti dalla Nato. L’Europa ha forse sottovalutato le implicazioni di lungo periodo della crisi del 2014, nella convinzione, forse, che Mosca non si sarebbe mai spinta oltre. Per quanto riguarda l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, credo che Bruxelles abbia mostrato tutta la propria disponibilità, in questa fase, mandando anche un segnale politico forte alla Russia. Per quanto riguarda l’ingresso vero e proprio, tuttavia, pur volendo accelerare al massimo le procedure, l’Ucraina dovrà rispettare i parametri richiesti a qualsiasi paese candidato e per fare ciò ci vorranno probabilmente anni. A meno che non si compia una scelta tutta politica e si decida di accettare Kiev nell’Ue prima che essa sia in grado di soddisfare appieno i parametri di adesione. Ma in questo caso, come detto, si tratterebbe di una scelta politica e al di fuori del normale processo di adesione all’Ue.

Ho fatto risalire l’inizio del conflitto al 2014 (molti storici concordano su questo punto) sebbene in principio la “guerra” era circoscritta nelle regioni del Donbass. Una guerra civile, fratricida, sanguinosa. Ma lontana. Dal 24 febbraio, con l’ingresso delle truppe armate di Mosca nel paese, la guerra civile da lontana è diventata vicina. È entrata nelle nostre case, ha scosso l’opinione pubblica. La gente muore, e noi assistiamo impotenti a questa barbarie. Secondo lei sono stati incrinati in qualche misura gli ideali di pace e stabilità all’origine dell’Unione Europea stessa? C’è una strada da percorrere per ripristinarli?

R: Non credo che gli ideali di pace e stabilità che hanno segnato sin dalla sua nascita il progetto comunitario siano stati scalfiti in alcun modo dalla guerra. Al contrario, la scelta di Mosca di usare le armi rafforza la visione alla base dell’esistenza stessa dell’Ue. Inoltre non sono d’accordo sul fatto che l’Europa stia assistendo impotente agli eventi bellici. L’Europa mai come in questa occasione si è mostrata coesa, sostenendo l’Ucraina sul piano politico e militare e imponendo sanzioni molto dure alla Russia, le quali avranno certamente un impatto nel medio periodo sull’economia russa.

Tornando all’Atlante, è sempre più uno strumento utile per storici, e ricercatori, e perché no politici e amministratori. Quando avete ideato il progetto pensavate che avrebbe avuto un tale peso e una tale portata?

R: Quando abbiamo pensato di pubblicare l’Atlante non immaginavamo che saremmo arrivati all’VIII edizione. Le premesse che erano allora alla base della nostra scelta restano tuttavia ancora valide. Pensavamo allora, e pensiamo ancora oggi, che il Mediterraneo sia parte dello spazio vitale dell’Italia e dell’Europa e che negli anni passati le dinamiche politiche, economiche e sociali che lo attraversavano fossero troppo trascurate nel nostro paese. Le Primavere Arabe colsero tutti di sorpresa, politici e opinione pubblica, perché poco si conosceva del Mediterraneo e dei paesi della sponda sud. Abbiamo allora pensato di dare il nostro piccolo contributo affinché il dibattito sul Mediterraneo resti vivo e al centro degli interessi del nostro paese.

Il Mediterraneo è sempre più un ponte tra il Sud del Mondo e l’Europa, in che misura questo ruolo cruciale è avvertito a Bruxelles?

R: Sino ad alcuni anni fa l’Ue era molto concentrata nello sviluppo della sua dimensione continentale e mitteleuropea. Oggi anche a Bruxelles vi è maggiore consapevolezza dell’importanza del Mediterraneo. C’è ancora molto da fare, ma credo che oggi l’Europa sia sulla strada giusta rispetto alla necessità di affrontare i problemi della regione in modo collettivo e con uno sguardo al futuro.

Ringraziandola della disponibilità le chiedo su che direttrici state lavorando per l’Atlante del prossimo anno? Grazie.

R: Come sempre sono molti i temi importanti che meriterebbero un approfondimento. Nell’edizione 2022 abbiamo scelto di approfondire gli effetti del Covid-19 sui paesi della sponda sud del Mediterraneo. La prossima edizione sarà certamente fortemente influenzata dalle vicende belliche in corso, anche in considerazione dell’attivismo russo in Libia e cinese in altri paesi della regione.

:: Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2019 a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari (Bordeaux 2019) a cura di Giulietta Iannone

24 novembre 2019

Atlante 2019È in libreria l’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2019 a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari, appuntamento fisso, ormai dal 2013, per tutti coloro. addetti ai lavori o semplici cultori della materia, che vogliono avere strumenti validi per analizzare e approfondire le problematiche che toccano l’area del Mediterraneo, mai come in questi anni al centro delle più delicate questioni geopolitiche, trovandosi infatti sulla rotta delle migrazioni da sud, come vera e propria porta per l’Europa. Se l’argomento migrazioni è stato approfondito l’anno scorso, rimando all’Atlante del 2018, due sono i temi caldi di quest’anno: L’azione delle Authorities per l’integrazione energetica del bacino del Mediterraneo saggio scritto da Fabio Tambone e La presenza cinese nel Mar Mediterraneo saggio di Francesca Manenti. La necessità di una sempre maggiore integrazione energetica tra i paesi che si affacciano sul Mediterraneo è, secondo chi scrive, sicuramente il tema più delicato e il meno noto e dibattuto se vogliamo, e questo merita senz’altro una nota di apprezzamento per i coordinatori del volume che l’hanno scelto per quest’anno. Il ruolo del Mediterraneo di ponte tra tanti Stati e nazioni con culture, lingue, religioni diverse acquista una rilevanza strategica e geopolitica di prim’ordine alla luce della sempre più stringente necessità di coordinare la cooperazione e gli investimenti per la transizione energetica dei prossimi decenni. Per l’Unione europea i vicini della sponda nordafricana e dell’est europeo che si affaccia sul Mediterraneo costituiscono dei partner naturali con cui sarà sempre più importante interagire e coordinare le scelte e decisioni. Sottovalutare questo sarebbe un grave errore, e Tambone sottolinea bene la necessità, si può dire vitale, di un mercato integrato. Ne consiglio un’attenta lettura. L’altro tema, approfondito da Francesca Manenti, ci porta all’attenzione il ruolo sempre più attivo della Cina, che ha capito bene l’importanza del nostro mare come crocevia di traffici e di merci, oltre che idee, da cui dipende la neccessità di potenziare le infrastrutture, i luoghi di scalo (consiglio di notare l’importanza degli accordi tra Cina e Italia legati al porto di Trieste, da sempre ponte tra l’Europa e l’Oriente), non dimenticando anche oltre i lati economici anche quelli politici.

Il mar Mediterraneo, infatti, è stato inserito dal governo cinese all’interno della Belt and Road Initiative (BRI). L’ambizioso progetto di interconnessione, lanciata dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013, che si propone la realizzazione di una rete capillare di infrastrutture di trasporto, energetiche e digitali per incentivare gli scambi materiali e immateriali tra la Cina e il resto del mondo.

Oltre alla capacità di controllo della portualità e della logistica è rilevante sottolineare la rilevanza di una sempre più stretta interconnessione del più innovativo settore delle telecomunicazioni. Altrettanto significativo infatti è l’investimento cinese nelle costruzioni delle reti di cavi sottomarini per la trasmissione di segnali. Ciò ci fa capire a tutto tondo l’importanza che il Mediterraneo riveste per la Cina, per gli obbiettivi di crescita nazionale e internazionale, da raggiungere entro il 2050. Di contro, non sembra che i paesi dell’Europa mediterranea siano interessati a iniziare formule di dialogo con la Cina, che tuttavia continua a volere una via privilegiata con Bruxelles.
Ai due saggi di approfondimento seguono le consuete 11 schede paese, di cui consiglio, come l’anno scorso, la lettura approfondita delle schede Libia, Siria e Turchia. Da non tralasciare la postfazione di Stefano Polli che focalizza in modo puntuale e essenziale le tematiche principali da cui dipende il nostro futuro.
Di questo testo come sempre colpisce la chiarezza espositiva e la capacità di rendere semplici, immediate e fruibili anche tematiche complesse. Leggendolo ci si sente sempre arricchiti, in più l’ampia bibliografia da spazio all’approfondimento personale. Buona lettura.

Francesco Anghelone Coordinatore scientifico dell’Area di ricerca storico-politica dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, è dottore di ricerca in Storia d’Europa presso la “Sapienza” di Roma e collabora con «Aspenia online». È autore di numerose pubblicazioni su Grecia, Turchia, Cipro e l’intero Mediterraneo sud-orientale.

Andrea Ungari Professore associato di Storia contemporanea presso l’Università Guglielmo Marconi e docente di Teoria e Storia dei Partiti e dei Movimenti politici presso l’Università Luiss-Guido Carli. I suoi studi si sono concentrati sulla storia politica dell’Italia liberale e di quella repubblicana e sulla storia militare, con una particolare attenzione al ruolo dell’Esercito e dell’Aeronautica nella Prima guerra mondiale. Recentemente, ha collaborato con lo Stato Maggiore dell’Esercito all’elaborazione del volume Prospecta, sulle linee evolutive dell’Esercito italiano.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Giulia dell’ Ufficio Stampa Bordeaux.

:: Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2018 a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari (Bordeaux, 2018) a cura di Giulietta Iannone

31 gennaio 2019

1Il fenomeno migratorio che ha attraversato il Vecchio continente negli ultimi anni sta creando profonde spaccature all’interno dell’Unione europea e nei singoli paesi membri. La questione è stata affrontata – troppo a lungo – come una semplice emergenza e non come un processo strutturale destinato a proseguire nei prossimi decenni. Dalla sua corretta gestione dipenderà molto probabilmente la tenuta futura dell’Unione, così come la creazione di stabili e pacifici rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. Quale sarà dunque la risposta dell’Europa e quale l’atteggiamento dei singoli paesi membri? Quali saranno gli effetti sui rapporti tra questi ultimi e i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente? A queste e a tante altre domande risponde l’Atlante Geopolitico del Mediterraneo 2018. Il volume, divenuto negli anni punto di riferimento per gli studi sul tema, è corredato da 11 schede paese relative agli Stati della sponda sud del Mediterraneo, redatte da storici e analisti con l’obiettivo di raccontare l’attuale situazione geopolitica dell’area e gli scenari futuri.

È uscita l’edizione 2018 dell’Atlante Geopolitico del Mediterraneo a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari, dell’Istituto di studi Politici “S. Pio V”, in collaborazione con il Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.) e oltre alle consuete schede paese, riservate ai paesi che si affacciano sulle sponde Sud del Mediterraneo, gli approfondimenti quest’anno sono rivolti al tema delle migrazioni, con due mini saggi: Europa e Africa alla prova delle migrazioni, di Marco Di Liddo e Paolo Crippa, e La risposta dell’Unione europea alla crisi migratoria del Mediterraneo. Tema caldo in questo momento di crisi economica, recessione e instabilità politica.
Da emergenza a processo strutturale il passo non è semplice anche nella percezione del semplice cittadino che osserva i processi in atto senza poter intervenire, perlomeno nei processi alla fonte del fenomeno, che al più vede lo straniero come un concorrente nelle politiche di welfare. Capire cosa sta succedendo invece è il primo passo per formulare e prendere decisioni consapevoli sia politiche che economiche o eventualmente assistenziali.
Emerge chiaro dai due saggi di cui poc’anzi vi ho parlato che lasciare la gestione logistica dei processi migratori alla criminalità comune o legata alle frange terroristiche più estremistiche non è una scelta saggia e ponderata e in questa direzione vanno tutte le politiche, anche comunitarie, atte a rispettare sia i diritti umani, che la sovranità dei paesi in cui questi migranti transitano o si dirigono definitivamente.
Il tema è vasto e complesso, non si può esaurire la sua discussione in poche pagine, o ancor più poche righe di questo mio commento, tuttavia è importante capire alcuni punti sostanziali dall’inutilità delle politiche repressive (è un fenomeno di tale portata che né muri e né steccati potranno arginarlo, e questo proposito consiglio di leggere approfonditamente la scheda paese Libia) alla necessità (nonostante le immani difficoltà) di una strategia comune di Bruxelles.
Se vogliamo sintetizzare le difficoltà da gestire non sono solo economiche, ma anche politiche, sociali, e psicologiche. I migranti essendo persone non oggetti che dove li collochi stanno hanno necessità dalla salute, al lavoro, all’integrazione, al benessere psico-fisico, tutti fattori da tenere presente se non si vuole rendere ancora più drammatico un fenomeno che già di per sé lo è.
Se anche non sono profughi scappati dalle varie guerre in atto (sì sottolinea come questi siano maggiormente ammassati in condizioni precarie in campi profughi o all’interno dei paesi stessi in guerra o nei paesi confinanti, avendo perso tutto non hanno neanche le risorse per iniziare viaggi), tuttavia sono persone che anche grazie a internet e alla globalizzazione in atto conoscono il nostro modo di vivere e le opportunità che i paesi dell’Europa possono offrire.
Sono persone di cultura medio alta, istruiti, pronti ad affrontare immani sofferenze con l’obbiettivo magari in futuro grazie al ricongiungimento familiare, di portare anche il resto della famiglia in paesi dove le condizioni di vita sono migliori.
La lettura di questo testo, indirizzato non solo a specialisti della materia, insomma amplierà le vostre conoscenze sull’argomento, migliorando la percezioni dei problemi che via via si pongono in essere. Buona lettura.

Link di approfondimento:

Più libri più liberi 2018 – Presentazione dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo 2018

L’invasione dei migranti? Non c’è stata e la migrazione va regolata. Perché l’Italia dovrebbe aderire al Global Compact for Migration di Pier Giorgio Ardeni

Francesco Anghelone Coordinatore scientifico dell’Area di ricerca storico-politica dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, è dottore di ricerca in Storia d’Europa presso la “Sapienza” di Roma e collabora con «Aspenia online». È autore di numerose pubblicazioni su Grecia, Turchia, Cipro e l’intero Mediterraneo sud-orientale.

Andrea Ungari Professore associato di Storia contemporanea presso l’Università Guglielmo Marconi e docente di Teoria e Storia dei Partiti e dei Movimenti politici presso l’Università Luiss-Guido Carli. I suoi studi si sono concentrati sulla storia politica dell’Italia liberale e di quella repubblicana e sulla storia militare, con una particolare attenzione al ruolo dell’Esercito e dell’Aeronautica nella Prima guerra mondiale. Recentemente, ha collaborato con lo Stato Maggiore dell’Esercito all’elaborazione del volume Prospecta, sulle linee evolutive dell’Esercito italiano.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Giulia dell’ Ufficio Stampa Bordeaux.

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