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:: Recensione di Una donna di troppo di Carl Hiaasen a cura di Giulietta Iannone

6 gennaio 2011

1Ci aveva già pensato Alfred Hitchcock a giocare al delitto perfetto; dimostrando, con rigoroso cinismo, che non esiste e non aveva certo scelto uno sprovveduto per impersonare il marito Barbablù deciso a far fuori la moglie per ereditare la di lei lauta fortuna.
Immaginatevi cosa può succedere quando è Carl Hiaasen a dirigere le danze.
Di tutto.
Sento qualcuno mugugnare nelle retrovie Carl Hiaasen chi? Beh, vorrei far la parte di quella aggiornatissima, che sa tutto, che ha scoperto Hiaasen al primo libro ancora inedito in Italia, mentre tutti si chiedevano perché cavolo Hiaasen si scrivesse con due a. E invece no. Ho scoperto Hiaasen con Una donna di troppo, divertentissimo econoir scovato dalla astuta ciurma di Meridiano Zero.
Carl Hiaasen è un versatile scrittore americano di origine norvegese che ha iniziato la sua carriera occupandosi di giornalismo investigativo e nello specifico dando calci nelle gengive ai politici intrallazzatori della Florida, sviluppando le sue doti di segugio soprattutto sul tema dello sviluppo edilizio a danno dell’ambiente naturale.
Quando è approdato alla narrativa, conscio che si può fare più danno con la fantasia che con la realtà, non ha mollato l’osso e nei suoi libri ha innestato il valore aggiunto dell’ecologismo militante e della denuncia dell’indiscriminato abusivismo e del sistematico avvelenamento dell’ecosistema.
Ecologismo?
Ecosistema?
Che centreranno con il noir direte voi?
Datemi tempo e dissiperò le vostre legittime perplessità. Una donna di troppo è un noir di nuova generazione, un noir che usa la comicità per fare risaltare ancora di più l’impegno e la meritoria lotta del bene contro il male.
Ma andiamo con ordine partiamo dall’ambientazione: immaginiamo l’ex paradiso naturale della Florida del sud, fenicotteri rosa a go go, acque un tempo cristalline, ora un po’ torbide per i pesticidi ma di notte chi se ne accorge quando la luna scintilla e una coppietta di innamorati naviga su un panfilo da mille e una notte, in una sorta di seconda luna di miele per festeggiare l’anniversario di nozze.
Che quadretto romantico direte voi e invece all’improvviso il dramma. Chaz prende la sua bella e bionda moglie per le caviglie, la ribalta dal parapetto e la scaraventa nelle nere e infestate acque dell’Atlantico a miglia dalla costa compiendo ai suoi occhi il classico delitto perfetto.
Non che sia intrinsecamente malvagio il povero Chaz, che a dirla tutta fa anche un poco di tenerezza tanto è stupido, superficiale, sessualmente promiscuo, pure un lampo di rimorso attraversa il suo universo ma non ha scelta. Ha troppo da perdere, ormai convinto che la moglie sia a conoscenza del fatto che è un uomo corrotto, pagato dal vero delinquente della situazione, Red Hammernut, responsabile del più grave disastro ambientale che la Florida ricordi e che sia sul punto di parlare.
Già, ma Chaz non è un uomo fortunato, non è uno di quei baldi simpaticoni a cui la sorte strizza un occhio e solleva da tutte le responsabilità. Joey Wheeler Perrone non ha nessuna intenzione di morire.
E che fa?
Dopo tutto è un ex campionessa universitaria di nuoto, una sirenetta di tutto punto e cosi nuota tra squali, alghe appiccicose e nefaste, meduse, onde salate, correnti atlantiche, e abbarbicata ad una balla di marijuana, (trenta chili di giamaicana, della migliore), abbandonata da un gruppo di allegri contrabbandieri distratti, approda sull’isolotto di Mick Stranahan, ex detective con uno spiccato senso dell’umorismo, un dobermann svitato, 6 ex mogli e un debole per la bionda Joey che, dopo essersi ripresa dal momentaneo sgomento, medita vendetta.
Da questo momento in poi per Chaz non c’è più scampo e, più sprofonda nelle acque melmose dell’incubo e dei suoi peccati, e più il lettore se la ride con un retrogusto di amarezza e di disincanto legato allo spaventoso inquinamento causato dal massiccio afflusso di fosforo agricolo che ammorba i sistemi palustri degli Everglades rendendo impossibile qualsiasi forma di vita.
In un crescendo mozartiano si arriverà alla resa dei conti finale che non sarà certo considerabile come un lieto fine, ma che cancellerà di sicuro dalla faccia di Chaz il suo indisponente sorrisetto di altezzosa impunità. Vedere per credere il destino che Hiaasen ha in serbo per lui.
Dire che nella traduzione c’è lo zampino di Luca Conti, con la brava Luisa Piussi, mi sembra inutile, ma comunque doveroso perché sembra, si mormora, che ci sia ancora gente che pensa che i libri si traducano da soli.

Carl Hiaasen, “Una donna di troppo”, Titolo originale Skinny Dip, pp. 447, 18 euro, Meridiano Zero, 2010.

:: Una donna di troppo. La seconda indagine del maggiore Aldo Morosini nell’Africa Orientale Italiana, Giorgio Ballario (Edizioni Angolo Manzoni) a cura di Giulietta Iannone

8 novembre 2009

1Dopo il buon successo di “Morire è un attimo” (Edizioni Angolo Manzoni, pp 335, Euro 15), Giorgio Ballario torna con una nuova indagine del maggiore dei Regi Carabinieri Aldo Morosini in servizio a Massaua, Eritrea, in un noir classico, ma nello stesso tempo originale. Morosini questa volta, sempre affiancato dal fidato maresciallo Eusebio Barbagallo, sempre allegro e ottimista quasi parente di Don Bosco o per lo meno suo conterraneo, e dal leale e misterioso sottoufficiale indigeno Tesfaghì, dovrà lasciare Massaua per raggiungere la costa dell’Africa che si affaccia sull’ Oceano Indiano per una missione segreta da cui dipendono i destini di molti.
Sullo sfondo dei grandi eventi internazionali, mentre l’ Italia di Mussolini cerca affanosamente di farsi prendere sul serio preparandosi alla guerra con l’Abissinia odierna Etiopia e il generale Rodolfo Graziani al comando delle operazioni militari sta organizzando le forze per lanciare l’offensiva dal fronte sud e marciare su Addis Abeba, Ballario ci porta infatti a Mogadiscio nel caldo afoso e opprimente della tarda estate del 1935 dove una serie di misteriosi omicidi, apparentemente slegati tra loro, sta gettando scompiglio nella popolazione civile, minando pericolosamente il morale delle truppe e addirittura mettendo in serio pericolo le mire espansionistiche del Duce.
Nulla è certo. Si sospetta la longa manus del regime del negus Hailé Selassiè, o addirittura sordidi giochi di potere orchestrati dall’Italia per ostacolare l’ascesa del generale Graziani, fedelissimo di Mussolini da poco bersaglio di un attacco della stampa internazionale, o l’ipotesi più ovvia, ovvero semplici criminali comuni. Chiunque sia il colpevole bisogna scoprire al più presto il perché di questi assassini e chi meglio del maggiore Morosini può riuscire nell’impresa?
Sin dall’inizio l’indagine non si presenta affatto facile. Vuoi per la decisa ostilità delle forze dell’ordine del luogo, vuoi per la fama per lo meno controversa del generale Graziani, accusato di aver compiuto stragi tra la popolazione civile, vuoi per il sospetto che Morosini ha di essere stato sbattuto in Somalia come pedina inconsapevole di un gioco al di sopra della sua testa e lui allergico alle trame politiche non ha nessuna intenzione di fare la fine del capro espiatorio.
Cosa lega tra loro un fante apparentemente morto suicida impiccato ad un albero, un capo manipolo della Milizia sgozzato con il suo stesso coltello, un ascaro libico, un volontario italoargentino e una suora devota e integerrima? Una sola cosa è certa tutte le vittime hanno qualcosa in comune per lo meno un forellino sul collo che fa sospettare che gli sia stata iniettata prima della morte una sostanza psicotropa e addirittura porta Morosini ad interrogarsi se esistano gli zombi.
Morosini è un uomo del suo tempo, porta la brillantina, fuma le Macedonia, balla al suono di Parlami d’amore Mariù e pur non essendo un supereroe legge Seneca ed è fermamente deciso a scoprire la verità.
Il romanzo cattura piacevolmente, oltre che per la simpatia del protagonista, per l’ottima descrizione storica del periodo e della società coloniale dell’Africa italiana di cui Giorgio Ballario dopo approfondite ricerche, e un’ attenta ricostruzione sulla base di documenti d’epoca, ci presenta quei luoghi esotici con grande dovizia di particolari. Con il sottofondo di “Faccetta nera bell’Abissina” impariamo così a conoscere un mondo scomparso, un’Africa esotica ancora viva nei cinegiornali Luce, ma quasi scomparsa dal dibattito culturale di questi anni.
Ballario ha un dono raro sa far amare un personaggio in apparenza normale, ma eccezionale proprio per la sua normalità, per la semplicità della sua dirittura morale in un mondo corrotto e decadente dove “una borghesia debosciata e parassita andava riproducendo nelle Colonie i medesimi vizi della madrepatria” magari accrescendoli “dal clima di rilassatezza e abbandono di quelle terre lontane”.
L’Africa che emerge dalle sue pagine ha poco dello stereotipo da cartolina di quegli anni, è una terra viva animata da una folla variopinta e rumorosa piena degli odori forti delle “droghe, spezie, aromi di cucina, delicate essenze orientali e puzza di pesce marcio, incensi profumati e fetore di lattrine”.