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:: L’equivoco del sangue di Giorgio Ballario (Edizioni del Capricorno, 2024) a cura di Giulietta Iannone

1 novembre 2024

E così la saga coloniale del maggiore Morosini in forze al PAI, del raffinato giornalista e scrittore torinese Giorgio Ballario, giunge al settimo episodio. Dopo Morire è un attimo, Una donna di troppo, Le rose di Axum, Le nebbie di Massaua, Intrigo ad Asmara e Il prezzo dell’onore, è appena uscito per Edizioni del Capricorno L’equivoco del sangue, nuova indagine nell’Africa coloniale italiana. Siamo ormai nel Dicembre del 1937, dopo una breve licenza nell’afosa Massaua, dove ha avuto modo di conoscere una giovane vedova, la signora Caterina, che potrà occupare forse un posto nel suo cuore, Aldo Morosini torna ad Asmara per indagare sulla morte di una domestica eritrea, Samya, a servizio da una potente famiglia di coloni locali italiani, i Bouchard, di ascendenza piemontese e valdese. Sul tardi mentre tornava da una chiesa copta dove era andata a pregare, la donna, in un vicolo, venne prima pugnalata e poi sgozzata (come un capretto), inscenando un goffo tentativo di stupro, con molte probabilità per sviare le indagini. Quando un’altra morte, questa volta eccellente, quella della capofamiglia Maria Elena Bouchard, viene a complicare lo scenario, Morosini, insieme ai fedeli Barbagallo e Tesfaghì, si trova a supporre che i decessi siano collegati e che per far luce sulla verità bisogna indagare più a fondo sui misteri e i complicati segreti famigliari della famiglia Bouchard. In un contesto in cui il “madamato”, una pratica che sfrutta le donne indigene in relazioni diseguali e spesso abusive, riducendole a meri strumenti di soddisfazione dei bisogni dei coloni, e riflette la mercificazione delle relazioni umane, è all’ordine del giorno, Morosini si trova costretto ad avere a che fare con le conseguenze di tali dinamiche sociali. Nonostante le proibizioni del regime fascista, più che altro per preservare la purezza della “razza” secondo i suoi dettami ideologici, le relazioni tra i coloni italiani e le donne indigene sono tollerate seppure queste famiglie alternative generando figli non sempre riconosciuti potevano determinare tensioni morali, economiche e affettive capaci di scadere nel dramma. Ballario sotto l’apparenza di una trama poliziesca ben congegnata indaga la complessità di queste relazioni coloniali segnate da profonde diseguaglianze e dinamiche di sfruttamento e sebbene non approfondisca i danni del colonialismo, riflettendo i punti di vista dei personaggi che lo vivono, offre un accurato quadro d’epoca, denso di particolari anche inediti e ben documentati. La scrittura di Ballario è classica, ariosa, molto salgariana, ricca di termini specifici, vie storiche, usanze, cibi, musiche e film d’epoca (Aldo e Caterina vanno al cinema Eritreo a vedere un film di Camerini, Il signor Max, con De Sica e Assia Noris, vincitore della Coppa del Ministero della Cultura Popolare per la migliore regia italiana). Grande il lavoro di ricerca e di ricostruzione sociale e politica di un periodo storico ancora poco conosciuto e approfondito. Ballario con tocco leggero, venato di umorismo sebbene segnato da profonda malinconia di fondo come si addice a un noir, indaga su vizi e virtù di un mondo scomparso ma ancora vitale e variegato che ha segnato, anche drammaticamente, la nostra storia recente. In conclusione, “L’equivoco del sangue” non è solo un giallo avvincente, ma anche un’opera che invita a riflettere sulle complesse relazioni coloniali e sulle loro inevitabili conseguenze. Consiglio vivamente questo libro a chiunque sia interessato a una narrazione che unisce intrigo e riflessione sociale, offrendo uno spaccato affascinante di un’epoca e di un contesto spesso trascurati dalla narrativa contemporanea italiana. Fatte le debite eccezioni, mi riferisco per esempio a Lucarelli, o a Cellamare di cui segnalo il suo “Delitto a Dogali”.

Giorgio Ballario, è nato a Torino nel 1964, è giornalista e ha lavorato a La Stampa. Ha pubblicato racconti in svariate antologie giallo-noir, tra cui, per Edizioni del Capricorno, Porta Palazzo in noir (2016) e Il Po in noir (2017), e sei romanzi:  tra cui Morire è un attimo (2008), Una donna di troppo (2009), Le rose di Axum (2010), tutti appartenenti al ciclo del maggiore Morosini; Nero Tav (2013) e, per Edizioni del Capricorno, Il destino dell’avvoltoio (2017). Nel 2010 ha vinto con Morire è un attimo il Premio Archè Anguillara Sabazia e nel 2013 il Premio GialloLatino con il racconto Dos gardenias, pubblicato da Segretissimo Mondadori. Con Vita spericolata di Albert Spaggiari, biografia di un famoso ladro francese degli anni Settanta (2016), è stato finalista al Premio Acqui Storia. Fuori dal coro (2017) è una galleria di personaggi irregolari e controcorrente del Novecento. Dal 2014 è presidente di Torinoir, sodalizio di scrittori torinesi malati di noir.

:: Recensione di Le rose di Axum di Giorgio Ballario (Hobby & Work 2012) a cura di Giulietta Iannone

24 febbraio 2012

“Vanno le carovane del Tigrai /verso una stella che oramai brillerà/ e più splenderà d’amor…”

Anche noi andavamo nel Tigrai, come i cammellieri della canzonetta: di stelle ne avevamo viste a migliaia, pensai ma di amore manco a parlarne. Laggiù infuriava una guerra senza tregua e semmai ci saremmo imbattuti in cadaveri insepolti, villaggi bruciati, sangue e dolore. E avremmo dovuto rischiare la pelle per garantire l’incolumità a un gruppo di topi di biblioteca e consentire loro di svolgere non meglio precisati scavi archeologici… Non capivo, ma ero costretto ad adeguarmi. L’uniforme che indossavo ogni giorno, e quasi sempre con orgoglio, non permetteva di porsi troppe domande e di avere dei dubbi.

Chai il tè eritreo, un bicchierino d’anice, la birra Melotti, le sigarette Macedonia, bastano pochi riferimenti per sentirsi di colpo trasportati a Massaua nell’Eritrea degli anni Trenta in compagnia del maggiore dei Regi Carabinieri Aldo Morosini, del maresciallo Barbagallo, dello scium-basci Tesfaghì, personaggi che abbiamo iniziato a conoscere in Morire è un attimo (Edizioni Angolo Manzoni 2008) e Una donna di troppo (Edizioni Angolo Manzoni 2009) e ora ritroviamo in Le rose di Axum pubblicato da Hobby & Work nella collana Giallo & nero.
Nuova casa editrice, respiro più ampio, per Giorgio Ballario autore piemontese raffinato e colto, una vita nel giornalismo a dedicarsi di cronaca nera per la Stampa di Torino e ora autore di noir coloniali intrisi di spleen e fascino retrò.
Siamo a Massaua nel caldo e afoso febbraio del 1936. Sul soffitto le pale del ventilatore ruotano stancamente e il maggiore Morosini se ne sta a riflettere nel suo ufficio sul ritrovamento nelle Saline  Eritree di un uomo barbaramente torturato e ucciso.
Un delitto misterioso, che colpisce per la crudeltà e l’efferatezza con cui è stato portato a termine: un corpo martoriato da profonde coltellate immerso nel sale a contatto della carne viva. Perché accanirsi così tanto su un essere umano? Questa è la domanda che inquieta e tormenta il maggiore nella cui mente risuonano le ultime parole del morente tra cui l’unica comprensibile “Axum”.
L’identità del morto è sconosciuta, non ci sono effetti personali che aiutino nell’identificazione, la testa è stata dilaniata dai corvi ed è per giunta un indigeno chiaramente di pelle nera, trovare il suo assassino non diventa una priorità. Nessuno dall’alto avrebbe chiesto conto di un delitto maturato in una probabile faida tra clan locali, che certo non avrebbe interferito con l’avanzata delle nostre truppe ad Addis Abeba.
Già è la guerra con l’Abissinia ad impensierire gli alti comandi i cui echi giungono smorzati nella sonnolenta provincia del Bassopiano. Gli echi di una guerra fortemente voluta da Mussolini per dare all’Italia il suo irrinunciabile impero coloniale i cui esiti porteranno l’annessione dell’Abissinia all’Italia e la creazione del nuovo possedimento coloniale chiamato Africa Orientale Italiana che riunirà  Eritrea, Abissinia e Somalia Italiana sotto un unico Governatore.
Ma il fato o il destino ha deciso che questa morte non deve restare impunita, questo delitto rimanere insoluto e quando Morosini viene incaricato di accompagnare alcuni archeologi tedeschi fino alle antiche rovine di Axum avrà modo di scoprire l’identità del morto, di innamorarsi di una affascinante fotografa dagli occhi verdi e di imbattersi in un ginepraio fatto di spionaggio, sette esoteriche naziste, tesori trafugati e altre morti. Tra pericoli e avventure riuscirà a risolvere il mistero, perdendo un pezzo di sé, ma queste sono le regole del gioco anche nell’Africa del 1936.
Aldo Morosini è un bel personaggio, educato, vecchio stile, che fa ancora il baciamano quando incontra una signora, con una sua morale ma non privo di un’ anima noir fatta di tristezza, disillusione, scetticismo, capace di accettare l’amore mercenario dei bordelli di madame Chantale, capace per orgoglio di non chiedere di restare alle donne della sua vita.
E’ un uomo comune, ma non convenzionale, non il classico super eroe tutto muscoli e forza bruta, Morosini ama il ragionamento pacato, l’intuizione fulminea, il sondare le persone, non è razzista, ha lo stesso rispetto per i suoi subalterni indigeni e per i suoi compatrioti, non è volgare, grezzo, opportunista, non farà mai carriera, come dice con un pizzico di divertita rassegnazione il suo autore, pur tuttavia è simpatico, uomo del suo tempo pur con tutte le sue contraddizioni il suo gusto per le canzonette in voga, la comica tenerezza con cui si innamora.
Forse Barbagallo è più scaltro e gioviale, a lui i kartoffeln non piacciono da subito, forse il suo sentimentalismo demodé non ne fa un duro da letteratura hardboiled, comunque Aldo Morosini resta impresso nell’immaginario giallo proprio per tutte le ragioni che non ne fanno un super uomo a tutti i costi.
Le rose di Axum riconferma a mio avviso le doti narrative di Ballario, caratterizzate da uno stile pacato, dai toni sfumati e mai eccessivi, molto salgariano, molto understatement. Con un grande lavoro di ricostruzione storica, di attenzione per le ambientazioni, per il colore locale che non scade mai in una foto patinata e nostalgica del tempo che fu.  Non ci resta che aspettare la quarta indagine del maggiore Morosini e dato che l’autore rispetta una cronologia temporale non potrà non ambientarsi nel 1937. La Seconda Guerra mondiale si avvicina.

Giorgio Ballario, è nato a Torino nel 1964, è giornalista e lavora a La Stampa. Ha pubblicato racconti in svariate antologie giallo-noir, tra cui, per Edizioni del Capricorno, Porta Palazzo in noir (2016) e Il Po in noir (2017), e sei romanzi: Morire è un attimo (2008), Una donna di troppo (2009), Il volo della cicala (2010), Le rose di Axum (2012), tutti appartenenti al ciclo del maggiore Morosini; Nero Tav (2013) e, per Edizioni del Capricorno, Il destino dell’avvoltoio (2017). Nel 2010 ha vinto con Morire è un attimo il Premio Archè Anguillara Sabazia e nel 2013 il Premio GialloLatino con il racconto Dos gardenias, pubblicato da Segretissimo Mondadori. Con Vita spericolata di Albert Spaggiari, biografia di un famoso ladro francese degli anni Settanta (2016), è stato finalista al Premio Acqui Storia. Fuori dal coro (2017) è una galleria di personaggi irregolari e controcorrente del Novecento. Dal 2014 è presidente di Torinoir, sodalizio di scrittori torinesi malati di noir.

Source: libro inviato dall’ editore. Ringraziamo l’autore e l’ Ufficio Stampa Hobby & Work.

:: Una donna di troppo. La seconda indagine del maggiore Aldo Morosini nell’Africa Orientale Italiana, Giorgio Ballario (Edizioni Angolo Manzoni) a cura di Giulietta Iannone

8 novembre 2009

1Dopo il buon successo di “Morire è un attimo” (Edizioni Angolo Manzoni, pp 335, Euro 15), Giorgio Ballario torna con una nuova indagine del maggiore dei Regi Carabinieri Aldo Morosini in servizio a Massaua, Eritrea, in un noir classico, ma nello stesso tempo originale. Morosini questa volta, sempre affiancato dal fidato maresciallo Eusebio Barbagallo, sempre allegro e ottimista quasi parente di Don Bosco o per lo meno suo conterraneo, e dal leale e misterioso sottoufficiale indigeno Tesfaghì, dovrà lasciare Massaua per raggiungere la costa dell’Africa che si affaccia sull’ Oceano Indiano per una missione segreta da cui dipendono i destini di molti.
Sullo sfondo dei grandi eventi internazionali, mentre l’ Italia di Mussolini cerca affanosamente di farsi prendere sul serio preparandosi alla guerra con l’Abissinia odierna Etiopia e il generale Rodolfo Graziani al comando delle operazioni militari sta organizzando le forze per lanciare l’offensiva dal fronte sud e marciare su Addis Abeba, Ballario ci porta infatti a Mogadiscio nel caldo afoso e opprimente della tarda estate del 1935 dove una serie di misteriosi omicidi, apparentemente slegati tra loro, sta gettando scompiglio nella popolazione civile, minando pericolosamente il morale delle truppe e addirittura mettendo in serio pericolo le mire espansionistiche del Duce.
Nulla è certo. Si sospetta la longa manus del regime del negus Hailé Selassiè, o addirittura sordidi giochi di potere orchestrati dall’Italia per ostacolare l’ascesa del generale Graziani, fedelissimo di Mussolini da poco bersaglio di un attacco della stampa internazionale, o l’ipotesi più ovvia, ovvero semplici criminali comuni. Chiunque sia il colpevole bisogna scoprire al più presto il perché di questi assassini e chi meglio del maggiore Morosini può riuscire nell’impresa?
Sin dall’inizio l’indagine non si presenta affatto facile. Vuoi per la decisa ostilità delle forze dell’ordine del luogo, vuoi per la fama per lo meno controversa del generale Graziani, accusato di aver compiuto stragi tra la popolazione civile, vuoi per il sospetto che Morosini ha di essere stato sbattuto in Somalia come pedina inconsapevole di un gioco al di sopra della sua testa e lui allergico alle trame politiche non ha nessuna intenzione di fare la fine del capro espiatorio.
Cosa lega tra loro un fante apparentemente morto suicida impiccato ad un albero, un capo manipolo della Milizia sgozzato con il suo stesso coltello, un ascaro libico, un volontario italoargentino e una suora devota e integerrima? Una sola cosa è certa tutte le vittime hanno qualcosa in comune per lo meno un forellino sul collo che fa sospettare che gli sia stata iniettata prima della morte una sostanza psicotropa e addirittura porta Morosini ad interrogarsi se esistano gli zombi.
Morosini è un uomo del suo tempo, porta la brillantina, fuma le Macedonia, balla al suono di Parlami d’amore Mariù e pur non essendo un supereroe legge Seneca ed è fermamente deciso a scoprire la verità.
Il romanzo cattura piacevolmente, oltre che per la simpatia del protagonista, per l’ottima descrizione storica del periodo e della società coloniale dell’Africa italiana di cui Giorgio Ballario dopo approfondite ricerche, e un’ attenta ricostruzione sulla base di documenti d’epoca, ci presenta quei luoghi esotici con grande dovizia di particolari. Con il sottofondo di “Faccetta nera bell’Abissina” impariamo così a conoscere un mondo scomparso, un’Africa esotica ancora viva nei cinegiornali Luce, ma quasi scomparsa dal dibattito culturale di questi anni.
Ballario ha un dono raro sa far amare un personaggio in apparenza normale, ma eccezionale proprio per la sua normalità, per la semplicità della sua dirittura morale in un mondo corrotto e decadente dove “una borghesia debosciata e parassita andava riproducendo nelle Colonie i medesimi vizi della madrepatria” magari accrescendoli “dal clima di rilassatezza e abbandono di quelle terre lontane”.
L’Africa che emerge dalle sue pagine ha poco dello stereotipo da cartolina di quegli anni, è una terra viva animata da una folla variopinta e rumorosa piena degli odori forti delle “droghe, spezie, aromi di cucina, delicate essenze orientali e puzza di pesce marcio, incensi profumati e fetore di lattrine”.