Posts Tagged ‘Jean Gabin’

:: Dal libro al cinema: Le Chat di Georges Simenon

27 ottobre 2024

Banlieue parigina, primi anni ’70, un’anziana coppia di coniugi vive il capolinea di un amore iniziato in gioventù con le migliori intenzioni. Se poi nella parte di Julien e Clémence troviamo Jean Gabin e Simone Signoret non possiamo che assistere a uno scontro tra titani. Tratto dal romanzo Le Chat di Georges Simenon Le chat – L’implacabile uomo di Saint Germain diretto da Pierre Granier-Deferre è un gioiellino da riscoprire o da rivedere per chi lo conoscesse già. La storia narra le dinamiche di coppia di due anziani pensionati: Julien Bouin, ex tipografo, e Clémence, ex artista circense, rimasta invalida dopo una caduta. Pur apparentemente non amandosi più, dopo 25 anni di matrimonio, senza figli, non riescono a lasciare la casa che un tempo li ha visti felici, casa che sta per essere abbattuta per i nuovi piani urbanistici del quartiere. La loro quotidianità si trascina monotona anche se in realtà nasconde tensioni e rancori profondi che esplodono quando Julien porta a casa un gatto a cui riserva tutte le sue attenzioni e il suo affetto.

Clémence gelosa lo uccide e da quel momento Julien, per ripicca, interrompe ogni forma di comunicazione con lei provocandole grande sofferenza. Il film esplora temi come la solitudine urbana, l’amore in tarda età e la complessità delle relazioni umane, mostrando come, nonostante le tensioni, i due coniugi non possano fare davvero a meno l’uno dell’altra. Tanto che quando Clémence morirà di dolore, Julien la seguirà subito dopo non potendo più vivere senza di lei. La regia sobria e discreta di Pierre Granier-Deferre lascia campo libero a Gabin e Signoret di rivaleggiare in bravura mettendo in gioco tutte le loro doti attoriali per esprimere la complessità di un amore le cui braci non sono del tutto spente sebbene la dinamica del conflitto abbia prevalso e avvelenato sentimenti come la tenerezza e la complicità. Storia di per sé semplice, sono le sfumature espressive dei due attori che la rendono coinvolgente e toccante, come tra l’altro accade con la penna di Simenon, lasciando nello spettatore un retrogusto amaro e malinconico.

Copyright Rex Shutterstock

Ben accolto dalla critica all’uscita del film, fu considerato da Gabin la sua migliore intepretazione del dopo guerra. Il ruolo del vecchio brontolone ben gli si addice e lascia trasparire la sua capacità di immergersi in personaggi conflittuali, e incapaci di risolvere disaccordi passati. Sebbene il personaggio che interpreta di per sè non dovrebbe ispirare simpatia, la sua calda umanità lo riesce a rendere umano e commovente. Stessa cosa riesce a fare Simone Signoret, riuscendo a trasmettere al suo personaggio forza e determinazione, ma anche una sofferta vulnerabilità che ne rivela l’umanità e la grande infelicità. Essere trascurata, non desiderata, non compresa la isola in una profonda solitudine che la porterà alla morte senza che il marito abbia alzato un solo dito su di lei, a evidenziare quanto le dinamiche psicologiche siano altrettanto devastanti che la violenza fisica. Tutto è comunque sfumato, evocato più che descritto, con garbo e lievità. Interessante.

:: Dal libro al cinema: La Marie del porto di Georges Simenon a cura di Giulietta Iannone

29 ottobre 2022

“Acqua cheta scardina i ponti” è un detto popolare che ben definisce il personaggio enigmatico e sfuggente di Marie, protagonista del romanzo La Marie del porto di Georges Simenon, romanzo del 1938, che nel 1950 Marcel Carnè trasformò in un’opera cinematografica con al centro una star di prima grandezza come Jean Gabin (bisognerà aspettare il 1958 per vederlo nella sua prima interpretazione di Maigret ne “Maigret tend un piege” di Jean Dellanoy) e una giovanissima (e forse troppo bella) Nicol Courcel, forse al primo impegno importante, nel ruolo di Marie. Del cast facevano anche parte Blanchette Brunoy, Claude Romain, Louis Seigner, René Blancard, Charles Mahieu, Robert Vattier, Louise Fouquet, e Olivier Hussenot più comparse assortite che animavano il piccolo villaggio portuale (Port-en-Bessin) dove vive Marie e la cittadina più grande a pochi chilometri di Cherbourg. Avendo da poco letto il libro e visto in francese su Youtube il film (libero da diritti) ho colto l’occasione per parlarne nella mia rubrica Dal libro al cinema. Premesso che il mio francese non è così buono, e che dunque qualcosa forse ho perso dei dialoghi, tuttavia le immagini sono così espressive, che mi hanno concesso di fare le mie valutazioni. Innanzitutto è un film in bianco e nero, uscito in Italia con il titolo La vergine scaltra, Gabin ruba la scena e prima che ve lo chiediate aveva superato il visto della censura, Marie ha 18 anni, è maggiorenne, (sebbene ne dimostri meno) e sebbene il lui della storia, almeno nel film, (nel libro ha poco più che trent’anni), sia di mezza età e quindi la differenza di età alla sensibilità moderna possa fare un po’ storcere il naso, è una storia che può rientrare nei canoni del lecito.

Insomma Marie non è una bambina, e non ne ha la psicologia, è una giovane donna piuttosto scaltra se vogliamo, consapevole delle sue scelte, emancipata, e tipicamente francese oltre che proveniente da una classe sociale (è la figlia di un pescatore della zona) che sebbene goda di una certa agiatezza (ha una casa, una barca di proprietà etc…) conosce il significato della fatica, e del lavoro. Rimasta orfana ha due strade: finire sul marciapiede, o trovarsi un lavoro, sceglie di farsi assumere come cameriera nell’unico Caffè del porto. Nè Simenon né Carnè si fanno illusioni, questa è la realtà, la vita è un gioco duro sia nella Francia del 1938 che in quella del 1950 (la prostituta “sfortunata” seduta al tavolo del locale di Chatelard a cui offre dei soldi è un buon memento). Premesso che bisognerebbe scrivere un saggio per questo film comparato al libro e questo breve mio testo non ha nessuna pretesa di essere esaustivo, devo dire che anche se diverso per alcune sfumature (Marie si reca nel film a Cherbourg, nella tana di Henri Chatelard, perchè preoccupata per Marcel e non per la trappola, come nel libro, un po’ “vigliaccamente” ordita da Chatelard, con la complicità di Odile) anche il film è un piccolo capolavoro della svolta naturalista di Carnè. Il tono del film è più leggero che nel libro, Marie è più bella della ragazzina smunta e pallida descritta da Simenon, Odile nel film ha il bellissimo sorriso e l’eleganza di Blanchette Brunoy, ed è meno “oca” dell’ Odile simenoniana, insomma a volerci vedere differenze ce ne sono, e sostanziali, anche se lo spirito del libro è stato rispettato. L’uomo di affari (a Cherbourg ha un’elegante brasserie, e un cinema che gli rendono sicuramente bene) un po’ sbruffone e la povera cameriera di un caffè del porto insomma non potrebbero essere più diversi.

Nulla li lega, lui conosce le regole del mondo e le adatta ai suoi comodi, ha un’amante, sorride a ogni donna che si trova sulla sua strada, ha un’attività legale ma insomma permette alle prostitute di adescare clienti nel suo locale, insomma il clima di corruzione e disonestà poteva essere reso più sordidamente ma un po’ sfumato c’è. Chatelard per quanto simpatico non è uno stinco di santo, almeno per la morale dell’epoca, ma ha un cuore, come quando investe Marcel e lo porta da lui e lo fa visitare da un medico o dà i soldi alla prostituta che non riesce ad adescare nessuno, o già nella scena iniziale accompagna anche solo Odile al funerale del padre, o porta a Odile la colazione a letto (molto joyciana come scena) e soprattutto non usa la violenza per costringere Marie a subire le sue avance (nella scena clou del romanzo, come del film) e a sottomettersi al suo capriccio, capriccio che per lui non è, se ne accorge quando credendola in pericolo corre dietro alla corriera. Lei è modesta, povera, una cameriera senza futuro, fidanzata a Marcel, un giovane garzone di un barbiere che indubbiamente non ama, tutta la parte del tribunale per l’emancipazione è stata saltata, e dell’importanza data ai fratellini non se ne fa cenno, vanno via coi parenti senza drammi, ma nonostante questo è indipendente, si mantiene da sé, porta una piccola croce al collo, è una ragazza seria, di una purezza antica, che non è tentata di seguire le orme della sorella sognando Parigi, sorride poco, e solo quando pensa o vede Chatelard. Più che fare la sostenuta per calcolo mantiene la sua individualità senza compromessi. E la sua scaltrezza sta, pur anche nella sua giovane età, nel capire il fondo di bontà che c’è in Chatelard, molto migliore da come appare. Marie è un bel personaggio, forse il migliore personaggio femminile di Simenon, che Carnè valorizza in un film decisamente solare e luminoso ricco di pathos, e dolcezza. Ai dialoghi partecipò (non accreditato) Jacques Prévert.