Ho scritto queste pagine nel novembre del 1996. Le giornate sono spesso piovose. Domani entreremo nel mese di dicembre e saranno trascorsi cinquantacinque anni dalla fuga di Dora. Viene buio presto e tanto meglio: la notte cancella il grigiore e la monotonia di quelle giornate di pioggia in cui ci si chiede se è davvero giorno o se si stia attraversando uno stato intermedio, una specie di eclissi smorta che si prolunga sino alla fine del pomeriggio. Allora i lampioni, le vetrine, i bar si accendono, l’aria della sera è più viva, i contorni delle cose più netti, vi sono ingorghi agli incroci e la gente si accalca nelle strade. E in mezzo a tutte quelle luci e a quell’agitazione stento a credere di essere nella stessa città in cui si trovavano Dora Bruder e i suoi genitori, e anche mio padre quando aveva vent’anni meno di me. Ho la sensazione di essere il solo a reggere il filo che collega la Parigi di quell’epoca alla Parigi di oggi., il solo che si ricordi di tutti questi particolari. A volte il filo si assottiglia e rischia di rompersi, altre sere la città di ieri mi appare con riflessi furtivi dietro quella di oggi.
Mentre leggo sento ancora l’odore fresco dell’inchiostro, un po’ mi da fastidio, ma allontano le pagine dal volto, e continuo ostinata a sfogliarle. Guanda in tutta fretta ha ristampato il libro, e per questo la ringrazio, c’è anche la fascetta che lo segnala che c’è un Nobel di mezzo, quello attribuito per la letteratura a Patrick Modiano. Sebbene sembri quasi sconosciuto da noi, Modiano è un autore interessante che conobbi grazie alla lettura di un altro scrittore raffinato e letterario, questa volta italianissimo, ma con un forte legame con Parigi, come Roberto Saporito.
I titoli di Modiano che mi attrassero di più furono senz’altro Nel caffè della giovinezza perduta, L’orizzonte, e Fiori di rovina. Scoraggiata dai vari “non disponibile” degli store online approfitto molto biecamente di questo Nobel vinto, che sicuramente spingerà a ristamparlo, e a tradurre ciò che ancora manca in tempi ragionevoli.
E così parto da Dora Bruder, (Dora Bruder, 1997) edito in Francia da Gallimard. Pubblicato in Italia da Guanda e tradotto da Francesco Bruno, più che un romanzo, è la cronaca di un’ indagine sulle tracce di un’adolescente ebrea nella Parigi occupata della Seconda Guerra Mondiale. Ma non solo, ci sono molte componenti autobiografiche, si parla di vuoto, di assenza, delle ombre di una Parigi che non c’è più, alle cui ombre ora si sono sovrapposte altre ombre, nuove strade, nuovi cinema, nuovi caffè.
E forse questa seconda componente lo rende davvero un romanzo, anomalo ma personalissimo. In ogni ricerca, si nasconde un po’ l’anima di chi questa ricerca la compie e sa che molti misteri rimarranno oscuri, non potranno essere svelati. Puoi sì cercare testimoni, scartabellare registri anagrafici, casellari giudiziari, leggere lettere, qualcosa sempre sfugge, ed è il segreto intimo che costituisce il mistero ultimo di ogni uomo. Quello che nessuno ti può sottrarre, anche quando ha dalla sua eserciti di occupazione e l’arbitrio del potere più violento e spietato, come quello nazista.
A dire il vero Dora Bruder[1] è esistita davvero (la foto in copertina ritrae proprio lei) non è quindi solo frutto della fantasia di Modiano, ma quello che è certo è che il talento di Modiano ci rende concreta la sua assenza, il vuoto intorno al quale la vita ha continuato a scorrere. Fosse anche solo un artificio letterario, è e resta una persona, più che un personaggio, per la quale si sente una forte empatia, una certa tristezza e persino tenerezza. E’ il singolo estrapolato dalla massa, dalla folla di vittime della shoah. E’ un singolo individuo, reale e concreto.
Anche i nazisti dovevano dare numeri alle loro vittime, trasformarli in cose, se avessero continuato a chiamarle persone con il loro nome e cognome, forse non ce l’avrebbero fatta. E Modiano rende concreta questa anonima ragazza parlandoci del mistero che contiene, del fatto che non sapremo mai perché scappò di casa, tanto che i suoi genitori misero un annuncio su Paris-Soir nella rubrica di terza pagina Da ieri a oggi, il 31 dicembre 1941.
Leggendo questo trafiletto, forse su un foglio consunto color seppia, mi sembra di vederlo, (questo è il pretesto, la scintilla da cui ha origine la storia), Modiano conobbe Dora Bruder e iniziò la sua disperata ricerca per le vie di Parigi, e nella sua stessa memoria. Dora Bruder non ha molto di eccezionale, forse una certa ribellione che appunto la spinge a fuggire, ma poi ritorna, viene imprigionata e per non lasciare suo padre condotta a Auschwitz, nome solo sussurrato a bassa voce.
Dora Bruder morirà a Auschwitz con la sua famiglia, ma Modiano non approfondisce questo lato della storia, non è quello che gli interressa. A Modiano non interessa la morte di Dora Bruder, ma la sua vita. Anzi ciò che della sua vita è sfuggito ad ogni cronaca, casellario, resoconto.
Se anche avesse scoperto il suo segreto, nel suo libro non l’avrebbe scritto. Perchè i segreti non sono fatti per essere divulgati. I più romantici possono pensare a una fuga d’amore, gli altri a un rifiuto della vita di collegio, altri ancora a un desiderio di libertà. Ipotesi appunto, si possono fare solo ipotesi. Dora Bruder quasi con dispettosa tenacia, non ostante tutti gli anni che sono passati, non ci lascia altra scelta.
Patrick Modiano è nato a Parigi nel 1945. Ha esordito nel 1968 con La place de l’étoile, cui hanno fatto seguito, tra gli altri, La ronde de nuit (1969), Rue des Boutiques Obscures (1978, Prix Goncourt), Quartier perdu (1984), Voyage de noces (1990), Un cirque passe (1992), Un pedigree (2005) e L’horizon (2010). Sua è la sceneggiatura del film di Louis Malle Cognome e nome: Lacombe Lucien. Nel 2014 gli è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura.
[1] “Avec Klarsfeld, contre l’oubli : Patrick Modiano’s Dora Bruder”, di Alan Morris, “Journal of European Studies” 2006