Benvenuto Sergio su Liberidiscrivere e grazie per aver accettato la mia intervista. È un grande onore averti sulle nostre pagine. Come tradizione iniziamo con le presentazioni. Allora ora ti dico tutto quello che so di te poi tu aggiungerai quello che manca. So innanzitutto che sei lombardo come me, nato a Milano nel 1952, ti sei laureato in ingegneria meccanica, hai vissuto negli Stati Uniti, oltre a fare il direttore editoriale sei uno scrittore, un traduttore e uno sceneggiatore. Ora a te la parola.
Anzitutto, un profondo ringraziamento per ospitarmi sulle vostre pagine, un doppio rigraziamento per lo spazio e l’interesse che dedicate agli Autori e alla scrittura. Non dimentichiamoci che la media della lettura in Italia è 0,75 libri all’anno pro-capite. Non esattamente incoraggiante. Per cui, chiunque decida d’interessarsi di autori narratori, libri, scrittura… well, gets my vote. Venendo al mio lavoro, la sintesi che ne fai è pienamente centrata. Posso aggiungere di essermi formato da ragazzino proprio sulle collane da edicola Mondadori — Giallo, Segretissimo, Urania — delle quali poi ho avuto il privilegio di diventare Editor. Quello che definisco “il demone di raccontare storie” mi ha posseduto fino dall’eta’ di circa quattordici anni. Piccoli racconti sostanzialmente di SF, molto derivati dal lavoro dei grandi maestri come Asimov, Clarke, Simak, Heinlein.
Il tuo romanzo di esordio si intitolava Città Oscura un thriller d’azione molto adrenalinico, ambientato in una Los Angeles in bilico tra Fuga da Los Angeles di Carpenter e Sin City dei fumetti di Frank Miller. Che ricordi hai dei tuoi inizi, della tua strada verso la pubblicazione?
Ti ringrazio di avere citato “Citta’ Oscura”, il mio primo libro pubblicato che ancora oggi viene da molti considerato l’antesignano dei “thriller metropolitani”. Ecco pero’ un aneddoto forse poco conosciuto sui miei esordi. In realta’, iniziai il mio primo “libro grosso” nei primi anni ’70, e gia’ da allora ero affascinato da vicende catastrofiche. Quel libro NON ERA “Citta’ Oscura”. Al fulcro della storia — inevitabile effetto della dura situazione di scontro politico e sociale di quegli anni — c’era un colpo di stato militare in Italia, seguito da guerra civile da disgregazione su vasta scala, suggerita ma mai chiaramente definita. Era gia’ un testo di grossa lunghezza, superiore alle 700 cartelle dattiloscritte: considera che a quel tempo non esisteva ancora quel meraviglioso giocattolo oggi chiamato “personal computer”. Per quel primissimo lavoro — tralascio i dettagli della presentazione del lavoro medesimo sulla scena editoriale — riuscii addirittura a ottenere un contratto di pubblicazione con un valido editore. A cui segui’ un editing prolungato e approfondito. Quell’editing — a opera di uno straordinario uomo di libri di nome Vincenzo Accame — a tutt’oggi rimane per me tra le esperienze di apprendimento piu’ fondamentali in materia di scrittura e tecnica narrativa. Purtroppo, i tempi editoriali per la pubblicazione si dilatarono su un arco di anni. Fast-forward. Tra il 1978 e il 1980 avevo gia’ scritto il mio secondo romanzo: “Citta’ Oscura”. Un diverso editore — il grandissimo Andrea Dall’Oglio, che poi divenne il mio editore primario nel marchio Corbaccio — decise di pubblicare “Citta’ Oscura” in tre settimane dopo che glielo ebbi presentato. Questo porto’ a una situazione di conflitto quasi paradossale. La mia opera prima, ormai narrativamente e politicamente “datata”, sarebbe apparsa dopo “Citta’ Oscura” e con un diverso editore. Un conflitto che mi costrinse a prendere la tutt’altro che facile decisione di NON pubblicare l’opera prima, rimanendo poi con l’editore Dall’Oglio. Ti posso garantire, fu un boccone all’acido cianidrico. Ma ancora oggi ritengo sia stata la cosa sensata da fare. Dopo “Citta’ Oscura”, pubblicato nel 1981, esattamente trent’anni da oggi, il demone della scrittura ormai era “al top”. In meno di due anni scrissi — prima a mano e poi con la macchina da scrivere — altri due libri: “Alla fine della notte”, thriller spionistico da Guerra Fredda, e “L’occhio sotterraneo”, il mio primo, vero thriller apocalittico. Nel 1983, ebbe poi inizio la mia esperienzza negli Stati Uniti, lavorando come “story-editor” — l’equivalente di editor per una compagnia di produzione cinematografica — per il leggendario, purtroppo compianto mega-produttore Dino De Laurentiis.
Negli anni ’80 hai lavorato molto nel cinema, faccio due nomi Velluto blu e L’anno del dragone. Raccontaci un episodio bizzarro, divertente, imbarazzante che ti è successo sul set di questi film.
La domanda e’ estremamente provocatoria e pertinente. Ed e’ proprio per questo che mi piace. Da “trentenne rampante immigrato” quale ero, lavorando per Dino De Laurentiis, mi ritrovai a contatto con registi del calibro di David Lynch, Micheal Cimino, David Cronenrberg, John Carpenter, solo per citare le “leggende”. Tutti questi grandi maestri furono con me di straordinaria umanita’ e gentilezza. In “Blue Velvet” — nella “location” Wilmington, North Carolina — David Lynch mi permise di “guidare il taxi” nella scena in cui Kyle McLachlan scende di fronte alla casa di Isabella Rossellini. Sto ovviamente parlando dei personaggi del film. Ci vollero’ quattro “takes” perche’ riuscissi a fermare il taxi proprio nel punto giusto della ripresa. In quei quattro “takes” Kyle si rivelo’ uno dei esseri umani piu’ simpatici e inaspettati che abbia mai incontrato. Osando di tutto e di piu’ — nella lavorazione de “L’anno del dragone” — cenai con Michael Cimino in uno di quei ristoranti di New York dove servono bistecche alla brace alte due dita. Gli posi una domanda che mi stava sullo stomaco fin da quando avevo visto quello che ancora e’ considerato il suo capolavoro: “The Deer Hunter” (Il Cacciatore). Ecco la domanda: “Michael, ma perche’, alla fine di tutta quella tragedia, fai cantare ai tuoi personaggi l’inno americano?” La sua risposta, straordinariamente sincera e disarmante: “Perche’ non hanno trovato niente di meglio da cantare.” D’accordo, quella cena mi e’ costata centoventi dollari. Ma ne e’ valsa centoventi volte la pena.
Cambiando del tutto genere recentemente hai scritto una trilogia a sfondo storico Magdeburg composta da L’eretico, La furia e Il Demone. Vuoi parlarcene?
Ack! La classica domanda da un milione di dollari (credo il dollaro valga ancora qualcosa). Battute discutibili a parte, la “Trilogia di Magdeburg” e’ verosimilmente il “pezzo duro” del mio percorso di narratore. Parlarne per esteso richiederebbe uno spazio web che non mi sento di infliggere ne’ a te ne’ ai nostri lettori. Cercherò quindi di metterla in forma forse anche troppo sintetica:
— il mio primo concetto arriva dagli anni del liceo, in cui appresi che in Europa, tra il 1618 e il 1648, era stata combattuta una guerra chiamata “Guerra dei Trent’Anni”;
— domanda: come accidenti e’ possibile che una guerra possa andare avanti per trent’anni?;
— risposta: non avevo ancora il concetto di “guerra generazionale”, vale a dire un conflitto in cui il bastone del testimone viene passato senza soluzione di continuita’ da una generazione alla successiva…
… fino al paradosso che ci si dimentica del perche’ si combatte. L’esempio piu’ classico di “guerra generazionale” che abbiamo a tutt’oggi e’ il coflitto tra israeliani e palestinasi.
— anni dopo, era il 1974, vidi un film chiamato “The Last Valley” (L’Ultima Valle), un grandioso affresco proprio sulla Guerra dei Trent’anni scritto e diretto dal grande autore australiano James Clavell, il cui testo letterario piu’ celebre e’ “Sho-Gun”, la saga del navigatore britannica John Blackthorne nel Giappone imperiale del XVII Secolo;
— quel film e “Madre Coraggio e i suoi figli” il capolavoro teatrale di Berthold Brecht intitolato, sono le radici di “Magdeburg”;
— quasi trent’anni piu’ tardi — la sintesi dell’intera trilogia e’ del 1993 e i primi capitoli de “L’Eretico” vennero scritti nel 2000 — con sette anni di scrittura e duemila pagine di testo, ecco quindi la “Trilogia di Magdeburg”, il mio “pezzo duro” di narrativa storica;
— in questo trittico, con l’intrigo dei personaggi in rimo piano, sullo sfondo cerco di rappresentare l’equivalente di quell’epoca, la prima meta’ del XVII Secolo, di una guerra nucleare di oggi.
— se io sia riuscito o meno nell’intento, che siano i lettori a giudicarlo.
Ho letto una tua bella e divertente intervista di Marilù Oliva dove si accenna ad un tuo vago accento da Cowboy. Tutto vero?
Ho grande simpatia per Marilu, e grande stima per il suo lavoro di Autrice. Il suo “Tu la pagaras” e’ un vero gioiello del noir contemporaneo. Quanto al mio accento da “cowboy”, con quei vent’anni di Stati Uniti alle spalle, immerso nella lingua americana, well, I guess, it’s just about inevitable, to pick up some of that drawl… Ooops, mi e’ scappato di nuovo.
Come è la situazione editoriale in Italia rispetto alla tua esperienza negli Stati Uniti?
Direi che la differenza piu’ sostanziale sia la percentuale dei lettori. L’Italia rimane uno dei paesi al mondo nei quali si legge di meno: in media 0,75 libri all’anno pro-capite, ultimo posto in Europa per la lettura dei quotidiani. Il web, in tutte le sue forme sia d’informazione che di diffusione testi, ha un po’ alzato le percentuali, ma comunque non in modo significativo. Il “mostro con un occhio solo” — la televisione, per intenderci — e’ l’idrovora che continua a fagocitare tutto e tutti. Un unico esempio che trovo molto significativo: il quotidiano piu’ venduto in Italia, il Corriere della Sera con le sue ottocentomila copie (in una buona giornata), a confronto con il telegiornale meno visto in Italia, il TG4 con quasi 4 milioni di spettatori. Al contrario, il lettore medio americano legge da 3 a 5 libri all’anno. Inoltre, nelle grandi citta’ — dove si concentra la meta’ della popolazione degli Stati Uniti — i grossi quotidiani come NY Times, LA Times, Washington Post, Chicago Tribune, tra vendite dirette, abbonamenti cartacei e utenti web hanno percentuali di lettura nell’ordine dei milioni di copie. L’altra sostanziale differenza tra la situazione editoriale italiana e quella americana e’ il rapporto tra edizioni rilegate ed economiche. In Italia, il rilegato copre i quattro quinti delle vendite. Negli Stati Uniti, il tascabile copre i due terzi delle vendite. Infine, il mercato in ascesa degli e-book: Italia 2 percento, Stati Uniti, 15%. Solamente numeri, ma a non trattarli con il massimo rispetto tornano a vendicarsi.
Hai tradotto per i Meridiani di Mondadori Raymond Chandler e Dashiell Hammett due autori che adoro in assoluto, veri maestri del hard boiled, confrontami i loro stili, i loro punti deboli e quelli di forza.
Concordo appieno con l’adorazione verso questi due straordinari maestri. In particolare, nei due volumi del meridiano Chandler, ho avuto l’onore di lavorare al fianco con la grandissima Laura Grimaldi, che considero uno dei miei mentori sia per la narrativa che per l’editoria. Tornando all’opera di Hammett e Chandler, parlare di punti deboli e’ impossibile. Semplicemente non esistono punti deboli ne’ nella loro “filosofia letteraria” ne’ nei loro scritti. Al fulcro sia di Hammett che di Chandler, la figura del “cavaliere in armatura di flanella grigia”, il detective privato duro ma non necessariamente puro, comunque ancora dotato di etica in una societa’ gia’ corrotta, forse irrimediabilmente corrotta, nel profondo. Da traduttore — ma e’ molto piu’ corretto che vi rimandi agli eccezionali i saggi critici che accompagnano entrambi i Meridiani — direi che le differenze nel lavoro di questi straordinari maestri siano sostanzialmente due:
— l’approccio al protagonista: piu’ distaccato e cinico l’investigatore di Hammett, piu’ esistenziale e crepuscolare l’eroe di Chandler;
— gli stili: essenziale fino a diventare quasi barocca la scrittura di Hammett, di cartesiana eleganza e raffinatezza quella di Chandler.
Ancora oggi voglio ringraziare Renata Colorni ed Elisabetta Risari, le due golden ladies dei Meridiani Mondadori, per avermi dato la lusinghiera opportunita’ di rendere onore al lavoro degli autori che piu’ qualsiasi altro hanno influenzato il mio lavoro di narratore.
Quali sono i tuoi autori preferiti? Cosa stai leggendo in questo momento? Ci sono esordienti che ti hanno particolarmente colpito per coraggio, intraprendenza, spirito?
Dal mio personale punto di osservazione, negli ultimi anni il paesaggio narrativo italiano ha acquisito una fenomenale vitalita’. Molti nuovi autori, molti nuovi lavori, molte nuove sfide. In cima alla lista degli Autori italiani che piu’ rispetto e dei quali non mi perdo un solo libro si trovano, ex-aequo: Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Raul Montanari, Danilo Arona, Franco Forte, Nicolo’ Ammanniti, Gianni Biondillo, Alessandro Defilippi, Mauro Marcialis, Alfredo Colitto, Giulio Leoni, Gianfranco Nerozzi, Stefano Di Marino, Bruno Arpaia, Claudia Salvatori, Elisabetta Bucciarelli, Nicoletta Vallorani.
In tutta onesta’, la parola “esordiente” non mi piace troppo. Un narratore resta comunque un narratore, sia che i suoi lavori appaiaono sul web che in rilegato da un grande editore.Sempre restando sugli italiani, ritengo che possiamo contare su almeno due nuove generazioni di talenti in rapida ascesa. Mi limito a citare solo i nomi a me piu’ vicini:
Roberto Riccardi, Piernicola Silvis, Stefano Pigozzi, Samuel Marolla, Barbara Baraldi, Adriano Barone, Vincenzo Spasaro, Simonetta Santamaria, Zarini & Novelli, le Sorelle Martignoni.
Diversissimi per tematiche e stili, ma uniti nella straordinaria voglia di narrare. Go for it, Kids!
Progetti per il futuro?
In questo scorcio pre-estivo 2011, assieme al grande maestro Gaetano Staffilato — uno tra i piu’ straordinari linguisti italiani — sono impegnato nella traduzione del nuovo, attesissimo volume della monumentale saga fantasy di George R.R. Martin “Le cronache del ghiaccio e del fuoco”. A proposito: non perdete l’ottima serie televisiva prodotta dalla HBO del primo volume della saga, “Il Gioco del Trono” (A Game of Thrones). Per quanto riguarda la mia di scrittura, ho non meno di cinque libri gia’ completamente strutturati. Tra essi, i due volumi che dovrebbero concludere la “Pentalogia dello Sniper” Russell Kane, e quello che potrebbe essere il “pilot” di una nuova serie d’impianto decisamente futuristico. Al tempo stesso, il progetto al quale vorrei davvero dedicarmi nel 2012, well, okay, so be it: “Magdeburg 4: La Via della Spada”. E’ un testo che definirei un “prequel parallelo” al trittico di Magdeburg — ambientato quasi interamente nel Giappone imperiale successivo alla fine delle guerre feudali — in cui descrivo come Wulfgar e’ diventato Wulfgar. Potrei mettere altri “hamburgers on the grill” (tornando all’accento da cowboy che piace tanto a Marilu, ma credo possa bastare cosi’. Un grande grazie a tutti per avermi seguito. E ricordate: leggere-leggere-leggere!
20 giugno 2011 alle 7:52 |
Ottima intervista,interessanti i retroscena sul "set"
erni-casval
20 giugno 2011 alle 9:06 |
Un'altra chicca del Maestro, "On-Fire" come sempre.
20 giugno 2011 alle 14:11 |
un macte latino al grande maestro Alan Altieri. NOn solo un grandissimo professionista a 360° ma anche una persona leale e di carattere, un autore straordinario e un uomo generoso.
Stefania
21 giugno 2011 alle 10:51 |
Bella intervista, grande autore. Che meraviglia sentire parlare certe persone! Con tutta la carica di umanità che traspare sia dalle sue parole che dal modo di proporle…
22 giugno 2011 alle 11:05 |
Bella intervista, complimenti, e grazie anche ad Altieri per la quantità di libri che spero ci farà leggere quanto prima!
Andrea-tortellino
6 febbraio 2022 alle 12:41 |
[…] :: Intervista con Sergio “Alan” D. Altieri a cura di Giulietta Iannone […]