Vigilia della Seconda Guerra Mondiale.
L’ombra nera di Hitler oscura l’Europa.
Il nazismo in Germania, il fascismo in Italia, il caudillismo in Spagna, gettano le basi per la guerra imminente e in questo scenario drammatico e pieno di tensione il gioco delle spie si fa frenetico.
Nel dicembre 1938 a Parigi la lunga mano dell’Ovra, la temibile polizia segreta di Mussolini, decide di compiere un atto dimostrativo per dissuadere i numerosi rifugiati politici italiani antifascisti attivi nella capitale francese dal continuare a tenere in vita i numerosi giornali clandestini, creati in appoggio alla Resistenza.
Enrico Bottini, avvocato torinese esule in Francia dal 1935, direttore del foglio clandestino “Liberazione”, viene fatto uccidere in una giornata di pioggia assieme alla sua amante, moglie del politico socialista LaCroix, nella stanza 44 del modesto albergo Colbert “Un albergo piuttosto appartato, il Colbert, silenzioso, discreto, a servizio de les affaires cinq-à-sept, le tresche tra le cinque e le sette”.
Viene inscenato un finto omicidio-suicidio al quale quasi nessuno crede, soprattutto gli otto appartenenti al movimento Giustizia e Libertà che si riuniscono il mattino dopo in tutta fretta nel retro del Cafè Europa, in una stradina nelle vicinanze della Gare du Nord. Il messaggio è chiaro, diretto a loro: “Facciamo quello che vogliamo non ci potete fermare”. Sgomento, paura, rabbia. Ma la lotta politica deve continuare, la battaglia non è ancora perduta. Bisogna trovare un nuovo direttore di “Liberazione”.
Un nome lascia tutti concordi: Carlo Weisz. Un giornalista che aveva lavorato per il Corriere della Sera di Milano e ora faceva il corrispondente all’ estero alla Reuters. Un triestino con un certo coraggio, in quel momento si trovava in qualche parte in Spagna per scrivere gli ultimi atti della Guerra Civile, un sangue misto metà italiano metà sloveno, uno che conosceva le lingue, l’uomo giusto per quell’incarico.
Carlo Weisz accetta ed è il primo passo che lo porterà nel bel mezzo di un pericoloso intrigo di spie, soprattutto a causa dell’amore per una donna, una di quei tedeschi che Hitler l’ hanno combattuto, e salvare lei diventa per Weisz l’unica ragione di vita.
Barcellona, Parigi, Berlino, Praga, Genova fanno da sfondo alla disperata lotta di Carlo Weisz per una causa, un ideale, lui spia per caso, quasi inconsapevole strumento trasportato dagli eventi nell’abisso e nella follia che presto infiammerà l’Europa e il mondo intero.
Il corrispondente dall’ estero, edito da Giano Editore nel 2008, è il primo romanzo di Alan Furst, autore americano di spy story classiche per lo più ambientate negli anni 30-40, che leggo, altri tre titoli sono stati tradotti e pubblicati in Italia L’ombra delle stelle e Il Regno delle ombre per Rizzoli e Le Spie di Varsavia, per Giano e devo dire che è stato una piacevole sorpresa.
La prima caratteristica che subito si evidenzia è che Furst, pur essendo americano, si ricollega ai classici della spy story europea per lo più britannici come Eric Ambler, Graham Green, Frederick Forsythe, John Le Carrè in un certo senso più introspettivi e meno interessati all’azione pura rispetto ai loro colleghi d’oltre oceano.
Un altro fatto curioso che mi ha colpito e sentire trattare da un americano un tema come la lotta antifascista di molti esuli italiani in Francia, che non mi pare che nessun autore prettamente italiano abbia fatto, almeno nei romanzi, anche se questa può essere una mia pecca dovuta all’ignoranza. Furst è un narratore classico, ama le ricostruzioni sceniche e le ambientazioni ricche di dettagli e di particolari d’epoca come la musica, – cita Duke Ellingtone e Cole Porter- o il nome di riviste edite in quegli anni.
La ricostruzione storia è accurata, si vede che c’è dietro un lungo lavoro di ricerca. Nella breve intervista che gli feci, che potete leggere qui, ci disse infatti che si documentò leggendo unicamente libri che parlavano di quel periodo, da libri di storia, di giornalismo, di narrativa, ad autobiografie, e questa cura traspare dalle sue pagine ricche di informazioni a volte curiose che danno un sapore autentico e un po’ retrò alla narrazione.
La struttura dei personaggi è solida, emerge sicuramente il personaggio di Carlo Weisz, una spia per caso, una persona comune immersa in una realtà drammatica che non riesce pienamente a controllare. In Weisz c’è qualcosa di epico, tipico dei personaggi alla Rick Blaine protagonista di Casablanca, una sorta di eroe romantico che crede in certi ideali ed è capace di sacrifici e rinunce in nome dell’amore per una donna forse ancora più eroica e patriottica di lui.
Bellissimo il finale, che giunge quasi inaspettato.
Lo stile di Furst mi ha ricordato molto quello di Hemingway, sopratutto nella creazione dei dialoghi, mai superflui, sempre specchio dei personaggi.
Per gli amanti delle spy story, condite di intrighi e addolcite da una emozionante storia d’amore, una lettura sicuramente consigliata.
Traduzione di Valeria Giacobbo. Titolo originale The Foreign Correspondent.
Alan Furst (New York, 20 febbraio 1941) è un giornalista e scrittore statunitense, autore di romanzi di spionaggio ambientati nel periodo della Seconda guerra mondiale.