Posts Tagged ‘Roberta Lepri’

:: Un’intervista con Roberta Lepri, autrice de La gentile a cura di Giulietta Iannone

20 settembre 2024

Benvenuta Roberta sul blog Liberi di scrivere e grazie per averci concesso questa intervista. Parlaci di te dei tuoi studi e del tuo amore per i libri.

R: Grazie a Voi per l’invito.

Sono una scrittrice di lungo corso, ho pubblicato il mio primo romanzo nel 2003 e da allora i libri usciti sono dodici, inclusa una raccolta di racconti. Ho studiato Lettere Moderne a Siena e sono laureata in Filologia italiana con una tesi sulle Rime di Michelangelo Buonarroti. Ero una studente lavoratrice, per cui studiavo di notte: un allenamento che mi è stato molto utile quando ho iniziato a scrivere. Il mio amore per i libri è nato quando avevo dieci anni d’età. Un incidente automobilistico mi costrinse a trascorrere due mesi a letto e per farmi passare il tempo mi vennero regalati molti romanzi per ragazzi: Piccole donne, Dalla terra alla luna, I viaggi di Gulliver, Alice nel paese delle meraviglie. Un amore davvero grandissimo, mai andato in crisi.

La gentile, edito da Voland è il tuo nuovo romanzo. Vuoi parlarcene?

R: La gentile intreccia la storia di Alice Hallgarten – ricchissima ereditiera americana ebrea andata in sposa al barone Leopoldo Franchetti, filantropa, educatrice, prima sponsor di Maria Montessori e fondatrice di scuole per i figli dei contadini – a quella di Ester, una bambina povera incontrata per strada che diventa sua allieva. Il loro legame diventerà indissolubile, riuscendo a superare perfino la morte, e sarà fatto di speranza, dedizione, affetto ma anche di rancore sordo a causa di una grande occasione mancata.

Spiegaci il significato del titolo. Chi erano i gentili?

R: I gentili sono definiti anche nella Bibbia come non israeliti. Ester, i cui nonni ebrei già nel 1800, per paura di essere perseguitati, si erano convertiti al cristianesimo, si definisce così: una gentile. E dà a questa parola un significato dispregiativo, dal momento che si sente ancora profondamente legata all’ebraismo.

Che ricerche hai fatto per la stesura del romanzo? È basato su una storia vera? E quanto tempo ti ha richiesto la documentazione?

R: Conoscevo già la storia di Alice Hallgarten perchè sono nata a Città di Castello, il paese in cui la baronessa ha maggiormente avuto influenza con le sue opere. Il mio bisnonno era figlio di mezzadri e aveva frequentato la scuola della Montesca da lei fondata. La decisione di scrivere un romanzo che parlasse anche della sua incredibile e breve vita è nata sei anni fa, quando passando da Tela umbra (laboratorio tessile anche questo creato da Alice per dare lavoro alle donne, sopratutto alle ragazze madri) ho acquistato il libro della storica Maria Luciana Buseghin “Cara Marietta: lettere di Alice Hallgarten Franchetti”. Da quel momento non ho smesso mai di documentarmi e progettare questo romanzo, che ho scritto in circa un anno tra il 2022 e il 2023.

Alice Hallgarten, personaggio realmente esistito di cui a giugno si è festeggiato il 150° anniversario dalla nascita, e assieme alla protagonista Ester, un personaggio moderno se vogliamo che ha anticipato quello spirito assistenziale e filantropico teso al sostegno delle donne, fornendole un lavoro che le rendesse indipendenti dai mariti, e i bambini fornendogli scuole gratuite per imparare a leggere, scrivere e far di conto. Hai amato questo personaggio?

R: Non si può non amare Alice ma mi è piaciuto cercare di ricostruire la sua umanità e immaginarne i dubbi, mettendo in risalto anche la sua severità a volte ossessiva nell’imporre agli altri un certo modello di vita. Ha dato moltissimo all’Alta Valle del Tevere, cambiando per sempre il tessuto sociale di quella zona. Attraverso le vicende dei miei bisnonni e nonni, sono certa di doverle molto anch’io.

Il marito di Alice, il barone Leopoldo Franchetti, grande latifondista e deputato del Regno, condivideva lo spirito filantropico della moglie e morendo lasciò tutto ai suoi contadini. In che misura questo personaggio un po’ defilato influenza la storia?

R: Quella tra Leopoldo e Alice è stata una grande storia d’amore, fatta sopratutto di una perfetta comunione spirituale e di intenti. Lui era un serissimo politico della destra illuminata, già anziano, e lei una giovane ereditiera educata a fare del bene al prossimo. Era stata proprio la frequentazione di circoli dediti alla filantropia a farli conoscere e i due si adoravano: senza Leopoldo non si spiega Alice, e viceversa. Infatti, poco dopo la morte di lei, anche lui pose fine alla propria vita.

Ester è la protagonista, la conosciamo bambina, poi piccola studentessa, ombrellaia, e sposa. Rappresenta per te un’ideale femminile di emancipazione, con tutte le relative difficoltà, o nasce come personaggio a sé stante?

R: Ester incarna la capacità di resistere a qualsiasi traversia della vita, che poi è la grande disperata risorsa di quasi tutto il genere umano, sopratutto femminile. Ester combatte, si adatta, sopravvive, ama, spera, viene delusa, odia. Ed è – come lei stessa si definisce – dura come una sbarra di ferro. Non è un’ideale, per me Ester è la realtà: quella che io sono stata e che sono, e con me la maggior parte delle donne che conosco. Ester è insieme personaggio e persona.

La giovane Alice scorge per le vie di Roma dei bambini allo sbando, con tutti i pericoli che corrono soli sulla strada, magari di notte, e comprende l’importanza di creare luoghi sicuri dove possano studiare per apprendere una professione e salvarsi dal degrado e dallo sfruttamento. Come è nato secondo te in lei questo spirito filantropico?

R: Alice non era sola a rendersi conto di quanto fosse grave a Roma la situazione dei bambini abbandonati per strada. Il circolo di persone che cominciarono ad agire per porre rimedio a questa situazione si riuniva sotto la guida spirituale di Don Brizio Casciola, che ideò delle colonie agricole per i ragazzi, in modo da farli lavorare e studiare. In Alice lo spirito filantropico nacque in seno alla famiglia d’origine: i genitori erano ricchi ebrei americani che l’avevano educata a prendersi cura dei poveri con opere di beneficienza. Fu però sopratutto attraverso lo zio, un facoltosissimo banchiere tedesco che la accolse nella sua casa dopo la morte del padre , che imparò a fare del bene al prossimo. Non solo attraverso la carità ma fornendo alle persone bisognose istruzione e lavoro.

La sua scuola anticipava il concetto abbastanza recente dell’importanza del binomio studio-lavoro. Oltre che aule scolastiche erano anche laboratori artigianali?

R: A Montesca e Rovigliano i bambini imparavano a leggere e scrivere, studiavano storia e geografia, metereologia applicata allo sviluppo dei loro progetti negli orticelli. Poi avevano i laboratori in cui potevano mettere in pratica ciò che avevano imparato. Ed ecco che la geometria veniva applicata alla creazione di piccoli mobili, la scrittura declinata in modo pratico alla stesura di lettere che potevano essere inviate alla banca per chiedere un prestito, o al padrone del podere per domandare un rinnovo di affitto. Esperienze straordinarie per l’epoca, che valsero alla scuola e alle maestre dei premi di eccellenza a livello europeo. E che sfociarono in modo quasi naturale nella frequentazione di queste scuole anche da parte di Maria Montessori, di cui Alice Hallgarten fu prima sostenitrice.

Grazie per la tua disponibilità e come ultima domanda vorrei sapere se stai scrivendo un nuovo romanzo e se puoi raccontarci qualcosa a riguardo?

R: Proprio in questi giorni sto pensando a una nuova storia. Mi piace molto osservare e descrivere come i caratteri delle persone talvolta cambino radicalmente al mutare di alcune condizioni di vita, in apparenza piccole. Staremo a vedere.

Grazie a voi e a presto!

:: La gentile di Roberta Lepri (Voland 2024) a cura di Giulietta Iannone

15 settembre 2024

Alice Hallgarten, personaggio realmente esistito di cui a giugno si è festeggiato il 150° anniversario dalla nascita, è al centro del nuovo romanzo storico di Roberta Lepri, dal titolo La gentile, edito da Voland. Alice Hallgarten nacque a New York il 23 giugno del 1874 da una ricca coppia di ebrei askenaziti d’origine tedesca, dediti a opere filantropiche e di assistenza che giudicavano giusto usare i loro soldi anche per fare del bene al prossimo. E sopprattutto che pensavano che anche le donne possono lavorare, guadagnare ed essere indipendenti. Anche Alice erediterà questa caratteristica di famiglia e quando arriva in Italia incontra e sposa il barone Leopoldo Franchetti, anche lui ebreo ma di origine sefardita, grande latifondista e deputato del Regno molto più anziano di lei, proprietario di centinaia di ettari di terre nell’alta valle del Tevere ed esperto della questione meridionale italiana, e lo convincerà a sovvenzionare una scuola gratuita per i figli dei contadini, certa che dall’istruzione e dal lavoro nasce l’emancipazione e il miglioramento sociale, sollievo dal degrado e lo sfruttamento. Da qui la storia della Lepri ci fa conoscere Ester, povera figlia di ebrei convertiti, giudea per metà, ma la cosa doveva restare segreta, la “gentile” del titolo che prova dolore per la compassione che la baronessa le tributa. Ester sogna di diventare insegnante e abbandonare così la dura e faticosa vita della servitù e dei campi, ma nulla andrà come previsto: Ester lascia la scuola, ormai sa leggere, scrivere, fare di conto e ha un lavoro, l’ombrellaia, l’ombrellaia più brava dell’Umbria come diceva suo padre e si sposa. Alice e cagionevole di salute ma non si arrende alla malattia e per combatterla si occupa del lavoro femminile, le donne hanno il loro libretto di lavoro, e vengono pagate. Hanno un libretto di risparmio alla Cassa di Risparmio di Perugia e sono autonome e indipendenti dai mariti. Poi il progetto della Tela Umbra l’appassiona, tessuti pregiati che faranno dell’Umbria un centro di sviluppo. Ma la salute di Alice peggiora e ben presto muore lasciando Ester in balia di forze più grandi di lei. Amore e odio, speranza e tragedia, sono le forze telluriche che muovono le sorti dei personaggi, oltre all’uneluttabilità del destino e i limiti della filantropia, che ben poco può contro strutture sociali antiquate e che premiano solo il più economicamente forte. Un romanzo colto, appassionato, scritto con una lingua felice, dalla sicura struttura narrativa. Femminista nello spirito e combattivo. Roberta Lepri è brava ed è riuscita a scrivere un romanzo che non è un’agiografia dell’Hallgarten, ma nello stesso tempo aiuta a capire tematiche sociali e politiche importanti, moderne ancora oggi. Alice Hallgarten morì nel 1911 a soli 37 anni. Il marito non le sopravvisse e si uccise lasciando tutte le sue ingenti ricchezze, con annesse la scuola e il laboratorio tessile, ai contadini che lavoravano le sue terre.

ROBERTA LEPRI nata a Città di Castello nel 1965, vive in Maremma. Dal 2003, ha scritto dieci romanzi e una raccolta di racconti. Con Voland ha pubblicato Hai presente Liam Neeson? (2021) e Dna chef (2023), vincitore del Premio Letterario Chianti 2024.