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:: Recensione di Cuore nazista di Olle Lonnaeus a cura di Giulietta Iannone

16 aprile 2011

Cuore nazistaDopo il felice esordio Il bambino della città ghiacciata lo svedese Olle Lonnaeus torna in libreria  con un nuovo thriller dal titolo forse un po’ sinistro Cuore nazista per raccontarci una storia di riscatto, amore paterno e vendetta in cui è difficile non parteggiare per lo sfigato e scalcagnato protagonista anche a dispetto delle circostanze. Vediamo in breve la trama. Il quarantacinquenne Mike Lorne Larsson è un povero diavolo a cui la vita non ha mai dato troppe possibilità. «Hai rubato due asciugabiancheria dalla lavanderia collettiva in un condominio di Föreningsgatan. È per questo che ti hanno messo dentro» gli dice ironica l’ispettrice incaricata della libertà vigilata il che la dice lunga sulla sua figura di ladruncolo di mezza tacca, e pure notevolmente sfortunato da farsi prendere, ubriaco fradicio, con le mani nel sacco mentre cerca di spingere su per le scale dello scantinato quella bizzarra refurtiva. Ma non ostante la più nera desolazione in cui immersa la sua vita qualcosa di buono anche Mike ce l’ ha, un figlio Robin, ormai adolescente, incazzoso e risentito per quel catorcio di padre che sembra non combinarne una giusta. Certo Mike non si può dire che sia il padre dell’anno, alcolizzato, rissoso, buona parte della vita trascorsa dietro le sbarre, un perdente incapace di tenersi una donna o un lavoro, ma per suo figlio ha intenzione di rimediare, ha intenzione di portarlo a vivere con se togliendolo dalla famiglia a cui l’ hanno dato in affidamento, ha intenzione di salvarlo dalle cattive compagnie che lo portano a compiere atti vandalici contro gli stranieri, ha intenzione di meritarsi la sua stima e il suo perdono. Così armato della più ostinata e sacrosanta buona volontà  appena messo il naso fuori dal carcere di Kirseberg a Malmo una giornata ottobrina fredda e limpida come la libertà medita il da farsi. Dragan uno jugoslavo con cui faceva pesi nella palestra del carcere, dentro per contrabbando di droga dalla Polonia, gli offre una possibilità, un lavoro onesto presso un’ impresa di autodemolizioni di cui è proprietario un certo Boris, un tizio con un sacco di grana guarda caso proprio di Tomelilla la sua città dove vive Robin. Troppo bello per essere vero? Manco per idea l’attività di sfascia carrozze è solo la copertura per traffici ben più loschi e redditizi e il povero Mike si trova volente o nolente a farne parte. Poi un giorno ciliegina sulla torta nella sua vita compare una donna Amela, una profuga bosniaca in cerca di vendetta,  e Mike come al solito ci ricasca e si ritrova ben presto in un vero e proprio mare di guai. Il bambino della città ghiacciata mi era piaciuto ma questo in un certo senso mi ha coinvolto anche di più. Innanzitutto ho apprezzato le forti iniezioni di ironia e sarcasmo che Lonnaeus ha distribuito con abbondanza. L’incipit è un puro concentrato di humour nero ed è una piacevole sorpresa in un genere che troppo spesso si prende mortalmente sul serio. Poi Lonnaeus scrive bene, non annoia, sa dosare azione e riflessioni morali e squarci di costume. La sua critica della società borghese svedese è pungente e spesso caustica e affronta con intelligenza temi anche dolorosi come il razzismo strisciante, la xenofobia, l‘esaltazione di correnti neonaziste che albergano all’interno di una società apparentemente moderna ed evoluta. Finalista al premio come miglior thriller svedese dell’anno non stento a credere che lo vincerà con facilità.

Cuore nazista di Olle Lonnaeus Newton Compton collana Nuova narrativa Newton, Titolo originale: Mike Larssons rymliga hjärta, Traduzione dallo svedese di Mattias Cocco,  2011, 327 pagine, rilegato, Prezzo di copertina Euro 12,90.

:: Recensione di Il bambino della città ghiacciata di Olle Lonnaeus a cura di Giulietta Iannone

2 Maggio 2010

Il bambino della città ghiacciataIn un’altra vita Konrad Jonsson era un giornalista affermato, girava il mondo, era qualcuno, in un’altra vita appunto prima di quello che successe a Baghdad, prima che il suo migliore amico venisse ucciso nel corso di un rapimento. Da quel momento infatti niente più per Konrad è lo stesso, tutto crolla, lascia il giornalismo, cade in depressione, si da all’ alcool diventa l’ombra di se stesso, un quarantacinquenne trasandato con lo sguardo da animale braccato. Ma dato che i guai non vengono mai soli, e quando capitano portano spesso amici, un giorno Konrad riceve una telefonata con la notizia che i suoi genitori adottivi Herman e Signe sono stati assassinati. Entrambi con un colpo di pistola alla nuca nel capanno degli attrezzi per un apparente rapina a Tomelilla una piccola cittadina nel sud della Svezia, una sparuta comunità nelle campagne dalla quale quasi trent’anni prima Konrad era fuggito. Mai avrebbe pensato di tornarci a Tomelilla la ridente Tomelilla con il vento sotto le ali, di tornare a casa, già nei luoghi della sua infanzia. Tornarci significherebbe fare i conti con il passato che pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre, tornarci significherebbe lasciare che il passato ritorni a galla come schiuma sporca. Ma soprattutto significherebbe pensare ad Agnes, sua madre, la polacca, la straniera al tempo in cui essere polacchi era come essere zingari. Una donna dolce dai capelli scuri e gli occhi malinconici di cui non ha neanche una foto e fatica a ricordarne i lineamnti, una donna scomparsa improvvisamente senza lasciare traccia, una donna il cui nome quando veniva pronunciato in casa di Hermane e Signe l’atmosfera si riempiva di imbarazzo e si cambiava discorso. Forse i vecchi ricordi devono rimanere tali ed è un errore disseppellirli, forse Konrad non doveva tornare a Tomelilla ma ora è li come se il destino l’avesse chiamato ad un appuntamento inevitabile. Accolto con ostilità, guardato con sospetto da Eva Strom, l’ispettrice di polizia giudiziaria incaricata di indagare sul caso, Konrad si trova a farsi delle domande. Chi avrebbe potuto fare del male a Herman e Signe che si accontentavano di così poco in questa vita, che non davano fastidio a nessuno? Ma la polizia ha già i suoi sospetti, un movente, Herman e Signe erano ricchi avevano vinto dodici milioni di corone al Lotto e Konrad è uno degli eredi. Si può uccidere per dodici milioni di corone? Certo che si può uccidere se non fosse che un nuovo dupplice omicidio scuote Tomelilla. Due albanesi kossovari sorpresi a rubare in casa del vecchio Tore Tortensson, iscritto ad un partito nazionalista con radici neonaziste, vengono uccisi appunto dal padrone di casa in un atto forse di legittima difesa. Come non collegare i quattro delitti? Forse i due kossovari erano proprio gli assassini di Herman e Signe a cui questa volta  era andata male. In città intanto il cuore razzista si risveglia, e in molti pensano che Tortensson abbia fatto bene,  abbia agito nel pieno dei suoi diritti, facendosi giustizia da sé. L’atmosfera si fa tesa e l’odio alimentato dalla paura e dalla xenofobia si rivolge contro le famiglie di immigrati capri espiatori ideali a cui addossare la colpa di tutto quello che succede in città. Konrad si trova ad un bivio e ben presto intuisce che c’è un oscuro segreto nel passato della linda e sonnolenta Tomelilla, una colpa collettiva, vergognosa, terribile.  Di colpo non ha scelta per capire cosa è successo ai suoi genitori adottivi prima deve scoprire cosa ne è stato di sua madre, indagare sulla sua scomparsa, anche se nessuno a Tomelilla vuole che la verità venga fuori, una verità scomoda, dolorosa, che ha le sue radici nel cuore stesso della comunità, nel suo cuore più oscuro fatto di razzismo e indifferenza, ma ormai Konrad non ha più niente da perdere , deve continuare ad indagare,  a scavare nel fango se occorre, per ritrovare sua madre e infondo se stesso. Il bambino della città ghiacciata, annunciato come il più atteso thriller svedese dell’anno, ai primi posti delle classifiche mondiali è senz’altro un buon libro, scritto bene in cui suspance e critica sociale sono dosati per interessare il lettore. L’analisi psicologica è accurata, l’atmosfera di una piccola città svedese di provincia e bene resa. I tempi sono lenti come si addice al giallo scandinavo ma Lonnaeus è abile nell’incuriosire il lettore, nello spiazzarlo, nell’imporgli il suo punto di vista e i suoi tempi. Forse l’indagine poliziesca è solo un pretesto per fare luce sul razzismo nascosto nelle pieghe più oscure della civilissima società svedese, ma questo non è certo un difetto, anzi è un pregio che rende Il bambino della città ghiacciata qualcosa di più di un semplice thriller. A me è piaciuto e molto spero che piaccia altrettanto a voi.   

:: Intervista a Olle Lonnaeus a cura di Giulietta Iannone

24 aprile 2010

foBenvenuto  Olle su Liberidiscrivere e grazie per aver accettato la mia intervista. Puoi dirci qualcosa di te, i tuoi studi e il tuo background?

Vivo con la mia famiglia a Lund, città universitaria vicino a Malmo, nel sud della Svezia. Mia moglie Ylva è un giudice e ho due figli, Fredrika, 22, e Jens 20. Sono cresciuto a Tomelilla, un piccolo paese nelle campagne, dove si svolge gran parte del mio romanzo. Dopo il servizio militare ho studiato legge, infatti  avevo deciso di diventare un avvocato per i più poveri. Ma ho cambiato idea e sono diventato un giornalista. Adesso lavoro per il quotidiano Sydsvenska Dagbladet, e faccio il corrispondente politico in Svezia, Europa e Medio Oriente.

Raccontaci qualcosa della tua infanzia.

Sono cresciuto in una famiglia borghese. Mio padre era un ingegnere e mia madre una casalinga. Mia sorella ha tre anni più di me. Da adolescente ho fatto un sacco di sport. Tennis e calcio. Da giovane per la prima volta mi resi conto di quante ingiustizie sociali ci sono. E ho anche  potuto sentire istintivamente la maledizione della cittadina: la paura e l’ansia per l’ignoto, le cose che non vanno.

Perché sei diventato uno scrittore?

Come ho già detto, prima di tutto sono diventato un giornalista. Per molti anni mi sono occupato unicamente di scrivere per i giornali e lo faccio tuttora. Ma dopo venti anni di giornalismo ho voluto provare un nuovo modo di raccontare storie. Il buon giornalismo consiste nel  raccontare storie. Storie vere. Nel romanzo si può inventare, ossia se vogliamo dire bugie, anche se bisogna tuttavia far si che la storia che raccontiamo sia credibile.

Qual è stato il tuo primo lavoro scritto? Raccontaci qualcosa del tuo debutto. La tua strada verso la pubblicazione.

Quando avevo circa vent’anni ho scritto una breve storia di un uomo su un treno che colpisce un alce. Era una storia veramente assurda. Ma è stata pubblicata in un’antologia. Poi mi sono concentrato sul giornalismo per molti anni fino a quando “Det som ska Sonas” è stato pubblicato l’anno scorso.

Ti sei ispirato ad eventi reali?

Sì e no. Penso che questa storia sia cresciuta in me per diversi anni fino a quando improvvisamente l’ho potuta scrivere. Che si svolga nella mia città natale Tomelilla  era inevitabile. Ma una cosa che mi costrinse a scrivere il romanzo ambientandolo proprio lì fu quando lessi sul giornale che Sverigedemokraterna – un partito xenofobo di destra con le radici nel movimento neo nazista – aveva tenuto una manifestazione proprio a Tomelilla il 1 ° maggio 2007,  festa internazionale dei lavoratori.

Quali scrittori ti hanno influenzato?

Ho letto un sacco di scrittori diversi. In realtà non ho letto così tanti romanzi polizieschi. Kerstin Ekman, Torgny Lindgren e Hakan Nesser sono alcuni buoni osservatori della storia svedese. Oran Pamuk della Turchia. Paul Auster degli Stati Uniti. Quando ero giovane ho letto la trilogia finlandese dello scrittore Väinnö Linnas che parla della trasformazione della Finlandia da una  società di aziende agricole profondamente ingiusta ad uno stato moderno. Ho imparato molto da quel libro.

Raccontaci qualcosa del tuo romanzo d’esordio “Det som ska Sonas”. Pubblicato in Italia da Newton Compton con il titolo “Il Bambino della Città ghiacciata”.

Konrad Jonsson è un giornalista free lance, con sede a Berlino. In una missione a Baghdad, viene ucciso Mahmoud, e Konrad perde il suo interesse per la vita e torna in Svezia. Tornato  a Malmo viene a sapere che i suoi genitori adottivi Herman e Signe sono stati uccisi in Tomelilla. Konrad ritorna così nella cittadina da cui era fuggito da ragazzo. Presto si rende conto che la polizia lo sospetta degli omicidi. Allo stesso tempo, Konrad inizia a pensare a quello che è realmente accaduto a sua madre biologica, una donna polacca di nome Agnes che scomparve quando Konrad aveva sette anni.

Ci sonoprogetti cinematografici tratti dal tuo libro?

No. Non ancora. Ma sono in attesa.

Ti piace la trilogia Millennium di Stieg Larsson? L’hai conosciuto?

Come giornalista ho avuto qualche contatto con Stieg Larsson, quando lavorava per la rivista Expo come esperto di neonazisti in Svezia. Ma non lo conoscevo personalmente. Come tutti gli altri trovo i suoi libri molto eccitanti.

Raccontaci qualcosa della tua Svezia.

Non ci sono gli orsi polari per le strade, almeno non al sud dove vivo. Normalmente abbiamo battuto l’Italia a calcio. Scherzi a parte, oggi la Svezia è un paese molto diverso da quando ero un bambino. Negli anni settanta siamo stati molto orgogliosi di avere il welfare più sviluppato del mondo. Oggi  la rete di sicurezza sociale della Svezia è come nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale. La Svezia è un paese diviso. Tra nord e sud. Tra la città e la campagna. Abbiamo avuto un grande immigrazione di rifugiati più di qualsiasi altro paese in occidente. Malmö, la città dove lavoro, ha ospitato più profughi iracheni che qualsiasi città USA. Abbiamo il Medio Oriente appena dietro l’angolo. Penso che sia una buona cosa, ma ovviamente significa anche un problema. Una cosa che la maggior parte degli svedesi hanno in comune è l’ amore per la natura dal Mar Baltico alle colline al di fuori Kivik dove ho una casetta, ed è un posto dove riesco a trovare veramente la pace.

Tu sei uno scrittore impegnato molto sensibile ai temi etici e sociali. Perché ha scelto il genere crime?

In realtà non avevo in mente di scrivere un giallo. Più che altro volevo scrivere la storia di un uomo che cerca di trovare le sue radici in una piccola città. Naturalmente ci sono alcuni omicidi. Reati, in particolare gli omicidi, che spesso riflettono il conflitto finale tra le persone. E’ un romanzo che ha per tema i conflitti, e il genere crime è un valido strumento per utilizzarli.

Tu sei uno scrittore e un giornalista. Professioni molto diverse, ma forse c’è un filo conduttore, in grado di unirle?

Ci sono analogie. Entrambe trattano di storie. Bisogna indagare e scoprire come la gente pensa e perché agisce in un determinato modo. Persone reali nel giornalismo. Personaggi di finzione nel romanzo. Ma hai ragione. Si tratta di professioni molto diverse. E siccome faccio sia il giornalista che lo scrittore devo essere molto chiaro su come mantenere separate le due cose. I lettori del mio giornale, naturalmente, devono essere sicuri che ciò che scrivo è la verità e nient’altro che la verità.

Cosa stai leggendo in questo momento?

Carsten Jensen. Un giornalista danese che qualche anno fa ha pubblicato un romanzo fantastico ambientato nella città di Marstal. Intitolato “Noi che affoghiamo”.

Che cosa è la libertà per te? Una utopia? Uno stato d’animo? La Svezia è un paese libero?

Penso che ogni libertà sia relativa. E così deve essere. La libertà può diventare un carcere. In Svezia spesso la libertà è usata come uno slogan politico. Ma un povero non è mai veramente libero. Penso comunque che la Svezia sia un paese abbastanza libero. È un paese laico, probabilmente uno dei più laici nel mondo. E questa è  una buona cosa. La religione, in pratica, è spesso l’opposto della libertà, non da ultimo per le donne.

Conosci assai bene il Medio Oriente. Quale paese ha avuto maggiore impatto su di te?

Israele e Palestina. Gran parte della storia del mondo, tre religioni e molti conflitti moderni sono focalizzati in questa piccola zona di terra.

Che tipo di ricerche fai per i tuoi libri?

Vado sul  posto. Parlo con la gente. Respiro l’aria e l’odore. E leggo molto.

Ti piacciono gli scrittori italiani contemporanei?

Ne ho letti alcuni e alcuni di loro mi piacciono molto. Elsa Morante. Roberto Saviano. E Nicolò Amaniti.

Ti piace l’Italia? Quando verrai nel nostro paese per presentare il tuo libro?

Ho fatto un sacco di vacanze in Italia e alcune volte ho visitato il tuo paese per lavoro. E ho sempre incontrato un sacco di persone simpatiche e interessanti. La cultura, il cibo, il vino e il calcio … Allo stesso tempo, l’Italia mi sta confondendo. La politica è molto difficile da capire. Penso che sarebbe stato impossibile in qualsiasi altro paese dell’Europa occidentale avere un premier che controlli una così grande parte dei media.

A quali progetti stai lavorando ora?

Ho appena finito il mio prossimo romanzo. Sarà pubblicato in Svezia nel mese di settembre. Il titolo in svedese sarà: “Mike Larssons ha un grande cuore”. Ha per protagonista un uomo che viene rilasciato dal carcere e torna nella sua città natale (Tomelilla) per tentare di riconquistare il cuore e la mente di suo figlio di 14 anni . Lì incontra Amela, una rifugiata della Bosnia. La sua è una storia emozionante e divertente. Mi piace molto il personaggio di Mike, anche se molti lo considerano un teppista. Quando il mio primo editore mi ha mandato una e-mail dicendomi che leggendolo ha sia riso e che pianto, beh mi ha fatto molto felice.