In un’altra vita Konrad Jonsson era un giornalista affermato, girava il mondo, era qualcuno, in un’altra vita appunto prima di quello che successe a Baghdad, prima che il suo migliore amico venisse ucciso nel corso di un rapimento. Da quel momento infatti niente più per Konrad è lo stesso, tutto crolla, lascia il giornalismo, cade in depressione, si da all’ alcool diventa l’ombra di se stesso, un quarantacinquenne trasandato con lo sguardo da animale braccato. Ma dato che i guai non vengono mai soli, e quando capitano portano spesso amici, un giorno Konrad riceve una telefonata con la notizia che i suoi genitori adottivi Herman e Signe sono stati assassinati. Entrambi con un colpo di pistola alla nuca nel capanno degli attrezzi per un apparente rapina a Tomelilla una piccola cittadina nel sud della Svezia, una sparuta comunità nelle campagne dalla quale quasi trent’anni prima Konrad era fuggito. Mai avrebbe pensato di tornarci a Tomelilla la ridente Tomelilla con il vento sotto le ali, di tornare a casa, già nei luoghi della sua infanzia. Tornarci significherebbe fare i conti con il passato che pensava di essersi lasciato alle spalle per sempre, tornarci significherebbe lasciare che il passato ritorni a galla come schiuma sporca. Ma soprattutto significherebbe pensare ad Agnes, sua madre, la polacca, la straniera al tempo in cui essere polacchi era come essere zingari. Una donna dolce dai capelli scuri e gli occhi malinconici di cui non ha neanche una foto e fatica a ricordarne i lineamnti, una donna scomparsa improvvisamente senza lasciare traccia, una donna il cui nome quando veniva pronunciato in casa di Hermane e Signe l’atmosfera si riempiva di imbarazzo e si cambiava discorso. Forse i vecchi ricordi devono rimanere tali ed è un errore disseppellirli, forse Konrad non doveva tornare a Tomelilla ma ora è li come se il destino l’avesse chiamato ad un appuntamento inevitabile. Accolto con ostilità, guardato con sospetto da Eva Strom, l’ispettrice di polizia giudiziaria incaricata di indagare sul caso, Konrad si trova a farsi delle domande. Chi avrebbe potuto fare del male a Herman e Signe che si accontentavano di così poco in questa vita, che non davano fastidio a nessuno? Ma la polizia ha già i suoi sospetti, un movente, Herman e Signe erano ricchi avevano vinto dodici milioni di corone al Lotto e Konrad è uno degli eredi. Si può uccidere per dodici milioni di corone? Certo che si può uccidere se non fosse che un nuovo dupplice omicidio scuote Tomelilla. Due albanesi kossovari sorpresi a rubare in casa del vecchio Tore Tortensson, iscritto ad un partito nazionalista con radici neonaziste, vengono uccisi appunto dal padrone di casa in un atto forse di legittima difesa. Come non collegare i quattro delitti? Forse i due kossovari erano proprio gli assassini di Herman e Signe a cui questa volta era andata male. In città intanto il cuore razzista si risveglia, e in molti pensano che Tortensson abbia fatto bene, abbia agito nel pieno dei suoi diritti, facendosi giustizia da sé. L’atmosfera si fa tesa e l’odio alimentato dalla paura e dalla xenofobia si rivolge contro le famiglie di immigrati capri espiatori ideali a cui addossare la colpa di tutto quello che succede in città. Konrad si trova ad un bivio e ben presto intuisce che c’è un oscuro segreto nel passato della linda e sonnolenta Tomelilla, una colpa collettiva, vergognosa, terribile. Di colpo non ha scelta per capire cosa è successo ai suoi genitori adottivi prima deve scoprire cosa ne è stato di sua madre, indagare sulla sua scomparsa, anche se nessuno a Tomelilla vuole che la verità venga fuori, una verità scomoda, dolorosa, che ha le sue radici nel cuore stesso della comunità, nel suo cuore più oscuro fatto di razzismo e indifferenza, ma ormai Konrad non ha più niente da perdere , deve continuare ad indagare, a scavare nel fango se occorre, per ritrovare sua madre e infondo se stesso. Il bambino della città ghiacciata, annunciato come il più atteso thriller svedese dell’anno, ai primi posti delle classifiche mondiali è senz’altro un buon libro, scritto bene in cui suspance e critica sociale sono dosati per interessare il lettore. L’analisi psicologica è accurata, l’atmosfera di una piccola città svedese di provincia e bene resa. I tempi sono lenti come si addice al giallo scandinavo ma Lonnaeus è abile nell’incuriosire il lettore, nello spiazzarlo, nell’imporgli il suo punto di vista e i suoi tempi. Forse l’indagine poliziesca è solo un pretesto per fare luce sul razzismo nascosto nelle pieghe più oscure della civilissima società svedese, ma questo non è certo un difetto, anzi è un pregio che rende Il bambino della città ghiacciata qualcosa di più di un semplice thriller. A me è piaciuto e molto spero che piaccia altrettanto a voi.
Tag: Gialli thriller noir, Giulietta Iannone, Il bambino della città ghiacciata, letteratura svedese, Olle Lonnaeus
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