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:: Recensione di La vicina di Lisa Gardner (Marcos Y Marcos, 2012) a cura di Giulietta Iannone

19 ottobre 2012

Ha chiuso gli occhi, per un attimo ho sentito il suo dolore.”Verità o penitenza”ho intimato.
“Verità”disse quasi in un lamento.
“Quale è la cosa più brutta che hai fatto?”
“Che vuol dire?”
“Quale è la cosa più brutta che hai fatto? Dai. Una bugia? Un furto? Hai sedotto la sorellina del tuo migliore amico? Hai ucciso qualcuno? Dimmelo Jason. Voglio sapere chi sei. Siamo sposati per Dio. Non puoi negarmelo”.
Mi ha scoccato un’occhiata strana.
“Sandra…”
“No. Non girarci intorno. Rispondimi e basta. Hai mai ucciso qualcuno?”
“Sì”.
“Eh?”ho chiesto sinceramente stupita.
“Sì ho ucciso qualcuno. Ma non è la cosa più brutta che ho fatto”.

South Boston. Un quartiere tranquillo, pittoresco. I Jones vi abitano vicino al lungomare, in un cottage panna e beige, anni Cinquanta, con un praticello e un acero spoglio. I Jones sono una famigliola felice, che trasmette un senso di rassicuranti valori familiari, di pace, di amore condiviso. Il padre Jason, sulla trentina, bello come un divo della tv, giornalista nel più importante quotidiano cittadino, emana sicurezza, forza, dedizione. La madre Sandra, ventitre anni, insegnate delle medie, dolce, bellissima, amata dai suoi studenti, rispettata dai colleghi, un raggio di sole. Poi c’è Ree, una bambina splendida di quattro anni, molto matura per la sua età, amata, protetta, circondata da tutti i personaggi delle fiabe dell’infanzia, dai suoi giochi, da Coniglietta, golosa di oreo al cioccolato. Infine come dimenticarsi di Mr Smith, il fulvo gatto di casa. Pigro e viziato compagno di giochi della piccola Ree, forse il suo migliore amico.
Questa è l’immagine che la famiglia Jones trasmette, questo è ciò che proietta all’esterno. Luci senza ombre. La classica famigliola americana tutta casa e lavoro. Spesa al supermercato, serate davanti alla tv, partite di basket da guardare sugli spalti, sorrisi e tanta tranquilla convinzione che tutto sia normale, sotto controllo, sicuro. Forse per questo la loro casa ha porte blindate, e perni di sicurezza alla finestra. Forse anche nel tranquillo quartiere in cui vivono esistono mostri, e non sempre si nascondono sotto il letto. Forse il male abita anche lì a South Boston, in quel cottage panna e beige, con un praticello e un acero spoglio. Forse i Jones non sono quello che sembrano, forse nascondono segreti.
Tutto sembra esplodere con la scomparsa di Sandra. La polizia entra nella loro vita con il volto della ruvida e determinata D.D. Warren, sergente della omicidi, pronta a giurare che la bella Sandra sia stata uccisa dal suo recalcitrante marito. Già Jason non fa niente per aiutarli a  ritrovare sua moglie. Oltre al sincero attaccamento per la figlia, non sembra quasi umano. Non si dispera, anzi fa resistenza, li ostacola, nasconde il computer di casa, si comporta da colpevole.
Ma di colpo spuntano come funghi nuovi indiziati: un vicino di casa, ex galeotto per reati sessuali, un poliziotto troppo solerte ad incastrare Jason per presunti crimini perpetrati tramite internet, un alunno di Sandra, esperto informatico, che anche lui sa più cose di quante ne dica alla polizia tutto per coprire la bella Sandra di cui è innamorato. E poi c’è il suocero di Jason, il giudice Maxwell Black, che vuole a tutti i costi la custodia della piccola Ree e Jason in galera. D.D. Warren è sul punto di non capirci più niente, mentre il lettore, conoscendo pian piano i pensieri dei protagonisti, scopre l’orrore sotto la falsa apparenza di una famiglia perfetta.
Ecco a voi La vicina (The Neighbor, 2009) terzo episodio della serie dedicata al personaggio di D.D. Warren dalla scrittrice americana Lisa Gardner. Pubblicato in Italia da Marcos Y Marcos e tradotto da Daniele Petruccioli, La vicina è un poliziesco piuttosto anomalo. Più indagine psicologica che indagine poliziesca, è innanzitutto un romanzo che fa luce sulla violenza perpetrata sui bambini che si ripercuote sulla loro vita da adulti. Violenza di genitori, di maniaci pedofili, di ragazzi cresciuti con il fisico ma non ancora adulti che pagheranno per tutta la vita per il loro crimine.
Lo stile della Gardner è immaginifico e ricco, con un amore assoluto per i dettagli, le descrizioni dei particolari più minuti della vita quotidiana. Costruisce i personaggi dalle loro azioni, con una tecnica molto istintiva che risale da un dettaglio alla percezione di uno stato d’animo, di un ricordo del passato che si fa presente. L’autrice pare avere un profondo interesse per le violenze perpetrate sui bambini e sui meccanismi della giustizia americana che bolla in modo troppo generico i crimini sessuali accomunando pedofili violenti e veri propri criminali a ragazzi che magari hanno avuto rapporti con minorenni consenzienti per fragilità caratteriali. Punto di vista molto critico anche riguardo al sistema mediatico americano, pronto a speculare sulle tragedie per alzare semplicemente gli indici di ascolto.
Seguirò questa autrice, senza dubbio. Un ottimo libro.