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:: Recensione di Io, Anna di Elsa Lewin (Corbaccio, 2012) a cura di Giulietta Iannone

24 Maggio 2012

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Spense l’autoradio e accese la ricetrasmittente. Gli parve che emettesse un suono concitato. Lo ascoltò: 1010, segnalazione ripetuta del ritrovamento di un cadavere. In West End Avenue. Era il suo distretto. Sarebbe passato davanti a quell’isolato tra un paio di minuti.
Tanto valeva fermarsi a dare un’occhiata. Se fosse arrivato in ufficio così presto, sarebbe stato solo d’intralcio. E probabilmente non sarebbe neanche riuscito a dormire, non si sentiva più stanco. Inoltre poteva essere interessato a rispondere a una chiamata, non lo faceva da tanto tempo. Si domandò se si ricordasse ancora qualcosa su come risolvere un crimine.

Io, Anna (I, Anna, 1984) edito in Italia da Corbaccio e tradotto dall’americano da Valeria Galassi è il romanzo d’esordio della scrittrice e psichiatra newyorkese Elsa Lewin.
Ambientato in una piovosa e crepuscolare New York anni ’80, ha per protagonista una donna Anna Welles, bibliotecaria divorziata, che vive con la figlia adolescente in un squallido bilocale, e tenta di ricostruirsi una vita ormai a cinquant’anni frequentando deprimenti feste per single.
Noir metropolitano di una bellezza sciupata e malinconica come Anna stessa, racchiude una struggente storia d’amore tra due persone fondamentalmente sole e disperate e un’indagine poliziesca insolita di cui conosciamo già dalle prime pagine il nome del primo colpevole.
La bellezza di questo romanzo sta nei dettagli e nell’atmosfera che riesce a ricreare, nella solitudine che si respira e imprigiona ogni personaggio dalle vittime, al poliziotto che indaga, alla figlia di Anna, ai partecipanti ai party per single, agli abitanti del palazzo dove viene rinvenuto il primo cadavere orrendamente mutilato.
Tutto ruota intorno ad un ombrello di plastica gialla, perduto, ritrovato, quasi gettato, ripreso, quasi un feticcio che accentra le ossessioni dei personaggi. Ci sono alcune scene piuttosto forti che turberanno forse i più sensibili per il resto è un romanzo garbato e pieno di una tristezza velata e non invadente e non per questo meno dolorosa.
La solitudine è senz’altro la protagonista silenziosa che increspa i volti dei personaggi, bellissimo a mio avviso quello di Bernie Bernstein, ispettore di polizia ebreo, padre infelice di un figlio celebroleso, marito disperato di una moglie che lo ha cacciato di casa, personaggio di cui è davvero difficile non innamorarsi. Cercherò di non dire troppo della trama, anche se la sua costruzione non prevede una suspense diretta dell’individuazione del colpevole, che come ho detto è subito evidente.
L’autorivelazione al colpevole stesso del suo crimine corrisponderà ad un punto di non ritorno. Non è previsto un lieto fine e dopo tutto è naturale e probabilmente avrebbe stonato anche se fino all’ultimo si spera che l’amore consenta una rinascita che naturalmente non ci sarà e la solitudine riprende la forma di una squallida camera d’albergo in cui piangere in silenzio.
Singolare il fatto che probabilmente in Italia ci saremmo persi questo gioiellino se l’anno scorso non ne avessero fatto un film con un cast internazionale tra cui Charlotte Rampling e Gabriel Byrne. Indimenticabile lo sguardo che si lanciano i due protagonisti incontrandosi per la prima volta e sfiorandosi fuori dall’ascensore.

Source: libro inviato dall’editore, ringraziamo Ilaria dell’Ufficio Stampa Corbaccio.

Disclosure: questo post contiene affiliate link di Libreriauniversitaria.