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:: Giornata della Memoria: La porta aperta, Mario Pacifici  (Gallucci, 2025)A cura di Viviana Filippini

27 gennaio 2025

Ricordare è fondamentale, è un modo per tramandare a chi verrà domani un passato da non scordare e da conoscere per provare a evitare gli errori di chi ci ha preceduto e provare a fare meglio, anche se non sempre è facile come sembra. Ricordare quello che accadde con la Shoah e che ritorna ogni 27 gennaio con la Giornata della Memoria, è anche l’invito del libro per bambini “La porta aperta” di Mario Pacifici edito da Gallucci, già segnalato qui su Liberi di scrivere. Un libro che ho letto e che fa pensare a quanto è stato fatto e quanto ancora dobbiamo fare come collettività per continuare a ricordare. Il tema del testo per bambini, con le illustrazioni di Lorenzo Terranera, ha al centro una storia vera accaduta nel ghetto di Roma  ai tempi dei rastrellamenti nazisti nei confronti degli ebrei residenti nell’Urbe.  Protagoniste Mirella e Marina, due giovani sorelle ebree salvate dalla cattura grazie all’intervento di un vicino di casa fascista, Ferdinando Natoni. Durante i rastrellamenti, non trovando rifugio da chi lo aveva promesso loro, le due sorelle già si sentivano spacciate,  ma l’intervento di Natoni residente nella loro stessa palazzina e che le fece passare per sue figlie, portò i  soldati nazisti a stare lontano dalle ragazze. Un gesto eroico che Natoni fece con coraggio,  mettendo a repentaglio la sua stessa vita e quella dei suoi familiari pur di salvare quella di due innocenti. Un azzardo che andò a buon fine, perché Mirella e Marina, grazie al gesto eroico di Natoni, riuscirono a ricongiungersi ai familiari evitando la deportazione, i campi di concentramento e le camere a gas. A raccontare la storia nel libro di Pacifici è Marina stessa, che narra il suo vissuto ai nipoti (Ghila e Asher), e quello che emerge dai fatti e dalle parole, oltre alla grande commozione e attenzione dei piccoli verso la storia della nonna, è la profonda riconoscenza di Mirella e dei suo familiari verso il loro salvatore, così grande da spingere Marina a far sì che lo Yad Vashem riconoscesse Ferdinando Natoni Giusto tra le Nazioni, perché lui non ebreo, con il suo impavido gesto, aveva permesso a due giovani vite ebree di continuare ad esistere. “La porta aperta” di Mario Pacifici è un libro per bambini, e ideale è leggerlo assieme, adulti e bambini, per fare sempre Memoria, non solo il 27 gennaio, ma in ogni momento dell’anno. Dobbiamo continuare a ricordare coloro che sono state le innocenti vittime della Shoah ieri, con un occhio di riguardo e attenzione anche alle innocenti vittime dei conflitti di oggi, perché la guerra purtroppo non fa differenze e sconti, cambia il contesto e la forma, ma le vittime sono sempre i più deboli. Per tale ragione è importante fare Memoria del passato, per non dimenticarlo, nella speranza (sempre fragile purtroppo) che non si ripetano gli errori di un tempo.

Source: ufficio stamp Gallucci.

Fishke lo zoppo, Mendele Moicher Sfurim, Marietti 1820 (2021) A cura di Viviana Filippini

29 luglio 2021

“Fishke lo zoppo” è un romanzo scritto da Mendele Moicher Sfurim, pubblicato da Marietti 1820. La narrazione ha appunto per protagonista Fishke con la sua vita e quella della comunità ebraica con la quale lui si relaziona e vive. Fishke ha famiglia, o meglio è sposato con una donna cieca, ma è anche profondamente innamorato di una ragazza gobba. L’autore è bielorusso di origine ebraica – Sholem Ynkev Abramowitsch- che scelse come pseudonimo un nome che significa “Mendele il venditore di libri”, perché è quello che lui stesso voleva essere per la comunità ebraica, un venditore ambulante di libri che portava alla scoperta di storie di vita, tra le quali quella di Fishke lo zoppo. Quello presentato da Sfurim è un mondo composto dagli ebrei più poveri, da quelli che ogni singolo giorno della loro vita, più che vivere, cercano di sopravvivere. In ogni capitolo che compone il libro, comparso per la prima volta nel 1869, ci sono tante vite di ladri, accattoni, vagabondi, uomini miseri sul lastrico che si arrabattano come possono per avere un piccolo guadagno. Sono l’umanità più povera, quella che vive ai margini e che sta sempre lì con un occhio di riguardo per individuare quelle azioni che potrebbero essere, ma non è detto che lo siano, una fonte di guadagno economico. Poi arriva Fishke. Nel senso che di lui si parla, o meglio ne parlano Mendele e Alter, solo nel capitolo undicesimo. Il suo presentarsi al lettore ci pone immediatamente catapultati nella vita di un uomo che diviene nel corso della lettura la rappresentazione di un popolo intero. Perché dico questo? Perché è come se Fishke avesse in sé tutti – o almeno molti- degli aspetti esistenziali del popolo ebreo povero e minato nell’animo e nel corpo da ferite sempre aperte e molto dolorose. Altro aspetto interessante del viandante Fishke che viaggia viaggia fino ad arrivare a Odessa, è la sua incapacità di riuscire ad adattarsi e ad accettare il mondo attorno a lui. Un universo in cambiamento all’interno del quale è nato e cresciuto e dal quale il protagonista non riesce a sradicarsi, in quanto è profondamente legato ad esso. Mendele utilizza l’ironia per raccontare il comportamento dell’ebreo orientale Fishke come se volesse istruirlo e fargli capire che il cambiamento e la trasformazione in qualcosa di meglio, sono possibili. Lo stesso umorismo viene utilizzato anche per narrare l’amore che il giovanotto ha per la ragazza gobba, una relazione con effetto a sorpresa per i lettori. Nel complesso “Fishke lo zoppo” è un romanzo interessante, ironico, curioso perché l’autore fa un vero e proprio ritratto di un individuo e, allo stesso tempo, quello di un intero popolo povero che non è comunque in grado di cambiare la propria esistenza anche nel caso in cui si presentino possibilità di progresso e mutamento per il proprio vissuto.

Mendele Moicher Sfurim (1833-1917), pseudonimo di Sholem Yankev Abramowitsch, è il primo grande autore classico della letteratura ebraica jiddisch dell’Est europeo.

Source: richiesto all’ editore. Grazie all’ufficio stampa 1AComunicazione.

Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria, Luca De Angelis, Marietti 1820, (2021) A cura di Viviana Filippini

25 marzo 2021

Quello narrato in “Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria” di Luca De Angelis è un viaggio nella letteratura attraverso alcune opere che avrebbero influito sullo sviluppo dell’antisemitismo. Il libro, edito da Marietti 1820, analizza romanzi e testi evidenziando come le forme di odio verso gli ebrei presenti nella Seconda guerra mondiale, affondano in realtà le loro radici in letteratura (e non solo), già ben tempo prima del manifestarsi della tremenda macchina di sterminio messa in atto dal Nazismo. L’autore ripesca quei libri nei quali gli ebrei sono presenti e vengono spesso denigrati. De Angelis si sofferma sulla figura di Shylock, l‘usuraio ebreo de “Il mercante di Venezia” creato da Shakespeare, per passare alle “Melodie ebraiche” di Heinrich Heine dove gli ebrei subiscono una “metamorfosi canina” o ancora in Kafka, in “La metamorfosi”. Qui il protagonista si risveglia con le sembianze di un enorme insetto (scarafaggio). Ciò che colpische è che la parola usata da Kafka per definire il suo personaggio -“Ungeziefer” (parassita)-, venne recuperata poi dai nazisti per riferirsi agli ebrei nei campi di sterminio. Il fatto che gli ebrei venissero paragonati a parassiti non fu rimarcato solo dall’utilizzo della termine omonimo con il quale venivano chiamati, ma anche dal fatto che per sterminarli i nazisti usarono lo Zyklon B, un potente pesticida impiegato di solito per eliminare i pidocchi e le cimici. Il libro di De Angelis è molto interessante, perché evidenzia come l’astio nei confronti degli ebrei fosse ben radicato non solo nelle opere letterarie, ma anche nella società attraverso parole e frasi che hanno rimarcato la netta e chiara volontà di denigrare in modo spregiativo gli ebrei. Il salto dalle parole ai tremendi fatti della realtà riguardanti lo sterminio degli ebrei fu breve. Tra le pagine del volume dello studioso della condizione ebraica emergono una serie di stereotipi, di immagini cementate nella mente e nella cultura alle quali gli ebrei erano associati: animali, insetti, parassiti come cani, pulci, zecche, cimici, topi e pure il camaleonte. Esseri che portavano infezioni e malattie, che cambiavano idea e atteggiamento in modo repentino e per tale ragione erano pericolosi e poco affidabili. Nel corso del tempo questi cliché hanno portato a vedere negli ebrei entità vive, ma non umane, piuttosto disumane, portatrici del male, di una infezione che doveva essere eliminata. Il processo di disumanizzazione completo venne attuato nei campi di sterminio dove agli ebrei fu negato il nome proprio in funzione di un numero, perché essi rappresentavano l’elemento dannoso e pericoloso che secondo i nazisti doveva in qualche modo essere fermato. “Cani, topi e scarafaggi. Metamorfosi ebraiche nella zoologia letteraria” è un libro che far pensare e dove il lettore compie un viaggio in una parte di letteratura e in quelle tappe che nel tempo e nella storia portarono allo sviluppo sempre maggiore dell’antisemitismo, il quale si radicò sempre più nella società fino alla messa in atto di un’ insensata strage di persone innocenti spogliate della loro umanità.

Luca De Angelis, studioso della condizione ebraica e delle sue modalità di espressione letteraria negli scrittori italiani ed europei, ha insegnato in diverse università (Trento, Trieste e Münster) e attualmente collabora con Pagine Ebraiche.

Source: richiesto dal recensore all’editore. Grazie all’ufficio stampa 1A Comunicazione.