
Spoiler alert: è consigliata la lettura dopo aver visto il film.
“M. Butterfly”, diretto nel 1993 dal regista canadese David Cronenberg, suo primo film internazionale girato in parte a Pechino, e in parte a Budapest e Toronto (per gli interni) con alcune scene a Parigi, si presenta come un’opera singolare nella filmografia di questo geniale cineasta e si colloca tra la spystory e il dramma, esplorando e ridefinendo il concetto di identità come proiezione e materializzazione di illusioni. Questo film offre inoltre una riflessione profonda e seria sul colonialismo e sulla dialettica tra Occidente e Oriente, evidenziando le dinamiche di potere e sfruttamento insite in queste relazioni sempre imperialiste, anche se a volte reciproche, come dice un personaggio. Basato sull’omonima pièce teatrale di David Henry Hwang, liberamente ispirata alla vera storia di Bernard Boursicot e Shi Pei Pu, “M. Butterfly” di Cronenberg si discosta dalle radici politiche del materiale originale per focalizzarsi sulla complessa relazione tra il diplomatico René Gallimard, interpretato da Jeremy Irons, che riesce a trasmettere magistralmente la vulnerabilità e la curiosità per una cultura altra del suo personaggio e la cantante d’opera cinese Song Liling, interpretata da un convincente e affascinante John Lone. La narrazione si snoda attorno a un legame che si sviluppa per oltre vent’anni, rivelando le fragilità e le illusioni di un uomo che, immerso nella sua visione del mondo, ignora totalmente o decide razionalmente di ignorare, nel senso etimologico del termine, le verità più evidenti su sè stesso, la sua sessualità, la sua identità. La figura di Gallimard infatti rappresenta l’archetipo del burocrate occidentale, la cui ignoranza e incompetenza geopolitica lo portano a non riconoscere le reali dinamiche di potere in gioco, emblematica la scena in cui fa le sue scorrette valutazioni e previsioni (influenzate da Song Liling) sulla presenza statunitense nel sud est asiatico a uno sconcertato ambasciatore Tuolon, interpretato in modo impeccabile da un elegantissimo Ian Richardson, perdendo così ogni credibilità all’interno dell’ambasciata che successivamente lo reimpatrierà in Francia. Se avesse anche solo compreso che nel teatro classico cinese le parti femminili erano recitate da attori maschi,- perchè solo gli uomini decidono come una donna debba comportarsi spiega Song Liling alla compagna Chin-, avrebbe potuto intuire la vera identità di Song Liling, – identità sessuale a tutti nota nel suo entourage (come a noi spettatori, data la grande fama dell’attore che lo interpreta), tranne che a lui,- una spia che sfrutta la loro relazione per raccogliere informazioni per il governo comunista cinese. Se anche aveva sospettato, perlomeno inconsciamente, che Song Liling fosse un uomo, la forza del sogno e dell’illusione, e la proiezione del suo desiderio sono troppo forti, come l’deale di bellezza che Song Liling incarna troppo perfetto, per permettergli di accettare che ama un uomo sotto l’involucro puramente esteriore di una donna, per quanto idealizzata. La rivelazione della verità avviene per lui in modo drammatico durante il processo, quando Gallimard si trova di fronte alla realtà della sua illusione, circondato dagli sghignazzi e dal ludibrio della corte, che non riesce a credere alla sua ingenuità e soprattutto al fatto che non abbia mai capito che Song Liling fosse un uomo dopo anni di convivenza. Quando il giudice chiede a Song se sapesse che lui era un uomo, accrescendo così la gravita delle accuse che gli vengono mosse, Song risponde che non lo sa, non gliel’ha mai chiesto, non tradendo infine l’architettura di fili di seta tra illusione e realtà che li ha legati.

Gallimard rappresenta un esempio emblematico della figura borghese, un contabile abile nel maneggiare cifre e numeri, ma intrappolato in una visione del mondo che riflette le contraddizioni del capitalismo. La sua capacità di individuare le incongruenze nelle spese di agenti diplomatici corrotti è solo un aspetto della sua professione, mentre la sua arroganza e ignoranza rivelano una supposta superiorità culturale radicata, tipica dell’uomo occidentale nei confronti dell’Oriente e delle sue tradizioni, seppur subisca il fascino di una cultura altra che affonda le sue ferme radici in millenni di civiltà, come afferma Song Liling quando gli spiega che i cinesi non sono certo diventati occidentali perchè vivono in case con la luce elettrica. La sua incapacità di riconoscere l’assurdità di far interpretare il ruolo di una ragazza giapponese a una donna cinese durante una rappresentazione di alcune arie della “Madama Butterfly” di Puccini, durante una soirée all’ambasciata svedese, dove Gallimard e Song Liling si incontrano per la prima volta, mette in luce la sua mancanza di consapevolezza storica e culturale. Ignora, ad esempio, il tragico passato in cui i giapponesi utilizzarono prigionieri cinesi per esperimenti di guerra batteriologica. Questo episodio non è solo un errore di interpretazione, ma un sintomo della sua preparazione inadeguata e della superficialità con cui affronta questioni complesse. La sua conversazione con Frau Baden, la moglie dell’ambasciatore tedesco, rivela ulteriormente la sua fragilità intellettuale. Gallimard, consapevole della sua ignoranza riguardo all’opera, teme che la verità possa compromettere l’immagine di un uomo dotato di una profonda cultura, un’illusione che il sistema capitalistico e le sue dinamiche sociali alimentano. In questo modo, la sua figura diventa un simbolo delle contraddizioni e delle ingiustizie insite in una società che privilegia l’apparenza rispetto alla sostanza.
Tra le riflessioni di genere, interessante lo scambio di battute, alle spalle della Grande Muraglia cinese, quando Song Liling narra un antichissimo proverbio cinese: “Dare insegnamenti a una ragazza è utile come gettare riso al vento“, riportando che sia la società antica cinese che quella contemporanea alla narrazione (siamo negli anni ’60 del Novecento poco prima dell’avvento delle Guardie Rosse), opprimono le donne e le tengono nell’ignoranza, cosa che teoricamente non dovrebbe avvenire nell’evoluto Occidente, per spiegare come sia possibile l’attrazione di una donna cinese verso un occidentale, e lusingando l’ego di Gallimard in un gioco di seduzione e attrattiva reciproca sia intellettuale che fisico.

La relazione tra Gallimard e Song Liling, pur basata su dinamiche di potere e reinterpretazione della realtà, evolve in un sentimento che, sebbene inizialmente costruito su menzogne in un contesto di seduzione e manipolazione, dove Song Liling, incarnando un ideale di donna costruito da Gallimard, diventa un oggetto di desiderio e di controllo, si trasforma in qualcosa di autentico. Questo processo di oggettivazione riflette le disuguaglianze di classe e di genere, in cui l’identità e la soggettività di Song Liling vengono sacrificate per soddisfare le fantasie coloniali e patriarcali di Gallimard. Quando Gallimard si confronta con la realtà della sua illusione e decide di porre fine alla sua vita attraverso il seppuku, si manifesta una crisi profonda non solo del suo individuo, ma anche delle strutture sociali che hanno alimentato la sua visione distorta dell’amore. La tragica conclusione segna un punto di non ritorno, mentre Song Liling, in un momento di vulnerabilità, piange sull’aereo che lo riporta in patria, rivelando la complessità e l’ambiguità dei sentimenti umani.

David Cronenberg esplorando i temi di identità e genere, inganno e disillusione si distingue per la sua visione del reale complessa e provocatoria. Gallimard è attratto dall’immagine romantica e idealizzata della Cina e della femminilità, della sottomessa donna orientale, schiava del diavolo straniero, ma la sua relazione con Song si rivela essere un intricato gioco di inganni, in cui le identità di genere e le aspettative culturali vengono sovvertite. L’atmosfera di tensione e ambiguità accresce questo divario culturale ed esistenziale in cui questioni come il colonialismo, la sessualità, le costruzioni sociali di genere, si fanno materia viva della narrazione. Le performance di Irons e Lone sono straordinarie nel creare l’illusione e l’ambiguità che fino all’ultimo accelera stemperandosi nel drammatico e catartico finale quando è l’Occidente a soccombere rispetto all’Oriente, sovvertendo la dinamica pucciniana dove è la ragazza giapponese a suicidarsi per amore di un occidentale. Gallimard metabolizza in un’opera di metamorfosi (già la libellula donata dal pescatore preludeva simbolicamente a questo) questa dinamica diventando lui stesso la proiezione dell’Oriente che ha sempre avuto e con il disvelamento, nel cellulare che li porta in prigione, del corpo nudo di Song Liling ha perso per sempre. Resta un’opera magistrale nell’esplorazione delle complessità dell’amore e dell’identità, temi da sempre al centro delle riflessioni del regista canadese.
Cronenberg, pur affrontando un flop commerciale, ha considerato questo film un successo personale, poiché sintetizza molte delle sue riflessioni estetiche e poetiche, rivelando le contraddizioni e le tensioni insite nelle relazioni tra culture e identità. In questo contesto, lo spettatore è invitato a riflettere non solo sull’incredibile ingenuità di Gallimard riguardo all’identità sessuale di Song Liling, ma anche, e soprattutto, sul mistero stesso dell’amore, un sentimento che sfida le categorizzazioni e le interpretazioni, fondendo reale e ideale. Cronenberg, con la sua visione unica, ci offre un’opera che trascende il tempo, ponendo interrogativi che risuonano ancora oggi. Una curiosità: gli hutong, i tradizionali vicoli di Pechino, dove furono girate alcune scene, ora non ci sono più buttati giù per i piani di ristrutturazione e sostituiti con palazzi e grattacieli.
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